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EVVIVA IL CANTO DEL GALLO NEL VILLAGGIO COMUNISTA RROFTË KËNGA E GELIT NË FSHATIN KOMUNIST – Slogan dell’Albania di Enver Hoxha – Cura e traduzione di Gëzim Hajdari

Gezim Hajdari foto 8

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Rama è padre di Edi Rama, segretario nazionale del Partito Socialista d’Albania, ex-PCA, nonché premier del paese dal 2013.

Besa Editrice, 2013

Questi slogan agghiaccianti, proposti per la prima volta al lettore occidentale, appartengono al regime stalinista di Enver Hoxha, una delle dittature comuniste più spietate del XX secolo. Accanto alle persecuzioni, alle condanne, alle prigionie, alle torture, ai lager, alle fucilazioni, alle impiccagioni, ai lavori forzati, gli slogan enveristi hanno esercitato, per mezzo secolo, un terrore psicologico impressionante sulla mente dei cittadini albanesi, un vero e proprio lavaggio del cervello, tale da condurre alla pazzia uomini e donne, giovani e anziani.

«Il cervello del compagno Enver è anche il nostro!» era all’ordine del giorno.

      Negli slogan è racchiuso mezzo secolo della lotta di classe condotta da Enver Hoxha, e proprio la lotta di classe era uno dei principi su cui basava la sua feroce tirannia.

I primi slogan comparvero già durante la guerra partigiana guidata dai comunisti bolscevichi. Per ogni attività della vita sociale, politica, economica, culturale e spirituale erano stati approntati degli slogan, che inneggiavano alle masse, al Partito e al dittatore Hoxha, al rimanere uniti per costruire e rafforzare il comunismo e per sconfiggere i nemici interni e quelli stranieri.

      Gli slogan venivano ripetuti a memoria fino all’ossessione, giorno e notte, non soltanto dai cittadini liberi, ma anche dai detenuti, che spesso venivano costretti a recitare ad alta voce la retorica comunista.

      «Erba mangeremo e i principi comunisti non calpesteremo!» era il principio cardine dell’ideologia suicida del dittatore albanese. Ancora più emblematico lo slogan in cui si richiedeva di «innestare cervelli e cuori nel tronco comunista».

      Molti furono coloro che finirono dietro le sbarre per non aver accettato di declamare slogan pro regime durante le manifestazioni organizzate dal Partito comunista “fondato su ossa e sangue” e dal dittatore. «Le spade della dittatura del proletariato, sempre sguainate» contro i nemici della patria!

     Un destino più atroce, invece, spettava a coloro che esprimevano rabbia e odio contro i versetti della “liturgia rossa”. Gli slogan «Addio compagni, abbasso la dittatura!», «Evviva la libertà!», «Abbasso il comunismo!», «Abbasso il tiranno Enver Hoxha!», «Abbasso il Partito comunista!». «Libertà!», «Evviva l’Albania libera!» e «Basta con gli schivai del comunismo!», venivano ripetuti spesso e ad alta voce nei tribunali e nelle carceri albanesi.

 Gezim Hajdari foto 15Tutto questo faceva parte del Terrore di Stato, dell’assurdità, della patologia criminale perpetrata contro l’umanità dal regime totalitario di Tirana durante gli anni 1941-1990.

     Gli slogan enveristi inneggiavano al Partito, alla dittatura del proletariato e al dittatore Enver Hoxha, al fine di inculcare nelle masse la coscienza rivoluzionaria e il fervore ideologico, come nella Cina maoista. Lo scopo principale di questa allucinazione collettiva era quello di poter diffondere le massime e le direttive del tiranno e quello di tenere viva la famigerata lotta di classe, che causò decine di migliaia di morti nel “Paese delle aquile”, sia tra i civili che tra i detenuti nelle prigioni o nei campi di internamento sparsi in tutta l’Albania.

     Gli slogan apparivano ovunque: ai margini delle strade, in cima alle montagne, nelle piazze, sui muri delle case, agli ingressi delle fabbriche e delle miniere, negli stadi, negli uffici, negli asili, nelle scuole, nelle università, nei libri, negli ospedali, lungo il confine, nei porti, sulle spiagge, nei parchi, nelle camere da letto, nelle ninne nanne, nei manicomi, addirittura nei cessi pubblici. Persino l’amore doveva essere dedicato alla causa comunista: «Dobbiamo innamorarci in nome del Partito e del compagno Enver!»

     Erano gli anni della pianificazione della nuova estetica di Stato e dell’affermazione del njeriu i ri, l’“uomo nuovo” del socialismo, plasmato dal Partito e temprato sotto l’incudine della classe operaia, “l’uomo muscoloso e stakanovista” che vigilava giorno e notte per difendere le vittorie e la patria dai nemici.

«Dobbiamo seppellire da vivi i nemici del popolo!» recitavano i megafoni nelle piazze ogni domenica.

   Ancora oggi alcuni di questi slogan, scritti con vernice rossa, si intravedono sbiaditi sui muri.

 

 Se gli slogan del Libretto Rosso di Mao Tse-Tung erano 286, quelli di Enver Hoxha erano più di 1200. Il dittatore albanese, per aumentare l’influenza ideologica delle sue massime, aveva assoldato le cosiddette “Guardie Rosse”, sparse in ogni angolo del Paese, che diffondevano i comandamenti comunisti e denunciavano i nemici del suo Libretto Rosso. Gli slogan penetravano nella vita quotidiana degli albanesi non soltanto tramite il Sigurimi (la polizia segreta del regime di Enver Hoxha), ma anche attraverso gli scrittori del realismo socialista, che servivano il Partito nell’educazione comunista del popolo.

    Alcuni di questi slogan sono tratti dagli scritti di celebri poeti asserviti al regime, i quali non mancavano di osannare la folle dittatura con versi del tipo: «Con l’acqua del comunismo ci siamo purificati!» oppure «Proiettili terribili lanceremo, nel petto del nemico piombo fuso verseremo».

     In ogni scuola, asilo, fabbrica, università o villaggio, si recitavano gli slogan inneggianti al partito e al compagno Enver Hoxha prima di cominciare a lavorare o a fare lezione.

Dopo Epicedio albanese, in cui racconto il massacro di cui sono stati vittime poeti e scrittori albanesi dal 1920 al 1989, Slogan dell’Albania di Enver Hoxha è un altro frammento della memoria collettiva del mio Paese. Ho deciso di pubblicare questa raccolta per confrontarmi con la verità storica del passato e per non dimenticare, affinché il Parlamento di Tirana condanni i crimini commessi contro l’umanità durante la dittatura comunista.

  1. Gëzim Hajdari                                                                       

 Tratti da «EVVIVA IL CANTO DEL GALLO NEL VILLAGGIO COMUNISTA» Besa, 2013

 Gezim Hajdari foto 1

All’Albania finalmente è nato un figlio: il compagno Enver Hoxha!

Il cervello del compagno Enver è anche il nostro!

Evviva il Partito Comunista Albanese con il compagno Enver Hoxha, la nostra guida!

Evviva la dittatura del proletariato!

Il Sigurimi dello Stato è un’arma preziosa nelle mani del Partito!

Innestare cervelli e cuori nel tronco socialista!

L’opera più preziosa del Partito: la creazione dell’uomo nuovo!

Erba mangeremo e i principi comunisti non calpesteremo!

Dobbiamo innamorarci in nome del Partito e del compagno Enver!

Evviva la lotta di classe!

Gezim Hajdari foto 2

Compagno Lenin, Tu non sei morto e mai morirai finché ci saranno albanesi sulla Terra!

Le spade della dittatura del proletariato, sempre sguainate!

Il Partito Comunista Albanese è fondato su ossa e sangue!

Beato chi trova nel cielo la stella che brilla sull’Albania!

Con te, mio Partito, mi sento alto come le montagne, senza di te, mi sento piccolo come una formica!

Schiacciamo la testa al nemico di classe!

Quanto è fortunata l’Albania rossa!

Tutto il mondo ci invidia!

Le radici delle nostre vittorie sorgono nel sangue!

Non è la Bibbia che parla ma il Partito!

Gezim Hajdari foto 12

In tutta l’Albania vi erano 21 statue dedicate a Stalin.

Morire in nome del Partito è un grande onore!

Doniamo i nostri figli al Partito!

I capitalisti possiedono le armi, noi il pensiero del compagno Enver!

Gli insegnamenti del compagno Enver: più forti della bomba atomica!

Doniamo al Partito anche l’ultima gocce di sangue!

Collettivizziamo le pecore, le capre e le vacche nelle stalle comuniste!

Guerra alla mentalità borghese!

Continueremo ad oltranza la lotta di classe!

Doniamo i nostri cuori al compagno Enver!

I nemici ci guardano tramite la canna del fucile, noi guardiamo loro tramite la canna dei cannoni!

L’Albania è l’unico baluardo del comunismo nel mondo!

Che ogni spiga di grano sia un proiettile per il nemico!

L’Albania, l’unico Paese al mondo senza scioperi!

Gezim Hajdari foto 3

Il Partito è stato fondato su ossa e sangue dei nemici di classe!

Vendetta e sangue contro i traditori!

Noi comunisti albanesi danziamo felici nella tana del capitalismo!

Evviva il compagno Mao Tse-Tung!

Due leoni esistono oggi: Mao Tse-Tung in Asia e Enver Hoxha in Europa!

Faremo cenere e polvere di coloro che oseranno torcerci anche un solo capello!

Doniamo al Partito la luce dei nostri occhi!

Il nemico di classe non sfugge all’occhio del Partito!

Quando parla il compagno Enver il mondo trema!

Di Enver Hoxha ne è venuto al mondo solo uno!

Proiettili terribili lanceremo, nel petto del nemico piombo fuso verseremo!

Gezim Hajdari Slogan 1

Gli scrittori e gli artisti sono grati al Partito e al compagno Enver!

L’eroe comunista deve essere al centro di ogni opera letteraria e artistica!

Facciamo nostri i preziosi insegnamenti del compagno Stalin su arte e letteratura!

Questo mio canto per te, Partito, sia come una rosa rossa sulla canna del fucile!

L’amore per il Partito e per il compagno Enver viene prima di tutto!

Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista!

Evviva la sposa comunista!

Evviva lo sposo comunista!

Evviva padre Stalin!

Il popolo albanese è assetato per la letteratura del realismo socialista!

Abbasso la donna borghese!

Evviva il latte comunista!

Evviva la lana comunista!

 

Ciò che dice il Partito, fa il popolo, ciò che dice il popolo, fa il Partito!

L’opera del padre Stalin: grande esempio per il Partito e il compagno Enver!

Alla forca i nemici del Partito!

Per il Partito e il compagno Enver, daremo la nostra vita!

Gli scrittori: leve del Partito per l’educazione comunista della gente!

Siamo soldati fedeli al Partito-padre!

Gli scrittori e gli artisti sono grati al Partito e al compagno Enver!

All’epicentro di ogni opera letteraria ed artistica ci deve essere l’eroe positivo comunista!

Interiorizziamo gli insegnamenti preziosi del compagno Stalin sulla letteratura e le arti!

Donare al Partito il nostro sangue!

Dedicare al Partito e al compagno Enver la propria vita!

 Abbasso gli scrittori cattolici reazionari!

Abbasso gli scrittori mistici musulmani!

Il nostro eroe positivo deve essere comunista ogni momento: nella vita quotidiana, in famiglia, in amore, nelle preoccupazioni, nella gioia e nel sangue!

Il giorno in cui è nato il Partito, è nato il nostro sole!

La teoria di Freud: disgrazia per la letteratura del realismo socialista!

Abbasso i poeti e gli scrittori sentimentali e mistici, seguaci di Nietzsche e di Freud!

La letteratura del realismo socialista: letteratura della classe operaia!

Le opere del compagno Enver e quelle dei classici del marxismo-leninismo sono l’unica arma contro l’arte decadente e revisionista!

Gezim Hajdari foto 6

Guerra contro le influenze straniere e le teorie reazionarie di Freud!

L’opera di J. V. Stalin: sempre attuale!

Abbasso gli scrittori traditori sovietici, cechi, bulgari, francesi, irlandesi e americani!

Abbasso i servi della degenerata società occidentale come Kafka, Joyce, Sartre, Kamy, Roger Garaudy, Natalie Sarraute, Rob Grijene, Mishel Bytorit, Klod Simon, Solgenitsin, A. Kuznecov A. Demetjev, Tvardovskij, Xhon Hers e L. Andrejev!

Evviva la letteratura e le Arti sotto la luce del Partito!

Freud è la causa di un’epidemia mai vista nella cultura mondiale!

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La sua teoria sta divenendo sempre più pericolosa e sta contagiando, una dopo l’altra, le letterature e le generazioni di scrittori e di artisti!

Evviva gli insegnamenti del compagno Mao Tse Tung per i problemi della Letteratura e delle Arti!

Noi poeti e artisti siamo legati più che mai al Partito e al marxismo-leninismo!

L’arte comunista è l’arte della sublimazione della Rivoluzione!

Siamo filgii di Stalin!

Ciò che è importante nella vita dei giovani comunisti non sono gli amori, ma la fedeltà al Partito!

La lotta di classe deve guidare la nostra Letteratura!

La Rivoluzione Culturale Cinese è una grande ispirazione per noi Albanesi!

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Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

Gëzim Hajdari è nato nei Balcani di lingua albanese nel 1957. È il maggior poeta vivente albanese, bilingue, scrive in albanese e in italiano. Nell’inverno del 1991 è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. Nello stesso anno è cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës (Il momento della parola), nel quale svolge la funzione di vicedirettore. Nelle elezioni politiche del 1992 si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA. Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione in Albania, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, la corruzione, gli abusi e le speculazioni della vecchia nomenclatura comunista di Enver Hoxha e dei recenti regimi mascherati post-comunisti. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Ha scritto anche libri di viaggio e saggi e ha tradotto in albanese e in italiano vari autori. È vincitore di numerosi premi letterari. Dal ’92 è esule in Italia.

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Il “Poema dell’esilio” del poeta italo-albanese Gezim Hajdari, Atto di accusa contro il regime postcomunista in vigore in Albania – “Nell’Albania comunista di Enver Hoxha vennero imprigionate 30 mila persone, 60 mila internate nei campi dei lavori forzati, 17.900 condannate per motivi politici, 5500 uccise come avversari politici del dittatore Enver Hoxha, 9052 morirono nelle prigioni, 408 rimasero invalidi mentali a causa delle torture disumane subite, 7022 morirono nei campi dei lavori forzati. Furono fucilate o sono morte nelle varie prigioni 148 tra intellettuali, artisti, scrittori, poeti, politici, filosofi, giuristi, traduttori e professori di latino e greco. Mentre 4500 persone sono sparite e ancora oggi non si sa dove giacciono i loro resti”

Besnik Violenza-a-Tirana_1990

Manifestazione a Tirana, 1990

Negli ultimi giorni, la stampa italiana e quella mondiale ha più volte richiamato il caso dell’Albania come la nuova Colombia d’Europa per quanto riguarda il suo ruolo cruciale per la produzione e il commercio della droga. Inoltre il paese, ogni giorno, è all’epicentro di scandali politici, corruzione e traffici illegali. Notizie clamorose del genere non sono del tutto casuali. La corruzione, gli omicidi, i traffici illegali, gli intrecci tra mafia e governanti sono stati e continuano ad essere all’ordine del giorno sin dal 1992.
Prendendo spunto dalla cronaca più recente, pubblichiamo alcuni tratti scelti dalla raccolta Poema dell’esilio del poeta italo – albanese Gezim Hajdari che ha avuto il merito di denunciare già anni fa’, quasi profeticamente, le tragiche vicende sia del regime comunista di Enver Hoxha che quelle dei regimi postcomunisti di oggi. Ma purtroppo, in Albania come in Italia, nessun quotidiano ha dato spazio a questa denuncia pubblica e storica di Hajdari, anzi, il suddetto libro, come del resto anche l’autore stesso, non a caso, sono stati ignorati per ben 24 anni di seguito dalla stampa ufficiale albanese e italiana.
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Gezim Hajdari cop inglese
Gëzim Hajdari
Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit
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I° edizione, Fara Editore, 2005
II° edizione ampliata, Fara Editore 2007

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«Perché mai sono uscito dal seno materno per vedere tormenti e dolore e per finire i miei giorni nella vergogna?»
Geremia (L’antico Testamento. Libro dei Profeti)
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«Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario».
(George Orwell, La fattoria degli animali)
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“…Eppure – chissà – là dove qualcuno resiste senza speranza è forse là che inizia la storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell’uomo!”
Ghiannis Ritsos
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Police breaks up violent protest in Tirana

Manifestazione a Tirana

Nell’Albania comunista di Enver Hoxha vennero imprigionate 30 mila persone, 60 mila internate nei campi dei lavori forzati, 17.900 condannate per motivi politici, 5500 uccise come avversari  politici del dittatore Enver Hoxha, 9052 morirono nelle prigioni, 408 rimasero invalidi mentali a causa delle torture disumane subite, 7022 morirono nei campi dei lavori forzati. Furono fucilate o sono morte nelle varie prigioni 148 tra intellettuali, artisti, scrittori, poeti, politici, filosofi, giuristi, traduttori e professori di latino e greco.
      Mentre 4500 persona sono sparite e ancora oggi non si sa dove giacciono i loro resti.
      Per motivi politici sono stati confiscati e imprigionati 19.250 ricchi latifondisti e commercianti. La dittatura comunista di Hoxha condannò 310 alti prelati religiosi, distrusse 220 istituzioni religiosi. Fucilò 95 cittadini del Kosovo e imprigionò 250 cittadini stranieri, tra questi 38 donne di nazionalità non albanese. Ma la cosa peggiore è che l’elenco dei nomi dei cittadini fucilati senza processo durante gli anni 1944-1955, non esiste in nessun archivio. Forse questo elenco non si troverà mai. Nelle prigioni e nei campi di internamento albanesi hanno sofferto le pene dell’inferno anche cittadini italiani, greci, tedeschi, austriaci, polacchi, russi, ecc. ecc. Nell’Albania di Enver Hoxha vi furono 40 prigioni e 50 campi di internamento.
      Gli artigli del regime stalinista di Hoxha non risparmiarono nemmeno le donne albanesi.
      Il regime ne condannò ben 7367, delle quali 308 impazzirono a causa delle torture macabre. Morirono nelle prigioni 45 e furono fucilate 450. Nei campi di internamento furono rinchiuse 46.790, morirono per le fatiche e gli stenti 5118 donne e 320 bambini di fame e malattie.
      La costruzione di una vera democrazia in Albania doveva basarsi su due pilastri: uno rappresentato dalla decisione politica di fare luce sui  crimini della tragedia comunista e il secondo fondato sulla restituzione dei beni agli ex proprietari. Sono trascorsi ben venticinque anni dal crollo della dittatura di Hoxha e nessuna di queste due questioni  è stata mai affrontata.
      Anzi, l’Albania è l’unico paese dell’Europa dell’Est che non ha aperto fino ad oggi gli archivi della polizia segreta di Enver Hoxha. L’ultimo tentativo ci fu alcuni anni fa’, ma la Corte Costituzionale, presidiata da Femi Avdiu si oppose. Femi Avdiu è stato il presidente del tribunale di Enver Hoxha responsabile della condanna all’impiccagione, avvenuta nel 1988, del poeta dissidente Havzi Nela. Questo giudice criminale comunista, dopo il crollo del regime rosso di Tirana, divenne deputato dei postcomunisti (PSA), nonché presidente della Corte Costituzionale della Albania “democratica”! Mentre l’ordine per l’esecuzione del poeta Havzi Nela fu firmato da Kristaq Rama, vice presidente del parlamento di Enver di Hoxha. Kistaq Rama è il padre dell’attuale premier dell’Albania, Edi Rama!
      Pertanto, ancora oggi i responsabili di questo massacro ricoprono alte cariche politiche nell’Albania postcomunista in tutti i segmenti della vita politica, economica, culturale e spirituale facendo di tutto per seppellire la memoria di quanto è successo. Loro non vogliono che la verità storica sia resa pubblica, né in Albania né all’estero. Coloro che tentano di far luce sugli efferati crimini commessi durante il regime di Enver Hoxha, come nel caso di chi scrive, sono considerati dei nemici e condannati perciò al silenzio. dalla mafia politica e culturale di Tirana.
      Il Terrore era un sistema, il principio su cui si basava la dittatura stalinista.
      Finché il Parlamento di Tirana non riconoscerà il Terrore di Stato come un crimine contro l’umanità, non ci sarà pace nelle coscienze dei cittadini e una vera democrazia in Albania. Il 25 gennaio 2006 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato la risoluzione 1481 in merito alla “ Necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi del totalitarismo comunista” in cui si condannano le violazioni di massa dei diritti umani commesse dai regimi totalitari comunisti. Inoltre, tale risoluzione stigmatizza il fatto che gli autori di questi crimini non siano mai stati portati in giudizio di fronte alla comunità internazionale e, di conseguenza, ne deriva una scarsa presa di coscienza pubblica sui crimini del totalitarismo comunista.
       Dal 1991 ad oggi il Parlamento albanese, nonostante questa risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, non ne ha mai tenuto conto. Il Passato si identifica solo con le vittime e si dimenticano i commissari che progettarono tale carneficina. Fino ad ora la tragedia del genocidio albanese non ha avuto nessun responsabile; non c’è stata una condanna, nemmeno morale. I governi post-comunisti attendono che scompaia la generazione dei perseguitati e, insieme a loro, ogni testimone oculare, ogni testimonianza, ogni ricordo vivente della tragedia storica.
      I familiari delle vittime attendono la verità su ciò che è accaduto nelle stanze del Sigurimi (polizia segreta di Enver Hoxha) e sperano che il Parlamento di Tirana condanni finalmente le atrocità perpetrate durante quell’epoca. Il paradosso è che, l’anno scorso il governo postcomunista di Edi Rama, ha premiato decine di ex-alti funzionari della nomenklatura del regime di Hoxha, in quanto ideatori ed esecutori del Terrore di Stato, per aver servito con devozione la patria comunista di ieri! L’Albania si è trasformata in un cimitero sepolto e rivelato: ogni giorno viene scoperta una fossa comune con resti di uomini, donne e bambini considerati nemici della dittatura del proletariato.
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Gezim Hajdari colline di Fondi, 2006

Gezim Hajdari colline di Fondi, 2006

      Se fino a ieri, il Paese delle Aquile è stata vittima del regime sanguinario di Enver Hoxha, dal ’91 fino ad oggi, è diventato il paese più corrotto dell’Europa e la terra dei misteri, degli scandali politici inquietanti e degli intrighi internazionali diventando così un pericolo non solo per la sua gente ma anche per i Balcani. I due partiti politici, i democratici e i socialisti, che hanno governato il paese, scambiandosi il potere a vicenda dal 1991 ad oggi, sono nati dallo scisma dello stesso partito comunista di Enver Hoxha. Nella mia Albania, il paese della besa, dell’onestà, dell’ospitalità, dell’amicizia dell’epica; l’Albania dei padri del Rinascimento, della grande tradizione orale e mistica, nulla è cambiato. Anzi, la mia Albania continua a sprofondare ogni giorno di più nella corruzione e negli affari sporchi facenti capo alla nuova oligarchia, caratterizzata spesso da lotte interne spietate per il dominio e il potere. Responsabili di tutto questo disastro economico, sociale, morale, politico e culturale sono gli stessi politici della vecchia nomenklatura di ieri del regime comunista, divisi in clan mafiosi potenti e molto pericolosi, che tengono in ostaggio lo Stato e la vita dei cittadini.
      L’Albania e gli albanesi di oggi gestiscono il traffico internazionale della droga, delle armi, della prostituzione, degli esseri umani e del denaro sporco. È da venticinque anni che in Albania è in atto una distruzione generale, mai vista prima e ininterrotta, che pervade tutti gli angoli della vita, dell’ambiente, delle tradizioni e del patrimonio spirituale albanese creato con sacrifici dai nostri antenati nel corso dei secoli. Proprio  dall’Albania e dal Kosovo parte la maggior parte dei mercenari usati per arruolarsi nelle file del Daesh con lo scopo di rovesciare dei governi legittimi come si è tentato di fare recentemente in Siria. L’Albania e il Kosovo, con il voler della CIA americana,  hanno ospitato carceri di tortura dove sono stati torturati cittadini stranieri. Negli ultimi tre anni, sempre con il volere della CIA, l’Albania ha ospitato nel suo territorio 2500 cosiddetti ‘mujaheddin’iraniani, addestrati per destabilizzare paesi e nazioni e per seminare nuove guerre e morte in Iran e in varie parti del mondo in nome di quella che ormai è entrata nei manuali di strategia militare sotto l’appellativo di “Strategia della tensione”.
      La mia ‘nuova’ Albania, sorta sui crimini e sui traffici mafiosi, secondo un progetto dei ‘Poteri Oscuri’ dall’oltreoceano, con il consenso vergognoso dei politici mercenari di Tirana, è diventata il paese più pericoloso d’Europa. Sono stati proprio questi poteri oscuri che hanno portato al potere il dittatore Enver Hoxha, che hanno difeso e appoggiato la sua sanguinaria politica per mezzo secolo a Tirana. Sono stati proprio questi  poteri oscuri che hanno eliminato gli oppositori del regime comunista sia in Albania che all’estero. Sono stati proprio questi poteri oscuri che hanno portato al potere con la loro benedizione i postcomunsiti di Sali Berisha, Fatos Nano e di Edi Rama. Sono stati proprio questi poteri oscuri che tengono ancora oggi sotto la loro protezione i responsabili della tragedia comunista. Stranamente molti di questi boia oggi vivono tranquilli negli Stati Uniti. Sono stati proprio questi poteri oscuri che hanno voluto che la nuova Albania venisse costruita proprio sui crimini, sulla droga e sui traffici loschi.
      Sono stati proprio questi poteri oscuri che hanno programmato e innescato lo scontro etnico in Kosovo, la distruzione della convivenza balcanica innalzando muri di odio tra i nostri popoli vicini, che nei secoli scorsi, nel male e nel bene, hanno condiviso lo stesso destino. Sono stati proprio questi poteri oscuri che hanno costituito uno Stato fantoccio come quello del Kosovo, gestito ancora oggi da loro, non per il bene di quest’ultimo e del suo popolo, ma piuttosto per i loro interessi personali politici ed economici.
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      Il Kosovo, usato come carne da macello dai  poteri oscuri, se fino a ieri è stato la culla dell’albanesità, oggi sta diventando la tomba dell’Albania. Sono proprio questi poteri oscuri che stanno tentando di destabilizzare oggi la Macedonia con l’aiuto degli albanesi macedoni. E non si fermeranno qui. Ma la cosa peggiore è che nell’arco di venticinque anni nessun politico, intellettuale, giornalista, partito o un’associazione albanese ha mai denunciato tutto questo. Nessuno. Anzi, sono pronti a vendere la propria madre in segno di devozione a questi poteri oscuri per avere in cambio di favori, carriera, donne, potere e soldi.
      I sedicenti intellettuali, scrittori, analisti, giornalisti, opinionisti, oppositori i quali trascorrono il tempo tra comparsa televisive, caffè e osteria di Tirana, è da venticinque anni che fanno finta di disputarsi tra di loro, ricevendo però premi letterari, titoli, alte cariche, onori e denaro dal potere criminale di Tirana. I loro stipendi, le alte cariche e i loro onori sanno di marcio, di crimine, di prostituzione, di sangue e non arrivano a comprendere che finché l’Albania sarà sotto le grinfie dei poteri oscuri di oltreoceano, non ci sarà mai pace, democrazia, prosperità e una sana sovranità per l’Albania e gli albanesi, ma solo un suicidio collettivo.
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      I poteri oscuri, i quali hanno usurpato il mio paese nel lontano 1922, hanno fatto dell’Albania e del Kosovo una zona franca per poter far passare gli affari più sporchi, e la società albanese è la più incriminata d’Europa al cui interno fanno la legge gli assassini a pagamento. In Albania crescono più piante di droga che di erba. Oggi la mia Albania, è l’unico paese al mondo che ha eretto delle statue gigantesche  a due criminali di guerra come G. Bush jr e H. Klinton, come se non bastasse ciò che è stato detto fin qui. L’Albania e il Kosovo, e quest’ultimo ospita la più grande base militare statunitense in Europa, sono diventati delle portaerei di questi poteri oscuri.
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A proposito della base militare americana in Kosovo, proprio in questi ultimi giorni, a Tirana, ha avuto luogo un’Assemblea della NATO nella quale, tra le altre cose, la Ministra albanese della difesa, M. Kodheli, ha dichiarato con fervore e passione perversa postcommunista che « la NATO rappresenta una comunità caratterizzata dalla democrazia, la libertà individuale, i diritti dell’uomo e lo stato di diritto (…) e che essa è l’incarnazione dei valori democratici di questa alleanza». Signora Ministra, la NATO, come ha dimostrato la storia, non è altro che un’organizzazione criminale in mano ai poteri oscuri che sin dalla sua nascita non ha fatto altro che seminare guerre, morti, crimini e lutto ovunque nel mondo.
Si fa presente alla Signora Ministra Kodheli che la “primavera araba” non si è trasformata in un “inverno arabo”, come pretendete Voi, ma è nata proprio come un “inverno arabo” programmato appunto dai poteri oscuri. E dietro il “diavolo della violenza estrema”, si nascondono sempre gli stessi poteri oscuri; e che sempre dietro al cosiddetto Stato Islamico, oppure DAESH, e gli altri gruppi terroristici”, o ancora “i mercenari da tutto il mondo”, i quali si arruolano e combattono per conto di questi gruppi criminali, come avete dichiarato Voi, si nascondono i poteri oscuri, i quali non solo minacciano “il Medio Oriente e l’Africa del Nord”, come affermate Voi, ma l’Europa intera e oltre ancora. E per di più dietro “l’ondata biblica di rifugiati nelle nostre case o nei paesi vicini” covano i programmi diabolici di questi poteri oscuri. Anzi sono gli stessi che hanno fatto da regia ai conflitti sanguinosi in Afganistan, Iraq, Libia, Siria, si tratta sempre della mano degli stessi poteri oscuri, Signora Ministra.
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Con la caduta del Muro di Berlino, sono venute a mancare le condizioni sociali, politiche e ideologiche per mantenere in vita la NATO. D’ora in poi, è più che ragionevole creare un Blocco militare regionale europeo di difesa. Una proposta del genere sarebbe dovuta partire dai politici intelligenti e visionari davanti all’Assemblea della NATO a Tirana. Ma lo squallore insopportabile e isterico postcomunista dei politici-criminali di Tirana non si accontenta di questo. L’invito del Primo Ministro Edi Rama davanti all’Assemblea della NATO a Tirana, per la creazione di una base militare in Albania, è tanto spaventoso quanto pericoloso, e d’altronde può avere delle conseguenze nefaste per il paese, l’ambiente e il futuro dell’Albania.
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Si fa presente al lettore che oltre alla Ministra bambola, M. Kodheli, hanno presenziato all’Assemblea della NATO  a Tirana anche: il Presidente del Parlamento albanese, Ilir Meta, accusato di corruzione come anche Milo Djukanovic, Presidente del Montenegro, accusato di corruzione. Quest’ultimo, per sfuggire alla giustizia, ha accettato di vendere il proprio paese alla NATO. Solo l’Assemblea della NATO poteva accettare di trafficare con questi personaggi incriminati sulle spalle dei loro popoli.
Sono trascorsi dei giorni ormai dalla dichiarazione di Kodheli, Rama, Meta e Djukanovic davanti all’Assemblea della NATO a Tirana, ma purtroppo nessuna reazione vi è stata da parte di cittadini, politici, intellettuali, scrittori, giornali, associazioni ecc. ecc. per opporsi a queste pericolose iniziative in campo militare. Un silenzio degno di un atteggiamento tipico della prostituzione spirituale e intellettuale.
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L’Albania e il Kosovo hanno ceduto la sovranità nazionale a questi poteri oscuri, i quali gestiscono ogni angolo della vita politica, economica, militare, culturale e spirituale del paese, e non solo. E tutto ciò peserà a lungo sul destino e il futuro della nazione ma anche su quello dell’intera area balcanica. L’Albania e il Kosovo, che attualmente si trovano in un vicolo cieco, hanno una storia, meglio una ControStoria, tutta da riscrivere.
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Gezim Hajdari a Venezia

Gezim Hajdari a Venezia

Gëzim Hajdari
Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit
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Ho contribuito al crollo della dittatura albanese
e alla ricostruzione democratica della patria,
perché aspiravo alla libertà e alla bellezza, ma vincitrice
è stata la nomenklatura di ieri, macchiata di sangue e crimini di Stato.
È per questo che sono in esilio, amici miei.

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Ho partecipato alla fondazione del Partito Democratico all’una di notte e,
mesi dopo, anche a quella del Partito Repubblicano nella città di Lushnje,
entrambi partiti d’opposizione, quando tutti tremavano dalla paura e nessuno
credeva ed immaginava la caduta e la sopravvivenza della dittatura rossa.
È per questo che ho scelto l’esilio, amici miei.

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[…]

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Nel 22 marzo ’92, ho concorso al parlamento albanese nella città di Lushnje,
ma ha vinto colui che l’indomani è divenuto Ministro degli Esteri
e vice premier di Berisha , appoggiato dalla mafia di Tirana.
Mi sono chiuso in casa per tre giorni di seguito.
È per questo che soffro l’esilio, amici miei.

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«Ma il peggio deve ancora venire!»

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Due anni dopo, il popolo di Lushnje, prese in ostaggio allo stadio
il suddetto signore, T. Shehu, cioè il Ministro
e gli mise il porro nel culo,
perché non mantenne le promesse elettorali.
È per questo che mi trascino in esilio, amici miei.

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Ora l’ex-ministro degli esteri, nonché ex-vice primo ministro di Berisha,
è vice rettore della nuova Università di Tirana,
fondata dalla Congregazione italiana “I figli della Signora Immacolata”!
Che la Signora Immacolata salvi l’anima macchiata del suo figlioccio!
È per questo che mi annullo nell’esilio, amici miei.

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Dopo la tragica sconfitta della Democrazia
sono stato costretto ad abbandonare la patria, di notte,
sotto la pioggia, senza una stretta di mano,
perché minacciato di morte.
È per questo che mi perdo nell’esilio, amici miei.

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«Ahimé, djemtë e shqipes a migliaia se ne vanno!
Miseri noi per la vostra sorte!»

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La mia unica colpa è stata di non aver accettato compromessi,
denunciando gli abusi e i crimini del vecchio regime
e quelli del nuovo regime di Berisha
sulla stampa locale e nazionale.
È per questo che mi sento felice in esilio, amici miei.

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[…]

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Nella sede del Partito Democratico di Lushnje,
un suo militante mi ha colpito buttandomi a terra
perchè avevo scritto sul giornale, che i suoi, durante la dittatura,
avevano torturato gente innocente.
È per questo che mi rabbuio in esilio, amici miei.

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Nel “Bar Blerimi”, a Lushnje, il figlio di un direttore “democratico”,
criticato da me sul settimanale Ora e fjalës (di cui sono stato uno dei fondatori
nonché vice direttore dello stesso), mi ha colpito in mezzo alla gente,
mentre stavo per prendere un caffè. Non era la prima volta che venivo aggredito.
È per questo che vivo in esilio, amici miei.

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[…]

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Nella sede del Partito Repubblicano, nel quale ero segretario
per la mia provincia, spararono. Fu una vera minaccia. Avevamo perso.
Non c’era più posto per me in patria. Sono fuggito sconfitto e disperato
in una notte di pioggia, senza una stretta di mano.
È per questo che raggiungo me stesso in esilio, amici miei.

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«Che voi non possiate dimenticare la terra degli avi! Eravate la speranza!»

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Gli “amici del Partito democratico” di Lushnje, dopo la mia fuga,
presero l’appartamentino fatto di una stanza, una cucina e un bagno,
dove abitavo e lo vendettero alla zia del sindaco ‘democatico’ della città,
mettendo per strada i miei genitori e migliaia di volumi di libri.
È per questo che grido in esilio, amici miei.

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Oggi mia madre è malata, lo Stato albanese non le ha concesso
una pensione minima; invalido è anche mio padre, ex-partigiano
della resistenza. Tutti e due vivono in una baracca umida e fredda, senza luce,
né acqua, senza telefono. Non si sono mai sdraiati su di un letto caldo e asciutto.
È per questo che mi prostro nell’esilio, amici miei.

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Mia madre non è riuscita ad avere il terreno di suo padre. L’hanno esclusa
dall’eredità, perché in Albania la giustizia è malata e corrotta; mia madre,
Nur, che compie 77 anni, non ha soldi per corrompere gli avvocati e i giudici.
Mia povera vecchierella, da una vita continua a chiedere prestiti ai vicini
per passare il mese!
È per questo che vigilo in esilio, amici miei.

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Gli avvocati che difendono la causa di mia madre sono gli stessi che confiscarono
il terreno alla sua famiglia, e a quella di mio padre, durante il comunismo.
I funzionari di ieri sono i funzionari dello Stato albanese di oggi; hanno cambiato
solo colore, uffici e tessere di partito. Dietro le maschere si nascondono i loro volti
di sempre.
È per questo che denuncio in esilio, amici miei.

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La stessa sorte ebbero anche i beni di mio nonno ad Hajdaraj , che da proprietario
terriero divenne kulak . Sul quotidiano del dittatore «Zëri i popullit»
(La voce del popolo), 23 giugno 1953) mio padre venne chiamato nemico
del popolo. Fu licenziato come geometra e ragioniere, per essere mandato
a pascolare i buoi della cooperativa dello Stato.
È per questo che affido il mio corpo all’esilio, amici miei.

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Dopo essere stati confiscati di tutti i loro beni, i comunisti obbligavano i kulak
a salire sugli asini, con il volto rivolto all’indietro. Al collo di ogni kulak,
il segretario del partito appendeva dei campanelli. Li facevano “passeggiare”
per le strade dei villaggi e delle città, umiliandoli e insultandoli a furor di popolo.
È per questo che guardo in faccia l’esilio, amici miei

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«Canta la lahuta la sciagura shqiptare!»
[…]
Gezim Hajdari Poema dell'esilio COPERTINA FARAGezim Hajdari Cop Poema dell'esilio 2png
L’ex-presidente Berisha vendette i beni dello Stato, cioè del popolo,
ai trafficanti e alla mafia per pochi soldi e diede ordine che venissero bruciate
le documentazioni delle privatizzazioni vergognose,
legalizzando pubblicamente il furto!
È per questo che adoro l’esilio, amici miei.

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«Investite i vostri soldi nelle banche (fantasma)», – consigliava l’ex-presidente
dalla sua televisione di Stato; la gente vendette case, terreni, animali, per investire
il ricavato nelle casse dei ladri democraticimafiosi di Tirana. Solo l’ex-direttore
della polizia A. Shehu ha fatto scomparire 63 milioni di dollari!
È per questo che non rinuncio all’esilio, amici miei.

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Migliaia di famiglie furono distrutte, si suicidarono anziani, giovani e donne,
ingannati dal loro governo; altri annegarono nell’Adriatico per la disperazione,
l’umiliazione e la fame. 1 milione e 600 mila cittadini albanesi hanno perso
nelle banche truffa 1.4 miliardi di dollari ! Berisha dovrebbe essere giudicati
per la tragedia che hanno causato al popolo albanese.
È per questo che impazzisco in esilio, amici miei.

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I politici delinquenti albanesi sono responsabili della morte di migliaia di donne,
bambini e giovani, annegati e sbranati dai pescicani nel mare Adriatico;
mentre loro hanno fatto affari con gli scafisti e le banche fantasme. Il pesce
che viene mangiato dagli italiani e dagli stessi albanesi durante il pranzo
e la cena, si è nutrito con la carne di quei miei poveri connazionali!
È per questo che abbraccio l’esilio, amici miei.

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«Mio dio, sentiamo cose inaudite!»

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Il “democratico” Berisha pestò gli ex-perseguitati politici
seppellendo una volta per sempre le speranze della Democrazia,
perché chiedevano i propri diritti, mentre i kulak rimasero
per sempre ingannati dalla sporca riforma di Berisha e da quella di Nano.
È per questo che mi ubriaco di esilio, amici miei.

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L’ex-presidente Alia , nel 1991, approvò la legge 7501 che distribuiva la terra
ai contadini albanesi, secondo il numero dei membri delle famiglie.
Berisha mise in pratica la legge di Alia, dando la terra e il diritto di proprietà (i tapì)
ai contadini, mentre gli ex-proprietari terrieri rimasero con le mani in tasca.
È per questo che sopravvivo in esilio, amici miei.
[…]
Gezim Hajdari, Siena 2000 (1)

Gezim Hajdari Siena 2000

Oggi, la squallida opposizione albanese del trafficante S. Godo “raglia” che venga
applicata la legge della proprietà sulla terra degli ex-proprietari. Ma la terra è stata
venduta e comprata per l’ennesima volta! Giochi sporchi sulla pelle di quelli
che non hanno preso nemmeno un metro dei loro beni confiscati dalla dittatura!
È per questo che sogno in esilio, amici miei.

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«Che le fiamme dell’Inferno possano giudicare gli uomini perfidi!»

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[…]

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Dov’è andato a finire il patrimonio della Banca Nazionale o le riserve d’oro
dello Stato albanese, cioè del popolo? Ci hanno detto che erano stati rubati
da un contadino di Kërraba che girava con l’asino. Li rubarono, invece,
i comunisti di ieri, che sono gli attuali socialisti di Nano, e li chiusero
nelle casseforti delle banche europee.
È per questo che spero in esilio, amici miei.

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Chi ordinò di aprire le caserme stracolme di armi in Albania? Milioni di armi
e munizioni sono state rubate e vendute all’estero ai trafficanti. La maggior parte
di queste armi sono andate a finire in Bosnia e in Kosovo durante la guerra.
Chi ha approfittato della vendita delle armi albanesi? Mai un’ inchiesta su quanto
è accaduto!
È per questo che urlo in esilio, amici miei.

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I beni dello Stato albanese sono stati venduti agli stessi impiegati di Hoxha,
a prezzi irrisori. L’Albania martoriata è stata ingannata per l’ennesima volta.
I pochi intellettuali finirono per strada a vendere banane o fuggirono all’estero.
Perché non s’indaga sul patrimonio economico ed artistico albanese rubato?
È per questo che sono pensieroso in esilio, amici miei.

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Radio, televisioni, giornali nazionali privati (con programmi e scritti surrogati),
si trovano nelle mani di ragazzini, che fanno i dirigenti e ne sono proprietari!
Le loro sedi sono superlussuose, costano miliardi.Dove hanno trovati i soldi?
Radio e televisione statali sono trasformate in stamberghe che non incidono più
nella vita del Paese!
È per questo che mi preparo in esilio, amici miei.

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Sono i soldi del povero popolo albanese, quelli che i politici gestiscono
attraverso i parenti e gli amici dando loro dei soprannomi. Chi si nasconde dietro
le sedi televisive che sorgono come i funghi?! Nessun altro paese europeo
possiede 80 sedi televisive come l’Albania, con centinaia di impiegate
e giornaliste improvvisate, in quanto amanti dei boss e dei politici.
È per questo che infango ogni giorno l’esilio, amici miei.

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Dietro le televisioni e i giornali albanesi si nascondono le imprese edilizie,
dietro agl’imprenditori, gli appalti dello Stato, le tangenti, la mafia, la cupola
del potere politico di Tirana. Non si è mai indagato sui patrimoni dei governanti,
dei politici di ieri e di oggi, degli scafisti, dei trafficanti, dei criminali…
È per questo che prego ogni giorno l’esilio, amici miei.
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Il dittatore Hoxha stuprò l’Albania e gli albanesi mille volte,
mentre Berisha lo stuprò più di mille volte più cento, riducendola merda e piscio.
Perché non s’indaga sul denaro rubato dai “socialisti” e dai “democratici”?.
Gli albanesi stanno uccidendo la madre Albania!
È per questo che maledisco il mio esilio, amici miei.
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«Che mallkìm è caduta su questo Paese!»
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Le città, sotto la guida di Berisha, iniziarono a diventare pollai, a puzzare di fogna;
le piazze e i parchi vennero riempiti di bettole e cessi. Le case vennero modificate
a proprio piacimento, senza rispettare alcuna legge. In caso di terremoto i palazzi
albanesi crolleranno tutti. La costa è invasa dalle ville dei berishiani e dei naniani..
È per questo che mi incanta l’esilio, amici miei.
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Nel pieno centro delle città sorgono come i funghi palazzoni orribili rifiniti
con marmi pregiati e con i rubinetti d’oro. Ogni sindaco appena eletto,
costruisce il suo grattacielo nell’area urbana che più desidera, senza rispettare
alcuna regola! Fiumi di denaro illecito entrano ed escono
dall’Albania! I prezzi sono dieci volte più alti che a Londra!
È per questo che giudico me stesso in esilio, amici miei.
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Oggi il nuovo ministro del governo Berisha legalizza ufficialmente le costruzioni
illegali, dichiarando che con questa legge il nuovo governo realizza
una delle più maestose promesse elettorali! D’ora in poi noi dobbiamo subire
anche un altro crimine territoriale e urbanistico!
È per questo che dò conto solo all’ esilio, amici miei.
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Sotto i governi di Berisha e Nano il territorio albanese è stato massacrato.
I luoghi turistici, la costa adriatica e quella jonica sono stati occupati dai politici
e dalle loro mafie, per quattro soldi. All’epoca del dittatore Hoxha,
tutto questo veniva difeso per legge. I governanti albanesi sono la peggior
specie umana.
È per questo che sorgo nell’esilio, amici miei.
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«Che ne sarà di noi o Zana ?»
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[…]
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Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

Il mio libro Antologia della pioggia non fu accettato per cinque anni
dai re-censori S. B., e A. I. e dalla redattrice S. A. nonché dal direttore-censore
di “N. Frasheri” F. K., e fu scritto: “Che poesia è questa?!”
Uscì solo due mesi prima del crollo della dittatura.
È per questo che attraverso l’esilio, amici miei.
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Ma A. I. e S. B., sono diventati democratici della prima ora e Berisha
li ha nominati direttori generali della Televisione di Stato, nonché ambasciatori
d’Allbania in Occidente! Durante l’inaugurazione dei vari negozi, i poeti di Tirana
si notano accanto ai loro padroni, sorridenti come eunuchi.
È per questo che converso con l’esilio, amici miei.
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Addirittura lo pseudopoeta A. I. fu per otto anni direttore del gabinetto
dell’ex-premier Nano; egli usava sei numeri di cellulari con una spesa senza limiti.
Mentre il suo capo solo in un mese spendeva 27 mila euro con il suo cellulare.
Povera mia patria, per otto anni (dal 1997 al 2005) fu gestita da un’altra banda
di ladri e criminali.
È per questo che percorro le strade dell’esilio, amici miei.
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[…]
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Ho studiato come un cane per tutta la vita, lavorando come operaio per 15 anni,
senza aver avuto mai una borsa di studio,
sia in patria che in esilio.
Con le mie deboli mani ho sopravvissuto e ho affrontato la vita, senza sottomettermi.
È per questo che sto per innamorarmi dell’esilio, amici miei.
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[…]
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Con una lettera aperta ho chiesto al governo albanese una borsa di studio.
Nel frattempo frequentavo l’ Università: “La Sapienza” di Roma e lavoravo
come pulitore di stalle. Un certo tizio Gjergji File del Ministero mi rispose
con due righe: “Non abbiamo fondi per dare borse di studio all’estero”.
È per questo che fuggo di esilio in esilio, amici miei.
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Mi sono rivolto al Ministro albanese con queste parole: “Aiutatemi a fare
qualcosa per la cultura del nostro tragico paese”. La lettera aperta fu pubblicata
sul quotidiano Republika il 14 agosto del 1997. Nemmeno un saluto,
una telefonata o un augurio dal mio Partito per il quale mi sono sacrificato!
È per questo che lavoro in esilio, amici miei.
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Nel 1997 Berisha buttò l’Albania nella guerra civile. Solo a Valona,
sono state uccise 2000 persone! E pensare che a quell’epoca il ministro
degli interni era un poeta, H. SH. Ma nessun poeta-deputato del suo Partito
denunciò la cosa. Nessuno di loro abbandonò il parlamento, perché Berisha
gettò loro, poveri servi, qualche osso di potere e altri favori.
È per questo che mi sacrifico in esilio, amici miei.
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«Chi ora governerà questi lidi?!»
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In quell’anno sono stato invitato al Campidoglio, a Roma, per leggere
i miei testi assieme ad altri poeti provenienti da vari paesi. Ho detto
ad un mio caro amico, politico di spicco: «L’Albania sta bruciando,
dimettiti e denuncia ciò che sta accadendo!» «Assolutamente no,
dobbiamo difendere Berisha», mi ha risposto.
È per questo che ho aperto la porta dell’esilio, amici miei.
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[…]
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I poeti di Hoxha sono diventati i politici di oggi, i politici di ieri
sono diventati i poeti di oggi. Quelli che giurarono in nome del realismo
socialista, sono diventati trafficanti e simboli della nuova Albania castrata.
I poeti albanesi sono gli uomini più ricchi del paese
più povero d’Europa. Il cinismo dei poeti albanesi non conosce limiti.
È per questo che mi hanno costretto all’esilio, amici miei.
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Fino a ieri è stata l’Albania a imprigionare i poeti, oggi sono i poeti
a imprigionare l’Albania. I poeti albanesi sono uomini di potere,
in quanto consulenti della presidenza, segretari di partito, sottosegretari
dei servizi segreti, diplomatici, ambasciatori. Chi ha osato denunciare
l’immoralità della nuova casta dei poeti è stato licenziato,
come i giornlaisti I. J. B. K. e Sh. K.
È per questo che odio la razza dei poeti in esilio, amici miei.
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Il dittatore Enver Hoxha inventò una sua morale perversa staliniana
da condannare all’inferno, ma questi pseudodemocraticimafiosisocialisti
non si sa di che merda siano fatti e stuprano il paese davanti e dietro.
La mia Albania sta diventando una vera minaccia per l’Europa.
È per questo che raccolgo i frutti dell’esilio, amici miei.
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«Dovevamo vivere per vedere con i nostri occhi tutto quest’orrore?»
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È dal 1992 che in Albania vige “la legge del sangue”, il Kanun.
Oggi in Albania 2500 famiglie del nord sono inchiodate nelle case
perché non possono uscire, per paura della vendetta. I montanari
delle Alpi albanesi hanno perso fiducia nelle leggi giuridiche dello Stato.
È per questo che mi arricchisco in esilio, amici miei.
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Una famiglia, da 10 anni, non ha varcato la soglia della porta di casa;
il capo famiglia è paralizzato, la figlia imbraccia il kalashnikov giorno
e notte alla finestra. Da mangiare e da bere viene portato loro da parenti
e amici. Il nord del Paese vive una vera e propria tragedia!
È per questo che scrivo in esilio, amici miei.
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«Dimmi, Kanun , è vero ciò che sentiamo?»
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[…]
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Gezim Hajdari, Siena 2000 (2)

Gezim Hajdari, Siena 2000

Da sempre, la storia della cultura albanese è stata fatta dai dissidenti,
dagli esuli, dai migranti denigrati, umiliati e divorati impietosamente
dalla madre-patria. I politici non hanno fatto altro che rubare e distruggere
l’Albania. Oggi a fianco dei politici mafiosi si schierano i poeti e gli scrittori
di Tirana.
È per questo che mi meraviglio dell’esilio, amici miei.
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L’Albania fa nascere i poeti. Poi li umilia, li mette in prigione, violenta
le loro anime, li manda in campagna per essere “rieducati”, li condanna
al silenzio, li fa fucilare, li lascia senza tomba, li fa impiccare, li tortura,
per salvare in seguito il loro ricordo. L’Albania è come Medea: divora
i propri figli .
È per questo che mi difende l’esilio, amici miei.
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«Ogni zolla di questi lidi goccia sangue e gemiti
[…]
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Dove ha lasciato Berisha, ha continuato l’oligarca Nano, il quale dichiara
«Sono Fatos Nano e mi seguirà la (vergogna) Storia»! Cioè, finché sarò
al potere continuerò a scoparvi la madre. Albania vuol dire vergogna,
è il paese più corrotto d’Europa, pieno di misteri e umiliazioni.
È per questo che mi avvolgo d’esilio, amici miei.
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«No, figliolo, con parole pesanti stai infamando colei che ti ha allattato!»
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Il governo di Nano e quello di Berisha accettarono di mettere nel territorio
albanese le carceri segrete, in cui gli agenti della CIA torturavano i cittadini
stranieri, calpestando i diritti umani. Tali carceri di tortura sono state scoperte
anche in Kossovo. In Albania abitano i misteri più mostruosi dell’ Europa
di oggi. Non fidatevi dei criminali politici di Tirana.
È per questo che non si separa da me l’esilio, amici miei.
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Quando il segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis,
ha chiesto al governo attuale di Berisha un rapporto più dettagliato
sulle carceri di tortura in Albania, il suo ministro di giustizia. A. Bumçi
ha risposto in modo vago e senza dire la verità. I politici albanesi
sono dei mercenari, che hanno servito con devozione, il padrone
e la sua violenza.
È per questo che la mia patria è l’esilio, amici miei.
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Se cercate un paese in Europa dove regna un nepotismo mai visto,
è l’Albania. L’amministrazione dello stato albanese è fatta dai clan familiari
del presidente A. Moisiu e dei suoi governanti. I figli, i fratelli, i cognati,
i generi, i parenti, gli amici dei politici mafiosi hanno usurpato la patria.
Un altro colera sta insanguinando il Paese dell’alba.
È per questo che insegno a tutti l’esilio, amici miei.
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Nelle Istituzioni pubbliche albanesi domina la cultura dei clan e della mafia.
La politica ha forti legami con il crimine e con i trafficanti di droga.
I giovani devono ribellarsi contro la feccia che ha guidato l’Albania finora
e prendere in mano il destino del Paese, che si trova sull’orlo del disastro.
È per questo che mi confesso davanti all’esilio, amici miei.
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I partiti albanesi gestiscono aziende, fabbriche, banche, appalti e altri affari
loschi. Nessuno ha mai indagato su dove sia finito il finanziamento pubblico
ai partiti. Non c’è una legge che sancisce i rapporti tra l’economia e la politica.
Manca l’etica politica. Ci vorrebbe un patto sulle istituzioni per dividere
la politica dagli affari.
È per questo che mi prendo cura dell’esilio, amici miei.
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L’Albania non vuole entrare in Europa, perché una volta entrati
nella Comunità Europea, non ci saranno più traffici e affari loschi tra mafia,
politici e letterati di corte. Lo slogan quotidiano è: «Chi ruba di più!»
L’Albania è la tana dei più grandi ladri e criminali d’Europa.
È per questo che vivo alla giornata in esilio, amici miei.
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Solo un ex-vice ministro e il direttore generale della polizia di Stato rubarono
3 milioni di dollari con i passaporti! Il caso fece molto clamore, ma nessuno
ha pagato per questo fino ad oggi! Nessun responsabile è stato consegnato
alla giustizia perché sono loro stessi i super mafiosi del vertice dello Stato
albanese.
È per questo che tocco il fondo in esilio, amici miei.
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«Dove sono gli uomini di besa ?»
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Il premier Nano e Rama –
tutti e due socialisti dell’ex-corte di Hoxha –
oggi fanno a gara per essere fotografati come fantocci,
insieme al “satana” dell’imperialismo americano Bush.
È per questo che mi rabbuio di nuovo di esilio, amici miei.
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Rama è stato accusato di essere il capomafia dei ladri e dei multimiliardari,
si nasconde dietro le grandi imprese edilizie e dei grattaceli. Per ogni licenza
di costruzione
nelle piazze delle scuole di Tirana, ha usufruito la sua percentuale d’oro.
Per sfuggire alle indagini, i soci hanno elleto R. segretario!
È per questo che abbatto muri in esilio, amici miei.
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Il sindaco sceriffo-texano, ex-scultore delle statue del dittatore
(che solo la rivista inglese Time poteva includere tra i 35 eroi europei del 2005!),
si vanta in Europa, perché ha colorato vivacemente le facciate dei palazzi
della capitale, come fa lo zingaro con l’asino . Ma nessuna vernice
può mascherare i veri volti dei tiranni di Tirana!
È per questo che mi batto per l’esilio, amici miei.
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Tirana adora i tiranni. Gli albanesi, secondo un sondaggio, hanno scelto Rama
come l’uomo dell’anno! Gli altri prescelti sono Nano,Gjinushi, Berisha,
nonché il più importante poeta del realismo socialista: il figlioccio
del Babbo Enver. Gli albanesi sono un popolo bue.
È per questo che non tradisco l’esilio, amici miei.
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«Qui non cresce né l’erba, né l’assenzio!»
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A Tirana vengono venduti passaporti falsi di tutte le nazionalità.
Nei laboratori si fabbrica qualsiasi cosa: permessi di soggiorno, visti per l’estero,
banconote false. In Albania si produce e si vende clandestinamente di tutto:
sigarette, birra, succhi di frutta e altre bevande…
È per questo che mi raccolgo in esilio, amici miei.
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Gli scafisti della costa albanese hanno commesso crimini orribili.
Hanno caricato sui loro gommoni, uomini e donne, promettendo loro di portarli
sulla costa italiana. Una volta intascati i soldi del viaggio, li hanno gettati
in mare con la forza! Gli scafisti collaborano con la polizia.
È per questo che mi identifico in esilio, amici miei.
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«Non possiamo credere a queste cose macabre, al diavolo! Chi sei?»
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Besnik Scontri-a-Tirana 2001

Scontri-a-Tirana 2001

L’Albania è un Eldorado. Fa parte della lista nera, accanto ai paesi
del cosiddetto terzo mondo. In Albania ci sono 2100 criminali latitanti.
Che disgrazia vedere il mio Paese governato dai soliti Nano, Gjinushi,
Mejdani, Moisiu, Ruçi, Majko, Dokle, Xhuveli, Bufi, Fino, Ruka, Malaj, Rama…
È per questo che dichiaro la mia libertà nell’esilio, amici miei.
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Nella mia Albania chi uccide non viene carcerato e chi vuole uccidere qualcuno,
basta che paghi. Vogliono trasformare il paese meno inquinato d’Europa
in basi militari e costruire pericolose industrie chimiche. Agli albanesi
non interessa l’ecologia e lo scempio del territorio, ma solo l’arricchimento
ad ogni costo.
È per questo che lotto in esilio, amici miei.
.
Essere direttore di un carcere in Albania è un affare d’oro. Spesso, come tali,
vengono nominati gli amici e i parenti dei politici e dei governanti.
Un prigioniero, criminale o ladro che sia, può godere della libertà, pagando
direttamente il direttore. Fare il direttore di un carcere, nel mio paese,
è una tombola; i fortunati fanno soldi
a palate.
È per questo che il mio credo è l’esilio, amici miei
.
In Albania, 120 aziende pubbliche, dal ‘70 ad oggi, usano materiali radioattivi
che minacciano la vita dei cittadini. Tutti i generi alimentari, le bevande
che vengono importate dall’estero non vengono controllati alla dogana.
I miei connazionali che vivono in Albania sono gonfi; il loro gonfiore
è dovuto ai cibi transgenici e agli ormoni dannosi.
È per questo che scavo trincee in esilio, amici miei
.
Molti alimenti vengono prodotti in Albania clandestinamente, in condizioni
poco igeniche, usando sostanze pericolose per la salute. Tali cibi vengono
venduti alla gente come se fossero dei prodotti importati dall’estero!
Dal ‘91 in poi, gli albanesi non sanno quello che bevono e che mangiano.
È per questo che trema il mio esilio, amici miei.
.
Mia madre, visto che in Italia le medicine costano di più che in Albania,
è andata in farmacia per comprare delle aspirine per me. Nessuna
delle confezioni aveva la data di scadenza. Quando sono andato dal farmacista
I. n. per reclamare, il dottore, con tranquillità, mi ha detto:
«Le può usare senza paura, non ha importanza la data di scadenza!”
È per questo che brindo con l’esilio, amici miei.
.
Ultimamente, tornando dall’Albania, al porto di Valona mi hanno fermato
dei poliziotti. Non mi lasciavano imbarcare, perché secondo loro, l’origano
che portavo nella mia borsa era cannabis! Ho ribadito che era l’origano
che la mia Nur aveva raccolto sulle colline di Darsìa. Non mi hanno creduto
e hanno iniziato a insultarmi.
È per questo che non riesco a scrollarmi di dosso l’esilio, amici miei.
.
«Miseri noi, orbi di voi! Esuli e mërgimtarë non smettete di pensare vatanë !»
.
Ora Berisha chiama gli scolaretti che hanno studiato all’estero per dirigere
lo stato albanese; sono i nipoti dei potenti che erediteranno il potere.
Cosa ci si può aspettare da un premier che controlla l’operato del suo governo
attraverso i messaggi(?!) e alla vigilia delle elezioni amministrative 2007
distribuisce la corrente elettrica solo alle città di destra, lasciando al buio
quelle di sinistra!
È per questo che fremo in esilio, amici miei.
.
Per avere un posto sicuro al parlamento di Tirana, oppure per candidarsi
come sindaco, basta pagare centinaia di migliaia di euro, sottobanco ai segretari
di partito, durante le elezioni. Così la mafia politica avrà di nuovo libero
accesso al potere. I candidati di Nano e di Berisha vogliono il potere,
non per servire la nazione e la povera gente, ma per i propri affari.
È per questo che sono rimasto “immacolato” in esilio, amici miei.
.
[…]
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A. e i suoi ministri dichiarano pubblicamente che vogliono Nano alla presidenza
della repubblica nel 2007! Come è possibile? Invece di chiedere alla giustizia
di processarlo per le ruberie sul patrimonio del paese, per i traffici loschi,
per la svendita del territorio albanese… per tutto ciò che è accaduto sotto il suo
governo dal 1997 al 2005.
È per questo che prego l’esilio di non riconoscermi più, amici miei.
.
Tutto questo fa parte di un patto segreto tra i politici di Tirana per scambiarsi
i poteri e favori. Nessuno li fermerà! Ah, che danno morale, economico e culturale
sta causando al paese questa stirpe maledetta degli ex-comunisti! Sarà lungo
e atroce l’Inferno shqiptar! Nano e Berisha regneranno a vita! Ahimè, piango
per la mia Albania, un tempo il paese della besa e dei cantori epici senza pari!
È per questo che mi insegue ovunque l’esilio, amici miei.
.
[…]
.
Alcuni miei amici, veri democratici, che fecero politica con me a Lushnje,
vennero uccisi in pieno giorno. Sono 149 le persone uccise nella mia città
dalle bande più feroci del paese e non hanno un uccisore. Gli assassini girano
liberi e fanno affari con il giudice A. Gj., perché a Lushnje il potere
è di nuovo nelle mani dei comunisti di Hoxha.
È per questo che sono accecato di esilio, amici miei.
.
Chi condannerà gli uccisori delle vittime della mia città? A. Gjermëni,
ex-giudice del regime, oggi presidente del tribunale, ha usurpato dei terreni
con la forza, costruendo campi da calcetto, dove vengono a giocare governanti
e ministri da Tirana! Come compenso, i politici socialisti, ultimamente
lo hanno eletto membro dell’Alta Consulta di Giustizia albanese!
È per questo che chiedo la giustizia in esilio, amici miei.
.
E pensare che il suddetto membro dell’Alta Consulta di Giustizia, mentì
quando denunciò il suo patrimonio, nascondendo milioni di euro guadagnati
con affari sporchi, con bande criminali di Lushnje. Non a caso, lo hanno eletto
tale, per salvarlo da un’eventuale condanna, dandogli l’immunità!
Il governo di Berisha ha tentato di condannarlo, ma non ci è riuscito.
È per questo che guardo dritto negli occhi solo l’esilio, amici miei.
.
Mi ricordo che, nel ‘97, alcuni spietati criminali di Lushnje entravano nei bar
della città con la testa di un giovane tra le mani. Ogni tanto la prendevano a calci,
poi le aprivano la bocca per versarci la grappa, ridendo! Non scorderò mai la testa
di quel giovane, che somigliava alla mia, e mi venivano i brividi.
È per questo che fuggo di esilio in esilio, amici miei.
.
.
Gezim Hajdari delta-del-tuo-fiume cop
«Chi chiuderà gli occhi ai nostri figli nel përmatanë ?
Chi laverà i loro corpi per l’ultima volta?»
.
È stato un anno di atrocità inaudite. Sul boulevard della città giacevano corpi
Insanguinati dalla mattina alla sera. Nessuno osava avvicinarsi per paura di fare
la stessa fine della vittima. Mentre, davanti ai corpi, gli uccisori brindavano.
Ma c’era di peggio: i criminali provavano piacere nell’inchiodare le loro vittime
ai tronchi degli ulivi della città!
È per questo che non trovo la via del ritorno in esilio, amici miei.
.
La maggior parte degli imam delle moschee della mia città sono individui
insospettati. Al tempo della dittatura facevano i ladri e i delinquenti, oggi predicano
il Corano ai fedeli! Tutti gli aiuti destinati alla gente, sono andati a finire
nelle loro tasche. E pensare che i musulmani devono pregare cinque volte
al giorno davanti a certa gentaglia!
È per questo che prego il dio dell’esilio, amici miei.
.
Il Comune di Lushnje ha conferito la cittadinanza onoraria a cani e porci
alla vigilia di ogni elezione. In Albania conferire la citadinanza onoraria ai pedofili
e alle persone senza meriti, è diventata una moda . I sindaci corrotti di Lushnje
continuano a massacrare il piano urbanistico della città. Mai una protesta dai membri
del consiglio del comune di Lushnje!
È per questo che non vedo speranza in esilio, amici miei.
.
Coloro che sono stati eletti sindaci di Lushnje hanno sfruttato il proprio mandato
per rubare e fare solo soldi. I primi cittadini della mia città (sia di destra che di sinistra)
sono dei ladroni. Dopo essersi saziati, sono scappati negli Stati Uniti o nei paesi esotici.
Chi è stato sindaco a Lushnje è diventato miliardario con il volere dei cittadini.
I leader politici di Lushnje sono dei trafficanti e dei mafiosi.
È per questo che faccio da guardia all’esilio, amici miei.
.
[…]
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L’Albania è il paese dove entrano e escono cani e porci. Coltivare piante di droga
è normale. In Albania si può riciclare tutto. I giudici costruiscono le ville
con il compenso dei criminali assolti. L’ex-onorevole socialista L. H., che rubò
3 milioni di dollari truffando gli albanesi fece solo tre mesi di carcere! Ammazzare
in Albania non è un crimine.
È per questo che parlo con la mia Ombra in esilio, amici miei.
.
«Non sei altro che un folle! Basta! Basta!»
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[…]
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faslli_gezim hajdari

Gezim Hajdari

Per qualsiasi cosa, gli albanesi richiedono consulenti stranieri: giudici, avvocati,
procuratori, costituzionalisti, architetti, ingegneri, medici, agenti segreti, sacerdoti…
Dove sono andati a finire i miliardi di dollari che lo stato albanese ha speso
per i propri figli e nipoti, mandandoli a studiare nelle migliori università straniere?!
È per questo che ammetto solo l’esilio, amici miei.
.
Nello stesso tempo, vengono onorati e premiati i poeti mediocri, gli imprenditori,
i business trufaldini, i politici senza scrupoli, i giornalisti lecca culo, i militanti
di partito, gli ex-agenti segreti e i carnefici della dittatura di Hoxha. In Albania
esiste solo una legge
santa e sacra: uccidere, rubare, stuprare, distruggere, per arricchirsi a tutti
i costi. È per questo che rendo autentico il mio esilio, amici miei.
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In Albania, tutto fa brodo.
Sui quotidiani albanesi può scrivere e pubblicare chiunque passa per strada.
Alle televisioni albanesi vengono intervistati cani e porci.
Manca una vera politica culturale.
È per questo che mi rende uomo l’esilio, amici miei.
.
[…]
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In Albania, i figliocci del Babbo hanno inventato dei premi letterari quali
La penna d’oro, La penna d’argento.; al posto dei premi De Rada, N. Frasheri,
Noli, Fishta, Konica, Prennushi, Migjeni, Poradeci, Bilal Xhaferri.
Vengono premiati ogni anno gli stessi poeti di Tirana, sia quelli che hanno
celebrato la dittatura di Hoxha, sia quelli di oggi, che applaudono
la demo(ne)crazia di Berisha e di Nano.
È per questo che resisto alla punizione dell’esilio, amici miei.
.
Mentre la presidente della giuria dei premi letterari, presso il Ministero
della Cultura è D. Ç. È un nome lugubre nella memoria dei poeti albanesi.
Al tempo delle purghe si divertiva, denunciando i poeti come nemici
del socialismo, presso la polizia segreta. Questa signora ha trascorso
la sua vita inneggiando agl’insegnamenti di letteratura staliniani!
È per questo che sprofondo in esilio, amici miei.
.
La pseudo-scrittrice D. Ç. è stata nominata dall’ex presidente albanese
R. Mejdani, presidente delle Donne albanesi, in quanto cugina di sua moglie.
Ironia del destino: D. Çuli. è stata eletta onorevole al parlamento, proprio
nei villaggi dove sono nati i poeti G. L. e V. B., fucilati dalla dittatura perché
accusati da questa signora!
È per questo che sto scoppiando in esilio, amici miei.
.
Gli incarichi di questa prediletta signora non hanno fine; inoltre, è presidente
di varie associazioni nazionali e rappresentante dell’Albania per la cultura,
presso alcune commissioni internazionali, rappresenta la donna albanese
negli organismi balcanici e mediterranei! Tutto questo sui dolori e sulle ferite
delle sue vittime.
È per questo che onoro l’esilio, amici miei.
.
Oggi, la signora in questione viene invitata in Italia e in Europa per parlare
delle donne albanesi e per presentare i suoi romanzi surrogati. Tempo fa,
mi è capitato di sentire da un direttore di una biblioteca italiana, che la suddetta
signora, aveva fatto un fax a tutte le biblioteche italiane, per presentare
le sue “opere”.
È per questo che dò retta all’esilio, amici miei.
.
[…]
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Con il sudore e con il sangue, in piena povertà umana, ho scritto i miei libri.
Mai un invito dalla patria-gorgone, perché la mia poesia fa paura ai poeti
di partito, che già hanno fissato i propri posti nel Pantheon d(e)i Tiran(ni)a.
È da anni che non vado più a Tirana. Andrò a Tirana solo quando sarà liberata
dai tiranni!
È per questo che non torno indietro in esilio, amici miei.
.
Ogni anno, gli editori albanesi, partecipano alle fiere del libro sia in patria
che all’estero. I miei libri non compaiono mai negli stands albanesi.
Sono il poeta che è stato ignorato nella maniera più cinica dalla mafia politica
e letteraria di Tirana, anche se la mia opera rappresenta un contributo molto
importante nella poesia contemporanea europea.
È per questo che mi hanno massacrato di esilio, amici miei.
.
[…]
.
Gezim Hajdari a Udine 2011

Gezim Hajdari a Udine 2011

Purtroppo, io e la mia opera, siamo stati sconfitti e umiliati per l’ennesima volta
dalla mafia politica e culturale albanese. Non ho mai cantato ai tiranni,
ma all’Uomo. Vado avanti, lottando contro i falsi oracoli, perchè la letteratura
ha valori universali ed io, come ospite dei mondi, lotto per creare valori letterari
eterni per l’umanità, impegnandomi sia con l’opera che con la vita.
È per questo che ho regalato la mia vita all’esilio, amici miei.
.
Una volta, mia madre Nur, (una donna semplice come la madre terra) mi ha detto:
«Qui ad Hajdàraj non ti conoscono come poeta. Ho detto ai contadini che tu
hai scritto anche sul nostro villaggio». Ma loro mi hanno risposto: «Signora Nur,
mai visto suo figlio alla televisione di Tirana!» E lei: «Non so se vivrò
così a lungo da vedere le donne del villaggio leggere le tue poesie!»
È per questo che mi fa tenerezza l’esilio, amici miei.
.
Ma io non ho amici politici, amici ministri o segretari di partito,
perché non diventerò mai il loro servo. Alcuni giornalisti di Tirana non vogliono
sentire il mio nome. Spesso hanno corretto gli articoli della stampa estera,
togliendo gli epiteti che sono stati usati dai critici europei sulla mia opera
letteraria. È incredibile!
È per questo che sono servo dell’esilio, amici miei.
.
La poesia è come il grano, Nur, ti ricordi quando lo coltivavamo sulla nostra
collina? Prima aravamo la terra, poi seminavamo i chicchi. Ci alzavamo
ogni mattina di buon’ ora. Sotto la pioggia, nei meriggi di ghiaccio
e di vento tagliente, ci prendevamo cura delle nostre piante.
Dovevamo aspettare l’estate per raccogliere le spighe dorate di sole.
È per questo che io faccio il contadino in esilio, amici miei.
.
La poesia è come i nostri ulivi secolari sulla collina di Darsìa,
mia vecchierella. Quelli che li hanno piantati, sapevano già di non avere
la gioia di godere i loro frutti, ma li hanno piantati lo stesso,
per noi e per gli altri che verranno dopo di noi. Come è duro il mestiere
di tuo figlio, Nur!
È per questo che nascondo l’esilio a mia madre, amici miei.
.
In Albania è crollata la dittatura di Hoxha, ma non è crollata la cultura
comunista di Enver. È questa la peggiore tirannia che regna oggi
nel mio Paese. Per fare carriera letteraria, devi essere onorevole,
ministro del petrolio, consulente del presidente della repubblica
o portavoce dei segretari di Partito, oppure un ex-comunista.
È per questo che vengo schiacciato dall’esilio, amici miei.
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Non andate a mangiare nei ristoranti dei mafiosi, perché il boccone
vi andrà di traverso; non comprate le case dei mafiosi, perché di notte
sentirete i gemiti delle vittime; non andate a bere un caffè nei bar dei mafiosi,
perché il caffè diverrà veleno nero; non accettate l’invito delle televisioni
dei mafiosi, perché diventerete complici dei crimini.
È per questo che consulto l’esilio, amici miei.
.
Per essere più esatto, l’Albania è il secondo paese al mondo,
dopo l’Afganistan, per il commercio della droga. La droga in Albania
viene trasportata con elicotteri dai centri di produzione.
Ministri e onorevoli albanesi vanno a spasso con macchine da 200.000 mila
dollari, mentre il 68 % degli albanesi vive di assistenza.
È per questo che scherzo con la mia povertà, in esilio, amici miei.
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Gezim1

Gezim Haidari

Nel mio Paese la ricchezza dei nuovi ricchi gronda sangue e gemiti.
Cosa ti puoi aspettare da un paese in cui un ministro di Nano P. K.
viaggiava con macchine rubate all’estero! È stato anche fermato dalla polizia
greca. Quello che hanno fatto i miei connazionali in Italia, lascia senza parole!
È per questo che chiamo l’altra costa dall’esilio, amici miei.
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[…]
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L’Albania gestisce il traffico dei bambini e il traffico degli organi umani.
Un tempo regalava al mondo sapienti, condottieri, artisti e santi; oggi esporta
droga, armi, prostitute e denaro sporco verso il mondo! L’Albania si è trasformata
in una banda legalizzata di ladri. In Albania i trafficanti comprano bambini
per 3000,00 euro, per essere venduti poi nei mercati di Atene!
È per questo che ho vinto l’esilio, amici miei.
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«Tutto questo nella terra shqiptare ?!»
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Durante quest’anno si è aperto un nuovo traffico macabro. Nei villaggi
e nelle campagne albanesi, molti contadini vanno a caccia di vecchie salme!
Riesumano le osse di ignoti dai cimiteri antichi e le vendono alle famiglie
dei soldati greci, spacciandole come ossa dei loro cari! Mio dio
come si è ridotto questo popolo, un tempo fiero e tra i più rispettati nei Balcani!
È per questo che sono partito in esilio, amici miei.
.
Quando un giornalista londinese A. A. Gill, denunciò sul Sunday Times la mafia
albanese, durante una sua visita nel mio paese, una marea di eunuchi isterici
gridarono vendetta, reclamando la sua testa su di un vassoio.
Per loro sono stati sporcati l’(orrore) onore e l’identità della propria nazione.
È per questo che rispetto l’esilio, amici miei.
.
Sono loro stessi responsabili della tragedia albanese. Hanno distrutto il paese
e il popolo per 66 anni di seguito. So che farò la fine del sig. Gill;
quando leggeranno questo libro, le “belve” mi sbraneranno e diranno:
«Infame, come ha osato infangare la sua patria?»
Le belve si nascondono dietro la visione mitica di una volta dell’ Arbëria .
È per questo che mi bagna la pioggia dell’esilio, amici miei.
.
Così ingannavano la gente anche ieri nella dittatura, facendo credere
che l’Albania fosse il paese più bello del mondo e gli albanesi il popolo
più felice della terra. Se qualcosa non andava, il rimprovero collettivo era:
«Non dobbiamo fare contenti i nemici
della nazione, oppure non ci faranno entrare a far parte dell’Europa!»
È per questo che mi trovo per strada in esilio, amici miei.
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La stessa cosa accade anche oggi quando qualcuno osa criticare i figliocci
del babbo Enver e lo sfascio in cui si trova il paese. Dopo il crollo
del comunismo, gli ex-comunisti giocano con i sentimenti del popolo,
nascondendosi dietro il ridicolo nazionalismo.È una pratica già conosciuta
dei tiranni.
È per questo che schiaffeggio l’esilio, amici miei.
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«Ahi! Ahi! I nostri grembi non hanno partorito uomini, ma mostri!»
.
Si è dimenticato l’insegnamento di Platone: «Non ci si può conoscere
se non ci si specchia negli occhi dell’altro». Gli albanesi non vogliono
saperne dell’OSBE che classifica l’Albania come uno dei paesi
più corrotti del mondo, al pari della Nigeria e della Sierra Leone.
La giustizia albanese è complice dei crimini.
È per questo che ho conosciuto me stesso in esilio, amici miei.
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È incredibile! In Albania solo ai mafiosi, ai trafficanti, ai politici ladri…
è concesso, per legge, il diritto e l’onore di rappresentare la vera morale
della nazione! Mentre a noi, che lavoriamo onestamente e che vogliamo
rappresentare il nostro Paese in Europa, attraverso la nostra arte, è proibito!
È per questo che parto alla ricerca della verità in esilio, amici miei.
.
Nano appare alla televisione pubblica come un ciarlatano, ubriaco, cena
con i gangsters, si diverte nelle discoteche europee, gioca d’azzardo
spendendo miliardi, si rilassa nelle ville degli sceicchi arabi ed organizza
traffici e congiure nell’arena della politica albanese senza politici. I due
balordi dichiarano: “Il popolo ci vuole come leader perché ha fiducia in noi!”
È per questo che riconosco il mio popolo in esilio, amici miei.
.
I ministri corrotti di Nano hanno le famiglie negli USA, mentre loro,
con passaporti americani, fanno i pascià e gli affari loschi sulle spalle
del popolo più povero e più stremato d’Europa. Ogni mattina, la televisione
statale, apre le trasmissioni con questo augurio al popolo albanese:
«Amate la patria come l’Albania ama gli Stati Uniti d’America!»
È per questo che mi sfiorano le notti dell’esilio, amici miei.
.
«Mërgìm , che possa sparire il tuo nome, stai invecchiando i nostri figli!»
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Se n’è andato il mostro Nano, è tornato di nuovo Berisha! Due balordi
che tengono in pugno come despoti l’Albania. In Albania non esistono
i Partiti, ma i clan tribali. Un giovane ministro trentenne di Berisha,
ha denunciato un reddito di quasi 1 milione di dollari! Dove li ha trovati?
Naniani e berishiani stanno spartendo il territorio albanese come se fosse
una preda di caccia.
È per questo che subisco l’esilio, amici miei.
.
D’altronde non può essere diversamente: la figlia di Berisha A. M.,
nell’arco di cinque anni ha guadagnato 800 mila dollari e possiede
8 conti bancari! Inoltre, possiede sei appartamenti nella capitale, una villa,
un negozio e altri terreni nella località turistica di Priskë, ma nessuno
di questi Ben di dio è stato registrato al catasto; tutto questo per non pagare
le tasse al Governo di suo padre!
È per questo che conto i giorni in esilio, amici miei.
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Perché in Albania non esiste una legge approvata dal parlamento che vieta
agli indagati, agli ex-segretari di partito, agli ex-deputati, agli ex-ministri
e a tutti gli ex-funzionari di Hoxha, di Berisha e di Nano di candidarsi
o di rappresentare il governo e lo Stato. Chi approverà una tale legge
di mani pulite, gli stessi criminali e i mafiosi ex?! Il popolo albanese
non può vivere senza gli ex!
È per questo che dubito dell’esilio, amici miei.
.
Un ex dirigente della CIA, T. R. per arrotondare lo stipendio,
è giunto dagli Stati Uniti per lavorare a Tirana, presso lo staff
del premier Berisha, come “consulente”! Nel mio paese gli impiegati
dell’amministrazione, i funzionari dello stato, i segretari di partito,
i sindaci, possono essere nominati o rimossi in qualsiasi momento,
secondo i desideri e gli interessi dei politici.
È per questo che mi sono trasformato in esilio, amici miei.
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Da sedici anni il paese vive sull’orlo del baratro, ma da parte
degli uomini di buona volontà non è stata presa nemmeno
un’iniziativa per fermare il disastro. Non si sono resi conto che,
per salvare l’Albania, dovrebbero mandare via Nano e Berisha:
i due kmer rossi che hanno occupato lo Stato. Ahimè! Ahimè!
È per questo che mi sono appoggiato all’esilio, amici miei.
.
L’indomani della vittoria di Salì Berisha, nell’lezioni politiche
del 2005, i capi dei gabinetti dell’ex-premier Nano, sono passati
come capi del gabinetto del nuovo premier! È accaduta la stessa cosa
anche con i direttori dei ministeri, con gli alti funzionari politici
delle istituzioni, con i giornalisti, con i poeti che hanno cambiato
all’improvviso padrone!
È per questo che sono convinto dell’esilio, amici miei.
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Gli ospedali sono stamberghe, se non paghi non ti curano.
L’assistenza pubblica è scomparsa! Che paradosso, al tempo del faraone
le cure erano gratis. Le medicine sono scadute, come i cibi.
Non ci sono controlli alla dogana; le dogane lavorano per il partito di Nano.
I comunisti più zelanti di ieri, oggi sono diventati estremisti di destra.
È per questo che mi fa male l’esilio, amici miei.
.
Faslli Haliti con Gezim Hajdari

Gezim Hajdari con Faslli Haliti

Una volta, assieme a mia madre, ho accompagnato in ospedale di Lushnje
mio padre ammalato, quasi in fin di vita. Era notte fonda. Appena il medico
di turno l’ha visto, mi ha detto che non c’era niente da fare e di portarlo a casa.
Tutto questo, senza visitarlo. Li ho pregati di fargli una flebo.
Da quella notte sono passati diversi anni e mio padre è ancora vivo.
È per questo che condivido la solitudine con l’esilio, amici miei.
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Più tardi, ho saputo che quel medico di turno, non voleva fare la flebo
a mio padre, per interesse personale. Se mio padre fosse deceduto,
il dottore non avrebbe guadagnato niente, in quanto, negli ospedali albanesi
le medicine e le prestazioni mediche vengono pagate dai pazienti
agli stessi medici. E chiaramente, se ci scappa il morto, nessuno paga.
È per questo che sono in cerca di qualcosa che non trovo in esilio, amici miei.
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Più tardi, ho saputo che quel medico di turno, non voleva fare la flebo
a mio padre, per interesse personale. Se mio padre fosse deceduto,
il dottore non avrebbe guadagnato niente, in quanto, negli ospedali albanesi
le medicine e le prestazioni mediche vengono pagate dai pazienti
agli stessi medici. E chiaramente, se ci scappa il morto, nessuno paga.
È per questo che sono in cerca di qualcosa che non trovo in esilio, amici miei.
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Come mai i poeti di Tirana non sono scesi mai in piazza a protestare
contro una cosa del genere, alzando la voce contro lo squallore
e la catastrofe in cui si trova la patria che loro amano così tanto?
Ovviamente i poeti di Tirana non possono alzarsi contro loro stessi
perché fanno parte del sistema cantato da loro stessi.
È per questo che mi sono ammalato di esilio, amici miei.
.
Ricordo ai poeti di Tirana che per gli arabi, il termine sufi (mistico)
indica un gruppo di “puritani”, insorti contro la corruzione del potere.
È accaduto nel 821 d. C., in Alessandria d’Egitto.
«Vedi questi ignoranti (e trafficanti), dominano il mondo.
Se non sei uno di loro, ti chiamano infedele», diceva Khayyam.
È per questo che inseguo l’esilio, amici miei.
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«Rondini che partite, tanti saluti ai djemve tanë përmatanë !
Ci hanno divisi da vivi!»
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Anzi, gli ex-dirigenti del Partito di Hoxha, nonché i boia di ieri,
a richiesta dell’amministrazione americana, sono stati chiamati a risiedere
negli States(!), lasciando lo zio Marx in uno ospizio. Tengono conferenze
contro il comunismo, giurando fedeltà al capitalismo. Li insegue l’ombra d
ei dossier e del sangue guastato in patria.
È per questo che credo solo all’esilio, amici miei.
.
Del resto, furono proprio l’America e l’Inghilterra ad appoggiare la nascita
della dittatura comunista di Hoxha nel mio paese, come testimoniano
i documenti degli archivi. Questi alleati divisero anche il territorio albanese
in zone d’influenza, ma gli albanesi, chiamano padre, quelli che scopano
la loro madre.
È per questo che colloquio con l’esilio, amici miei.
.
Nelle prossime elezioni politiche del 3 luglio 2005 gli americani già stanno
trafficando per riportare al potere di nuovo Berisha! In Albania per mungere
una mucca nel villaggio o per nominare un usciere del comune,
ci vuole il parere dell’ambasciatore americano a Tirana!
Mio dio, al mio popolo hanno messo il cervello dell’asino!
È per questo che inneggio all’esilio, amici miei.
.
Una sera, a casa dei miei, mentre seguivo il telegiornale albanese,
sono rimasto allibito all’immagine di un contadino del nord del Paese
che chiedeva aiuto al suddetto ambasciatore americano, per avere alcuni
sacchi di farina; in quanto il suo villaggio, non era raggiungibile a causa
della neve e lui era rimasto senza provviste.
È per questo che mi sono fermato al confine dell’esilio, amici miei.
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I politici albanesi sono i servi ubbidienti dei giochi loschi.
Passeranno alla Storia con la vergogna. Gli intellettuali albanesi
sono cani bastonati che non abbaiano più. Le facce senza pudore
dei politici sono le più brutte d’Europa; i volti degli pseudo-intellettuali
albanesi sono maschere tragi-comiche di se stessi.
È per questo che mi rispecchio nell’esilio, amici miei.
.
Mai provata una vergogna più grande quando sento i miei connazionali
parlare di intellettuali albanesi! I veri intellettuali albanesi sono stati tutti
imprigionati o fucilati per ordine di Hoxha, oppure morti nel lager. Forse
è stato questo il crimine più orribile di Hoxha. Quelli che applaudono i tiranni
di Tirana oggi, hanno perso l’opportunità di divenire dei veri intellettuali.
È per questo che viaggio in esilio, amici miei.
.
Si è sempre abusato di questo nobile termine. Per i britannici,
l’unico intellettuale esemplare è stato Orwell, perché gli altri sono nati
a Vienna. Essere intellettuale, ci insegna T. Gartonash, è una vocazione,
non un marchio di fabbrica. Vuol dire essere generoso, onesto, lottare
per il bene comune, per la libertà e per i diritti umani, contro ogni dittatura,
per la crescita culturale del Paese..
È per questo che trascorro le notti ascoltando l’esilio, amici miei.
.
Nel mio paese il malgoverno è intoccabile. Chi ha osato denunciare
le malefatte, è stato messo a tacere o punito duramente. Vivere in Albania
è un brivido. Quei pochi che resistono sono isolati dalle ombre
degli ex-servizi segreti. Basta ricordare il libro di P. Kolevica fatto sparire
dalla tipografia, di notte, da uomini misteriosi!
È per questo che conosco il rischio che corro in esilio, amici miei.
.
Oggi l’Albania è invasa da “fondazioni” ed “associazioni” straniere;
la maggior parte di esse porta ombre e misteri. Grandi interessi si nascondono
sotto il potere del Don Chisciotte Nano. Ahimè, mia Patria, arena di affari
loschi! Nessuno controlla l’attività delle società e delle “banche” occidentali!
È per questo che mi pongo domande in esilio, amici miei.
.
Vorrei sapere chi ha gestito la fondazione Soros e altre ancora? Chi sono stati
i loro direttori? Quale è stata la destinazione dei loro denari?
Chi ha approfittato dei soldi spesi nell’arco di 16 anni di “democrazia” albanese?
Quale beneficio ha portato al paese e alle istituzioni la suddetta fondazione?
Vorrei sapere se qualcuno ha esercitato un controllo su tutto questo?
È per questo che insulto l’esilio, amici miei.
.
I servizi segreti albanesi hanno creato uno Stato parallelo a quello attuale,
pericoloso per gli interessi della nazione! I servizi segreti albanesi
non dipendono dal Ministero degli Interni del governo. Chi comanda i servizi
segreti del mio Paese?! Come mai nessuna interrogazione in parlamento,
da parte dei deputati-poeti, per questa gravità?
È per questo che condivido la stanza sgombra con l’esilio, amici miei.
.
Lo stato parallelo dei servizi segreti albanesi porterà seri problemi al paese,
alla libertà dei cittadini e alla vita politica. Il governo e lo stato devono
intervenire in tempo, affinché non sia troppo tardi. Altrimenti sarà un danno
irrimediabile per il futuro. Nel mio Paese si nascondono misteri spaventosi.
È per questo che chiede conto a me l’esilio, amici miei.
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Un ingegnere di Hoxha che ieri aveva progettato un milione di bunker
per “difenderci” dai nemici imperialisti, oggi è diventato il presidente
del Paese delle aquile. Stava giocando a carte in una bettola con i pensionati
di Tirana, quando ha saputo della sua nomina. Uno altro più grezzo come lui,
non si poteva trovare.
È per questo che non mi sottometto all’esilio, amici miei.
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Besnik Tirana_Skenderbeu

Tirana Skenderbeu

«Piangete o donne, i nostri esuli-argatë alle porte dell’Occidente!»
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Berisha, in un anniversario, ha conferito la medaglia del secondo premio al poeta
martire della dittatura Havzi Nela; mentre il presidente albanese A. Moisiu
(un rospo con due occhi sulla fronte), ha conferito la medaglia d’onore
a Femi Abdiu., colui che firmò l’ordine di fucilazione del suddetto poeta.
È per questo che alzo la voce in esilio, amici miei.
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Il presidente albanese Moisiu appoggia il procuratore generale della giustizia
Th. Sollaku, accusato di esseee la cupola della criminalità organizzata in Albania.
Il presidente Moisiu deve essere consegnato alla giustizia popolare,
per aver imprigionato, per mezzo secolo, un popolo intero nei bunker. Invece,
continua a difendere il crimine e ad ostacolare le riforme dello Stato.
È per questo che squarcio l’esilio, amici miei.
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[…]
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Tutti i politici del mondo ingrassano normalmente, i politici albanesi ingrassano
alla testa e alla nuca. Sono brutti come il peccato; sono porci, bestie spietate,
cannibali che succhiano il sangue di un popolo martoriato e insecchito. L’Albania
sprofonda ogni giorno nella corruzione e nella lotta per il potere e il dominio.
È per questo che mi abbellisco di esilio, amici miei.
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L’Albania ha mandato i soldati in Iraq in nome di una guerra sporca.
Quelli che creano i Saddam, li armano, fanno affari sporchi, poi vengono
a rompere i coglioni, dicendo sono dittatori! Per giustificarsi, inventano
lo scontro tra le civiltà e l’esportazione della “Democrazia”!
È per questo che mi sento campana di mare in esilio, amici miei.
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[…]
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Anzi, il popolo di sinistra di Berat ha dichiarato pubblicamente alla televisione
Albanese è pronto a stare anche senza corrente elettrica, senza acqua,
e se c’è bisogno anche senza fare l’amore. A condizione che l’unità del partito
di Nano non venga spaccata dai correntoni interni! È un popolo che vive
amorosamente il passato.
È per questo che scambio il mio nome con quello dell’esilio, amici miei.
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I militanti sinistrini di Berat mi fanno ricordare le parole dell’ex-dittatore
Enver Hoxha: «Erba mangeremo, i principi marxisti non li calpesteremo!»
Mentre alcuni alunni delle scuole elementari – plagiati dai testimoni di Geova
– si suicidano, impiccandosi, per raggiungere la vera vita nell’aldilà!
È per questo che ho nostalgia dell’esilio, amici miei.
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«O vaporrë , un amanèt ai nostri esuli: nelle tombe non si scioglieranno
le nostre anime!»
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È dovere del parlamento di Strasburgo di fare pressione presso l’attuale
governo, affinché avviino le riforme istituzionali, per inserire la mia nazione
nella Comunità Europea. E inoltre non bisogna più appoggiare i responsabili
della tragedia albanese. Solo la famiglia europea potrà salvare l’Albania!
È per questo che non abbandono l’esilio, amici miei.
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I diplomatici che rappresentano l’Albania all’estero sono militanti di partito,
commercianti e trafficanti che curano affari loschi. Hanno venduto migliaia
di passaporti agli albanesi migranti, guadagnando miliardi.
Gli ex-ambasciatori albanesi a Roma ed all’estero, sono figure losche
e trafficano in Italia. I diplomatici albanesi all’estero sono gli stessi
del tempo di Hoxha.
È per questo che mi chiudo ogni giorno nell’esilio, amici miei.
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Il governo albanese ha nominato ambasciatori, addetti culturali e consoli:
gli ignoranti, i delinquenti e i trafficanti che hanno isolato l’Albania dal resto
del mondo. Oltre a sopravvivere e competere con il mondo, noi altri dobbiamo
affrontare anche le porcherie dei diplomatici albanesi e dei loro nipoti.
È per questo che mi ribello in esilio, amici miei.
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[…]
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Besnik tirana_square

Tirana square

Alcuni ex-ambasciatori albanesi a Roma, dopo la scadenza del loro mandato,
non sono rientrati a Tirana; oggi lavorano come titolari di agenzie
di compra-vendita di case. Altri, controllano da Roma, la merce che entra
in Albania, oppure sono diventati alti dirigenti presso l’Istituto Mediterraneo
di Bari (AMB), o consulenti presso la FAO, l’Ifad e l’Unops.
È per questo che rigurgito l’esilio, amici miei.
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Gli ambasciatori albanesi all’estero nominano come “Ambasciatori della cultura
albanese nel mondo” danzatori di quartiere, umiliando i veri artisti che creano
valori culturali universali ed eterni. In 60 anni di comunismo, l’Albania
non ha mai dato all’Europa né un pittore, né un regista, né un compositore,
né un architetto, né uno scienziato, né un poeta, né un attore, né un cantante,
né un narratore, né…
È per questo che mi consumo insieme all’esilio, amici miei.
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E quando capita che un albanese onesto, ma offeso e umiliato di fronte
agli occhi del mondo, “cambia” cittadinanza e passaporto, gli squallidi politici
di Tirana, lo chiamano infedele, traditore e venduto! In uno Stato democratico,
onesto, acculturato, progredito e rispettato, nessun cittadino sente il bisogno
di chiedere la cittadinanza. Andrò a Tirana solo quando sarà liberata dai tiranni!
È per questo che mi imbestialisco in esilio, amici miei.
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«Ahimè, burrnia dhe ndera del nostro fis shqiptar!»
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[…]
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I poeti albanesi cantano solo ai tiranni, sia ieri che oggi; vanno in esilio (asilo)
dopo la caduta del padrone e ragliano come asini a Parigi contro il comunismo
che li ha incoronati con il potere e la fama; sono responsabili dell’isolamento
dell’Albania e della letteratura albanese dal resto del mondo.
È per questo che cresco in esilio, amici miei.
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I poeti albanesi che sono stati spie e servitori devoti della dittatura
e hanno servito con obbedienza di cane il proprio padrone, inneggiandolo,
oggi gridano al complotto degli stranieri contro l’Albania.
Così faceva anche il loro faraone Enver Hoxha ieri.
È per questo che mi sciolgo in esilio, amici miei.
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[…]
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besnik Polizia di tirana

Macchina della Polizia di Tirana

Essere poeta a Tirana vuol dire stare con Nano o con Berisha.
Essere un letterato in Albania vuol dire servire Berisha o Nano.
Sono Nano e Berisha quelli che decidono sui valori dei letterati,
secondo la devozione e il servizio che gli uomini di cultura dimostrano
nei loro confronti! Un esercito di eunuchi al servizio dei loro padrini!
È per questo che smaschero l’esilio, amici miei.
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«O cantori shqiptar, perché per tutta la vita siete rimasti asqèr e nizàm !»
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Ho saputo che ieri ha chiuso l’ultima libreria nella città di Kukës.
A Kukës, città delle Alpi albanesi, non c’è più una libreria.
Un’intera città senza libri! Mentre i poeti di Tirana scrivono a pagamento,
libri per gli imprenditori ladri e per i mafiosi. Come ricompensa,
gli imprenditori donano terreni e ville ai poeti di Tirana!
È per questo che abito nel sud dell’esilio, amici miei.
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Il 2 agosto 2006, nella città di Korça alcuni ignoti hanno rubato la statua
di bronzo di N. Veqilharxhi, uno dei padri del rinascimento albanese;
l’autore del primo abbecedario albanese. Il suo bronzo, trascinato,
in pieno giorno per la città , è stato venduto al mercato per pochi euro!
È per questo che prego che l’esilio abbia cura di me, amici miei.
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Ma tempo fa è stata rubata da ignoti un’altra statua famosa,
quella di un personaggio storico del rinascimento albanese: Th. Gërmënji.
Non è una casualità. Lo scopo è quello di colpire i simboli di un popolo,
le opere d’arte, la cultura. In Albania è in atto un progetto per distruggere
la memoria e l’identità di una nazione.
È per questo che affido anche il mio destino all’esilio, amici miei.
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Una brutta fine l’ha fatta anche la statua di Lasgush Poradeci.
Le sono stati segati gli arti, perché non entrava nella cassa usata dai ladri
per portarla via. Che ne poteva sapere, questo grande poeta delle violenze
che avrebbe subito la sua scultura nella città natale!
Ahimè! Sarà questa la fine che toccherà ad ogni vero cantore albanese?!
È per questo che ingurgito l’esilio, amici miei
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I poeti albanesi hanno affermato: «Prima dobbiamo formarci come nazione,
cioè come Albania etnica, poi dobbiamo integrarci in Europa!
Ai poeti è cresciuto il gozzo e stanno diventando gli uomini più pericolosi
per il futuro del Paese e dei Balcani. Sogno un giorno Tirana liberata
dai tiranni e dai poeti tiranni.
È per questo che mi consolo in esilio, amici miei.
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«Oh! Oh! Mai così in basso è caduta l’antica stirpe di Scanderbeg !»
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Mentre nei testi scolastici regnano ancora le stesse opere del realismo
socialista, colme di fedeltà alla vecchia dittatura e di nemici di classe!
Coloro che curano i libri per le scuole e per le università albanesi
sono sempre gli stessi. Gli stessi, gli autori antologizzati, gli stessi,
gli insegnanti, i presidi e i docenti universitari, gli stessi, i rettori delle facoltà.
È per questo che dono la mia voce all’esilio, amici miei.
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Come mai nessun premio letterario a Kasëm Trebeshina? Fu il primo grande
scrittore dissidente con il coraggioso promemoria contro il dittatore nel 1953,
rivolgendosi a lui con queste parole: “Enver, ti stai comportando
come Luigi XIV!” Fu denunciato dai suoi colleghi scrittori. Come mai nessuna
pubblicazione della sua opera? Un quotidiano di Tirana scrive
che non interessa la questione Trebeshina!
È per questo che mi copro di esilio, amici miei.
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Come mai il Partito Democratico non ha denunciato questo atteggiamento
della mafia culturale di Tirana nei confronti di Trebeshina! Oggi il suddetto
scrittore sopravvive isolato nella capitale, in mezzo agli sciacalli e ignorato
dalle istituzioni, rinunciando persino alla cittadinanza albanese. Sicuramente,
un domani, il Padre eterno chiederà conto anche a me di tutto questo.
È per questo che non trovo pace in esilio, amici miei.
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[…]
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Gezim Hajdari nel suo studio

Gezim Hajdari nel suo studio

Oggi il figlioccio del Babbo(I. Kadaré) per far contenti i membri
delle accademie europee e di quelle nord americane, ha creato un’altra
invenzione perversa, quella di mettere i cristiani albanesi contro
i musulmani, chiamando quest’ultimi, con disprezzo, “turchi e ottomani”!
Come se non bastassero le sofferenze che sta attraversando l’Albania!!
È per questo che svergino l’esilio, amici miei.
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Quest’uomo diabolico nel 2006, ha dichiarato che, nel 1989, aveva suggerito
al dittatore R. Alia (l’erede di Hoxha), di aprire le chiese cattoliche
e quelle ortodosse per far indebolire l’identità islamica. Un suggerimento
da terrorista, pericoloso, cinico e irresponsabile. Quest’uomo sta tenendo
in ostaggio il paese e la cultura albanese.
È per questo che ho sacrificato me stesso in nome dell’esilio, amici miei.
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Molto tempo fa, ha dichiarato all’agenzia Kossovo Pres che i musulmani
albanesi sono “bislacchi, rozzi e ignoranti”. Quest’affermazione Èstata
una delle tante che il figlioccio ha usato per prendere la patente di militante,
nella lotta contro il terrorismo islamico. I veri scrittori sono dei profeti,
artefici del dialogo, della convivenza e della fratellanza tra le culture.
È per questo che ho deciso di dire la verità all’esilio, amici miei.
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Come è possibile che uno scrittore cerchi di sottolineare violentemente
l’identità cristiana degli albanesi?! Il credo religioso è un sentimento intimo
e personale e come tale, deve essere vissuto. Un’ affermazione del genere
è aggressione, è guerra.Un’affermazione del genere presuppone
una divisione che finisce per mettere gli uni contro gli altri.
È puro integralismo.
È per questo che mi riconosce l’esilio, amici miei.
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«Tu non rispetti né gli uomini, né la legge delle Bjeshkët e Nëmuna !»
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Un’affermazione del genere vuol dire intolleranza. L’identità che lui appoggia,
è un’ identità che uccide, da crociato e il suo nazionalismo è patetico
e pericoloso, sciovinista. La ricchezza della cultura albanese è proprio
l’interazione secolare tra le religioni e le loro culture. La teoria del figlioccio
del Babbo Enver è razzista, perché prevale una religione sull’altra.
È per questo che divento altro in esilio, amici miei.
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Che vergogna! Coloro che hanno distrutto, massacrato, violentato, stuprato
per mezzo secolo la vera identità del paese, sostituendola con quella dell’ uomo
nuovo plasmato dalla dittatura, oggi si dichiarano difensori della morale,
dei diritti umani e dell’identità nazionale! Prima di negare il comunismo
e Hoxha, essi devono negare le opere politiche dedicate al terrore rosso.
È per questo che cerco i veri poeti in esilio, amici miei.
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L’Albania non è né cristiana, né musulmana, ma nello stesso tempo è cattolica
e musulmana, ortodossa e dervìsh, laica e atea, ebrea e budhista. Del resto,
l’identità di una nazione, non s’identifica con la religione. “La patria
è la sapienza”, scriveva S. Agostino. Per far tornare l’Albania un paese normale,
dobbiamo liberare la cultura albanese dai falsi miti, da una mentalità feudale.
È per questo che ho riscoperto l’umanità in esilio, amici miei.
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Non esiste la “purezza” delle lingue, delle culture o delle nazioni.
La singolarità non è un valore, la pluralità è un valore. In tibetano essere umano
vuol dire “viandante” e per gli arabi, “abitatore” di tende. La bellezza
delle nazioni, delle loro culture e delle loro religioni è la mescolanza;
lo scambio è interazione reciproca.
È per questo che cammino sulle orme di Abramo in esilio, amici miei.
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L’Albania è un paese esemplare, dove hanno sempre convissuto cattolici,
ortodossi, musulmani ed ebrei in pace tra di loro da secoli,
scambiandosi le preghiere. Nei poemi epici albanesi, i personaggi hanno il nome
cattolico e il cognome musulmano, come Gjergj Elez Alia e viceversa!
È straordinario! Fermate questo figlioccio delirante del Babbo Enver,
sta spaccando il paese.
È per questo che mi metto sulla croce e prego Allah in esilio, amici miei.
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L’Europa come unità culturale non esiste, è fatta di diverse Europe. Nel mito,
nasce come la bella principessa d’Oriente rapita da Zeus, cioè dalla migrazione.
Ogni europeo proviene da qualche parte. Nelle nostre vene scorre sangue
“impuro”. Èquesta la forza dell’Europa. «La diversità de las criaturas»,
ci consigliava Borges.
È per questo che brucio nelle fiamme dell’esilio, amici miei.
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Non a caso, nella Costituzione della Comunità Europea non sono accentuate
le radici cristiane dell’Europa. Nell’Iliade e nell’Odissea di Omero,
troviamo tracce di civiltà arabe e indiane. D’ora in poi dobbiamo,
più che sottolineare le differenze, celebrare le somiglianze.
Ahimè, non si farà mai l’Albania con certi sanguinari!
È per questo che insegno l’arte del dialogo in esilio, amici miei!
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Chi lo fermerà? la massa dei poeti-eunuchi di Tirana che fanno a gara
per essere i suoi amanti? dei giornalisti mafiosi e ubbidienti di Tirana
che sognano di bere la sua piscia? i poveri lettori albanesi frustrati e plagiati
dal metodo del cosiddetto realismo socialista? oppure il governo Berisha
che spenderà mezzo milione di dollari per ristrutturare la sua casa natale?!
È per questo che ubbidisco all’esilio, amici miei.
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Gezim-Hajdari,-Foto-di-Piero-Pomponi

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

Anzi, ogni volta che il sosia del Babbo si arrabbia, i suoi sudditi
gli conferiscono un premio! Più il sosia li frusta, più li considera mediocri,
più sputa loro in faccia, più li calpesta, più i suoi servi si inchinano
davanti a lui. Lo adorano come la patria. Lo amano più delle proprie mogli.
Nel mio villaggio c’è un detto: “Come se lui avesse messo nelle loro orecchie
il veleno per i topi”.
È per questo che obbedisco all’esilio, solo all’esilio, amici miei
.
L’ortodossia del tiranno è cinismo e crudeltà. Secondo i tiranni stessi,
gli altri non sono altro che eunuchi e sabotatori della sua opera.
«La piazza del Cremlino era sempre al buio, solo la luce della finestra di Stalin
era sempre accesa, perché lui lavorava e pensava al popolo russo».
Si vestiva sempre nello stesso modo. Aveva creato un mito.
È per questo che sputo in faccia ai falsi miti in esilio, amici miei.
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Questo fatto mi riporta alla mente i versi del figlioccio dedicati al Babbo Enver:
«Dal gran boulevard / si scorgevano le finestre del Comitato Centrale/
illuminate fino a notte fonda». Anche lui, come Stalin, lavorava e pensava
al popolo albanese e agli altri figliocci di Tirana.
È per questo che non seguo luci fatue in esilio, amici miei.
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«Sei un inquisitore!»
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È lo stesso che fino a ieri negò i poeti e gli scrittori cattolici: V. Prenushi,
Gj. Fishta, E. Koliqi, chiamandoli reazionari, nemici del Partito Comunista
di Enver Hoxha e della dittatura del proletariato. Nemmeno le autorità
religiose albanesi hanno osato creare una divisione pericolosa tra i fedeli
albanesi. Che delirante follia!
È per questo che navigo nel mare dell’esilio, amici miei.
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È colui che ha scritto: «Ti hanno stordito il timpano/ i sacerdoti e gli imam»,
(il timpano del Partito). E ancora: «Uomini dalle tuniche nere./…/
Ma le masse del popolo vi soffocarono/ E i poeti ribelli divorarono
con le unghia le loro tuniche».Gli albanesi hanno un detto: «Frusta,
se vuoi che ti chiamino Babbo!»
È per questo che bevo l’assenzio dell’esilio, amici miei.
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Oggi il çuni Babës fa il pellegrinaggio in Kossovo come missionario cattolico,
predicando il Verbo del Vangelo. Cercando di evangelizzare i kossovari
smarriti. Nel novembre del 2006 ha chiesto al presidente Sejdiu di costruire
una cattedrale a Prishtina. Oh, salavteci da quest’uomo senza volto e senza
principi.
È per questo che l’esilio non mi tradisce, amici miei.
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«Neghi perfino i sacramenti e il nostro Creatore?!»
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[…]
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Un vero scrittore deve insegnare a tutti ad essere migranti e stranieri
e l’arte del dialogo…Un vero scrittore deve essere un distruttore di identità,
di confini e di bandiere. Ogni giorno io creo una nuova patria, in cui muoio
e rinasco. La mia patria è il mio corpo, Gëzim è la mia identità. Per me l’Albania
è la lingua albanese. Un vero scrittore deve essere ospite dei mondi.
È per questo che condivido il mio essere con l’esilio, amici miei.
.
[…]
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gezim hajdari_foto

Gezim Hajdari

Si parla molto dell’apertura dei dossier dei politici in Albania.
Ma chi aprirà i dossier?! Gli stessi che fino a ieri li hanno scritti?!
È una farsa politica; I democratici e i socialisti hanno fatto sparire i dossier
che volevano, lasciando quelli dei pesciolini, che ora li ricattano!
È per questo che ammonisco l’esilio, amici miei.
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Sono gli stessi scrittori che hanno firmato le accuse contro altri poeti durante
la dittatura. Mentre loro erano alti funzionari di Stato e legislatori
del parlamento di Hoxha, poeti straordinari venivano fucilati o deportati
nei campi di rieducazione per essere temprati nell’incudine della classe
operaia e contadina.
È per questo che mi santifico di esilio, amici miei..
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«Invochi l’Inferno e i demoni!»
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I dossier non si apriranno mai. I dossier sono stati manipolati sia dai socialisti
di Nano, che dai democratici di Berisha. Oggi accade il contrario: vengono
celebrati e decorati gli ex-torturatori di ieri! È incredibile! Il popolo albanese
non vuole l’apertura dei dossier della polizia segreta. Il popolo albanese
è un popolo bue, adora la dittatura, non la democrazia.
È per questo che abbatto il muro dell’esilio, amici miei.
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Forse non c’è bisogno di aprire i dossier. Basta pubblicare in un grande
volume tutti i nomi e il lugubre destino di quelli che sono morti nelle galere,
oppure sono stati fucilati o internati nei lager, spariti senza lasciare tracce.
Il suddetto volume andrebbe consegnato ad ogni famiglia albanese e studiato
nelle scuole, per non dimenticare.
È per questo che mi ascolta dio in esilio, amici miei.
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Come è possibile che la radio La voce libera d’America, con sede a Washington,
sulla questione dei dossier albanesi, intervista soltanto gli scrittori-servi
della dittatura di Hoxha e mai Kasëm Trebeshina?! È incredibile!
Ma tutto questo fa parte dei misteri albanesi. I nemici degli ex-perseguitati
dalla dittatura di Hoxha sono gli ex-perseguitati stessi!
È per questo che dubito dell’esilio, amici miei.
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Non è colpa loro, purtroppo vivono la sindrome di Stoccolma.
Decenni trascorsi nelle galere più spaventose d’Europa, alcuni ex-perseguitati
albanesi si sono innamorati dei loro carnefici. Nella mente dei loro boia,
i superstiti vivranno sempre come nemici del popolo e del comunismo sconfitto.
È per questo che si vogliono così bene tra loro.
È per questo che perdòno l’esilio, amici miei
.
«Pratichi il culto del diavolo!»
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Nel mio paese, i poeti di Tirana nutrono un disprezzo profondo
per le vittime della dittatura comunista e un amore viscerale per i boia di Hoxha.
I poeti di Tirana sono onorevoli, direttori dei ministeri, sottosegretari…,
ma nessuno di loro ha alzato la voce per condannare (almeno moralmente)
i crimini del comunismo.
È per questo che mi vergogno in esilio, amici miei.
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In Albania sono passati sedici anni e non esiste nemmeno un museo che raccolga
le sofferenze e le memorie di tutti coloro che hanno subìto la dittatura più feroce
che ci sia stata in Europa. Nessuna fondazione, per raccogliere le opere
dei martiri e di quelli che subirono l’inferno dello stalinismo di Hoxha,
come testimonianza per i giovani.
È per questo che non rinuncio all’esilio, amici miei.
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Il passato non interessa più a nessuno, né alla giustizia, né al governo.
Per i miei cittadini, il passato dell’Inferno di Spaç o di Burrel , è come
se non fosse mai esistito. Nulla viene ricordato. I giovani devono sapere i crimini
commessi contro l’umanità, per contribuire a costruire uno Stato democratico
basato sul diritto.
È per questo che non dimentico in esilio, amici miei.
.
[…]
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Gezim Hajdari 3 davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Nella mia città di Lushnje, alla piazza centrale, s’innalza ancora,
sin dai tempi del dittatore, il monumento che celebra la collettivizzazione
forzata dei contadini! Ma non c’è nulla che ricordi le vittime del comunismo,
visto che in questa regione c’era una delle più terribili prigioni
per i perseguitati politici e 11 lager su 19 di tutta l’Albania!
È per questo che mi comprende l’esilio, amici miei.
.
Ho visto L. Radi messo alla berlina, nel lager di Savra. È successo
il 20 ottobre 1982, al palazzo di cultura, in presenza di 600 persone.
Le persone al seguito del segretario di partito P. N. lo hanno insultato
e gli hanno sputato addosso, tirandogli sassi. Ma lui, fermo come una statua
non ha mosso ciglio, sfidando le pietre con la sua parola.
Tra le mani stringevo la mia pietra colma di rabbia.
È per questo che non posso vivere senza l’esilio, amici miei.
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Si è alzato un collaboratore della dittatura R. B. gridando: “ Lazer Radi,
vogliamo sapere, perché continui a parlare male del comunismo?
Che male ti ha fatto il potere del proletariato?” Fiero e coraggioso Lazer
ha risposto: «Mi ha condannato a 10 anni di carcere e a 30 anni internati
nel lager; questo per me non è un male che mi ha fatto il potere del proletariato!»
È per questo che sono diventato esilio, amici miei.
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Era un uomo alto, bello, con i capelli bianchi, laureato in Letteratura
e filosofia a “La Sapienza” negli anni ’30. Lasciò Roma per contribuire
alla crescita culturale del suo paese. Tutti i suoi amici e compagni
che avevano studiato all’estero, finirono sotto il plotone d’esecuzione
o morirono nelle terribili prigioni della dittatura enveriana.
È per questo che divento un testimone in esilio, amici miei.
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«Ciò che dici è un omaggio a Satana!»
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Da prigioniero, Lazër, accompagnato dai poliziotti, veniva portato spesso
alla biblioteca nazionale di Tirana per tradurre dei volumi
per il Ministero degli Interni. Conosceva numerose lingue. Un suo illustre
professore del liceo, rimase sgomento, quando lo vide incatenato
in mezzo ai carcerieri, mentre traduceva.
È per questo che non mi dà tregua l’esilio, amici miei.
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Negl’ultimi anni della sua vita, Lazer, scriveva giorno e notte.
Copiava i suoi manoscritti riesumati dal giardino della baracca
del lager di Savër, dove li aveva seppelliti durante gli anni del terrore.
Si trattava di poesie giovanili e traduzioni da varie lingue, compreso Platone.
È per questo che mi interrogo in esilio, amici miei.
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Non scrisse mai niente sulle sofferenze passate nei lager e nelle prigioni
per 40 anni. Preferì raccontare i bei ricordi degli anni giovanili, quando
frequentava il liceo e l’università. Lazer morì nel ‘98, ma la sua vita si fermò
al ‘41, anno dell’evento del comunismo che avrebbe segnato la sua vita.
È per questo che sono sgomento in esilio, amici miei.
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V. Kolevica di Korça, un mio amico con il quale ho fatto il militare a Poliçan,
mi ha raccontato che suo padre, pittore, è stato condannato perché nemico
del popolo. Ogni volta che si avvicinava il compleanno di Hoxha,
la vittima-pittore, per ordine dei dirigenti del partito, doveva fare il ritratto
al dittatore!
È per questo che mi fa da guardia l’esilio, amici miei.
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«Tu credi nel demonio!»
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Le colpe dei genitori le hanno subite anche i figli. Frequentavo l’ultimo anno
del Ginnasio di Lushnje, quando il mio carissimo amico di banco J. Radi,
figlio di Lazer, è stato espulso dalla scuola, solo perché figlio del “nemico”
di classe. Il resto della sua vita l’ha trascorsa nei lager albanesi per 40 anni.
È per questo che incendio l’esilio, amici miei.)
.
Nel 1982 la raccolta poetica di Jozef, scritta nel fango delle paludi di Tërbuf,
non venne accettata dall’editore statale N. Frashëri di Tirana,
perché figlio del nemico del popolo. Sia lui che suo padre, hanno dovuto
aspettare più di mezzo secolo per pubblicare le loro opere!
È per questo che imparo la lingua dell’esilio, amici miei.
.
Nemmeno un incontro organizzato dalle scuole o dal comune, per ricordare
tutti coloro che morirono o passarono i più begl’ anni della loro vita nelle paludi
della Myzeqese . Nemmeno un giorno in segno di lutto dedicato a coloro
che si sacrificarono per la libertà. Nei testi di scuola della, e nella mia città
non esistono tragedie, crimini e vittime della dittatura!
È per questo che spezzo la penna in esilio, amici miei.
.
Sono passati sedici anni dal crollo dello stalinismo, ma nulla è cambiato.
Nessun problema è risolto, né la legge della terra, né l’apertura dei dossier,
né la mea culpa per i crimini del passato, né il problema della giustizia
e della corruzione, né la disoccupazione, né quello dell’ordine,né i problemi
culturali ed etici, degli stipendi e delle pensioni, né i problemi dell’ecologia…
È per questo che stringo i denti in esilio, amici miei.
.
Alcuni poeti di Tirana (dopo 16 anni?!) insistono che vengano allontanati
i politici dell’ex-regime che ordinarono la preparazione dei dossier
e che oggi, sono al vertice della politica e dello stato albanese.
Penso che insieme con quest’ultimi, debbano essere allontanati anche i poeti,
in quanto braccio destro della dittatura. Perché le loro opere hanno cantato
al dittatore, al suo partito e al terrore.
È per questo che mi nutro di esilio, amici miei.
.
Non c’è nessuna differenza tra coloro che obbligarono i cittadini a divenire
delle spie e gli scrittori che aizzarono il terrore e la violenza contro
il loro popolo. Sono stati complici di uno Stato e di una ideologia criminale.
Il crimine che hanno commesso gli scrittori della corte è stato un micidiale
veleno che ha alimentato la macchina del terrore, per mezzo secolo.
È per questo che è sacro l’esilio, amici miei.
.
Il nostro popolo ha avuto più che mai bisogno dei poeti nei momenti bui
della propria storia. Il nostro popolo, negli anni della violenza e del terrore rosso,
aveva bisogno di sogni, di speranze e di immaginazione, che solo i poeti
potevano dare con i loro versi. Invece, sono stati proprio questi versi a negare
anche la più piccola emozione.
È per questo che è vergine l’esilio, amici miei.
.
È per questo che i poeti di Tirana sono diventati eunuchi che, per padre,
per amante, per padrone, conoscono solo il figlioccio del Babbo Enver.
È per questo che un esercito accecato di lettori albanesi considera il tiranno
dei tiranni di Tirana, padre dell’Albania tiranna! Sembra che l’agonia
del mio paese non avrà mai fine!
È per questo che rinasco in esilio, amici miei.
.
Stanno facendo di tutto per imporre lui, agli albanesi e all’Occidente, come
l’icona del paese! Berisha gli diede il titolo “Onore della Nazione”, i comuni
delle città di Gjirokastra e quella di Tirana gli hanno conferito la cittadinanza
onoraria. Una volta a Roma, un poeta delle sue milizie, durante un convegno,
disse che la voce del figlioccio è la voce dell’Albania! Mio dio!
È per questo che la mia voce è la voce dell’esilio, amici miei.
.
Come mai Tirana non ha mai conferito la cittadinanza onoraria a Trebeshina,
a P. Gjeçi e a F. Reshpja? In 16 anni di democrazia albanese, tra i governi
di destra e di sinistra, solo un ex-perseguitato politico P. Arbnori ha fatto parte
delle istituzioni dello stato albanese. Tutti i ministri e le più alte cariche
dello stato sono stati rappresentati dagli ex-comunisti facenti parte d
ella ex-nomenklatura. mici miei.
È per questo che cerco una risposta in tutti questi anni in esilio, a
.
Che strano paradosso: chi osò ribellarsi alla dittatura, chi protestò nelle piazze
in nome della democrazia, mettendo in pericolo la propria vita e chi usurpò
il potere in Albania! Gli ex-perseguitati dalla dittatura di ieri ancora oggi
sono visti come nemici del popolo! Nel mio paese, le speranze della democrazia
sono state uccise, una volta per sempre, il 22 marzo 1992.
È per questo che la mia stanza sgombra si riempie d’esilio, amici miei.
.
«Chi li coprirà con la savanë ?
Chi metterà un pugno di terra sulle loro tombe?»
.
I poeti di Tirana stanno vivendo un periodo di ascesi. Hanno deciso
di non scrivere più, di non essere chiamati più con i propri nomi,
di non parlare più, di autocastrarsi per non fare più l’amore,
di vivere in anonimato, di identificarsi in lui. È impressionante!
È un tentativo assai disperato fare lo scrittore e il poeta oggi in Albania!
È per questo che è puro l’esilio, amici miei.
.
«Sei un infame! Vuoi soddisfare solo i tuoi desideri perversi!»
gezim2

gezim hajdari

Non è la sua opera che ha fatto di lui uno peudosantuario, ma è il suo fascino
di tiranno. Gli albanesi, dopo la morte del dittatore, non riescono a vivere
senza tiranni. L.Myftiu, F. Lubonja, K. Myftari, E. Tase, P. Kolevica, A. Klosi,
I.Jubica, B.Kraja, R. Elsie, A. Dule, S. Fetiu, H. Ibrahimi, conoscono bene
il “mal di tiranno” degli enveriani. Nessun altro popolo in Europa adora
i tiranni come il mio popolo.
È per questo che lancio l’allarme dall’esilio, amici miei.
.
Dopo la morte di Hoxha, il figlioccio del Babbo si presenta come il padre
padrone della nazione. Come tutti i tiranni, pretende che anche il Paese e il popolo
diventino la sua opera e l’Albania s’indentifichi in lui! È un fantasma
del passato, circondato da altri fantasmi che abitano la sua coscienza.
È per questo che raggiungo me stesso in esilio, amici miei.
.
[…]
.
Tempo fa è uscito a Tirana il libro monografia Vilsoni dhe Genci,
che parla di due giovani poeti di talento, fucilati dalla dittatura comunista
nel 1977. Solo perché amavano la poesia e avevano osato tradurre Baudelaire,
Rimbaud, Mallarme, Hugo, D’Annunzio. E pensare che la prefazione
della suddetta monografia è stata scritta da colui che odiava i poeti “reazionari”!
È per questo che insulto me stesso in esilio, amici miei.
.
Non c’è da stupirsi. Il manoscritto Vilsoni e Genci è stato rifiutato
da tre case editrici di Tirana! Il curatore è stato chiamato “vecchio rimbambito”
e il suo manoscritto considerato una minaccia per coloro che accusarono
i due promettenti poeti della città di Librazhd! Alla presentazione di questo libro,
a Tirana, c’era poca gente e quasi nessun poeta!
È per questo che l’esilio è il domani, amici miei.
.
Per non parlare di Musine Kokalari che trascorse 20 anni in prigione
e 20 nei campi di concentramento. L’eterna sign.na Kokalari lasciò Roma
negli anni ’30, dove si era laureata alla Sapienza, per aiutare il suo Paese.
È stata scrittrice ed anche fondatrice del Partito Socialdemocratico. La donna
più acculturata dell’Albania, ma gli artigli del regime la chiusero in galera.
È per questo che vedo oltre l’esilio, amici miei.
.
Kokalari morì sola nei campi di concentramento, malata, le fu negato
il ricovero in ospedale, in quanto “nemica” del popolo! Per legge, nessuno
poteva avvicinarsi a lei. Prima di essere sepolta, è stata trainata dal furgone
dell’immondizia. Quando i suoi parenti la riesumarono, trovarono le sue mani
e i suoi piedi legati con il filo spinato. Musine Kokalari non aveva commesso
nessun crimine, oltre l’amore per l’arte.
È per questo che ho deciso di scambiare il mio Paese con l’esilio, amici miei.
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Nell’agosto del 1988, il poeta H. Nela veniva impiccato nella piazza della citta
Kukës. Per terrorizzare la gente, il suo corpo è rimasto per tre giorni di seguito
appeso alla corda. La gioventù del poeta era invecchiata nelle galere infernali
dei comunisti. Mentre il figlioccio profetizzava: «Questo secolo appartiene
al comunismo che illuminerà il mondo intero».
È per questo che mi sono accecato in esilio, amici miei.
.
Dove era il figlioccio del Babbo quando venivano fucilati i poeti?! Era deputato
al parlamento del dittatore. Il figlioccio, a quell’epoca, era vice presidente
del Fronte “Democratico”, il cui presidente era la moglie del dittatore.
A quell’epoca, erano i poemi del figlioccio (che incitavano al terrore
della dittatura del proletariato contro i nemici di classe) a fucilare i poeti
innnocenti albanesi.
È per questo che accuso l’esilio dall’esilio, amici miei.
.
«Confèssati! Il tuo corpo si è impossessato del male!»
.
Inaugurava, attraverso i suoi versi, la stagione dei Grandi Processi
e delle deportazioni, cantando: «Aprite la strada, poeti di poesia declassata,
/…/ stiamo arrivando noi,/ i poeti del realismo socialista».
Come se non bastasse l’uccisione di Mandel’stam, Babel, oppure
l’umiliazione di Ba Jin, costretto a inginocchiarsi davanti alle masse
popolari nello stadio di Shangai.
È per questo che cerco la verità in esilio, amici miei.
.
Da comunista convinto egli ammoniva i nemici di classe:
«Per sradicare le tue radici, mio partito /…/ Fondato su ossa e sangue
/…/ devono riesumare dal fango i caduti e ucciderli di nuovo».
Nessuno come lui ha santificato lo stalinismo. Se qualcuno avesse osato
minacciare la guida sanguinaria, avrebbe commesso il più grave peccato,
facendo una fine orribile.
È per questo che dico soltanto la verità all’esilio, amici miei.
.
In verità, chi ha osato strappare le radici al partito del figlioccio
e delle sue opere dedicate a esso stesso, è stato punito dal plotone.
Si sono scagliati come sciacalli contro coloro che hanno cercato
di commettere una tale eresia. Guai a chi tocca le istituzioni culturali
del passato! I mercenari enveriani continuano ad uccidere ancora
le vittime della dittatura di ieri.
È per questo che è illibato l’esilio, amici miei.
.
Il palcoscenico della poesia albanese è stato bagnato con il sangue
vero dei poeti. Ancora oggi il mio Paese porta l’immagine dei suoi poeti
uccisi. Mentre lui si appellava alle armi per forzare il ruolo del partito
e della dittatura proletaria e creare l”uomo nuovo”:
«Non è la Bibbia quella che parla,/ è il PARTITO. /…/. Con te mi sento
alto come le montagne,/ Senza di Te, muoio come un verme!»
È per questo che scalo la montagna dell’esilio, amici miei.
.
A quell’epoca, il figlioccio piangeva il “Grande pianeta Stalin”,
scriveva versi per il cane omunista del confine albanese che vigilava
sugli imperialisti, nemici del comunismo e delle sue vittorie gloriose:
«Quel che nessuno mi ha dato,/ me l’hai dato tu, mio Partito”.
Odiava persino il sorriso dei nemici del popolo : “In mezzo allo smalto
dei suoi denti abbaglia il vostro terrore bianco».
È per questo che affondo nell’esilio, amici miei.
.
Gezim Hajdari a Filettino 2012

Gezim Hajdari a Filettino 2012

Un contadino della mia provincia mi ha raccontato una storia atroce.
Negli anni ’70 faceva il militare al confine con la ex-Jugoslavia.
Una sera, le guardie fermarono un giovane che aveva tentato di passare
il confine. Lo legarono e prima di ucciderlo, gli chiesero come preferiva
morire: con un proiettile o con i morsi del cane comunista!
È per questo che mi viene la pelle d’oca in esilio, amici miei.
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«Fèrmati, meglio morire con onore che sentire i tuoi racconti macabri!»
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Il povero ragazzo, con mani e piedi legati con il filo spinato,
scelse la seconda versione, sperando di salvarsi. Ma non ci fu scampo
per lui, la bestia inferocita lo sbranò. Il suo corpo dilaniato
fu gettato in un burrone, come pasto ai lupi e alle volpi.
Il contadino, testimone di tanta crudeltà, è impazzito.
È per questo che ho degl’incubi in esilio, amici miei.)
.
Il figlioccio dedicava versi al segretario del partito comunista,
lasciando come testamento ai giovani, un odio eterno per il “nemico kulak”.
Quando l’Occidente denunciava il terrore del tiranno,
il figlioccio rispondeva che erano solo «Pettegolezzi, Pettegolezzi/…
/I nostri giorni/ marciano insieme al partito/…/ verso orizzonti nuovi.
All’Albania / è nato un figlio, finalmente!»
È per questo che io e l’esilio ci guardiamo negli occhi, amici miei.
.
A quell’epoca, il figlioccio era ossessionato dal sangue dei nemici
e dal proiettile della dittatura del proletariato. Cantava alla canna del fucile,
alle armi, alle mine, al pugno di ferro del popolo, «Questo canto per te
(dedicato al Partito) /…/come una rosa rossa sulla canna del fucile, /…/
L’Albania: un prato sorridente, dove abbagliano le baionette», puntate
sui “traditori”.
È per questo che è crudele l’esilio, amici miei.
.
A quell’epoca, il figlioccio militante sorvegliava i nemici che tentavano
di distruggere “l’arte rivoluzionaria”, scrivendo 1200 pagine dedicate
al dittatore Enver Hoxha. Ancora oggi, le sue “opere monumentali”
sono utilizzati come testi fondamentali nelle scuole,
per educare i giovani alla morale comunista.
È per questo che faccio conoscere l’esilio a tutti, amici miei.
.
La sua opera aveva bisogno di nutrirsi del sangue dei nemici di classe.
Alcuni mesi, dopo la fuga in Francia (1990), aveva dichiarato:
«In un’ Albania libera non è mai esistita e non esiste la censura,
il che fa onore allo Stato socialista». Mentre centinaia tra intellettuali,
poeti e artisti furono massacrati barbaramente dal partito dei figliocci.
È per questo che non sopporto più l’esilio, amici miei.
.
«È stata una mattanza e nessuno ha alzato la voce!»
.
A quell’epoca, i becchini della dittatura riesumavano le ossa
del grande poeta epico Gj. Fishta, per gettarle nelle acque torbide
del fiume Buna, di notte. Mentre il figlioccio del Babbo Enver
riesumava l’opera di Fishta, per maledirla e infangarla con il suo odio
di classe. Lo scopo era quello di cancellare la memoria della letteratura
nazionale non allineata allo stalinismo di Hoxha.
È per questo che esiste l’esilio, amici miei.
.
Il noto poeta F. Reshpja è marcito in carcere, perché aveva osato urlare
ad alcuni giovani della città di Lezha queste parole: «Voi siete poeti
e non dovete leggere le opere del dittatore e nemmeno quelle del figlioccio
del Babbo, che è solo un poeta di corte». E i poeti di Lezha divennero
immediatamente poeti, facendolo imprigionare per ben 17 anni!
È per questo che il mio carcere è l’esilio, amici miei.
.
Uscito di prigione, gli stessi poeti (ex-comunisti, oggi militanti di destra)
o “crocifissero“, perché simpatizzante di sinistra. Lui, che non aveva mai
avuto una tessera di partito. Morì amareggiato, solo, in povertà.
I suoi testi sono stati strappati dalle antologie ufficiali
per ordine del partito e mai inseriti nei libri di scuola.
È per questo che i miei peccati li confesso solo all’esilio, amici miei.
.
«Non so se mi è rimasto qualcosa che mi può far gioire in questo mondo.
Ciò che ho amato, l’ho perduto. È per questo che scrivo». Furono le parole
drammatiche del poeta alla sua uscita dal carcere nel ‘92. Oggi, i suoi
ex-carcerieri si riuniscono a Tirana per celebrarlo! Sono gli stessi
che fucilarono i poeti A.Harapi, L. Shantoja, D. N. Zadeja, T. Xhargjika,
Xh. Koprëncka, B. Çela…
È per questo che la mia gioia e il mio dramma sono l’esilio, amici miei.
.
Pieno di debiti morì anche lo scrittore F. Konica, a Boston. Fu una delle menti
più brillanti che l’Albania abbia mai avuto. Tutta la sua vita è stata dedicata
agli ideali politici della patria e dell’identità nazionale. Konica venne
seppellito con l’aiuto degli albanesi di Ëirton e della Virginia.
Mentre i suoi debiti vennero pagati dalla Federazione Albanese d’America.
È per questo che sono in debito con l’esilio, amici miei.
.
Ti ho sognato ieri sera, Konica. Sei venuto a trovarmi in Ciociaria.
Abbiamo bevuto insieme un bicchiere di vino sardo, parlando a lungo.
Eri molto preoccupato per i tuoi debiti e per le spese di sepoltura.
Ti ho rassicurato e ti ho dato la mia besa, rassicurandoti che avrei pensato
a tutto io, aggiungendoli ai miei debiti.
È per questo che ospito le anime dei martiri in esilio, amici miei.
.
Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Ma la mafia politica e letteraria comunista chiama il figlioccio del Babbo,
genio, Zio. E lo propone al mondo come un simbolo della nuova letteratura
albanese. Apriti cielo! Diventerà mai l’Albania un paese normale?
Diventeranno mai gli albanesi un popolo civile? Diverranno mai,
i poeti di Tirana, poeti normali?!
È per questo che porgo la mano dall’esilio, amici miei.
.
Non sono per tagliare le teste, ma tutti coloro che hanno goduto dei privilegi
della dittatura e l’hanno inneggiata, non hanno il diritto morale
di condannare il comunismo e i suoi crimini, dopo il suo crollo.
Non hanno il diritto morale e civile di spacciarsi come difensori dei diritti
umani, dopo una mattanza, che loro stessi non hanno mai denunciato
e condannato fino ad oggi.
È per questo che non mi innamoro dell’esilio, amici miei.
.
Non sono per negare del tutto la storia della letteratura albanese
e bruciare libri al rogo, sarebbe ingiusto. Come invece fanno alcuni
miei connazionali, quando intervengono nei convegni all’estero.
Anzi, sono per analizzare la storia della letteratura del mio paese
nel male e nel bene, e storicizzarla. Perché ha dominato la vita culturale
e spirituale di una nazione per mezzo secolo.
È per questo che tollero l’esilio, amici miei.
.
Non sono per condannare poeti e scrittori, ma i colpevoli devono chiedere
almeno perdono per le sofferenze inflitte al proprio popolo e ai loro colleghi,
affinché i giovani ne prendano atto. Papa Ëojtila chiese mea culpa per coloro
che misero al rogo Giordano Bruno e Giovanna D’Arco e per tutti i dolori
e le ferite che la chiesa ha causato agli uomini migliaia di anni fa.
È per questo che non perdo la memoria in esilio, amici miei.
.
Altrimenti la devono smettere di manipolare il consenso della povera gente
e dei poveri lettori (imprigionati nelle stalle del realismo socialista),
affascinati dai loro letterati tiranni. Un solo suggerimento a quest’ultimi:
“Entrate nel silenzio e non provocateci più, lasciateci lavorare e creare.
Nella Storia si entra solo una volta e voi avete perso una grande occasione!”
È per questo che vivo il futuro dell’esilio, amici miei.
.
[…]
.
Gezim  Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell'artista Marica Bisacchi

Gezim Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell’artista Marica Bisacchi

A Tirana non c’è libertà di parola. Il mensile controcorrente Ars è stato messo
a tacere per ordine del Ministero della Cultura, con il volere dei figliocci
del Babbo. I giornali di Tirana, che non sono allineati con il potere,
non percepiscono fondi governativi e i loro direttori sono stati minacciati
di morte, come I. Jubica e B. Kraja.
È per questo che rovino me stesso in esilio, amici miei.
.
[…]
.
Ahimè, la mia Albania! Che brutto destino l’aspetta. Tremendi scenari
si giocano sul palcoscenico del suo corpo martoriato. Il mio paese è passato
da una guerra civile a una divisione tra nord e sud. Solo un governo di unità
nazionale potrebbe salvarlo! L’unico futuro per questa azione è guardare
alla Unione Europea
È per questo che annuncio dall’esilio, amici miei
.
[…]
.
Che tragedia che si è abbattuta sul mio popolo, Geremia!
Come potevo immaginare che avrei vissuto la stessa tragicità del tuo destino!
Beffardo il mio destino, dover trascorre i miei giorni in esilio,
chiuso nella stanza sgombra.
È per questo che conto le piogge dell’esilio, amici miei.
.
Preparate la gogna, innalzate la forca sul patibolo, accendete il rogo, lapidatemi.
Sono pronto ad affrontare il linciaggio. Sono nelle vostre mani.
La legge è dalla vostra parte. Carcerieri, aprite la porta della mia cella!
Inquisitori, processatemi! È per questo che l’esilio non mi assolve, amici miei.

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Gezim  Hajdari con la sua compagna Iris Hajdari, Marsiglia 2012

Gezim Hajdari con la sua compagna Iris Hajdari, Marsiglia 2012

Gëzim Hajdari, è nato nel 1957, ad Hajdaraj (Lushnje), Albania, in una famiglia di ex proprietari terrieri, i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Nel paese natale ha terminato le elementari, mentre ha frequentato le medie, il ginnasio e l’istituto superiore per ragionieri nella città di Lushnje. Si è laureato in Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani” di Elbasan e in Lettere Moderne a “La Sapienza” di Roma.
In Albania ha svolto vari mestieri lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio in una azienda per la bonifica dei terreni, due anni come militare con gli ex-detenuti, insegnante di letteratura alle superiori dopo il crollo del regime comunista; mentre in Italia ha lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Attualmente vive di conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia la sua opera.
Nell’inverno del 1991, Hajdari è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. È cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës, nel quale svolge la funzione di vice direttore. Allo stesso tempo scrive sul quotidiano nazionale Republika. Più tardi, nelle elezioni politiche del 1992, si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA.
Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, gli abusi, la corruzione e le speculazioni della vecchia nomenclatura di Hoxha e della più recente fase post-comunista. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese.
La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in albanese e in italiano. Ha tradotto vari autori. La sua poesia è stata tradotta in diverse lingue. È stato invitato a presentare la sua opera in vari paesi del mondo ma non in Albania, dove il suo contributo letterario viene ignorato volutamente dalla cultura di potere. È presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale e cittadino onorario per meriti letterari della città di Frosinone. È considerato uno dei maggiori poeti contemporanei.
Dirige la collana di poesia “Erranze” per l’editore Ensemble di Roma. È presidente onorarario della rivista internazionale on line “Patria Letteratura” (Roma), nonché membro del comitato internazionale della Revue électronique “Notos” dell’Université Paul-Valery, Montpellier 3. Ha vinto numerosi premi letterari. Dal 1992, vive come esule in Italia.
Opere
Opere pubblicate in Albania
  • Antologia e shiut, “Naim Frashëri”, Tirana 1990;
  • Trup i pranishëm / Corpo presente, I edizione “Botimet Dritëro”, Tirana 1999 (in bilingue, con testo italiano a fronte).
  • Gjëmë: Genocidi i poezisë shqipe, “Mësonjëtorja”, Tirana 2010
 
Opere in bilingue pubblicate in Italia
  • Ombra di cane/ Hije qeni, Dismisuratesti, Frosinone 1993
  • Sassi controvento/ Gurë kundërerës, Laboratorio delle Arti,Milano 1995
  • Antologia della pioggia/ Antologjia e shiut, Fara, Rimini 2000
  • Erbamara/ Barihidhët, Fara, Rimini 2001
  • Erbamara/ Barihidhët, (arricchita con nuovi testi rispetto alla prima edizione). Cosmo Iannone Editore Isernia 2013
  • Stigmate/ Vragë, Besa, 2002. II edizione Besa, Lecce 2007, III° edizione, Besa 2016
  • Spine Nere/ Gjëmba të zinj, Besa, 2004. II edizione Besa, Lecce 2006
  • Maldiluna/ Dhimbjehëne,Besa, 2005. II edizione Besa, Lecce 2007
  • Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, Fara, Lecce 2005,
  • Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, II edizione arricchita e ampliata, Fara, 2007
  • Puligòrga/ Peligorga, Besa, Lecce 2007
  • Poesie scelte 1990 – 2007, EdizioniControluce, Lecce 2008
  • Poesie scelte 1990-2007, II edizione (arricchita con nuovi testi). EdizioniControluce, Lecce 2014
  • Poezi të zgjedhura 1990 – 2007 (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, Lecce 2008
  • Corpo presente/ Trup i pranishëm, Besa, Lecce 2011
  • Eresia e besa/ Nur. Herezia dhe besa, Edizioni Ensemble, Roma 2012
  • I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa, Lecce 2012
  • Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa, Lecce 2013
  • Delta del tuo fiume / Grykë e lumit tënd. Edizioni Ensemble, Roma 2015
  • Poesie scelte 1990 – 2015, Edizioni Controluce, Lecce 2015
 
Libri reportage di viaggio
  • San Pedro Cutud. Viaggio nell’inferno del tropico, Fara, Rimini 2004
  • Muzungu, Diario in nero, Besa, Lecce 2006
 
Monografie sull’opera di Hajdari
  • Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari, a cura di Andrea Gazzoni. Cosmo Iannone Editore, Isernia 2010.
  • La besa violata. Eresia e vivificazione nell’opera di Gëzim Hajdari – di Alessandra Mattei. Edizioni Ensemble, Roma 2014
  • In balia delle dimore ignote. La poesia di Gëzim Hajdari – di Sara Di Gianvito. Besa, 2015
 
Traduzioni
Ha tradotto in albanese:
  • L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tirana (Albania), 1999.
  • Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte). Edizioni Empiria, Roma 2000.
  • L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa, Lecce 2004.
Ha tradotto in italiano:
  • I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa, Lecce 2012.
  • Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble, Roma 2012
  • Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa, Lecce 2013
  • Poesie scelte / Poezi të zgjedhura (con testo albanese a fronte) di Faslli Haliti. EdiLet, Roma 2015
 
È co-curatore in italiano
  • dell’antologia I canti della vita(con testo arabo a fronte) del maggior poeta tunisino del Novecento, Abū’l-Qāsim Ash-Shābb, Di Girolamo Editore, Trapani 2008.
  • È co – curatore, insieme ad Andrea Gazzoni, dell’antologia Dove le parole non si spezzano(con testo originale a fronte) di Gémino H. Abad (Edizioni Ensemble, 2015. È la prima pubblicazione in italiano delle poesie di Gémino H. Abad)

 

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Roma, 12 giugno ore 17.30 sede della FUIS p.za Augusto Imperatore, 4 Presentazione del libro di poesia del poeta albanese Faslli Haliti – Interventi di Gëzim Hajdari, Giorgio Linguaglossa e Marco Onofrio sarà presente l’autore – POESIE SCELTE di Faslli Haliti  Cura e traduzione di Gëzim Hajdari da Poesie scelte (1969-2004) EdiLet pp. 150 € 16 (Parte II)

Faslli Haliti copertinaRoma, 12 giugno ore 17.30 sede della FUIS p.za Augusto Imperatore, 4 Presentazione del libro di poesia del poeta albanese Faslli Haliti – Interventi di Gëzim Hajdari, Giorgio Linguaglossa e Marco Onofrio sarà presente l’autore

Presentazione di Gëzim Hajdari

Il poeta albanese Faslli Haliti credeva come Majakovskij ed Esenin in un socialismo dal volto umano. I due poeti della Russia sovietica hanno cantato e sublimato con grande fervore, seppur per breve tempo, la rivoluzione bolscevica e il compagno Lenin. Sulle orme di Majakovskij e di Esenin iniziò il suo cammino poetico anche il giovane poeta albanese di Lushnje. Erano gli anni ’60 quando Haliti scriveva: «Per voi, Partito ed Enver Hoxha[1], noi dormiamo anche sul ghiaccio / per voi noi ci copriamo con lenzuola di neve». Il poeta di Lushnje ha amato molto nella sua gioventù i cantori della madre Russia e, dopo la tragica fine del comunismo nella sua Albania, Haliti diede la ‘colpa’ proprio ai suoi maestri sovietici perché aveva creduto ciecamente in loro. Così come Majakovskij ed Esenin, anche il poeta Haliti, pur in una dimensione assai diversa, rimase ‘vittima’ dell’utopia marxista, che fece decina di migliaia di morti in Albania seminando in tutto il Paese terrore, morti, sangue e distruzione di massa.

Faslli esordisce nel panorama poetico albanese alla fine degli anni ’60. Proprio nel 1969 venne pubblicata la sua prima raccolta, Sot (Oggi). I suoi versi portano un nuovo respiro poetico nel panorama del realismo socialista, l’originalità, la sobrietà del pensiero, nonché un forte senso critico nei confronti della burocrazia del regime. Il suo linguaggio è lapidario e tagliente. L’intensità del verbo e la particolarità dello stile, fecero attirare l’attenzione dei lettori e della critica ufficiale. Questa silloge vinse il secondo premio nazionale per la poesia. Haliti è di origine contadina, e come tale, portava nei suoi testi la musicalità della campagna, le voci della vita e l’angoscia del vivere quotidiano. Profumi campestri, stagioni, colori, simboli e figure mitologiche percorrono la geografia del suo io poetico, come sfida alla retorica della cultura ufficiale del regime. Fermezza e ribellione convivono nel suo messaggio poetico.

Alcuni suoi testi furono dei veri e propri «manifesti» che colpivano senza pietà il cuore della burocrazia del regime comunista. Si può dire che la parte più interessante della sua produzione, come per la maggior parte dei poeti del blocco sovietico, rimane quella scritta sotto la dittatura comunista, e non è un caso. Basterebbe Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola) per capire la forza dei versi e l’impatto che questo testo ebbe sui lettori negli anni ’70. Questi i versi: «Lui aspetta che tiri vento / Non per vedere gli alberi spogli / Non per veder cadere le foglie gialle / Ma per far alzare il lembo della giacca / E far vedere la pistola nella cintola. / Lui aspetta che venga la primavera / Non per mietere e falciare / Ma per togliere la giacca / E far vedere sotto la giacca / La pistola[2]». Questo testo è stato giudicato sovversivo e revisionista, e aspramente criticato durante il IV° famigerato plenum del PCA, nel ’73. Che condannò in prigione decine di intellettuali e scrittori accusandoli di essere influenzati dall’arte borghese dell’Occidente.

Faslli Haliti

Faslli Haliti

Erano gli anni in cui la critica ufficiale insisteva perché nell’arte si rispecchiassero ancora maggiormente gli insegnamenti e le idee del Partito; gli anni della pianificazione della nuova estetica di Stato e dell’affermazione dell’uomo nuovo del socialismo, plasmato dal partito e forgiato sotto l’incudine della classe operaia e contadina; “l’uomo muscoloso e stakanovista” che vigila, giorno e notte, per difendere le vittorie e la patria dai nemici. Nelle opere letterarie, i temi esistenziali e metafisici, come per esempio il sentimento di oppressione e di incertezza quotidiana, erano proibiti. Persino le parole ‘amore’, ‘morte’, ‘buio’, ‘freddo’, ‘angoscia’ venivano considerate pericolose. Coloro che osarono rompere col ‘pesante silenzio’, che aveva cancellato memoria e sogni di libertà, lo pagarono a caro prezzo. Il valore di un’opera si misurava rispetto alla sua forza nel servire il partito, le masse e il socialismo reale. Lo slogan del “realismo socialista” era: «Il poeta dev’essere l’occhio, l’orecchio e la voce della classe», motto che proveniva ovviamente dalla letteratura madre dell’Unione Sovietica.

Il terrore continuo e sistematico del regime nei confronti degli uomini di cultura soffocò gli spazi e l’energia della Parola. Sul palcoscenico insanguinato della poesia albanese si recitava la più fosca tragedia del tempo. Di fronte a questa tragedia umana, a questa oppressione costante, per sopravvivere spiritualmente e artisticamente i poeti rivolsero lo sguardo alle tradizioni e alla poesia del passato. Così la linfa della loro ispirazione diventò la tradizione orale e l’epica. Per sfuggire alla censura, Haliti si rivolge al mito e all’allegoria per esprimersi. La sua parola affonda le radici nel mito classico greco-latino per rileggere la realtà; la sua poesia divenne quasi un gioco fiabesco, in cui s’intrecciano il reale con il surreale. Ma i censori del regime vigilano, non si fanno sorprendere per fermare in tempo il poeta ribelle.

La macchina inquisitoria di Hoxha praticava mille forme diverse di repressione per stritolare i “nemici della nazione” e del comunismo. All’occhio vigile dei guardiani del regime nulla poteva sfuggire. Decine di poeti e scrittori vennero allontanati, mandati nelle periferie o nelle campagne per la rieducazione ideologica. Certi furono imprigionati e i loro libri messi al bando. L’elenco dei poeti perseguitati dal regime è lungo e tragico. Le milizie di Enver Hoxha controllavano ogni angolo della vita culturale del Paese. Per il dittatore, lo scrittore era semplicemente uno strumento nelle mani del partito per l’educazione comunista del popolo, il braccio destro del potere: per questo si affermava che, in Albania, la letteratura era nata nel 1941 con la fondazione del Partito Comunista. Il marxismo divenne l’unico principio estetico della poesia e dell’arte.

Faslli Haliti

Faslli Haliti

Al poeta Haliti venne tolto il diritto di pubblicare per 15 anni consecutivi: fu mandato in campagna per essere «rieducato», in quanto persona indesiderata dal Partito. Per diversi anni, pur essendo professore di italiano e di francese, lavora dietro il carro trainato dai buoi nella cooperativa agricola di Stato, a Fiershegan, provincia di Lushnje. Nessuno degli operai e dei contadini poteva rivolgergli la parola, perché egli era considerato dal Partito un “reazionario”.

Il pretesto per colpire il poeta di Lushnje fu il poema Dielli dhe rrëkerat (Il sole e i ruscelli), pubblicato per la prima volta il 16 dicembre 1972 nel settimanale «Zëri i rinisë» (La Voce della gioventù). La sua apparizione nella rivista suscitò scalpore e indignazione tra gli alti dirigenti del PCA. Costoro organizzarono riunioni e dibattiti pubblici in cui sia il poema che l’autore vennero aspramente criticati. Secondo la censura, “Il sole e i ruscelli” era frutto di una confusione ideologica e politica del poeta che travisava la realtà socialista e il ruolo del Partito, minandone così l’unità con il proprio popolo. I primi versi del poema «Mentre il tetto della mia patria è celeste, ottimista. / Il tetto della mia casa è quello di una stamberga», divennero un pretesto per attaccare e denunciare l’autore. Haliti aveva osato troppo. Con un coraggio inaudito invita il popolo a spezzare “i denti alla burocrazia”. Cito: «Ordine / con il pugno della classe operaia / spezzate i denti / ai compagni. / Per spezzarli ci vogliono pietre / che non abbiamo[3]». I comunisti lo accusano di essere un poeta ribelle e anarchico, mentre i critici di Stato accostano i suoi testi a quelli dell’arte malata e decadente dell’Occidente. Haliti diventa un caso nazionale. Nel Paese si organizzano riunioni per denunciare il poema. I membri della Lega degli Scrittori si dividono in due: quelli che ammirano i versi del poeta e quelli che li disapprovano. Un gruppo di alunni del liceo della sua città natale, Lushnje, pubblica un articolo di denuncia sul giornale «Shkëndija» (La scintilla)[4], organo del PCA. Gli unici studenti che difesero con coraggio “Il sole e i ruscelli” furono Fatbardh Rustemi, Bujar Xhaferri e Tahsin Xh. Demiraj. Tahsin, dal ‘74 all’89, fu regista presso il teatro della città di Lushnje, ma venne licenziato su ordine del Partito. Per 15 anni lavorò in un’azienda di Durazzo che produceva materiali plastici. In una lettera Rustemi si rivolse a Enver Hoxha per protestare contro la condanna del poeta Haliti; Xhaferri, per difendere il suo poema, rischiò l’espulsione dal ginnasio. Per attaccare il poeta trentaseienne di Lushnje si mobilitarono anche le forze dell’ordine pubblico: il questore della città Zija Koçiu pubblicò un articolo sul giornale del partito del dittatore, «Zëri i Popullit» (La voce del popolo), in cui denunciava “l’opera reazionaria” del suo concittadino[5].

L’eco di questa vicenda si diffuse in tutto il Paese. Piovvero critiche e denunce da varie città. Della vicenda si parlò anche al di fuori dell’Albania. A Parigi, nel 1974, il trimestrale albanese «Koha jonë» (Il nostro tempo) riportò il poema “Il sole e i ruscelli” e, nello stesso tempo, condannò la campagna denigratoria del PCA verso il poeta Haliti. Un anno più tardi, a Roma, Ernest Koliqi, nella  rivista che curava, «Shenjzat» (Le Pleiadi), conferma che «la voce di Haliti è stata soffocata dal Partito».

Manifestazione a Tirana

Manifestazione a Tirana

Nonostante tutto questo, il poeta ribelle di Lushnje non smette di scrivere. Con lo stesso coraggio pubblica altri testi contro la burocrazia, e altrettanto feroci: Djali i sekretarit (Il figlio del segretario), Unë dhe burokracia (Io e la burocrazia), Edipi (Edipo), e altri ancora. I testi di Haliti diventano oggetto di discussione persino nell’Olimpo del partito. Nel ‘73 Fiqrete Shehu, moglie del Premier Mehmet Shehu, critica la poesia Vetëshërbim (Fai da te) definendola «una poesia che non ha nulla a che vedere con l’arte rivoluzionaria»[6]. Un anno dopo, nella rivista «Rruga e Partisë» («Il percorso del Partito»), ella si esprime contro la poesia Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola)[7]. Negli anni seguenti l’opera di Haliti verrà sempre censurata. Il Partito gli toglierà il diritto di pubblicare e lo spedirà a lavorare nei campi. Nel 1985, dopo 15 anni di silenzio forzato, egli riappare sulla scena culturale con la raccolta Mesazhe fushe (Messaggi di campagna). La lunga condanna al silenzio ha fatto pesare molto sul suo futuro e sul destino della sua poesia. La presentazione del nuovo libro avviene nel teatro della città. Doveva essere una festa, per il poeta, invece fu ancora una volta un processo vero e proprio. Rammento come oggi quel pomeriggio. Alla presentazione partecipava il segretario del Partito Comunista, Rudi Monari, il quale, insieme allo ”pseudo-poeta” M. Nezha, mise alla berlina il poeta e il suo nuovo libro. I testi che abbiamo scelto per il lettore italiano in questa antologia raccolgono il meglio del poeta, che va dal primo libro Sot (Oggi) 1969, fino alla raccolta Iku (Se n’è andato) 2004. La scelta di proporre questo poeta al lettore italiano, non è casuale ma fa parte di una missione culturale ben precisa, quella di costruire la memoria storica e culturale della mia Albania, come parte integrante della memoria della cultura europea. Faslli Haliti e Besnik Mustafaj (Leggenda della mia nascita, Edizioni Ensemble 2012, cura e traduzione dal sottoscritto), fanno parte di quei poeti che, pur vivendo e scrivendo sotto il canone del realismo socialista, sono riusciti a creare valori letterari di portata internazionale, che resistettero anche dopo il crollo la dittatura di Enver Hoxha, uno dei regimi sanguinari più spietati dell’Europa del secolo scorso.

(Gëzim Hajdari )

[1] Enver Hoxha (1908-1985): il dittatore comunista
[2] In «Nëntori 4», pp. 154-159, Tiranë 1972.
[3] Idem.
[4] In «Shkëndija», Lushnje, 25.1.1973.
[5] In «Zëri i popullit», Tiranë, 2. 8. 973.
[6] In «Zëri i popullit», Tiranë, 26. 7. 1973.
[7] In« Revista Rruga e Partisë», Nr. 3. p. 41. Tiranë 1974.

Faslli Haliti con Gezim Hajdari

Faslli Haliti con Gezim Hajdari

NELL’INFANZIA

Quando scorgevo l’allodola tra gli artigli del falco,
che terrore,
che orrore!
Al posto del suo canto primaverile
sentivo i suoi pianti tragici in primavera.

Il mio desiderio era
di spezzare ali di falchi crudelmente
nell’infanzia,
senza ascoltare il consiglio dello zio Hugo:
«Chi guarisce l’ala del falco
è responsabile dei suoi artigli…»

Che terrore!
Che orrore!
Sentire i pianti tragici delle allodole
e non spezzare le ali al falco!

NË FËMIJËRI

Kur shihja laureshën në kthetrat e skifterit,
E lemerisshme,
Tmerr.
Në vend të këngës së saj pranverore
Dëgjoja të qarat e saj tragjike në pranverë.

Dëshira ime është:
Të thyeja krahë skifterësh egërsisht.
Në fëmijëri,
Pa e ditur këshillën e xha Hygoit:
«Kush shëron krahun e skifterit
Përgjigjet për kthetrat e tij…»

Ǒlemeri,
Ǒtmerr,
Të dëgjoje të qarat tragjike të zogjve,
Dhe mos të t‘i thyeja krahët ty, skifter!

QUANDO ERA FANCIULLA

Quando era fanciulla
mia madre partecipava con affetto ai fidanzamenti
e chiedeva alle amiche:
chi è intervenuto a quel fidanzamento?
Chi si è fidanzato?
Chi si è sposato ?

Quando è divenuta sposa,
mia madre partecipava con affetto alle nascite
e chiedeva alle amiche:
Chi ha partorito?
Com’è andato il parto?

Ora
in vecchiaia, partecipa alle morti
legge le necrologie
e chiede:
Chi è morto?
Quanti anni aveva…?

(1972)

KUR ISHTE VAJZË

Kur ishte vajzë
Nëna ime interesohej për fejesat,
Pyeste shoq let fshehtas:
Kush ishte në fejesë,
Kush u fejua,
Kush u martua.

Kur u bë nuse,
Kur u martua,
Nëna ime interesohej për lindjet,
Pyeste shoqet rregullisht:
Kush ishte në lindje,
Si ishte lindja,
E vështirë ish?

Tashti
Në pleqëri,
Nëna ime interesohet për vdekjet,
Shikon nëpër shtylla lajmërime vdekjesh,
Pyet
(Sidomos fëmijët)
Biro,
Kush ka vdekur,
Ishte i madh ai qyq
Kur vdiq…?

(1972)

Faslli Haliti

Faslli Haliti

NOTTE DI MAGGIO

La luna come anello nelle mani della notte,
i neon abbagliano con luce di neve.
Noi parliamo sotto una mimosa bionda
come in una luna terrena.

Accanto a noi passano due lucciole
che sembrano fiammiferi.
E si perdono nel buio della notte
gioiose del nostro amore.

(1984)

NATË MAJI

Hëna varet si vath në veshin e natës,
Neonët ndriçojnë me dritë dëbore,
Ne bisedojmë nën një mimoze bjonde
Si nën një hënë tokësore

Pranë nesh kalojnë dy xixëllonja
Dy buqeta dritash na dhuron
Dhe ikën nëpër natë e gëzuar,
E gëzuar nga dashuria jonë.

(1984)

RICORDO CON NOSTALGIA

Ricordo con nostalgia il primo viaggio a Tirana,
era il 1946,
nella capitale sono andato scalzo
e ho dormito all’aperto.

Ricordo il mio gesto
che non ha disonorato
né me, né la città.

Non c’era un motivo preciso,
sono andato solo per vedere la capitale.

Ero piccolo,
avevo dieci anni
nel 1946.

A Tirana sono andato scalzo
e ho dormito all’aperto.
Sogno ancora quel gesto infantile.
E mi commuove la povertà di allora.

(1988)

NJË KUJTIM I PËRMALLSHËM

Unë kam lënë nam dikur në Tiranë.
Ishte viti 1946.
Së pari,
Në kryeqytet vajta zbathur,

Së dyti,
Fjeta jashtë.
Asnjë nam s’kam lënë në të vërtetë në Tiranë.

E kujtoj fare mirë tani,
As mua,
As Tiranën
Nuk e turpëronte ajo zbathëri.

Asnjë punë nuk kisha në Tiranë.
Shkova vetëm për të parë kryeqytetin.

Isha i vogël
Dhjetë vjeç
Në vitin
1946.

Në Tiranë shkova zbathur dhe fjeta jashtë
Ajo zbathëri
Më shfaqet në ëndërr,
Më “turpëron” dhe tani.

(1988)

IL PANE

Mia madre sfornava il pane
e lo riponeva nella madia;
il volto del pane era madido di sudore
come la fronte di mio padre quando lavorava.

Il calore del pane evaporava
il pane era giallo,
la fragranza c’inondava,
io ne volevo rubare un pezzo
mia madre mi fermava dicendomi:
«No,
perché il profumo del pane
non è arrivato in campagna…»

Noi bambini credevamo vera
la fiaba del profumo del pane,
che doveva arrivare in campagna
stranamente,
anche se eravamo affamati
ci fermava la mano come magia.

Con la scusa che il pane doveva raffreddarsi,
mia madre ci ingannava
e con la fiaba
il pane risparmiava.

BUKA

Nxirrej buka nga tepsia,
Vendosej përmbys mbi hambar
Faqja e bukës me pika djerse
Si balli i babait në arë.

Avullim buke.
Bukë e verdhë.
Avuj të bardhë.
Unë shkoja të thyeja një copë.
Zëri i nënës:
“Mos…
Prit të shkojë avulli në arë njëherë
Në arën e Sheqit të sosë…”

Përrallën e avullit të bukës
Që duhej të shkonte patjetër në arë,
Ne e besonim si të vërtetë.
Kjo përrallë
Për çudi
Edhe pse të uritur
Na e ndalte dorën si për magji.

Që të ftohej buka
Nëna na gënjente
Duke na gënjyer me përrallën e avullit
Bukën e shkreta
Kursente

Manifestazione a Tirana, 1990

Manifestazione a Tirana, 1990

ARRIVEDERCI

La direzione:
A sinistra!
Io
dritto.

La direzione:
A destra!
Io
dritto, avanti.

L’ordine:
Dietrofront!

Io
sempre avanti.

Arrivederci miei capitani!

(1994)

LAMTUMIRË

Drejtimi;
Majtas!
Unë
Drejtë.

Drejtimi.
Djathtas!
Unë,
drejtë përpara.

Urdhëri:
Prapakthehu!

Unë
Përpara, përsëri

Lamtumirë kapedanët e mi!

(1994)

LETTERA
a Majakovskij
ed Esenin

Caro Majakovskij,
caro Esenin,
siete stati voi
a farmi entrare nel cuore come genio,
come vero,
come umano,
il compagno Lenin.
Lenin
è diventato un criminale,
un terrorista, un farabutto,
dite qualcosa:
perché tacete?
sto chiedendo:
datemi una risposta,
è stato umano Lenin
o un genio criminale?
uno psicopatico,
un pazzo,
un farabutto?
Voi l’avete guardato negli occhi,
e forse l’avete incontrato,
dandogli la mano,
gli avete parlato
e Lui vi ha ascoltato.
Forse avete parlato del comunismo con Lui:
avete discusso, polemizzato.
Parlami apertamente
Majakovskij,
come sai parlare tu.

LETËR

Majakovskit
dhe Eseninit

I dashur Majakovski,
I dashur Esenin,
Ju ma futët në zemër
Si gjeni,
Si tokësor,
Si human,
Si njerzor, shokun Lenin …
Lenini
Doli kriminel,
Terrorist, horr, venerian.
Flisni:
Pse heshtni,
Ju pyes,
Përgjigjmuni,
Lenini ka qenë njerëzor:
Apo ka qenë kriminel gjeni,
Psikopat
I çmendur
Horr…?ju e keni parë Leninin me sy.
Mbase jeni takuar me të.
I keni dhënë dorën,
Keni biseduar
Ju ka dëgjuar,
E keni dëgjuar:
Mbase keni folur për komunizmin me të:
Mbase keni debatuar, polemizuar…
Folmë
Hapur
Majakovski,
Fare hapur,
Siç di të flasësh ti.

Tirana square

Tirana square

ROVESCIO

Dio
si adirò,
e decise di cambiare il mondo

trasformò il cielo
in mare,

gli uccelli nuotarono nel mare,
i pesci
volarono nei cieli.

Le stelle divennero fiori
e i fiori stelle,

i fiori emanarono luce,
le stelle diffusero profumo.

Il sole diventò
l’occhio di Polifemo
e l’occhio di Polifemo sole,

Ulisse accecò il sole con il tronco infuocato,
mentre l’occhio del Gigante ancora brilla e brucia.

Gli uccelli divennero
aerei
e gli aerei uccelli,

gli uccelli lanciarono bombe,
gli aerei sterchi,

gli animali divennero
uomini
e gli uomini animali.

MBRASHT

Zoti
U mërzit,
Vendosi ta rikrijojë botën sërish

Qielli e bëri det
Detin qiell

Zogjtë notojnë në det
Peshqit
Fluturojnë në qiell

Yjet i bëri lule
Lulet yje

Lulet rrezatojnë dritë
Yjet përhapin aromë

Diellin
E bëri sy Polifemi
Syrin e Polifemit, diell

Diellin e verboi Odisea me urën zjarrit
Syri i Polifemit ndriçon edhe djeg

Shpendët
I bëri avionë
Avionët shpendë

Shpendët hedhin bomba
Avionët lëshojnë glasa

Kafshët
I bëri njerëz
Njerëzit kafshë.

 Gëzim Hajdari, è il massimo poeta albanese vivente e uno dei maggiori poeti contemporanei. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Ha scritto anche libri di viaggio e saggi, inoltre ha tradotto in albanese e in italiano vari autori. E’ vincitore di numerosi premi letterari. E’ presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale.

Le sue recenti pubblicazioni sono: I canti dei nizam, Besa 2012; Nur. Eresia e besa, Ensemble, 2012; Evviva il canto del villaggio comunista, Besa, 2013; Poesie scelte, Controluce, 2014 e Delta del tuo fiume, Ensemble, 2015.

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UN POEMETTO di Gëzim Hajdari “Custode della mia uva” tratto da Delta del tuo fiume (Ensemble, 2015)  con un Commento di Giorgio Linguaglossa

da sx Gezim Hajdari Marco Onofrio Giorgio Linguaglossa Roma presentazione del libro

da sx Gezim Hajdari Marco Onofrio Giorgio Linguaglossa Roma presentazione del libro “Delta del tuo fiume” Biblioteca Rispoli 2015

 Gëzim Hajdari, è nato nel 1957, ad Hajdaraj (Lushnje), Albania, in una famiglia di ex proprietari terrieri, i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Nel paese natale ha terminato le elementari, mentre ha frequentato le medie, il ginnasio e l’istituto superiore per ragionieri nella città di Lushnje. Si è laureato in Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani” di Elbasan e in Lettere Moderne a “La Sapienza” di Roma.

In Albania ha svolto vari mestieri lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio di bonifica, due anni come militare con gli ex-detenuti, insegnante di letteratura alle superiori dopo il crollo del regime comunista; mentre in Italia ha lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Attualmente vive di conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia la sua opera.

Nell’inverno del 1991, Hajdari è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. È cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës, nel quale svolge la funzione di vice direttore. Allo stesso tempo scrive sul quotidiano nazionale Republika. Più tardi, nelle elezioni politiche del 1992, si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA.

Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, gli abusi, la corruzione e le speculazioni della vecchia nomenclatura di Hoxha e della più recente fase post-comunista. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese.

La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in albanese e in italiano. Ha tradotto vari autori. La sua poesia è stata tradotta in diverse lingue. È stato invitato a presentare la sua opera in vari paesi del mondo, ma non in Albania. Anzi, la sua opera, è stata ignorata cinicamente dalla mafia politica e culturale di Tirana.

È presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale e cittadino onorario per meriti letterari della città di Frosinone. Dirige la collana di poesia “Erranze” per l’editore Ensemble di Roma. È presidente onorario della rivista internazionale on line “Patria Letteratura” (Roma), nonché membro del comitato internazionale della Revue électronique “Notos” dell’Université Paul-Valery, Montpellier 3. Considerato tra i maggiori poeti viventi, ha vinto numerosi premi letterari. Dal 1992, vive come esule in Italia.

gezim-hajdari-nel-suo-studio-2006.

gezim-hajdari-nel-suo-studio-2006.

Ha pubblicato in Albania: Antologia e shiut, “Naim Frashëri”, Tirana 1990;Trup i pranishëm / Corpo presente, I edizione “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999 (in bilingue, con testo italiano a fronte). Gjëmë: Genocidi i poezisë shqipe, “Mësonjëtorja”, Tirana 2010. Ha pubblicato in Italia in bilingue: Ombra di cane/ Hije qeni, Dismisuratesti 1993; Sassi controvento/ Gurë kundërerës, Laboratorio delle Arti,1995; Antologia della pioggia/ Antologjia e shiut, Fara, 2000; Erbamara/ Barihidhët, Fara, 2001; Erbamara/ Barihidhët, (arricchita con nuovi testi rispetto alla prima edizione). Cosmo Iannone Editore 2013; Stigmate/ Vragë, Besa, 2002. II edizione Besa 2007; Spine Nere/ Gjëmba të zinj, Besa, 2004. II edizione Besa 2006; Maldiluna/ Dhimbjehëne, Besa, 2005. II edizione Besa 2007; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, Fara, 2005; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, II edizione arricchita e ampliata, Fara 2007; Puligòrga/ Peligorga, Besa, 2007; Poesie scelte 1990 – 2007, EdizioniControluce 2008; Poesie scelte 1990-2007, II edizione (arricchita con nuovi testi). EdizioniControluce 2014; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007 (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2008; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007, II edizione (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2014; Corpo presente/ Trup i pranishëm, Besa 2011; Nur. Eresia e besa/ Nur. Herezia dhe besa, Edizioni Ensemble 2012; I canti dei nizam/ Këngët e nizamit (i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012; Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013.

Libri reportage di viaggio: San Pedro Cutud. Viaggio nell’inferno del tropico, Fara, 2004; Muzungu, Diario in nero, Besa, 2006. Libri sull’opera di Hajdari: Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari, a cura di Andrea Gazzoni. Cosmo Iannone Editore 2010. La besa violata. Eresia e vivificazione nell’opera di Gëzim Hajdari, a cura di Alessandra Mattei. Edizioni Ensemble 2014. Ha tradotto in albanese: L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999. Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte, Edizioni Empiria 2000. L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa 2004.

Ha tradotto in italiano: I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012. Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble 2012. Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rrofte kenga e gjelit ne fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013 – È co-curatore in italiano: dell’antologia I canti della vita (con testo arabo a fronte) del maggior poeta tunisino del Novecento, Abū’l-Qāsim Ash-Shābb, Di Girolamo Editore 2008. È curatore e co-traduttore (insieme ad Andrea Gazzoni) dell’antologia Dove le parole non si spezzano (con testo originale a fronte) del poeta più importante delle Filippine, Gémino H. Abad, (Edizioni Ensemble 2014).

da dx Giorgio Linguaglossa Lucia Gaddo Letizia Leone Salvatore Martino e, a sx  Gezim Hajdari Roma presentazione del libro Delta del tuo fiume aprile 2015 Bibl Rispoli

da dx Giorgio Linguaglossa Lucia Gaddo Letizia Leone Salvatore Martino e, a sx Gezim Hajdari, Roma presentazione del libro Delta del tuo fiume aprile 2015 Bibl Rispoli

Ha pubblicato in Italia in edizione bilingue: Ombra di cane/ Hije qeni, Dismisuratesti 1993; Sassi controvento/ Gurë kundërerës, Laboratorio delle Arti,1995; Antologia della pioggia/ Antologjia e shiut, Fara, 2000; Erbamara/ Barihidhët, Fara, 2001; Erbamara/ Barihidhët, (arricchita con nuovi testi rispetto alla prima edizione). Cosmo Iannone Editore 2013; Stigmate/ Vragë, Besa, 2002. II edizione Besa 2007; Spine Nere/ Gjëmba të zinj, Besa, 2004. II edizione Besa 2006; Maldiluna/ Dhimbjehëne, Besa, 2005. II edizione Besa 2007; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, Fara, 2005; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, II edizione arricchita e ampliata, Fara 2007; Puligòrga/ Peligorga, Besa, 2007; Poesie scelte 1990 – 2007, EdizioniControluce 2008; Poesie scelte 1990-2007, II edizione (arricchita con nuovi testi). EdizioniControluce 2014; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007 (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2008; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007, II edizione (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2014; Corpo presente/ Trup i pranishëm, Besa 2011; Nur. Eresia e besa/ Nur. Herezia dhe besa, Edizioni Ensemble 2012; I canti dei nizam/ Këngët e nizamit (i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012; Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013. Libri reportage di viaggio: San Pedro Cutud. Viaggio nell’inferno del tropico, Fara, 2004; Muzungu, Diario in nero, Besa, 2006 – Libri sull’opera di Hajdari: Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari, a cura di Andrea Gazzoni. Cosmo Iannone Editore 2010. La besa violata. Eresia e vivificazione nell’opera di Gëzim Hajdari, a cura di Alessandra Mattei. Edizioni Ensemble 2014

Ha tradotto in albanese: L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999. Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte, Edizioni Empiria 2000. L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa 2004.

Ha tradotto in italiano: I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012. Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble 2012. Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rrofte kenga e gjelit ne fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013 – È co-curatore in italiano: dell’antologia I canti della vita (con testo arabo a fronte) del maggior poeta tunisino del Novecento, Abū’l-Qāsim Ash-Shābb, Di Girolamo Editore 2008. È curatore e co-traduttore (insieme ad Andrea Gazzoni) dell’antologia Dove le parole non si spezzano (con testo originale a fronte) del poeta più importante delle Filippine, Gémino H. Abad, (Edizioni Ensemble 2014).

dal Risvolto di copertina del libro di Giorgio Linguaglossa

Il logos poetico di Gëzim Hajdari è governato dalla legge dell’identità nella molteplicità poiché parte dalla presa d’atto dell’esilio fisico e spirituale del parlante il quale non abita più la patria, la Heimat del linguaggio e del paesaggio, perché ne è stato escluso da un ingiusto esilio. Privato della propria patria, il parlante è  costretto a peregrinare di terra in terra, a mescolare il proprio idioma con quello di altri paesi e di altre Lingue, il suo sarà un canto dell’erranza e della trasfusione di Lingue nella Lingua universale-primordiale che sola può ospitare il canto dell’erranza. Al pari di un aedo antico, Hajdari parla la «lingua degli antenati, lo kiswahili», si mescola con altri erranti di tutte le lingue e di tutti i paesi, costretto ad inseguire il proprio destino come un Fato pagano: il canto della fedeltà e dell’infedeltà alla propria Lingua e al proprio popolo, di qui il Tragico che incombe su ogni parola pronunciata, il giganteggiamento dell’io, il canto dell’addio («Vado via Europa, vecchia puttana viziata… Addio Europa di muri, impronte delle dita e tombe d’acqua»); infatti la forma di questa poesia  è calcata, alla maniera antica, su quella dell’epicedio e dell’inno. È la voce dell’oracolo antico che parla («Io venivo dai luoghi dell’oracolo di Delfi»), che si rivolge all’antica deità-femminile della «savana», del mondo femminile da lungo tempo scomparso che è compito dell’aedo riportare in vita.

Gezim Hajdari delta-del-tuo-fiume cop(Tratto da Delta del tuo fiume. Ensemble, 2015)

Gëzim Hajdari

ROJË I VERËS SIME

Burrë skifter mbërritur nga toka e gurtë e Drasisë,
larguar nga atdheu yt në pranverë,
natën, nën shi,
i mposhtur,
pa një shtërngim dore,
dëgjoje kët’ thirrje vajzërore në muzg:
mos e braktis vreshtën time në pjekje,
jam e re, kam ende dëshirë për ty,
për dimrat e tu,
për shirat e tua,
për hijen tënde të huaj.

Trupi im prej kaprolleje dridhet,
eja t’më shuash, po digjem horë,
flakët ma pushtojnë gjoksin prush,
lëkura ime vallzon,
venat e mia këndojnë,
gjinjtë e mi fërgëllojnë,
buzët e mia të gjakëruara përvëlojnë,
hëna e errët e mbivetes sime
çel lule erotike gjithë aromë.

Harroje ezilin e hidhët,
tokën tënde njerkë në Lindje,
përtej detit të errët,
shqipet e zeza dykrerëshe që ta shqyejnë pa mëshirë
mishin e dobët ballë kalimtarëve.

Në Ballkanin tënd,
delirë dhe pluhur,
askush s’të pret,
veç mallkimit të xhinëve.

Dua të ta lehtësoj plagosjen e gurëve në trup
dhe dhimbjen e gjëmbave të zinj ngulur në lëkurë
me mushtin e dëlirë të verës sime.
Mos kij frikë nga shpirtrat e ligë,
asnjë njeri me të zeza s’troket në derën tënde të vjetër,
askush s’të ndjek pas për të të thikuar.
Ka kohë para se librat e tu – murgj të hidhëruar –
ta varrosin në heshtje trupin tënd
majëkodrës së errët.

Dorëzohu lakmisë sime dashurore tok me xhinët
e vragat e tua,
mirëprite thirrjen time prej gruaje
në kët’ gadishull të drishshëm me trupa zezakësh të mbytur.
Perënditë të zbritën nga Alpet e Arbërsië
për të të vënë në provë dashurie,
për të të shpallur të barabartë me to,
për t’më takuar mua, vashëz të arrirë
mbërritur në Çoçari nga detet e Jugut,
lajmëtare e ezilantëve në ikje.
Shqipëria jote, nënë dhe kuçedër,
të ka lindur e rritur
për të të shqyer mes gurëve
e mallkuar trupin,
gjuhën tënde
dhe sytë e tu
gjer në verbëri.

Mos i kthe sytë nga vendi ballkanas,
në lëkurën tënde veç gjëmba e vraga të thella,
majëkodrave të vendlindjes prehet terrori i viteve të gjelbër .

Burrë ezilant,
jam vreshta jote në mbretërinë tokësore,
lindur nga rropullitë e dheut të kuq të Saturnit,
për të të dehur me nektarin tim vajzëror
e ta humbësh rrugën e kthimit në Darsi,
për të të bërë të vdesësh e të rilindësh mijëra herë në ezil.
Dua të jem e burgosura e gjogut tënd të egër,
dua të jem himn i kërcellit tënd të epshëm.

Ti je pika që më ushqen me ezil,
më vadit si shiu i rrëmbyer në vjeshtë dheun e çarë,
më mban zgjuar e gjallë në gadishullin me tërmete,
më fekondon nga stina në stinë me hëna të plota
dhe mbyll qarkun tim,
dua të marr frymë me lëkurën tënde ezilante.

Burrë fshatar,
dua të fekondohem në vendlindjen tënde të hershme,
majëkodrës së errët me tërshërë të gjelbër
ku ndeshen demat e gjakosur hamulloreve
dhe ndërzehen rrufetë,
Dua t’i jap jetë një fisi të ri
sepse lufta jote prej guerrieri të vazhdojë,
sepse emri yt gdhendur mbi gurë të jetojë ndër shekuj
dhe Verbi yt mbretëroftë në mbretërinë e Njerëzve.

Puthi buzët e mia të tulta,
kafshoji thumbat e gjirit tim siç kafshoje kokrrat e razakisë
së kuqe në Hajdaraj,
Puthi gjinjtë e mi si dy pjeshka të kodrave të vendlindjes,
të ëmbël si hallva të vendit tënd Lindor,
si pekmez mani të kuq përgatitur nga Nur.
Shijoje frutin e lëngët të luginës sime të freskët
që parfumon si myshku i blirit në pyllin e Çapokut ,
e mirëprite natën time-perlë në shtratin me gurë stralli.
Përshkoje trupin tim dorëzuar me arkanin tënd,
pije qafën time prej kaprolleje,
shtërngoji me duart e tua prej profeti hiret e mia,
pëmendi gishtata e mi filiza pranverorë.

Burrë Laokont,
hyj në korijen time të etur tok me gjëmimet
e vetëtimat e provincës tënde bujqësore,
shuaje etjen time te burimi yt.

Jam vera rubinë e shtatorit që kullon
në oborrin e Verbit tënd shtegëtar
dhe ti, ezilant e rojtar i vreshtës sime plot musht.
Krahët e mi: degë që të shënjtërojnë,
duart e mia: lastarë që më lidhin duarve të tua,
gishtat e mi: rrënj që presin të lërojnë trupin tënd të pjekur,
dikur bari dhish.

Dashuria jote ezilante,
dashuria jote e huaj në kalim,
dashuria jote herezi,
dashuria jote pjellori blasfeme.

Burrë dem që parfumon eros,
sapo më vështron, unë lagem,
sapo më fshik, unë ndjehem grua,
sapo më zotëron, u dorëzohem xhinëve të tu,
sapo më prek gjer në fund, unë klith,
kur ti më lëron me plugun tënd, qaj nga gëzimi,
kur ti derdhesh, ndjej energinë tënde erotike
teksa përshkonë lëkurën time të lëmuar
si fëshfërima e erës që fshik valët
e dunave në shkretirë ;
jam duna jote,
ikja jote,
kur ti vdes tek unë, une ringjallem tek ty.

Burrë ballkanas,
jam robinja jote,
dua të blihem prej teje në pazarin e luleve.
Trupi im, kalorëse e çarmatosur,
gati për tu përshkuar nga shpata jote e pafajshme.
Lëshoji shirat e tu të bardhë pyllit tim të zi
e shëmbi argjinaturat e brishta të ujrave të mi.
Dua t’i ulërij botes se unë të dëshiroj,
dua t’i rrefej botes se unë dashuroj një burrë,
dua t’i klith para botës se ti je burrë
dhe unë jam grua.
Dua t’i ndaloj njerëzit në rrugë e tu them:
«e di që s’ju intereson aspak por unë dashuroj një burrë epik!»

Burrë guerrier i Lindjes,
mbërthemë me trupin e fuqishëm mashkullor
si një dem i harbuar i Shegasit ,
shfletomë siç shfleton era pranverore
sythat e lajthatës në zabelin e zhveshur,
gjelbëromë me lavën tënde të vakët pjellore
siç gjelbëron oazi mes rërës në shkretëtirë,
dhe bëj që nga perla ime të lindin fruta erotike
me ngjashmërinë tënde.
Të himnizoj siç celebrohet një kult hyjnor në Darsi,
të shënjtëroj siç shënjtëroheshin perënditë
në Arbërinë e lashtë,
jam Zana e Tempullit tend,
rojë e flakës së përjetshme.

Burrë Uliks,
jam Sirena jote,
e do të bëj çmos të jetë i gjatë udhëtimi yt,
do të të mbështjellë me mjegulla të verbëra,
e do të të shoqëroj me këngë detare
do të të udhëheq nëpër portet e panjohur të detit mesdhe
gjatë kthimit për në Itakë
dhe ti ndërmend gjithnjë Arbërinë tënde.

Gezim Hajdari colline di Fondi, 2006

Gezim Hajdari colline di Fondi, 2006

CUSTODE DELLA MIA UVA

Uomo falco che giungi dalla terra petrosa di Darsìa ,
fuggito dalla tua patria in primavera,
di notte, sotto la pioggia,
sconfitto,
senza una stretta di mano,
ascolta il mio richiamo di fanciulla:
non abbandonare la mia vigna acerba,
sono giovane, ho ancora voglia di te,
dei tuoi inverni,
delle tue piogge,
della tua ombra straniera.

Il mio corpo di puledra trema,
vieni a domare l’incendio,
le fiamme invadono il mio ventre focoso,
la mia pelle danza,
le mie vene cantano,
i miei seni fremono,
le mie labbra rosse ardono,
la luna oscura del mio pube
germoglia fiori di eros.

Dimentica l’amaro esilio,
la tua terra matrigna dell’Est,
oltre il mare negro,
le nere aquile a due teste che divorano impietosamente
la tua debole carne
di fronte ai passanti.

Nei tuoi Balcani,
delirio e polvere,
nessuno ti attende,
solo la maledizione dei xhin ;

Voglio lenire le ferite di pietra sul tuo corpo
e le spine nere conficate nella tua pelle
con il mosto candido della mia uva.
Non temere gli spiriti maligni,
nessun uomo nero bussa alla tua vecchia porta,
né qualcuno ti insegue per accoltellarti.
C’è tempo prima che i tuoi libri – monaci mesti –
seppelliscano in silenzio la tua salma
in cima alla collina buia.

Concediti alla mia brama d’amore con i tuoi xhin
e le tue stigmate,
accogli il mio richiamo di donna
in questa penisola tremante di corpi negri annegati.
Gli dei ti hanno fatto scendere dalle alpi dell’Arbëria
per metterti alla prova d’amore,
per proclamarti pari a loro,
per incontrare me, giovane fanciulla
giunta in Ciociaria dai mari del Sud
messaggera degli esuli in fuga.
La tua Albania, madre e gorgone,
ti ha fatto nascere e crescere
per divorarti tra i sassi,
maledicendo il tuo corpo,
la tua lingua
e i tuoi occhi
fino ad accecarti.
Non voltarti indietro per vedere il paese balcanico,
nella tua pelle solo spine nere e stigmate profonde,
in cima alle colline native giacce il terrore degli anni verdi

Uomo esule,
sono la tua vigna nel regno della Terra,
sorta dalle viscere del suolo rosso di Saturno,
per farti inebriare con il mio nettare di fanciulla
e farti perdere la via del ritorno alla tua Darsìa,
per farti morire e rinascere mille volte in esilio.
Voglio essere prigioniera del tuo destriero selvatico,
come il campo arato sotto le piogge d’autunno,
voglio essere inno del tuo giunco flessibile.

Tu sei la goccia che mi nutre di esilio,
mi bagna come la pioggia bagna il suolo spaccato in autunno,
mi tiene sveglia, viva nella penisola di terremoti
mi feconda di stagione in stagione con la luna piena
e chiude il mio cerchio,
voglio respirare tramite la tua pelle esule.

Uomo contadino,
voglio essere fecondato nel tuo villaggio di una volta,
in cima alla collina buia di biada verde
dove si scontrano i tori insanguinati nei campi trebbiati
e si fecondano i fulmini.
Voglio partorire una nuova stirpe
perché la tua lotta da guerriero continui,
perché il tuo nome inciso sulle pietre si tramandi nei secoli
e il tuo Verbo regni nel regno degli Uomini.

Bacia le mie labbra carnose,
mordi i mie capezzoli come mordevi i chicchi rossi
del razakì ad Hajdaraj,
bacia i mie seni come le pesche della collina del tuo villaggio,
dolci come halwa del tuo Oriente,
come il pekmez di gelso rosso che ti preparava Nur .
Assapori il frutto succoso della mia valle
che profuma come il muschio del tiglio del bosco di Çapok ,
e cogli nel tuo letto di pietra focaia la mia notte-conchiglia.
Percorri il mio corpo arreso con il tuo arcano,
bevi il mio collo di cerbiatta,
stringi tra le tue mani da profeta le mie grazie,
nomina le mie dita rami di primavera.

Uomo Laocoonte,
entra nella mia selva assetata insieme ai tuoi tuoni
e ai lampi della tua provincia agricola,
spegni la mia sete nel tuo sorgente.

Sono l’uva candida di settembre che cola
nella corte del tuo Verbo errante
e tu, esule e custode della mia vigna.
Le mie braccia: rami che ti santificano,
le mie mani: corde che mi legano alle tue mani,
le mie dita: radici che attendono di scavare nel tuo corpo maturo:
un tempo pastore di capre.

Il tuo amore esule,
il tuo amore straniero di passaggio,
il tuo amore eresia,
il tuo amore fertilità blasfema.

Uomo toro che profumi di eros,
appena mi guardi, mi inumidisco,
appena mi sfiori, mi sento donna,

appena mi possiedi, mi arrendo ai tuoi xhin.
Quando tu mi tocchi fino in fondo, io grido,
quando tu mi scavi con il tuo vomero, piango di gioia,
quando tu ti versi in me, sento la tua energia erotica
percorre la mia pelle nuda
come il soffio del vento che sfiora le onde
delle dune del deserto;
sono la tua duna,
la tua fuga,
quando tu muori in me, io rinasco in te.

Uomo balcanico,
sono la tua robinjë ,
voglio essere comprata da te al mercato dei fiori.
Il mio corpo è una soldatessa disarmata,
pronto per essere infilzata dalla tua spada innocente.
Lancia le tue bianche piogge sulla mia foresta nera
e rompi gli argini fragili della mie acque.
Voglio urlare al mondo che ti desidero,
voglio confessare al mondo che io amo un uomo,
voglio gridare al mondo che sei uomo
ed io sono donna.
Voglio fermare la gente per strada e dire:
«so che non ti importa nulla ma io amo un uomo epico!»

Uomo guerriero dell’Est,
afferrami con il tuo corpo muscoloso,
come un toro selvatico di Shegas ,
sfogliami come sfoglia il vento di primavera
le gemme del siliquastro nel bosco spoglio,
inverdirmi con la tua tiepida lava fertile
come inverdisce l’oasi in mezzo alla sabbia del deserto.
e fai sì che dalla mia conchiglia sorgano frutti di eros
a tua somiglianza.
Ti amo come se celebrassi un culto divino in Darsìa,
ti santifico come venivano santificate gli dei
nella antica Arbëria,
sono la Sacerdotessa del tuo Tempio,
custode della sua fiamma eterna.

Uomo Ulisse,
sono la tua Sirena,
farò sì che lungo sia il viaggio,
ti avvolgerò con nebbie cieche,
e ti accompagnerò con canti marini,
ti guiderò per i porti sconosciuti del mare nostrum
al ritorno nella tua Itaca,
e tu rammenta sempre la tua Arbëria.

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“Delta del tuo fiume” di Gëzim Hajdari. “La poesia epica dell’esilio” Lettura di Marco Onofrio

Gezim Hajdari delta-del-tuo-fiume copDelta del tuo fiume (Ensemble, 2015, pp. 172, Euro 15) di Gëzim Hajdari è un libro di rara intensità poetica, uno dei più potenti e impressionanti che io abbia letto negli ultimi anni. È un libro che, come un arco teso, permette alla poesia di slanciarsi oltre i propri limiti, superare i confini della parola, significare ben al di là di ciò che dice. Malgrado Hajdari affermi di «pisciare sulle poetiche», conclude Delta del tuo fiume con una lunga poesia-manifesto, “Contadino della poesia”, che funge da specchio di autoconsapevolezza e chiave di accesso al libro. Hajdari coltiva un’idea di poesia come “bestemmia” – cioè preghiera laica rivolta al sacro elementare – che lacera il velo cosiddetto “civile” delle ipocrisie deputate a coprire la verità oscena dei rapporti sociali, l’inferno della convivenza, l’orrore eterno della Storia. La poesia è denuncia, atto inconciliabile d’accusa. La parola non conferma i patti disonesti, non regge il sacco ai ladri nel tempio profanato, ma è eversione che articola il dissenso e osa pronunciarlo con la massima sincerità possibile, costi quel che costi. È eresia, è “besa”, cioè promessa, parola data, confidente appartenenza al fondamento etico. È impegno di autenticità. È dignità che mette in gioco il valore della vita.

Essere “contadino della poesia” significa

tornare all’Essere
riscoprire le radici
bere alla fonte
parlare con i sassi
ascoltare la terra
rileggere il cielo e la terra
(…)
sapere chinarsi a raccogliere
chiamare le cose per nome (…)
lavarsi con la terra (…)
ridare la dignità perduta al Verbo, cioè
la dignità perduta all’uomo,

Gezim Hajdari cop inglesee dunque recuperare il «senso epico, musicale e civile della parola», ricostruire il «tempio della parola» distrutto dagli «eunuchi del minimalismo sterile». Questo significa scrivere in modo semplice ed essere profondi al tempo stesso. La poesia di Hajdari, infatti, è colta e insieme popolare – così come è, sempre, la poesia autentica. Una poesia umana e antropologica a 360°, aperta al dialogo con le realtà del mondo, al di là delle infinite gabbie di rappresentazione.

Scrive Neruda: «La poesia ha perso il suo legame con il lontano lettore … Deve recuperarlo … Deve camminare nell’oscurità e incontrarsi con il cuore dell’uomo, con gli occhi della donna, con gli sconosciuti della strada, quelli che a una certa ora del crepuscolo, o in piena notte stellata, hanno bisogno magari di un solo verso».

gezim hajdari copertinaA patto però – aggiunge idealmente Hajdari – di «essere poeta, non scrittore di poesia». Il preziosismo “laureato” del modello petrarchesco distolse la poesia dal suo cammino: emersero le vanità, le pose artificiali, i conti di ragioneria. Ancora Neruda: «la fonte della grandezza cominciò a estinguersi. Quest’antica sorgente aveva a che vedere con l’uomo intero, con la sua apertura, la sua abbondanza traboccante».

Hajdari scrive poesia con l’occhio che, penetrando le paludi della crisi, traguarda l’unità cosmica dell’uomo “come se” fosse ancora possibile. Occorre «sentirsi parte della totalità», cioè «vivere al confine / ubriaco di mondi»: «vivere negli altri», «attraversare la vita», «recuperare il legame tra parola e verità, tra poesia e vita»: «diventare carne e sangue delle proprie parole».

L’operazione poetica consegue alla discesa nel proprio «io centrale»: con la stessa inesorabile naturalità del fiume verso il proprio delta marino, o del maschio verso il nido caldo della donna che lo invita al ricongiungimento. L’«io centrale» è il nucleo dove convergono e partono i raggi del mondo: c’è un cosmo di vasi comunicanti sotto la superficie impediente, dove i dualismi apparenti si sciolgono in rapporti complementari, poiché “tout se tient”. È una via antitetica ad ogni operazione narcisistica: Narciso si specchia nel mondo e ovunque vede se stesso; Hajdari specchia il mondo nel proprio «io centrale», che coincide con la visione aperta, cosmica, globale di tutto l’esistente. La condizione che lo porta ad avere questo sguardo è quella dolorosa dell’«esule esiliato nell’esilio», che già strappò a Dante Alighieri versi immortali. Hajdari è in esilio come «traditore e nemico della patria» (la nativa Albania) per aver denunciato crimini e abusi della dittatura di Enver Hoxha. Hajdari ha accettato il prezzo della libertà, la solitudine terribile del lupo senza collare, la povertà, la fame, l’esilio. Solo così ha potuto «coniare la moneta del proprio Verbo» ed essere Poeta. Creativo perché libero, e libero perché creativo.

Gezim  Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell'artista Marica Bisacchi

Gezim Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell’artista Marica Bisacchi

Fiero, irriducibile, allergico al potere e ai suoi mille compromessi, estraneo alle gerarchie letterarie “ufficiali”, Hajdari affida anzitutto al valore della pagina la rivendicazione del suo mandato poetico e la traccia della sua presenza di poeta-profeta e guerriero. E lo è anche nel raccontare «la ferita mortale dell’uomo svuotato dalla dittatura del denaro», gli infiniti tradimenti perpetrati dagli uomini all’Uomo, e al pianeta – l’unico che abbiamo – cui appartiene anche chi stoltamente ne provoca la distruzione. Il mondo è da sempre dominato da dinamiche di invidia cattiveria egoismo violenza prevaricazione malversazione ingiustizia ignoranza maleducazione… la jungla umana è più sottilmente feroce di quella animale. L’Amore è un autentico miracolo. Scrive Cesare Pavese: «Tu sarai amato quando potrai mostrare la tua debolezza senza che l’altro ne approfitti per affermare la propria forza». La poesia, infatti, è una Cassandra dal canto inascoltato: il mondo va, decisamente, da un’altra parte.

Scrive Hajdari:

Le nenie delle donne
non riescono ad asciugare il sangue degli uomini
versato lungo il confine nemico.

Eppure crede ancora nel «potere della poesia»; come in Congo, dove recitano i versi del poeta senegalese Senghòr – vate e ideologo della “négritude” – «al posto delle preghiere quotidiane». La poesia autentica propone allo sguardo una visione cosmica. Come quando, dall’aereo in volo, i confini geopolitici convenzionali, coi vari recinti di filo spinato, scompaiono magicamente: lo spazio vitale è tutt’uno, il mondo è uno, l’Uomo è lo stesso ovunque – oltre le infinite diversità – è il cielo è l’unica bandiera.

Gezim Hajdari a Venezia

Gezim Hajdari a Venezia

La scrittura, in Delta del tuo fiume, articola una poesia “in fuga” che nasce dalla condizione di esilio permanente del poeta: e sgorga non a caso da Roma, che Hajdari definisce «patria degli esuli», «città in fuga verso la leggenda e l’oblio del destino». Delta del tuo fiume è uno straordinario viaggio poetico, che parte dalla Roma eterna («nata dall’esilio» di Enea) e a Roma infine riconduce, la Roma storica di oggi (città degli scandali, da «scomunicare», secondo Hajdari, come capitale d’Italia: città delle banalità letterarie «osannate e glorificate dalla mafia politica e culturale» che determina la Curia dei “poeti ufficiali” in un gioco di corruzione, scambi di favori e ruberie – come nella vecchia gestione del Centro “Montale”, denunciata da Hajdari e Luigi Manzi nel 2003). Un viaggio da Roma a Roma: e nel frattempo si percorre il mondo. La poesia come Viaggio nel continente-Uomo: discorso che si produce “in movimento”, dall’incrocio paradigmatico dell’asse spaziale con quello temporale. Il poeta, attraverso lo spazio, raggiunge una dimensione storica pancrona, diventa contemporaneo di ogni epoca, dialoga con uomini che non potrebbe mai incontrare di persona. Ad esempio, va a trovare Rabindranàth Tagore in India; oppure giunge al Cairo e sprofonda nel tempo, per ricevere il benvenuto, al porto di Alessandria d’Egitto, da Alì Pascià – che visse tra il 1700 e il 1800 – per poi finire «nel letto di Cesare, tra balsami e incensi» dove lo guida «l’infedele Cleopatra»; oppure è ospite in Cina del poeta Li Po (che morì nel 762 d. C.) con cui si intrattiene a bere vino e a recitare versi.

La “condicio sine qua non” del Viaggio è la rottura con le menzogne della “civiltà” occidentale, i suoi «falsi altari impietriti», come già Rimbaud, Gauguin, Dino Campana et alii. «Vado via Europa, vecchia puttana viziata», scrive Hajdari. «I tuoi ruderi non mi incantano più». E quindi, «domani, di buon’ora / partirò con la prima nave del Tirreno, / dal porto del Circeo (…) / verso la Croce del Sud / senza voltarmi indietro». «Addio Europa del sangue versato in nome dei confini assassini / e delle bandiere insanguinate». Che è un modo anche per negare in blocco il “Sonderweg” dell’Europa, cioè il suo cammino speciale nella storia del mondo, apportatore di grandi conquiste civili e insieme di orrori indicibili; e inoltre un modo per chiamare la lingua a bruciare, a rinnovarsi dalle proprie ceneri, trasformando lo sguardo e il rapporto stesso con le cose: «Incendierò le vecchie lingue arrugginite, / mi scrollerò di dosso identità, cittadinanze e patrie matrigne».

Gezim Hajdari

Gezim Hajdari

Andar via dall’Europa significa anzitutto uscire dai vincoli della Forma: aprirsi all’incontro libero e diretto con la Vita, la carne calda, le labbra tumide, i seni dorati, le sabbie lunari dei deserti, i cieli stellati, i venti oceanici, il sale dei mari del Sud, gli spiriti delle cose, l’ombra delle parole, i richiami antichi, le lingue tribali sconosciute, i tuareg, i griot, gli sciamani. Emerge naturalmente la potenza ancestrale della Donna-femmina-terra-pube-origine, delta del fiume cosmico. Hajdari scrive, sul corpo della donna, versi erotici di accesa sensualità e di infinite risonanze universali:

Sei una dea negra imbevuta di astri di savana,
giunta dall’oblio dell’arco del tempo.
(…) I tuoi occhi di antilope – origine delle notti oceaniche,
la tua pelle di seta – profumo di mango (…).
Nei tuoi occhi verdeazzurro ho ascoltato il canto delle balene,
il richiamo dei felini in agonia,
e ho visto tramontare l’occhio inverdito del giorno (…).
I tuoi occhi tinti d’Africa, come l’oceano Indiano all’alba;
i tuoi seni pieni all’insù, come due colline nere e solitarie (…)
il tuo pube in fiamme, tra le cosce alte da gazzella,
come una conchiglia dorata.

E la splendida poesia “Custode della mia uva”, dove la donna stessa gli parla, invitandolo a celebrare insieme la vita:

mordi i miei capezzoli come mordevi i chicchi rossi
(…) bevi il mio collo di cerbiatta,
stringi tra le tue mani da profeta le mie grazie
(…). Uomo toro che profumi di eros,
appena mi guardi, mi inumidisco,
appena mi sfiori, mi sento donna,
(…) quando tu mi tocchi fino in fondo, io grido,
(…) quando tu muori in me, io rinasco in te.

Gezim Hajdari_1Ed ecco l’Africa, «Madre nostra», «donna stuprata» dai colonizzatori bianchi: «nei tuoi occhi di bambina grida il Verbo della grande solitudine, / si rinnova la stirpe umana». Ecco l’incontro spazio-temporale con la Tanzania, il Congo, il Niger, il Golfo Persico, il Marocco, il Sahara, il Mali, l’Etiopia, l’Eritrea, l’Uganda. I cronotopi si aprono “in fieri”, nel divenire avventuroso del viaggio, svelando l’anima dei luoghi. Un viaggio che discende nelle profondità ancestrali, e ovviamente non esclude gli incroci storici con l’Africa insanguinata dalle guerre, dove uomini con gli occhi sbarrati dal terrore «fuggono lungo il confine / insieme alle bestie impazzite». L’Africa ha stregato il poeta, lo ha messo in crisi, lo ha cambiato per sempre.

Tu, Africa, hai Scomunicato il mio Verbo.
Dal giorno che attraversai le curve negre dei tuoi giorni,
non sono più io.

L’Africa è «infinita nudità» che toglie le sovrastrutture, brucia le maschere, fa cadere tutti gli artifici. È la terra dove perdersi per ritrovarsi, dove dimenticare tutto per ricordare:

non ho più memoria (…)
ho perso il mio nome.

A forza del tuo amore, sono diventato Africa.

E ancora: «Ho affidato alla sabbia la mia memoria». La sabbia del deserto: quanto di più mutevole e impermanente!

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

Non solo l’Africa, ma anche l’est asiatico: la Cina, il Vietnam, le Filippine. Manila e il fetore insopportabile della “smokey mountain” del quartiere Tondo – montagna di immondizie di cui si cibano migliaia di miserabili, tra cui opera il missionario Giovanni Gentilin. Andare lontano, sempre più lontano: «mai così lontano dalla patria e dai miei sassi cannibali». Sentirsi sperduto nel mondo. Sdraiato sull’erba, bere la luce degli astri. Parlare con gli altri senza conoscere una parola delle rispettive lingue: intendersi su un piano umano universale. Arrivare all’essenza. Eppure, malgrado i tentativi di dimenticarsi e confondersi nel mondo, non riesce a mitigare la profonda insoddisfazione:

Quando finirà questo esilio?
Albania sono ancora vivo (…)
Tace la tua ombra assassina (…)
La mia ombra non trova pace,
erra impazzita tra le dune della fuga.

Sullo sfondo di ogni luogo si sovrappone l’immagine straziante dell’Albania, patria e infanzia lacerata, che nelle vene del poeta ha seminato «solo panico e terrore», perché è un Paese – scrive Hajdari – che «nutre per uccidere», è terra matrigna che divora i propri figli. Anche nel «sonno nero» dell’Africa, sente la voce di sua madre:

“Gezim, copriti bene,
il freddo dei Balcani punge”.

Egli non può dimenticare la sua terra, nel bene e nel male. E la ritrova nei luoghi più impensati: a Calcutta, per esempio, incontra Madre Teresa, che è di origine albanese. L’Albania dialoga anche con l’origine mitica di Roma: Enea fa tappa a Butrint (luogo antico dell’Albania) prima di giungere sulle sponde del Tevere. Sono proprio gli albanesi ad accompagnarlo in Italia con le loro navi. Segnato per sempre dal regime di Enver Hoxha, Hajdari cerca ad ogni latitudine le radici eterne dell’odio e del terrore, che la Storia usa per limitare o estinguere la libertà dell’uomo, mortificando la bellezza delle sue energie creative. La Storia è piena di despoti che hanno riempito il mondo di crimini e sventolato governi-fantoccio a servizio dei poteri imperialistici. Il processo di “civilizzazione”, con le sue menzogne, ha santificato cose vergognose (come le guerre) e ricoperto di vergogna cose sacre (come il sesso).

Ma la poesia è dalla parte della vita, delle sue ragioni, delle sue verità. La poesia non si lascia ingannare, anzi: lotta perché l’uomo non venga più ingannato, perché apra gli occhi, si liberi di tutte le catene e sia finalmente felice. La poesia di Gëzim Hajdari è profondamente etica nella sua stessa vocazione ontologica, che la rende centrata sull’“essere parola” di ogni cosa, e dunque potenzialmente atta ad incarnare un’opzione di coscienza condivisa, a livello di trasformazione profonda, di cammino collettivo degli individui (ciascuno con il suo percorso). Il canto di Hajdari nasce dalla natura, come il vino dai raspi della vigna, e raccoglie tutta la cultura che conosciamo (cioè il senso di ciò che siamo e di ciò che potremmo essere, al di là di tutti gli impedimenti) per riconsegnarla infine alla natura, su un piano evolutivo superiore. Una poesia di cui c’è assoluta urgenza storica: proprio in quanto nuovamente, eternamente ancora umana, piena di luce cosciente e lontanissima dal grigiore di tante sterili lallazioni contemporanee.

Marco Onofrio legge emporium

Marco Onofrio legge emporium

Marco Onofrio (Roma, 11 febbraio 1971), poeta e saggista, è nato a Roma l’11 febbraio 1971. Ha pubblicato 21 volumi. Per la poesia ha pubblicato: Squarci d’eliso (Sovera, 2002), Autologia (Sovera, 2005), D’istruzioni (Sovera, 2006), Antebe. Romanzo d’amore in versi (Perrone, 2007), È giorno (EdiLet, 2007), Emporium. Poemetto di civile indignazione (EdiLet, 2008), La presenza di Giano (in collaborazione con R. Utzeri, EdiLet 2010), Disfunzioni (Edizioni della Sera, 2011), Ora è altrove (Lepisma, 2013). La sua produzione letteraria è stata oggetto di presentazioni pubbliche presso librerie, caffè letterari, associazioni culturali, teatri, fiere del libro, scuole, sale istituzionali. Alle composizioni poetiche di D’istruzioni Aldo Forbice ha dedicato una puntata di Zapping (Rai Radio1) il 9 aprile 2007. Ha conseguito riconoscimenti letterari, tra cui il Montale (1996) il Carver (2009) il Farina (2011) e il Viareggio Carnevale (2013). Nel 1995 si è laureato, con lode, in Lettere moderne all’Università “La Sapienza” di Roma, discutendo una tesi sugli aspetti orfici della poesia di Dino Campana. Ha insegnato materie letterarie presso Licei e Istituti di pubblica istruzione. Ha tenuto corsi di italiano per stranieri. Ha partecipato come ospite a trasmissioni radiofoniche di carattere culturale presso Radio Rai, emittenti private e web radio. Ha pubblicato articoli e interventi critici presso varie testate, tra cui “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Lazio ieri e oggi”, “Studium”, “La Voce romana”, “Polimnia”, “Poeti e Poesia”, “Orlando” e “Le Città”. Ha fondato, insieme a Giorgio Linguaglossa, il blog lombradelleparole.wordpress.com

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I CANTI DEL KURBET/ KËNGËT E KURBETIT di Gëzim Hajdari Cura e traduzione in italiano di Gëzim Hajdari

 

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all'Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all’Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

Stralcio tratto dall’introduzione di Gëzim Hajdari al libro di prossima pubblicazione:

I canti del kurbèt rappresentano i canti popolari albanesi della migrazione durante l’occupazione Ottomana, 1468 – 1912, quest’ultimo anno dell’Indipendenza dell’Albania dalla Turchia. Due anni fa’, il sottoscritto diede alle stampe I Canti dei nizam (i canti dei soldati albanesi che combattevano per l’Impero dei Sultani di Istanbul), edito da Besa, 2012. Sono due opere monumentali della memoria collettiva del Paese delle Aquile, nonché parte integrante della memoria della cultura europea. I canti del kurbèt appartengono a un periodo buio della storia albanese. Erano secoli di drammi sociali, di tragedie umane e di resistenza per la sopravvivenza della nazione shqiptar. É straordinario come questo piccolo popolo nel cuore del vecchio continente, nonostante il lungo dominio romano, poi quello ottomano, e altre invasioni ancora, sia riuscito a resistere alle temperie della Storia e all’assimilazione forzata degli invasori conservando la propria identità e la propria cultura. Nel 1775, la Patriarcana di Istanbul, guidata da Abdul Hamiti I°, emanò un ferman che proibì per legge l’uso della lingua albanese, imponendo, per un secolo e mezzo, la lingua turca come lingua ufficiale in Albania. É stata proprio la ricca tradizione orale epica e lirica a salvare la lingua, l’anima e l’identità del popolo albanese.

I canti del kurbèt nascono nell’800, all’epoca dei canti dei nizam. Vengono cantati nelle cerimonie e nelle feste sia al nord che al sud del paese. Tuttavia le regioni più ricche di questa tradizione popolare sono quelle del sud, quali Korçë, Kolonjë, Përmet, Gjirokastër, Bregu i Detit e Çamëria. Queste regioni si trovavano in contatto diretto con il resto dell’Impero, mentre le regioni del nord , nelle quali vigeva il Kanun e la besa, non facevano parte della giurisdizione ottomana. Quindi i canti del kurbèt in queste regioni lontane e montuose erano meno frequenti.

Gezim Hajdari a Filettino 2012

Gezim Hajdari a Filettino 2012

Nei primi decenni dell’800, le mete preferite dei kurbetlì erano i paesi dell’ impero quali Turchia, Serbia, Grecia, Bulgaria, Romania, l’Egitto e lo Yemen. Ma negli ultimi decenni del secolo si spinsero oltre i confini della Turchia Ottomana, approdando in Germania, in Francia, e persino nel continente americano, Argentina e USA. I canti del kurbèt, oltre al loro immenso valore culturale e spirituale, rispecchiano il quadro storico e sociale dell’epoca in cui nacquero e vennero cantati. Esprimono rabbia e protesta contro le condizioni economiche in cui i kurbetlì vivevano denunciando il kurbèt in quanto un fenomeno sociale che portava più disgrazie e sofferenze che fortuna e danaro. Raccontano di separazioni, lamenti, struggimenti, viaggi, attraversamenti, fatiche, dolori, sofferenze, nostalgie, pianti, attese infinite, gemiti e lutto . I kurbetlì erano giovani e uomini contadini che provenivano dai poveri villaggi, costretti ad abbandonare la propria terra, gli affetti per andare a lavorare all’estero in cerca di fortuna.

I canti del kurbèt di città sono rarissimi. Il volume di 500 pagine si divide in quattro capitoli, che sono: partenza al kurbèt; le sofferenze e le pene dei kurbetlì e delle loro famiglie; ritorno dei kurbetlì e I canti dei migranti arbëresh  d’Italia.

I canti del kurbet vengono proposti per la prima volta al lettore italiano. Inoltre è da sottolineare il fatto che sia i canti dei nizam che questi del kurbèt, vengono tradotti per la prima volta in una lingua straniera. E questa fortuna è toccata proprio alla lingua di Dante Alighieri.

G.H.

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

ZUNË YJET PO RRALLOJNË

Zunë yjet po rrallojnë,
zunë gjelat po shpeshojnë,
karvanaret po ngarkojnë,
zunë kurbetlinjt’ të shkojnë.
Le të shkojë kush të dojë,
Beçja im të mos shkojë.
– Grua mos më fol me gojë,
do shkoj se kemi nevojë,
varfëria na mbuloi.
– Rri, o trim, të shkojmë jetë,
kjo jetë sa një fletë.
– Ç’më thua e shuarë,
zemër, përvëluarë?!

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TRAMONTANO LE STELLE

Tramontano le stelle,
iniziano i galli a cantare,
i kurbetlì di buon’ora,
caricano le carovane,
partono, se ne vanno.
Che parta chiunque,
ma non tu, mio uomo.
– Moglie mia, che dici,
ne abbiamo bisogno,
tanta povertà addosso.
– Resta a casa con me,
la vita è un soffio.
– Cosa sono queste parole,
mi spezzi il cuore!

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Ç’U MËRZITËN GJITHË MALET

Ç’ mërzitën gjithë malet,
se u ikën trimat,
ç’u mërziten bredhat –o
se u ikën çobanët-o
ç’u mërzitën çezmat-o
se u ikën bandillat-o.
Ikën, po vallë ku vanë?
– Zunë kurbetet me radhë!

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SI RAMMARICANO LE MONTAGNE

Si rammaricano le montagne,
se ne vanno i gagliardi,
s’intristiscono gli abeti,
perché partono i pastori,
si lamentano le fontane
non berranno più gli amanti.
dove sono andati a finire?
– Per i mondi, al kurbèt!

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

Ç’U NISA PËR NË KURBET

Ç’u nisa për në kurbèt,
ç’ke, o nënë që s’më flet?
Të lë gruan amanet,
nuk sillem për shumë vjet
sa të mbush qemer e xhep.
Qeparo, o lumë, o lumë,
do më marrë malli shumë.

 

 

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PARTO AL KURBET

Parto al kurbèt,
madre, dimmi una parola.
Amanèt mia moglie,
vi resterò per molti anni
finché non farò fortuna.
Di Qeparò e del fiume,
sentirò la nostalgia.

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NJË MOLLË E KUQE NA MBUSHI OBORRË

Një mollë e kuqe na mbushi oborrë,
thuaji tët biri nënë, se kërkon të shkonjë.
Po ay do shkonjë, ty ku do të lërë,
tynë moj syzezë, moj vetullgjilpërë.
Më jiku beqari udhës për Bilisht,
e kur e përcolla, m’u këput ky shpirt.
Jiku Bëjçia iku, udhës së Stambollit,
me kë do ta mbledh mollën e Stambollit.
Iku Bëjçia lark, s’dihet kur do vinjë,
seç me lojti mëndjen, më prishi terezinë,
me kë do të mblidhm, s’kam edhe fëmijë,
ç’më shkretovi keq, më prishi fiqirë.

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UNA MELA ROSSA PROFUMA NEL CORTILE

Una mela rossa profuma nel cortile,
dì a tuo figlio che vuole partire.
Ahimè, egli partirà, giovane sposa,
dagli occhi neri e volto di luna.
Lo accompagnai fino a Bilisht,
mi duole il cuore, mi trema l’anima.
Partì lontano per Istanbul,
come riavere il mio uomo.
Se ne andò, chissà quando tornerà,
misera me, non so come fare,
senza un figlio in casa, con chi parlerò?
rovinata per sempre, destino infame.

Gezim Hajdari, Siena 2000

Gezim Hajdari, Siena 2000

NGREU LULE NGREHU

Ngreu lule, ngreu,
ngreu, moj sa do fjete,
larg, moj, do vete
larg, moj, në kurbete,
se unë, moj, do shkoj
lark moj në Stamboll,
pa diç do dërgoj:
një boçe plot ftoj,
pa kur t’u març erë,
kujtom’, moj, e mjerë;
kur t’i preç me thikë,
kujtom’ moj, një çikë;
kur t’i haç në gojë,
syri të t’vajtojë.
Ngreu, moj, lule ngreu,
ngreu, moj, sado fjete,
se un’, moj, do shkoj
larg, moj, në kurbete!!

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SVEGLIATI MIO FIORE

Svegliati, mio fiore,
basta dormire,
lontano me ne andrò,
lontano al kurbèt,
andrò lontano,
lontano a Istanbul,
sai cosa ti manderò:
un canestro di cotogne:
quando le odorerai,
ti ricorderai di me,
quanto le taglierai,
non ti scordare di me,
quando le mangerai,
in silenzio piangerai.
Alzati mio fiore,
basta sognare,
lontano me ne andrò,
lontano al kurbèt.

.
TË MË NGRESH MOJ NËNË

Të më ngresh, moj nënë,
me yll të sabahut,
se me presin shokët
tek varri i çobanit.
Nuk ikim nga qejfi,
por ikim nnga halli,
o kurbet i shkretë,
o të martë djalli!

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SVEGLIAMI MADRE MIA

Svegliami madre mia,
domani di buon ora,
mi aspettano i compagni
alla tomba del pastore.
Non partiamo all’avventura,
ma per lavorare,
o kurbèt, misero kurbèt
che tu possa sparire!

Gezim Hajdari a Udine 2011

Gezim Hajdari a Udine 2011

O MOJ PORTA DY-TRE KATE

O moj porta dy tre kate,
ç’e bëre Jaçen që pate?
Gjer në burgt shkoj e vate,
s’i qesh buza me mustaqe.
Shkoi, moj shoqe, shkoi,
gjer matan, bregut kaptoi.
Ku vete mos vafsh i gjallë,
ne të dy pa nxjerrë mallë!
Ku vete, more i shuar,
me dy javë të martuar!
Iku lart gjer në Jemen,
për dhjet’ vjet a vjen a s’vjen?!

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MIA CASETTA DI TRE PIANI

Mia casetta di tre piani,
dov’è mio marito?
Al kurbèt se ne è andato,
ahimè né ride, né piange.
Se ne è andato, mie compagne,
oltre il mare con le onde.
Dove vai, povera me,
ci siamo appena sposati!
Dove vai, mio signore,
sposati da due settimane!
Se ne è andato allo Yemen,
tornerà fra dieci anni!

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AMAN ANDRONIQI

Aman Androniqi,
kur shkon udhës ti!
Çporru, mor ti çporru!
Mos, buza kuti!
– Ku të vate burri?
– Vate në Itali.
Në daç u marto,
në daç rri e ve,
në qish, në daç shko,
bënu kalloggre.
– Unë as martohem,
as e ve nuk rri,
po do preste burrin,
të vij’ në shtëpi.
– Unë e tija jeshë,
unë e tija jam,
ç’llafe thonë bota,
m’u bëfshin kurban!

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BELLA ANDRONIQÍ

Bella Androniqì,
sei una regina!
Basta con le parole!
Non dire così!
– Dove è tuo marito?
– Al kurbèt, in Italì!
Non so se ti risposi,
o farai la vedova,
se andrai in chiesa
o farai la monaca.
– Io non mi risposo,
non farò la vedova,
aspetterò mio marito
tornare a casa.
Sono sua moglie,
e sua rimarrò,
quello che dice la gente,
non voglio saperne!

Gezim Hajdari nello suo studio con la sua compagna Iris

Gezim Hajdari nello suo studio con la sua compagna Iris

FOLË MOJ MIKE JË FJALË

Folë, moj mike, një fjalë,
se jam gati për të dalë.
Ku vete, mos vafsh i gjallë,
se mua s’ma nxorre mallë.
Kur dolla nga dera jashtë,
mu muar’mënt’ edhe rashë;
kur dolla në mest avllisë,
m’u këput gjysm’ e fuqisë;
kur dolla te porta jashtë,
e besova që u ndashë.
Pampor, o dhogëz e thatë
na ndave neve nga grate;
ku na shpie o i pabesë,
na ndave nga kishim shpresë.

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DIMMI MIA AMATA UNA PAROLA

Dimmi, mia amata, qualcosa,
è tardi, devo partire.
-Dove andrai, disgraziato,
ieri ci siamo sposati.
Quando sono uscito di casa,
mi girava la testa;
sono sceso in cortile,
non avevo più la forza;
ho raggiunto il cancello,
mi tremavo il corpo,
Pampòr, che tu sia maledetto,
ci hai separati dalle mogli;
dove ci porti, perfido pampòr
ci hai strappato le speranze.

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U NISA O SHOKË

U nisa, o shokë,
për në ksneti,
u nisa, u nisa,
me vapor të zi.
Në detin e gjërë,
në detin pa anë,
nat’ e dit’ mendoj
nënën e babanë.
Eh kjo koh’ e keqe,
eh, ky baft i zi,
seç na la pa njerëz,
na la pa shtëpi!
U nisëm, o shokë,
s’dimë se ku vemi,
se vendin e huaj,
neve njerkë kemi!
Hajde kazandì,
hajde, o kurbet,
vallë ku do shkojmë
o shokë medet!?

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PARTO AMICI MIEI

Parto amici miei
per il kurbèt,
parto di buon ora,
con la nave nera.
È lungo il viaggio,
infinito il mare,
nella mia mente
padre e madre.
Maledetto il kurbèt
e l’amara povertà,
separati per sempre
dalle nostre case!
Partiamo amici,
ma dove andremo?
Nel paese ignoto
stranieri saremo!
Ahimè, miseri noi,
dove andremo
chissà, amici miei,
che fine faremo!

Gezim Hajdari a Udine 2011

Gezim Hajdari a Udine 2011

HESHT VITO MOS QAJ PËR MUA

Ku je nisur dhe do veç,
imzot me kë më le mua?
– Jam nisur për në kurbet,
hesht Vito mos qaj për mua!
– Të vij edhe un’ me ti,
imzot me kë më le mua?
– Është lark e bie shi,
hesht Vito mos qaj për mua!
– A do sillesh shumë vjet,
imzot me kë më le mua?
– Jo më shum’ shum’ se dy tre vjet,
hesht Vito mos qaj për mua!
– Të vij dhe unë me ti,
imzot me kë më lë mua?
– Është lark e bie shi,
hesht o Vito mos qaj për mua!
– Bënem moll’ e të hij në gji,
imzot me kë më le mua!
– Do harroj e të kafshoj,
hesht Vito mos qaj për mua!
– Sos s’jam helm e të helmoj,
imzot me kë më le mua,
po jam mjalt e të embelsoj,
imzot me kë më le mua?

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VITO, NON PIANGERE PER ME

Dove vai, mio uomo,
perché parti senza di me?
– Vado in kurbèt,
Vito, non piangere per me!
– Verrò anch’io con te,
perché lasciarmi, mio signore?
– È lontano e piove,
Vito, non piangere per me!
– Quanti anni resterai,
sono sola e lontana.
– Non più di tre anni,
Vito, non piangere per me!
– Verrò anch’io con te,
perché lasciarmi sola?
– È lontano e piove,
Vito, non piangere per me!
– Divento mela nel tuo cuore,
perché parti senza di me?
– Mi scordo e ti mordo,
Vito, non piangere per me!
– Non sono veleno
che posso avvelenarti,
sono miele che addolcisce,
perché mi abbandoni?

.
E PREMTE DHE E MËRKURË

E premte dhe e mërkurë,
këto dit’ mos ardhshin kurrë!
Të premte të mos të ketë,
se nisen burrat n’kurbet,
se na vijnë qiraxhinjtë
dhe na marrin stambollitë!
Qiraxhi të plastë kali,
na ndave nusen nga djali,
qiraxhi të plastë mushka,
na ndave djalin nga nusja!

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VENERDÌ E MERCOLEDÌ

Venerdì e mercoledì!
che non possiate giungere mai,
Maledetto tu, venerdì,
perché vengono i locatori
portano gli uomini a Istanbul.
lì, dove sono i minareti.
Crepi il tuo cavallo, locatore,
che separò la sposa da mio figlio,
crepi il tuo mulo,
che separò mio figlio dalla sposa!

Gezim Hajdari nel suo studio

Gezim Hajdari nel suo studio

PIKA MOJ AMERIQÌ

E po seç na u hap një kurbet i ri.
Pika, moj Ameriqi!
Na i mblodhe trimat si djemkat n’skoli.
Flaka, moj Ameriqi!
Po na qajnë nënat me lot’ logori.
Zjarri, moj Ameriqi!
Se ç’na mbetnë nuset me duar në gji.
Kanë dalë eqimet mun te deti Zi.
Zjarri, moj Ameriqi!
I shikojnë trimat dy edhe nga dy.
Flaka, moj Ameriqi!
Po gjithë të mirët iknë dë Ameriqi.
Pika, moj Ameriqi!
Dhe ata pa gramë i kthejn’ më shtëpi.
Zjarri, moj Ameriqi!
Kthehen dyke qarë qe s’kanë skoli.
Flaka, moj Ameriqi!

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MALEDETTA AMERIQÌ

Giunge lo habèr per un nuovo kurbèt.
Maledetta Ameriqì!
Chiede i nostri uomini partire.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Piangono le madri, non smettono mai.
Che tu possa sparire Ameriqì!
Ahimè le spose presto invecchieranno!
Vengono i pampòr dal mare nero.
Maledetta Ameriqì!
Li scrutano gli uomini da lontano.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Se ne vanno i migliori in Ameriqì.
Che tu possa sparire Ameriqì!
Quelli deboli li fanno tornare a casa.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Tornano piangendo senza kësmèt.
Che tu possa bruciare Ameriqi!

NA VJEN XHARPNI ME DYMDHET KRENA

Na vjen xharpni me dymdhet krena,
me na ngronun kët zemrën time,
zemra ime me shum kujtime,
më ka rrojt nona jetime,
më çoj nona moj ne gurbet-e
pa me i mbushun-o dymdhojt vjet-e.
Dallandojshe, moj, ku po shkon-e?
Nji selom nones m’i bon-e!
Doktor bej, more doktor bej-e,
ma kallxo, mor, kët jetën time?
– Jeta jote, mor, njer n’shenxherxhe-e,
njer n’shenxherxh-e, ene njer n’bajrom-e.
M’u sos jeta, moj në gurbet-e,
pa bajrom e pa shenxherxh-e,
Ju bilbila, bre, ci fjaroni,
nonës ni selom m’i çoni!

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GIUNGE UN SERPENTE A DODICI TESTE

Giunge un serpente a dodici teste,
per consolare il mio cuore,
il mio cuore pieno di ricordi,
cresciuto orfano da mia madre,
partito per il kurbèt
non ancora dodici anni.
Dove parti mia rondine?
Manda un selàm a mia madre!
Haqìm, o Haqìm,
dimmi qualcosa della mia vita!
– La tua vita, dalla festa di San Giorgio
alla festa di Bajram kurban.
Mi è passata la vita al kurbèt,
senza Bajram e senza San Giorgio
Voi rondine che partite,
tanti selàm a mia madre!

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

DAJM’ SE KEMI RA NË FIRAK

Dajm’ se kemi ra në firak,
po kshtu si shkohet gërbeti,
sikurse me pas ra n’gjak,
na tretne prej vilajetit!
Ky firaku i pasosun,
ta merr shpirtin pa exhel;
porsi gjarpni i plagosun,
përpiqet e shpirti s’i del.
Kasaveti plak njerinë,
ky firak’ qi asht njit’djelmnisë,
si flaka qi djeg qirinë,
njashtu u tret vixhudi em.
Dashur shkreta ç’se t’ka pa,
mori vesh’, qi s’po e shikojn,
asht habit e rrin tuj kja,
mbasi hallin s’po ia ankon.
Ky firak m’plaku t’mjerin,
por ti vash’ m’ke n’kujtim,
porsi flaka qi djeg qirin,
njashtu u shkri ky trupi im.

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CI CONSUMA LA NOSTALGIA

Poveri noi che destino,
maledetto o kurbèt,
solo fatica e sangue,
persi, lontani dalla patria!
Questa nostalgia infinita
ci consuma piano piano;
come un serpente ferito
non ti fa mai morire.
L’angoscia invecchia l’uomo,
sognano la patria i giovani,
come la fiamma della cera,
si è spenta la mia gioia.
La mia amata che non vedo,
ha saputo già come sto,
piange a nenia il mio destino
piange senza conforto.
La nostalgia mi consuma,
ricordati di me, mia fanciulla,
come la cera tra le fiamme,
si scioglie il mio corpo.

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DJALI I RI NIZET VJET

Djali i ri, nizet vjet,
i ka mbush e shkon n’gurbet.
N’gurbet djali kur a shkue
ka nis’ trupi m’i lingue.
N’spital djalin ma kan çue.
– O haqim, pash din e iman,
m’pret ne bark e kqyr shka kam,
m’kqyr shka kam, me m’diftue:
a jam për degë, a kam me u çue?
– More djalë, bon gajret,
se i herë nuk je për dekë!
– A po don, djalë, i pjat jemek?
– Nuk e due at jemek,
m’u ka tesh shpirti me dekë!
O haqim, pash jetën tone,
veç i herë më ndreq në komë!
M’ndreq në komë e m’qitn’penxhere,
t’i shoh lulat prej pranvere.
O bylbyla, qi shkoni e vini,
n’atdhe temin a do t’shkoni?
Nonës sime t’mi kallzoni.
Si n’vet nona noj sen për mue,
thujni: – Djali t’u ka martue.
Si n’vet nona: – Çfarë nuse muer?
Muer smunjen në krahnuer.
Si n’vet nona: – Krushqi a pat?
E pat hoxhën me xhemat.
Si n’vet nona: – Çfare çejzi pruni?
Dyshek toke, jastek guri,
n’ven t’jorganit, drrasa bungi.
– Non, oj non’, oj e zeza nonë!
T’ma marojsh ni vorr të gjonë,
vorr te gjon’, o me penxhere:
t’i shoh lulat prej pranvere!

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IL GIOVANE DI VENT’ANNI

Il giovane di vent’anni
prende la strada per il kurbèt.
Al kurbèt quando è arrivato,
stanco e molto malato.
In ospedale lo hanno portato.
– Ti prego haqìm, mio haqìm,
mi fa male e non so cosa sia,
dimmi della mia malattia:
se morirò o sarò vivo?
– Coraggio, giovane gagliardo,
vivrai, non morirai!
– Mangi un piatto di minestra?
– Non mi va di mangiare,
sento l’anima morire!
Haqìm, ti affido la mia vita,
fammi alzare in piedi!
Voglio vedere della finestra
i fiori primaverili.
Rondini che partite,
passate per la mia patria?
Tanti selàm a mia madre.
Se vi chiede di me,
ditele che mi sono sposato.
Se vi chiede della mia sposa,
ditele una malattia sul petto.
Se vi chiede dei paraninfi,
c’era hoxha con turbante.
Se vi chiede della mia bara,
letto di terra, cuscino di pietra,
come coperta pezzi di legno,
– Un amanèt ti chiedo, madre,
ordina una dimora larga per me,
una tomba larga con finestre,
per vedere i fiori di aprile Continua a leggere

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FARE IL CONTADINO DELLA POESIA di Gëzim Hajdari con una Nota di Armando Gnisci

Gezim Hajdari nel suo studio

Gezim Hajdari nel suo studio

 Gëzim Hajdari, uno dei maggiori poeti contemporanei, è nato in una famiglia di ex proprietari terrieri, i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Ha studiato all’Università di Elbasan e alla Sapienza di Roma. In Albania ha svolto vari mestieri lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio in un’azienda per la bonifica dei terreni, due anni come militare, insegnante di letteratura alle superiori dopo il crollo del regime comunista; mentre in Italia ha lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Nell’inverno del 1991, Hajdari è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione. E’ cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës.

Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione in Albania, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, gli abusi e le speculazioni della vecchia nomenclatura comunista di Enver Hoxha e dei recenti regimi mascherati post-comunisti; dal 1992 è esule in Italia. Bilingue, scrive in albanese e in italiano. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Ha scritto anche libri di viaggio e saggi, inoltre ha tradotto in albanese e in italiano vari autori. E’ vincitore di numerosi premi letterari. E’ presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale.

Ha pubblicato con Ensemble, Nur: eresia e besa.

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all'Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all’Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

Nota di Armando Gnisci

Questo scritto che il poeta albanese in esilio da molti anni in Italia, ha donato a Kuma, presenta alcune sue “Opere patriarche”[1] che sono uscite in italiano nel 2012 per la casa editrice Besa. Dobbiamo pensare a Gëzim Hajdari non solo come migrante linguistico, ma anche come uno spirito forte che vive tra noi in esilio politico. Gli italiani che lo leggono e lo apprezzano devono guardarlo come una generazione fa in Italia si guardava Rafael Alberti, il grande poeta spagnolo antifranchista in esilio da noi. Ma chi si ricorda di lui è morto. Intendo per “opere patriarche” i testi in onore della memoria delle cose vicine e di quelle lontane della storia albanese che Gëzim va studiando e traducendo in questi anni. Il poeta in esilio, in questo caso, propone al mondo e alla sua patria-nazione ancora non libera i punti memorabili della storia antica e nascosta e quella del periodo che abbiamo alle spalle della vicinissima e inesplorata, e feroce dittatura di Enver Hoxha. Il poeta in esilio, solo e con le sue mani, da sé e senza nessuno che l’aspetti o lo commissioni, costruisce monumenti di marmo e di fogli per riesumare con ardore e compassione la storia quasi morta ma giù muta dell’Albania. Lui, che è un esule politico e vive in povertà si fa storico del suo paese che non conosce ancora la sua storia. Gëzim sembra un poeta antico, in un’epoca e in una terra decadente in cui i poeti sono tanti ma minimi, dopo che Sanguineti e Zanzotto non scrivono più, e i non-poetici sono buffoni e criminali, riccastri e irresponsabili. E l’Italia non è più un paese per esuli, anche se qualche volta lo è stata.

(Armando Gnisci)

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

(Pubblichiamo il poema per gentile concessione della rivista Lettera Internazionale sulla quale è stato pubblicato nel n. 120, ottobre,  2014)

  Fare il contadino della poesia

Fare il contadino della poesia vuol dire tornare all’Essere,
fare il contadino della poesia vuol dire riscoprire le radici,
fare il contadino della poesia vuol dire bere alla fonte,
fare il contadino della poesia vuol dire parlare con i sassi,
fare il contadino della poesia vuol dire ascoltare la terra
fare il contadino della poesia vuol dire rileggere il cielo e la terra,
fare il contadino della poesia vuol dire recuperare i sapori,
gli odori, i colori e i raggi solari mediterranei,
fare il contadino della poesia vuol dire portare nelle narici
i profumi campestri gli odori delle erbe, i canti dei merli,
fare il contadino della poesia vuol dire sapere chinarsi
a raccogliere,
fare il contadino della poesia vuol dire chiamare le cose
per nome come fanno i muratori,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un poeta
della campagna,
fare il contadino della poesia vuol dire essere allo stesso tempo
poeta di campagna e di città,
fare il contadino della poesia vuol dire avere un cuore caldo
come la pietra focaia,
fare il contadino della poesia vuol dire mangiare la terra,
fare il contadino della poesia vuol dire lavarsi con la terra,
fare il contadino della poesia vuol dire essere maledetto dagli xhin ,
fare il contadino della poesia vuol dire disincantarsi dell’industria
culturale che produce libri come le scarpe di moda,
fare il contadino della poesia vuol dire creare una poesia come il vino
della vigna, come i fichi d’india, come il pane della campagna,
fare il contadino della poesia vuol dire ridare la dignità perduta al Verbo,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un artigiano della parole,
fare il contadino della poesia vuol dire rispecchiarsi negli occhi della mucca,
fare il contadino della poesia vuol dire riconoscere nell’asino,
nel cavallo e nella mucca, i nostri antenati,

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

 

 

 

 

 

 

 

 

fare il contadino della poesia vuol dire che i versi abbiano
il profumo inconfondibile del pane caldo a tavola,
fare il contadino della poesia vuol dire guadagnare il piatto
quotidiano col sudore della propria fronte,
fare il contadino della poesia vuol dire sopravvivere alla giornata
lontano dalla patria tradita dai figli indegni,
fare il contadino della poesia vuol dire non possedere nulla
oltre il proprio corpo, non lasciare nulla,
fare il contadino della poesia vuol dire credere nel potere
della poesia come i credenti credono nel potere di dio,
fare il contadino della poesia vuol dire comunicare con dio,
fare il contadino della poesia vuol dire scrivere la propria Bibbia
e il proprio Corano,
fare il contadino della poesia vuol dire tornare all’origine
del messaggio del Verbo,
fare il contadino della poesia vuol dire ridare la dignità perduta
all’uomo,
fare il contadino della poesia vuol dire ricostruire il tempio
delle parole, distrutto dagli eunuchi del minimalismo sterile,
fare il contadino della poesia vuol dire sputare sulle banalità
letterarie contemporanee di Roma, osannate e glorificate dalla mafia
politica e culturale,
fare il contadino della poesia vuol dire pisciare sulle poetiche,
fare il contadino della poesia vuol dire produrre poesia, non poetica,
fare il contadino della poesia vuol dire essere poeta e non
scrittore di poesia,
fare il contadino della poesia vuol dire recuperare il senso epico,
musicale e civile della parola,

Gezim Hajdari, Siena 2000

Gezim Hajdari, Siena 2000

 

fare il contadino della poesia vuol dire scrivere semplice
ed essere profondo,
fare il contadino della poesia vuol dire farsi capire come gli epici.
fare il contadino della poesia vuol dire crescere le parole con pazienza
come il giardino cresce le pietre focaie,
fare il contadino della poesia vuol dire scrivere sul proprio corpo
fare il contadino della poesia vuol dire scrivere con il proprio corpo,
fare il contadino della poesia vuol dire vivere il corpo,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un poeta
di petto e di pancia, non di testa e di gola,
fare il contadino della poesia vuol dire recuperare la divinità
della parola,
fare il contadino della poesia vuol dire essere libero,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un individuo,
fare il contadino della poesia vuol dire non chiedere parole
in prestito,
fare il contadino della poesia vuol dire coniare la moneta
del proprio Verbo,
fare il contadino della poesia vuol dire fare della tua nazione
l’Europa,
fare il contadino della poesia vuol dire riconoscersi nella propria
voce,
fare il contadino della poesia vuol dire bellezza,
fare il contadino della poesia vuol dire eros,
fare il contadino della poesia vuol dire spingere la gente
all’amore,
fare il contadino della poesia vuol dire sedurre come seducono
gli amanti,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un amante,
fare il contadino della poesia vuol dire fare l’amore dodici volte
al giorno come una pernice,
fare il contadino della poesia vuol dire essere virile,
fare il contadino della poesia vuol dire essere Uomo,
fare il contadino della poesia vuol dire appartenere alla stessa
razza umana ed essere se stesso,

Gezim-Hajdari,-Foto-di-Piero-Pomponi

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

fare il contadino della poesia vuol dire essere umano,
fare il contadino della poesia vuol dire tornare al mito,
fare il contadino della poesia vuol dire metter in moto
il mondo dei sensi,
fare il contadino della poesia vuol dire scendere nel proprio
io centrale tramite gli spiriti e le divinità degli antenati
fare il contadino della poesia vuol dire contropotere,
fare il contadino della poesia vuol dire sfidare l’ordine
dei poteri oscuri,
fare il contadino della poesia vuol dire essere uno scultore
della poesia,
fare il contadino della poesia vuol dire rischiare per la propria
poesia,
fare il contadino della poesia vuol dire resistere,
fare il contadino della poesia vuol dire nutrire la propria parola
con il proprio sangue,
fare il contadino della poesia vuol dire diventare carne e sangue
delle proprie parole,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un rivoluzionario,
fare il contadino della poesia vuol dire leggere la Storia
con i propri occhi e conoscere la ControStoria,
fare il contadino della poesia vuol dire misurarsi con la Storia,
non con i propri coglioni,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un ‘eretico’,
fare il contadino della poesia vuol dire non scendere mai ai patti
con i boia dell’umanità,
fare il contadino della poesia vuol dire demistificare i pseudo miti
del realismo socialista che hanno servito il regime comunista
e la lotta di classe nella mia Albania,
fare il contadino della poesia vuol dire raccontare sempre la verità,
fare il contadino della poesia vuol dire interpretare il mondo
dalla mia Darsìa ,
Gezim Hajdari_1

 

fare il contadino della poesia vuol dire colloquiare con l’Europa
da balcanico,
fare il contadino della poesia vuol dire cogliere l’Assoluto,
la solitudine di dio e il mistero dell’esistenza,
fare il contadino della poesia vuol dire creare un dio a propria
somiglianza,
fare il contadino della poesia vuol dire saper leggere nel fango,
nel freddo, nel gelo, nel silenzio nella solitudine, nella polvere
che ci circonda, il mistero del proprio destino,
fare il contadino della poesia vuol dire raccontare la ferita mortale
dell’uomo svuotato dalla dittatura del denaro,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un Geremia ,
fare il contadino della poesia vuol dire tornare all’oggettività
della poesia,
fare il contadino della poesia vuol dire creare ogni giorno,
con la punta del coltello, sulla propria pelle, una nuova patria
e morire altrove,
fare il contadino della poesia vuol dire scegliere l’esilio invece
di asservirsi al potere,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un esule
esiliato nell’esilio,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un guerriero epico,
fare il contadino della poesia vuol dire essere padrone di te stesso,
fare il contadino della poesia vuol dire amare la vita,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un martire del desiderio
della parola,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un ‘kamikaze’ d’amore,
fare il contadino della poesia vuol dire sentirsi parte della totalità,
fare il contadino della poesia vuol dire insegnare a tutti ad essere
esuli e stranieri per condividere insieme destini e futuri,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un uomo di besa ,
parola data per i montanari della mia stirpe antica shqiptar ,
fare il contadino della poesia vuol dire giurare non in nome di dio,
ma in nome di besa, come fanno da secoli i miei avi malsor
delle Bjeshkët të Nëmuna

gezim2

gezim hajdari

fare il contadino della poesia vuol dire vivere al confine
ubriaco di mondi,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un vero bektashi ,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un profeta,
fare il contadino della poesia vuol dire essere condannato
al silenzio per il tuo profetare,
fare il contadino della poesia vuol dire camminare sulle orme
di Gilgamesh, Omero, Li Po, Rumi, Virgilio, Milton, Hugo, Whitman,
Mandelstam, Tagore, Akhmatova, Lorca e Soynka,
fare il contadino della poesia vuol dire essere chiamato traditore
e nemico della patria, per aver denunciato i crimini e gli abusi
della dittatura di Enver Hoxha e dei recenti regimi postcomunisti
mafiosi di Sali Berisha e di Fatos Nano,
fare il contadino della poesia vuol dire non accettare premi letterari
e altre onorificenze dai governanti albanesi di oggi/di ieri,
in quanto responsabili della tragedia comunista,
fare il contadino della poesia vuol dire essere antinazionalista,
fare il contadino della poesia vuol dire essere ‘antialbanese’,
fare il contadino della poesia vuol dire non avere lettori nel tuo Paese
d’origine,
fare il contadino della poesia vuol dire scrivere in italiano e tormentarsi
in albanese,
fare il contadino della poesia vuol dire essere ignorato cinicamente
nel Paese d’origine dalla mafia politica e culturale,
fare il contadino della poesia vuol dire identificarsi con il dolore
del tuo popolo,
fare il contadino della poesia vuol dire memoria,
fare il contadino della poesia vuol dire far ricordare a te stesso
che il compito del Poeta è quello di rendere un età consapevole
dei proprio ideali,
fare il contadino della poesia vuol dire essere solo come Dante Alighieri
ed Ezra Pound,

Gëzim-Hajdari

Gëzim-Hajdari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

fare il contadino della poesia vuol dire recuperare il legame, tra la pagina bianca
e l’onestà intellettuale, tra parola e verità, tra poesia e vita,
fare il contadino della poesia significa versi nati dalla vita
e non allevati in serra, o nelle scuole di scrittura,
fare il contadino della poesia vuol dire diffidare dell’arte
isterica, balbuziente, autoreferenziale dei metropolitani alienati,
fare il contadino della poesia vuol dire recuperare i veri valori
etici e la tradizione,
fare il contadino della poesia vuol dire gioia e dolore, vita e impegno,
nella vita, non nel linguaggio,
fare il contadino della poesia vuol dire essere cacciato fuori dalla Curia
dei poeti ufficiali di Roma, per aver denunciato, più di dieci anni fa,
la corruzione, i scambi di favori e le ruberie della vecchia gestione
del Centro Internazionale Eugenio Montale,
fare il contadino della poesia vuol dire abitare fuori dalle gerarchie
letterarie ufficiali, perché i veri poeti non accettano compromessi
e scambi di favori,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un poeta antico,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un vero contadino,
fare il contadino della poesia vuol dire essere un vero intellettuale.
fare il contadino della poesia vuol dire scrivere non per essere
creduto, ma per il popolo e per quelli che verranno,
fare il contadino della poesia vuol dire contribuire al beneficio
dell’umanità,
fare il contadino della poesia vuol dire salvezza,
fare il contadino della poesia vuol dire vivere negli altri,
fare il contadino della poesia vuol dire attraversare la vita,
fare il contadino della poesia vuol dire essere uno straniero di passaggio.

Gezim Hajdari

Gezim Hajdari

[1] Si tratta delle opere: I canti dei nizam, Besa, 2012, Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista, Besa 2013, nonché Epicedio Albanese, e I canti del kurbet, in uscita presso Ensemble 2015

[2] Xhin (djin): anime malvagie che escono di notte e hanno una potenza soprannaturale sugli uomini

e sulle cose. il mito appartiene alle fiabe albanesi di Darsìa.

[3] Darsìa: provincia collinosa dove è nato l’autore, situata nel nord’est della città di Lusnje, in Albania
[4] Geremia (650-586), profeta e grande poeta, testimone della crisi dello Stato di Giuda, visse con dolore la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor, il re della Babilonia; lotto contro re, contro preti, falsi profeti, traditori, avrebbe voluto la pace e la fratellanza e invece ebbe guerre, deportazioni, massacri.
[5] La besa oppure Fjala e dhanum significa sicurezza, ma anche tregua ed alleanza. E’ la fede giurata, la parola data, la protezione promessa ad un ospite, ad un amico. La besa è qualcosa di assoluto e complesso nello stesso tempo: è un patto di fedeltà che si stringe con un uomo, vivo o morto, con un’istituzione (l’ospitalità), con la propria terra. La besa supera la sfera dell’uomo singolo è diventa norma di vita collettiva e quindi virtù sociale. E’ considerata un atto di cavalleria e un dovere.
[6] Shqiptar: albanese
[7] Malsor: montanari delle Alpi, da dove proviene anche la stirpe del poeta.

[8] Bjeshkët të Nëmuna: Montagne Maledette, situate nel nord d’Albania, dove ha regnato per 500 anni il Kanun, Codice Giuridico Orale Albanese.
[9] Confraternita mistica (segueace di Jalal al Din Rum (1207-1273) in Albania cui appartiene la tradizione familiare del poeta.
[10] Enver Hoxha, uno dei dittatori comunisti più spietati dell’Europa. Governò l’Albania dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla sua morte nel 1985 come primo segretario del Partito Comunista Albanese.

[11] Sali Ram Berisha (1944). Ex-segretario del Partito Comunista di Enver Hoxha, nonché cardiologo facente parte dello staff dei medici che prendevano cura dei membri del Politburo del regime. E’ stato primo Minsitro (2005-2013), nonché Presidente della Repubblica d’Albania postcomunista (1992-1997).
[12] Fatos Nano (1952) è figlio di Thanas Nano. Già direttore della Radio Televisione durante il regime di Enver Hoxha, e di Maria Nano, ricercatore presso l’Istituto di Studi Marxisti-Lenninisti. F. Nano è stato diverse volte primo ministro dell’Albania postcomunista.
[13] Enver Hoxha (1908-1085): dittatore comunista dell’Albania, dal 1944 al 1985. Durante il suo regime, uno dei regimi più spietati del secolo scorso in Europa, sono stati uccisi 5500 mila oppositori, 4500 persone scomparse, rinchiusi nelle carceri 30 mila, rinchiusi nei campi di internamento 60 mila, oltre la distruzione dello Stato, dell’amministrazione, dell’economia, delle generazioni intere, della cultura, della spiritualità e dell’isolamento dell’Albania dal resto del mondo per più di mezzo secolo.

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DUE POEMETTI di Gëzim Hajdari Maldiluna” “Spine nere”  con un Commento di Fulvio Pezzarossa e Andrea Gazzoni

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

 Gëzim Hajdari, è nato nel 1957, ad Hajdaraj (Lushnje), Albania, in una famiglia di ex proprietari terrieri, i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Nel paese natale ha terminato le elementari, mentre ha frequentato le medie, il ginnasio e l’istituto superiore per ragionieri nella città di Lushnje. Si è laureato in Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani” di Elbasan e in Lettere Moderne a “La Sapienza” di Roma.

In Albania ha svolto vari mestieri lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio in una azienda per la bonifica del terreno, operaio di bonifica, due anni come militare con gli ex-detenuti, insegnante di letteratura alle superiori dopo il crollo del regime comunista; mentre in Italia ha lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Attualmente vive di conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia la sua opera.

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

Gezim Hajdari davanti la sua casa natale, nel villaggio Hajdaraj, povincia di Darsìa, Lushnje, Albania 2012

 Nell’inverno del 1991, Hajdari è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. È cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës, nel quale svolge la funzione di vice direttore. Allo stesso tempo scrive sul quotidiano nazionale Republika. Più tardi, nelle elezioni politiche del 1992, si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA. Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, gli abusi, la corruzione e le speculazioni della vecchia nomenclatura di Hoxha e della più recente fase post-comunista. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese.

Gezim Hajdari sulle colline del villaggio natale

Gezim Hajdari sulle colline del villaggio natale

 La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in albanese e in italiano. Ha tradotto vari autori. La sua poesia è stata tradotta in diverse lingue. È stato invitato a presentare la sua opera in vari paesi del mondo, ma non in Albania. Anzi, la sua opera, è stata ignorata cinicamente dalla mafia politica e culturale di Tirana.

È presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale e cittadino onorario per meriti letterari della città di Frosinone. Dirige la collana di poesia “Erranze” per l’editore Ensemble di Roma. È presidente onorario della rivista internazionale on line “Patria Letteratura” (Roma), nonché membro del comitato internazionale della Revue électronique “Notos” dell’Université Paul-Valery, Montpellier 3. Considerato tra i maggiori poeti viventi, ha vinto numerosi premi letterari. Dal 1992, vive come esule in Italia.

Ha pubblicato in Albania: Antologia e shiut, “Naim Frashëri”, Tirana 1990;Trup i pranishëm / Corpo presente, I edizione “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999 (in bilingue, con testo italiano a fronte). Gjëmë: Genocidi i poezisë shqipe, “Mësonjëtorja”, Tirana 2010.

Gezim Hajdari, Siena 2000

Gezim Hajdari, Siena 2000

 Ha pubblicato in Italia in bilingue: Ombra di cane/ Hije qeni, Dismisuratesti 1993; Sassi controvento/ Gurë kundërerës, Laboratorio delle Arti,1995; Antologia della pioggia/ Antologjia e shiut, Fara, 2000; Erbamara/ Barihidhët, Fara, 2001; Erbamara/ Barihidhët, (arricchita con nuovi testi rispetto alla prima edizione). Cosmo Iannone Editore 2013; Stigmate/ Vragë, Besa, 2002. II edizione Besa 2007; Spine Nere/ Gjëmba të zinj, Besa, 2004. II edizione Besa 2006; Maldiluna/ Dhimbjehëne, Besa, 2005. II edizione Besa 2007; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, Fara, 2005; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, II edizione arricchita e ampliata, Fara 2007; Puligòrga/ Peligorga, Besa, 2007; Poesie scelte 1990 – 2007, EdizioniControluce 2008; Poesie scelte 1990-2007, II edizione (arricchita con nuovi testi). EdizioniControluce 2014; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007 (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2008; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007, II edizione (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2014; Corpo presente/ Trup i pranishëm, Besa 2011; Nur. Eresia e besa/ Nur. Herezia dhe besa, Edizioni Ensemble 2012; I canti dei nizam/ Këngët e nizamit (i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012; Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013 -Libri reportage di viaggio: San Pedro Cutud. Viaggio nell’inferno del tropico, Fara, 2004; Muzungu, Diario in nero, Besa, 2006 – Libri sull’opera di Hajdari: Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari, a cura di Andrea Gazzoni. Cosmo Iannone Editore 2010. La besa violata. Eresia e vivificazione nell’opera di Gëzim Hajdari, a cura di Alessandra Mattei. Edizioni Ensemble 2014.

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

 Ha tradotto in albanese: L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999. Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte, Edizioni Empiria 2000. L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa 2004.

Ha tradotto in italiano: I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012. Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble 2012. Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rrofte kenga e gjelit ne fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013

Gezim Hajdari Siena 2000

Gezim Hajdari Siena 2000

 Ha tradotto in albanese: L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999. Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte, Edizioni Empiria 2000. L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa 2004.

Ha tradotto in italiano: I canti dei nizam/ Këngët e nizamit(i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012. Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble 2012. Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rrofte kenga e gjelit ne fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013 È co-curatore in italiano: dell’antologia I canti della vita (con testo arabo a fronte) del maggior poeta tunisino del Novecento, Abū’l-Qāsim Ash-Shābb, Di Girolamo Editore 2008. È curatore e co-traduttore (insieme ad Andrea Gazzoni) dell’antologia Dove le parole non si spezzano (con testo originale a fronte) del poeta più importante delle Filippine, Gémino H. Abad, (Edizioni Ensemble 2014).

Gezim Hajdari a Udine 2011

Gezim Hajdari a Udine 2011

Commento di Fulvio Pezzarossa

Parte della totalità

  1. (Gezim Hajdari)

      Poche righe di prefazione devono prima di tutto rilevare l’intelligenza e il coraggio di Andrea Gazzoni nel realizzare un’impresa che ha i tratti dell’eccezione, offrendo il primo volume critico dedicato in Italia ad uno scrittore migrante. La scelta di una riflessione monografica a più voci sull’opera dell’albanese Gëzim Hajdari non risulta casuale, e si lega alla ricca disponibilità di materiali analitici, affiancati da nuove riflessioni, testimoni del vasto uditorio che quei versi hanno saputo ritagliarsi presso studiosi di varie competenze, collocati in una dimensione internazionale a cui naturalmente tendono le complesse significazioni dei suoi testi. Voce sorprendente, tra le prime che in Italia manifestarono i potenziali di novità derivanti dalla creazione letteraria affidata a una lingua e una cultura di casuale accoglienza, Hajdari ha raccolto successi e riconoscimenti delle superbe capacità poetiche lungo un’intensa parabola, che negli anni Novanta l’ha proiettato dai concorsi per migranti indetti da Eks&Tra, al riconoscimento del premio Montale nel 1997, fino a una serie lunghissima di attestazioni. Ma la capacità di mettere a frutto con un’incessante forza creativa i lunghi anni di residenza italiana, che gli ha consentito di offrire alla nostra cultura l’abnegazione rigorosa di raccolte poetiche frequenti e in continuo sviluppo, si è manifestata in proposte di intelligente varianza formale e di genere, che derivano dall’inquieta frequentazione di esperienze e panorami della vita culturale alle periferie dell’Occidente.

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all'Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

Gezim Hajdari e Laura Toppan (docente all’Università di Lorraine-Nancy 2) durante la presentazione della sua antologia Poesie scelte al Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2008

 Assolutamente estraneo al profilo diffuso di one book man, che alimenta una scrittura a ridosso della bruciante intensità del viaggio e dell’approdo,  trasformando in forza creativa lo spaesamento dell’essere umano ridotto a precario migrante, Hajdari ha costruito una voce assolutamente distinta in una platea crescente di autori che con percorsi spesso similari mirano alla professione letteraria come occasioni di integrazione e di rifiuto di categorie distintive. Il suo tratto singolare è invece costruito entro la fissità di un esperienza esiliaca, proclamata quale condizione esistenziale dell’umanità intera, che diviene punto di forza quando la condizione individuale sa raccordarsi all’incrocio di culture che i secoli hanno stratificato in un piccolo e aspro angolo dei Balcani. L’identità albanese, non rinnegata se non nella dimensione contingente di una cronaca ostile che l’ha reso fuggiasco, costringe di fatto i lettori del nuovo paese, e del più vasto mondo, a ripensare il continuo di esperienze e di scambi che da mezzo millennio intrecciano l’esistenza dei due popoli raffrontati sulle sponde adriatiche, e la profondità degli scambi resistenti alla deformazione dell’immaginario mediatico, fino a cogliere il perdurare di una responsabilità coloniale e fascista non riscattata.

      La trama esistenziale del poeta subisce gli esiti di quella drammatica e inconclusa decolonizzazione, e origina una tensione al riscatto di sé e del proprio popolo che si fa sguardo aperto sui grandi modelli della poesia mondiale, attivando con quella un colloquio diretto entro un’operazione singolare, che concentra quelle suggestioni nello scavo di forme e temi di arcaica misura, da cui si alimenta una poesia all’apparenza elementare, composta da un universo di frammenti e di immagini cariche di potenza evocativa, dove le profonde tensioni dell’animo si materializzano nella vivezza densa di cose e di scene quotidiane senza tempo. Il discorso non pretende una frantumazione indicibile, ma all’opposto vi alimenta la necessità di una resistenza, basilare per la rifondazione di un universo immaginativo a contrasto con la crisi totale che travolge la vita economica, le consuetudini sociali, gli assetti politici, i tratti ambientali, e i riferimenti ostili fra le culture. A fronte della catastrofe, che dalla nazione albanese si proietta su scala globale, l’intellettuale rintraccia nella dimensione locale le radici di una vita nuova, salda sui principi atavici, e che la sua responsabile narrazione propone con forza rigenerativa.

      La complessità di uno sguardo simultaneo tra locale e globale manifesta la reattività della doppia coscienza, e si esprime in una lingua doppia, capace di moltiplicare potenziali espressivi e stimolo a percorsi differenti, necessari a superare l’oscurità di un cupo velo (per rimanere nelle categorie di DuBois) dovunque incombente, che solo la parola disperata sa attraversare. Alla gigantesca ombra, che nell’immediato esprime l’oppressione politica del sistema mondiale, e pretende la poesia asservita e racchiusa in riferimenti canonici, si oppone la forza di un verso che si fa esperienza tangibile, capacità di rendere la sofferenza universale manifesta attraverso il corpo del poeta veggente, sottomesso ad un’operazione sacrificale per consentire la celebrazione di un rito di rinnovamento, al quale sono indispensabili coordinate all’apparenza contraddittorie nell’incrociare fitta presenza delle cose terrene e slancio dell’esperienza mistica del sufismo.

  È su questo corpus poetico, così ricco e sfaccettato nel suo progressivo manifestarsi da aver consentito per primo una ricostruzione antologica di poesie scelte, offerte come sfida continua alle tensioni cruciali fra i due millenni, che risulta possibile aprire percorsi critici tesi a considerare le scritture di migrazione oltre il dato etnico e il portato delle novità tematiche e delle ragioni sociali messe in rilievo, anche nell’ambito italiano, da metodi interpretativi esito degli studi culturali. Pertanto queste pagine saggistiche accostano l’attenzione alle valenze della ricezione con un approccio mirato alla dimensione più strettamente letteraria, linguistica e stilistica, dove la poesia pur sempre attinge la propria forza d’origine, e gli esiti universalmente riconosciuti.

Gezim Hajdari a Filettino 2012

Gezim Hajdari a Filettino 2012

Una forza attiva su un orizzonte totale, che nell’esibire un radicamento nell’immaginario di culture periferiche, riesce nello sforzo di dislocare il centro dell’universo, anche letterario, attraverso un’operazione che mette in scena un io smarrito, non titanico, la coscienza di una piccolezza marginale rispondente a una letteratura minore. Voce marginale e minore, il poeta diviene obiettivo di persecuzioni quando pretende di rompere schemi, quando costringe al dialogo materializzandosi come altro e diverso, quando suggerisce con la propria scrittura vertigini di mondi aperti oltre ogni ristretta barriera e confinazione. Obbligatoriamente Hajdari sceglie i toni e le risorse dell’epica, tipica dei grandi momenti fondativi, per misurarsi a tutto campo con la Storia, che trascina ormai, travalicandole, le frontiere di incoerenti nazioni, inutili fossili su uno scacchiere in cui si manifesta la totalità mondo, secondo Glissant.

      Il poeta si fa allora tessitore di trame ancora fragili, ma proiettate su una messa in forma futura, che può irrobustirsi solo con l’incessante lavoro di ricomposizione dei modi inventivi, divaricati nelle forme scrittorie e nelle lingue, e che vanno alimentati col paziente lavoro per connettere le voci di ogni provenienza, dal vicino Mediterraneo, altrettanto potenti di quelle delle Filippine o dell’Africa. Ma non è contraddittorio aggiungere che nella parabola della creazione poetica albanese, italofona, mondiale di Hajdari si rintracciano anche gli esiti di una sensibilità diacronica, che guarda al filone più aperto della nostra tradizione novecentesca; i debiti riconosciuti verso due interpreti della modernità internazionale quali Saba ed Ungaretti, raccolgono la spinta a fare tesoro degli inesausti potenziali della lingua italiana, evoluta anche attraverso le voci più recenti di coloro che l’hanno incontrata fra le tribolazioni dell’età adulta. Essi le hanno consegnato una gamma di sensazioni e di potenziali estranei, che rispondono all’investimento emozionale ed al carico di aspettative tipici di un atteggiamento denso di stupore infantile, che ha la convinzione tipica di una coscienza netta e intensa di poterle garantire vitalità e rinascita, da porre a disposizione di figure umane deboli e spaesate, in grado di superare la fragilità caduca del corporeo e del contingente soltanto attraverso il sopravvivere pieno della voce poetica, che sa travalicare spazi e tempi.

 (Tratto da Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari. Cosmo Iannone Editore, 2010. A cura di Andrea Gazzoni)

Gezim  Hajdari con la sua compagna Iris Hajdari, Marsiglia 2012

Gezim Hajdari con la sua compagna Iris Hajdari, Marsiglia 2012

 Andrea Gazzoni Introduzione. Cantare nel sisma dell’esilio

Qui si raccolgono quattordici testi critici dedicati all’opera di Gëzim Hajdari, quelli che chi scrive ritiene i più importanti.[1] Ancora mancano studi monografici di rilevante ampiezza, mentre sono ormai numerosi sia i saggi, in volume o rivista, sia gli interventi a conferenze, convegni, presentazioni. Da questa messe il libro raccoglie i suoi materiali (con l’aggiunta di alcuni inediti) e li propone nel loro insieme come uno strumento utile per chi voglia studiare o avvicinare l’opera di Hajdari.

      È una ricapitolazione critica di un percorso letterario che di libro in libro, raddoppiandosi tra italiano e albanese (due lingue, due immaginari, due mondi), ci ha rivelato una costellazione di leggibilità solo in parte decifrata e ancora da scoprire. Ogni opera di Hajdari sembra gettare fasci di luce retrospettiva su tutto il resto, portando allo stesso tempo alla nostra coscienza ombre, zone oscure, esperienze opache e refrattarie.

      I saggi qui riuniti sono raggruppati in sezioni che si definiscono in base ai loro approcci e ai nessi di problemi dai quali muovono. Con la prima sezione vengono proposti saggi che lavorano sul senso dell’esilio in Hajdari: quelli di Simona Wright e Franca Sinopoli, i primi in ordine cronologico, partono da ricognizioni della nascente letteratura italiana della migrazione per poi misurarne alcune questioni sul corpo della poesia di Hajdari. Se Wright sceglie una prospettiva diacronica, Sinopoli si concentra su una tipologia di scrittura e su un singolo testo poetico e, d’altra parte, lo affianca ad un secondo testo esemplare delle scritture migranti in italiano: Immigrato di Salah Methnani. Anche Ugo Fracassa sceglie il confronto con un altro autore, vissuto però nella prima metà del Novecento: Emanuel Carnevali. L’analisi serrata e incrociata permette di tracciare somiglianze decisive in due scrittori coinvolti, a distanza di tempo, in simili e simmetriche esperienze di dispatrio e di scrittura (Carnevali è italiano e, emigrato negli Stati Uniti, scrive in inglese). Nel saggio L’intentio epica dell’esilio ho tentato invece di portare alla luce, a partire dal Poema dell’esilio, i gesti epici coi quali Hajdari investe la sua poesia.

      La seconda sezione è dedicata all’inscindibile relazione lingua-patria, vissuta da Hajdari attraverso il bilinguismo. Fausto Pellecchia, leggendo Stigmate, ci conduce attraverso le tensioni della lingua di Hajdari per coglierne la radicale portata filosofica, che irrompe ogniqualvolta la poesia, dentro la lingua, faccia balenare il non-linguistico, l’infans. Silvia Vajna de Pava, lavorando sul sostrato albanese della poesia di Hajdari, descrive il passaggio tra le lingue e le patrie come perdita e ritrovamento del canto, intuibile attraverso la ricorrente nominazione ornitologica. Constantina Evanghelou descrive (attraverso le relazioni tra lingua, madre, sensi e luogo) le patrie che costruiscono l’io di Hajdari: la memoria, il luogo e la poesia.

      La terza sezione raccoglie saggi dedicati a singoli libri, attraverso i quali emergono, di volta in volta, elementi o funzioni particolari della scrittura di Hajdari: Simona Wright analizza Corpo presente sotto il segno dell’assenza; Laura Toppan attraverso Maldiluna ricapitola l’itinerario di Hajdari nella congiunzione di vita e parola; Massimo Fabrizi offre un commento puntuale di Péligorga, con particolare attenzione al carattere di ricapitolazione e nuovo inizio che segnano il libro; Ugo Fracassa legge San Pedro Cutud e Muzungu discutendo i sottili slittamenti che Hajdari impone agli schemi della scrittura di viaggio e il gioco di sovrapposizioni e sfasature che essa instaura con l’opera poetica.

Gezim  Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell'artista Marica Bisacchi

Gezim Hajdari con la sua testa in ceramica, opera dell’artista Marica Bisacchi

  La quarta sezione, infine, è composta da testi che costituiscono un minimo ma essenziale campionario di quelle figure in Hajdari ricorrono come emblemi della poesia stessa, in un certo senso come “doppi” del poeta. Laura fa un excursus sulla donna che è l’assente/presente dal teatro della poesia di Hajdari e allo stesso tempo ne è il punto di fuga, il termine mai raggiunto, non nominabile, non visibile: madre, amante, patria. Viktor Berberi insegue le ombre del corpus di Hajdari: doppia, transitoria, oscura, l’ombra è il segno del rapporto di unione e disunione tra vita e scrittura. In conclusione l’intervento di Luigi Manzi, poeta che Hajdari ha antologizzato e tradotto nel libro Il muschio e la pietra, ci riporta alle ragioni prime dell’interesse per la poesia di Hajdari, a una lettura intensa fatta di intuizioni folgoranti, a un corpo a corpo doloroso ed estatico, a formule e parole che passano dalla parola di Hajdari a quella dello stesso Manzi: una restituzione del libro all’opera che ne è la “materia”.

(Tratto da Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari. Cosmo Iannone Editore, 2010. A cura di Andrea Gazzoni)

[1] Nella scelta non si è tenuto conto di forme testuali estremamente sintetiche, come le prefazioni, o non primariamente critiche, come le testimonianze.

– Testi tratti da Poesie scelte, Edizioni Controluce I edizione 2008, II edizione ampliata con nuovi testi 20014 –

Gezim Hajdari Frosinone 2007

Gezim Hajdari Frosinone 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

MALDILUNA

Io, Gëzim Hajdari,
creazione di tremule ombre notturne,
errante maledetto delle sacre dimore,
confesso davanti agli dei,
ai templi e all’oblio.
Confesso davanti ai campi abbandonati della patria
e ai fuochi dell’Inferno:
sono maschera della mia maschera,
e ciò che ho scritto sono fandonie,
non sono stato io
ma un indegno delirante,
chiuso in una stanza sgombra.
Giuro e scomunico i miei versi maledetti
ovunque siano
e chiedo perdono ai pazienti lettori
per averli ingannati
con il mio fango.

Che possano cadere tutti i fulmini del cielo 
e l’ira dei demoni su di te,
Cerbero possa giudicare la tua anima tenebrosa
tra le fiamme impietose.
Hai perso la nostra fiducia
nelle paludi invernali vagherà la tua ombra orfana
come uno spirito maligno,
che tu non possa trovare mai pace sulla terra degli uomini!                
Piogge cadranno, nevi e melma dall’alto,
soffieranno venti gelidi sulla tua parola,
fiumi neri cancelleranno il tuo nome.
Con polvere e pietre copriremo le tue orme passo per passo
e con l’oblio sarai condannato                                                           
dalla tua stirpe!

O stagioni finte con fiori di ginestre e profumo di viole
nei cespugli in primavera
dove il passero gioioso insegue il cuculo;
rosa canina,
petali di papaveri
caduti nella terra del crimine,
sentieri con fischi di vipere.
O anni persi nei ruderi di merli e civette,
labirinti oscuri e tremendi dove ho errato
come un monaco mesto
per tutto questo tempo,
in nome di un Padre che non si è fatto mai uomo.
O bei giorni consumati invano
in una patria castrata
lanciando sassi controvento
e scrivendo con la punta del coltello sulla mia carne
canti d’amore e di pena.
O vortici di sogni incantevoli
che continuate ad uccidere poeti ingrati
senza una guerra, né una goccia di sangue.
Io, ombra della mia ombra,
condannato all’esilio per un altro esilio
bestemmio il mondo
e sputo in faccia al dio ipocrita e crudele,
ho amato solo il mio terrore e non il canto dell’uomo.

Ma tu, mia vecchiarella,
continui a volermi bene come sempre,
nomina il mio nome come facevi ogni sera
nella piccola e umida casetta di campagna
e non dar retta a quel che scrivo.
Sgomento è il mio cervello,
avvelenati i miei pensieri,
e se in un’alba m’impiccassi,
sarà per una vergine puttana
per un poeta la vita conta poco,
è la morte che vale.
Ho deciso di svendere questa vita
in cambio di uno squallido poema,
ma tu, grazia il tuo figlio prediletto
che amava gli alberi
stretti l’uno all’altro.
Ritornerà il mio nome
e busserà ad ogni crepuscolo alla tua porta
come un uccello che cerca di ripararsi dalla pioggia,
come un fragile amante pentito.

Sia castigato il tuo verbo maledetto in tutto il regno dei vivi
e che sia impedito al tuo seme di fiele di attecchire
nella terra di Adamo,
pèntiti del peccato orribile
e che dio misericordioso ti assolva!

Gezim Hajdari nello suo studio con la sua compagna Iris

Gezim Hajdari nello suo studio con la sua compagna Iris

Sono vissuto sempre in mezzo ai miei simili
solitario ed estraneo ad essi,
affascinato dalla mia follia
e dagli occhi teneri degli uccelli,
celebrando le mie ceneri oscure e chiare
sotto la luce di una luna spaventata,
testimone di atroci delitti.
Come un assassino in fuga,
attraversando regioni di neve,
rivendicavo a piena voce nel silenzio cieco e macabro
il mio potere .
Ridi tu, valle,
e nascondi il mio panico,
sorgi tu, collina
e copri il mio terrore,
germoglia tu, stagione funebre
e distruggi i miei sogni veggenti.
Con il pettirosso del cortile
che m’insegue nel bagliore del ghiaccio
divido il tormento
in questo autunno pallido.
Nessuno crede alla mia gioia,
i giorni per me sono cieli chiusi di pietre
e le notti paradisi di orge.
I primi che ho conosciuto nell’infanzia
furono i falchi nella mia collina;
si nutrivano delle allodole dei prati
ed io mi beavo ai pianti delle vittime,
mettevo in testa corone di ginestre
e passavo davanti alla battaglia dei predatori
come un re vincitore.
Chi non applaudiva con me era un vigliacco,
questo sono io,
ho adorato i volti sorridenti dei tiranni
ed ho odiato prima di amare.
Avanzate miei amori crudeli
mordete la mia carne innocente
lapidate con pietre i miei occhi castani;
incendiate la mia angoscia,
affinché vengano placati i miei gemiti
e sia fatta la vostra volontà malvagia.
Che aspettate,
inchiodatemi con le mie parole
fino al sangue,
flagellatemi il corpo con i miei versi;
impiccate il mio cuore rosso
ai rami
prima che io corvo dei corvi
entri nelle vostre vene
a bere del vostro sangue impuro,
per risorgere mostro.

Oh, cose inaudite e blasfeme ascoltiamo
in questa notte di stelle gelide,
mentre canta il primo gallo rivolto ad Oriente:
morirai lontano dalla tua terra oscura, 
distrutto dal dolore dell’esilio immenso,
spine mortali cresceranno dalle tue ceneri.

Sono uno straniero di passaggio,
nulla rimpiango del tuo regno di perdizione,
un altro destino rivendico;
conosco i segreti della vita infedele
come l’arma il proprio delitto,
Non c’è veleno che calmi la mia pazzia
donatami dal Padre
prima che diventassi
figlio di cannibali
nel deserto promesso.
Accoltellato dai fedeli
in una notte fonda
di comunione
e tradimento,
mostro alla gente la mia ferita che sanguina:
desiderio del mistero voluto.
Dal giorno che ho perso Atlantide,
erro senza meta nelle strade e nei campi
con la mia ossessione nelle mani
e maldiluna,
incendiando
alfabeti,
eros,
addii.
Oblio del tempo, salvami.

So quel che faccio mio dio
e non chiedo grazia a nessuno;
io contadino di capre,
abitante di ex-cooperative agricole di buio e fulmini,
che un tempo correva dietro ai tori insanguinati e alle ombre,
non obbedisco al tuo disordine,
ben venga il rogo
e questi versi come castigo dell’eterno.

Gezim Hajdari nel suo studio 2006

Gezim Hajdari nel suo studio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

SPINE NERE

C’era una volta un ragazzo magro dall’animo fragile
con occhi castani e sguardo penetrante come un corvo nero,
nato in un inverno magico di lampi e tuoni marini
e cresciuto sulla collina brulla vicino alle stelle ardenti.

Quando vide i primi raggi del sole pallido:
«Il suo nome vivrà in eterno -dissero i laghi e le nebbie cieche –
di pietra in pietra verrà scolpito il suo verbo,
nei secoli la sua storia d’uomo verrà narrata».

«O donne, lo renderemo immortale –
giurarono i folletti delle valli oscure –
gli insegneremo la lingua degli uccelli e delle Fate,
e lo affideremo all’amore».

Per sette giorni e sette notti egli dormì nelle ali delle Ore
senza mangiare, né succhiare al seno di donna.
Fu un patto stipulato con sua madre,
nel caso la creatura nascesse maschio.

Con un bel nome lo battezzarono nel paese natio i saggi
giunti di notte dalle regioni di mezzaluna.
Con l’acqua fresca del pozzo lo benedissero una mattina di febbraio
donne zingare dai volti scavati e dalle trecce nere.

Lui veniva dall’Est, paese del sole nascente,
tra riti e falchi trascorreva la sua infanzia.
Con fiori di ginestre intrecciava ghirlande per la sua capra
e le infilava tra le vecchie corna.

«Lo chiameremo col titolo nobile di bey
e aumenteremo i terreni – brindavano spesso i nonni paterni –
prima diventerà il principe della sua gente
poi il Re del paese».

Passarono anni ed egli crebbe con il latte di rondine,
mentre il sole seccava le spine della sua futura corona
e il bosco allargava il tronco del suo trono bianco come la neve,
nei campi lunari cadevano piogge feconde.

Nel suo paese tirava sempre vento e l’erba cresceva incurvata,
mentre di notte sulla riva del fiume danzavano belle spose.
Dalle faide sanguinarie sorgeva la sua stirpe antica:
guaritori di morsi di serpenti, indovini di destini furono i suoi avi.

Sul fango e la polvere camminava la sua gente umile
con la speranza nella terra e nella benedizione del Signore.
Quando moriva qualcuno veniva seppellito all’ombra dell’ulivo,
senza né croce, né mezza luna.

Fu allora che il ragazzo di notte e di nascosto,
decise di scendere dalla collina fino al fiume profondo
aspettando impaurito nel silenzio e nel buio
di incontrare le belle spose danzatrici.

«O bel fanciullo – gli dissero appena lo videro –
dicci quale bontà ti ha portato fin qui? –
mentre danzavano intorno a lui
legate con le proprie trecce –

Nessuno fino ad oggi ha osato
assistere alla nostra danza notturna,
che il tuo seme non possa crescere sulla terra,
sarai maledetto in eterno.

Morirai in esilio solo e di crepacuore,
lontano dal paese che amavi.
Divoreranno impietosamente la tua debole carne
pietre ed aquile nere a due teste.

Mai nessuno pronuncerà il tuo nome
nei richiami quotidiani.
Il peccato lugubre ti peserà
come un vecchio chiodo nella fronte.

La tua anima non sarà mai amata,
nessuna donna ospiterà il tuo corpo.
Vivrai dimenticato per il mondo
come una pietra buttata al margine della strada».

E nel fiume oscuro le bianche spose scomparvero
cantando e danzando nella lingua dei fiumi.
Vortici di fuoco avvolsero il ragazzo sette volte
senza lasciare segni di sangue,né ferite.

Da quella notte fonda
gli spiriti abbandonarono le valli.
Le donne misero la sciarpa nera in testa
una nenia sgomenta si udì nel paese.

Cessarono i lampi, i tuoni marini,
i galli del paese cantavano giorno e notte.
Siccità e spine crescevano nei campi seminati,
ovunque regnavano le ombre.

Un giorno di pioggia egli attraversò il mare
avvolto da canti marini e nebbie cieche.
Gli sembrò che qualcuno lo seguisse nell’oblio,
come se lo volesse accoltellare.

Nulla si sa della sua vita errante,
nel profondo racchiude i suoi misteri.
Come un monaco mesto fugge per il mondo
con una vecchia sciarpa intorno al collo.

Così narra la leggenda:
si dice che egli, di notte, torni
nel paese dell’Est che tanto amava
su di un cavallo bianco.

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UN POEMA di Gëzim Hajdari “Contadino della tua vigna” con una nota di Raffaele Taddeo

 

Gëzim-Hajdari Bellano 2003

Gëzim-Hajdari Bellano 2003


gezim hajdari copertina 

 

 

 

 

 

 

 

Poesie scelte I° edizione. Edizioni Controluce 2008

Poesie scelte II° edizione. Edizioni Controluce 2014  (quest’ultima edizione ampliata include testi nuovi rispetto alla prima edizione).

 

Gëzim-Hajdari San Petro Cutud, Manila, Filippine 2003 foto di Piero Pomponi

Gëzim-Hajdari San Petro Cutud, Manila, Filippine 2003 foto di Piero Pomponi

Premessa

Quest’antologia raccoglie una parte dei miei testi tratti da Erbamara, Antologia della pioggia, Ombra di cane, Sassi controvento, Corpo presente, Stigmate, Spine nere, Maldiluna e Peligòrga. Sono passati ben ventitre anni dalla prima pubblicazione. Anni convulsi di lotte per la libertà e per la democrazia del mio Paese, denuncie contro i crimini della dittatura comunista di Hoxha e contro gli abusi e le speculazioni dei nuovi regimi mascherati, disillusioni, minacce di morte, fughe, esili, condanne al silenzio da parte della mafia politica e culturale di Tirana Più di dodici  anni di mestieri diversi come manovale per sopravvivere, sia in patria che in Occidente, studi infiniti, viaggi  in Africa, in Asia e nel sud del mondo testimoniando diverse e dimenticate realtà, spesso rischiando anche la vita.

É’ proprio durante questo percorso che nasce e prende corpo il mio verso, nutrito dai canti epici dei miei avi malsorë (montanari). La mia stirpe proviene dalle Alpi del Nord, luogo mistico dove si trovano il Bjeshkët e Nëmuna (Le Montagne Maledette) e dove ha regnato per cinquecento anni il Kanùn, (Codice Giuridico orale albanese) e la besa (la parola data, la promessa). Tutto passava attraverso la parola.

Sono testi scritti parallelamente in tutte e due le lingue: in albanese e in italiano.

Non ho seguito un ordine cronologico di pubblicazione, ma quello di creazione delle raccolte. Voglio far rilevare  che, in quest’antologia, non ho potuto inserire i versi del Poema dell’esilio (II° edizione ampliata 2007), nonché il dramma epico in versi Nur. Eresia e besa perché considero queste ultime due opere complesse e a parte. Come tale, non potevano essere spezzate, ma devono essere lette integralmente. Coloro che l’hanno letta, comprenderanno le ragioni della mia decisione.

Gezim Hajdari foto di Piero Pomponi sul fiume Niger, Mali, 2004

Gezim Hajdari foto di Piero Pomponi sul fiume Niger, Mali, 2004

Raccogliere questi testi in un “nuovo libro” (che viene pubblicato anche in lingua albanese dallo stesso editore) è stato per me molto difficile e toccante, come tornare indietro nel tempo e nello spazio e rivivere di nuovo il mio percorso poetico, che ha inizio nel paese natale Hajdàraj, piccolo villaggio collinoso della provincia di Darsìa, dove durante l’autunno e l’inverno si scatenano lampi, tuoni e fulmini tremendi e dove tira sempre vento.

Penso che questa mia scelta, promossa dal mio editore storico Besa, riuscirà ad accompagnare i lettori, dando loro, finalmente, un panorama più completa del mio viaggio poetico tra i  mondi in quest’arco di anni. E’ stato doveroso proporre  questa ‘nuova raccolta’, poiché le mie prime raccolte uscite in Italia dopo gli anni ’90 sono esaurite e in attesa di ristampa.

G.H.

Gezim Hajdari Lucca 2001

Gezim Hajdari Lucca 2001

Quarta di copertina

“Gezim Hajdari, con la sua opera sta universalizzando l’essere stesso del migrante. La precarietà, la solitudine, la emarginazione come situazione della migrazione individuale è il canto che si sprigiona dalla poesia del poeta di origine albanese. Dante aveva universalizzato la pur reale condizione della lontananza dalla sua patria, trasfigurandola come lontananza del singolo dalla gloria e dalla salvezza eterna, dal Paradiso; Gezim Hajdari ha universalizzato, invece, la necessità dell’abbandono e della lontananza da qualcosa di prettamente terreno. In Dante l’esilio, l’attaccamento alla patria terrestre, viene scavalcato dalla vita eterna; in Hajdari, l’esilio conduce al superamento di ogni legame con un territorio terrestre lasciando l’uomo senza altro territorio se non il proprio corpo. E’ la condizione dell’orfano perenne che deve contare sulle proprie forze per sopravvivere, senza alcuna adozione. Il paragone con Dante potrebbe sembrare eclatante, ma a quanto mi è dato di conoscere, difficilmente nella storia italiana o addirittura nella letteratura mondiale, è rintracciabile un poeta capace di universalizzare la situazione dell’esilio e dello spaesamento così come avviene in Hajdari.”

(Raffaele Taddeo)

Gezim Hajdari Ancona 2010

Gezim Hajdari Ancona 2010

 

 

 

 

 

 

 

CONTADINO DELLA TUA VIGNA

Fanciulla della Ciociaria,
mia dolcezza, fiore selvatico delle colline di Saturno,
sei una puledra focosa che corre per i campi trebbiati
tirando calci al vento,
piena di odori e fiumi femminili,
profuma la tua pelle mora e inebria gli erranti.
Appena ti sfioro, il tuo corpo freme,
il tuo pube si apre come una rosa fresca ,
come la melagrana matura nella mia Darsìa
che toccata dalle prime gocce delle piogge autunnali
si spaccava e gocciava sul suolo assetato,
conducimi nei tuoi inni, nelle tue curve ombrose.
Mi incanto nell’odorare la tua carne giovane e lussuriosa
che eccita il mio giunco,
il tuo seno polposo all’insù avanza
verso i miei cieli nudi.
Io vengo da una regione di eros
è per questo che fremo di desiderio;
nel mio villaggio ero circondato in ogni istante da attimi d’amore:
fichi neri sui rami che si aprivano e gocciavano,
fiori di iris, dal colore della tua ferita, avvolgevano
la mia casetta giorno e notte.
Albicocche dal sapore di miele che pervadeva la mia stanzetta
e il gelso rosso, le more, le visciole che provocavano le mie mani
e le mie labbra con il loro mosto,
come fosse il sangue della prima notte.
Ogni mattina sull’erba del mio giardino trovavo petali di rose rosse
cadute di notte sull’erba verde
ed io divenivo un toro infuriato nell’arena;
cotogne mature spezzavano le tegole della casetta di pietra
a notte fonda,
svegliandomi dai sogni erotici notturni.
Oh, i chicchi d’uva bianca come i tuoi capezzoli succosi
pieni di latte e di desideri,
l’anguria fresca sfiorata dai miei passi che si apriva all’istante,
come oggi la ferita tra le tue cosce dove scorrono le tue acque
che fluiscono nelle mie acque
bianche come la rugiada delle valli
si modellano le orme delle mie labbra umide sul tuo ventre ardente di donna.
Oh, la neve bianca sulle colline che mi faceva ricordare il velo
delle spose del villaggio nel giorno del matrimonio,
oh, il lenzuolo macchiato di sangue della prima notte
appeso nel giardino alla vista di tutti,
giuggiole e corniole rosse come un rosario intorno al tuo collo
[di cerbiatta
e il vomere che arava la terra come fosse il corpo maturo
della mia bella vicina di allora.
Bevo la tua verginità come un folle,
come bevevo il succo della melagrana spaccata nella mia collina
[nei meriggi di ottobre;
la mia giovinezza trascorreva nel tormento,
la mia Darsìa provocava il mio eros ogni momento,
[giorno e notte.
Cosa non ho fatto per placare i miei istinti sessuali al tempo
[della dittatura albanese,
flagellando la mia parte bassa legata al peccato
e bevendo latte di capra.
Erano tempi duri di castità di Stato,
chi rubava un bacio commetteva un’eresia
e finiva in prigione per stupro e violenza,
strano spettacolo di vita si giocava nella mia patria
e a me è toccato nascere proprio nella regione
più erotica e più proibita del mondo;
dove ho visto i contadini castrare i testicoli del toro
con le pietre
e la vitella accanto che guardava stupita il castigo crudele inflitto al suo amoroso,
nessuno ha mai visto una castrazione così terribile.
Voglio esplorarti cellula per cellula,
voglio bere tutti i ruscelli dei tuoi laghi,
tutte le tue lune piene;
nessuno potrebbe attraversarti come me ex pastore di capre,
grida, strilla, di più, di più voglio sentire ogni tuo gemito profondo,
sazierò ogni tuo desiderio scabroso
morderò come un affamato la tua pelle,
le colline nude dei tuoi seni di pesca.

Gezim Hajdari nel suo studio foto di Iris Hjadari

Gezim Hajdari nel suo studio foto Iris Hjadari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piangi, ridi, impazzisci, voglio cadere sopra il tuo corpo
come un martire sul campo di battaglia
fedele al suo condottiero
ucciso con la propria freccia.
Non mi spaventa la tua fame di donna
entrerò nella tua arena senza armi e senza corazza
solo con il mio cavallo imbizzarrito,
senza sella, né briglie, né cintura.
Domerò l’incendio della tua selva,
mi bagnerò del piacere della tua dorata conchiglia,
ascolterò i tuoi suoni, il tuo buio, le tue ombre,
sentirò la tua caverna priva di tempo vibrare di passione.
Sono io il tuo toro errante che ti lega all’albero dell’olmo
come faceva con la sua capra
nel villaggio natale;
tutti quelli che ti hanno amato prima di me non sono stati altro che eunuchi,
tutti quelli che ti hanno attraversato prima di me ti hanno mentito.
Voglio toccarti il fondo,
spegnere le tue fiamme con la mia carne,
invadimi con le tue mani come un nemico arreso,
fammi sdraiare su un letto di pietra cannibale,
divorarmi, la mia brama d’amore è infinita.
Desidero scavarti ogni giorno, come un tempo la terra oscura di Darsìa;
mia colomba, sono duro e casto
ti possiedo come una robinjë di guerra
e sul mio destriero trionfatore ti porto dal mio re,
divoratore di prede.
Mia confessione, respiro il tuo corpo lieve, i tuoi brividi,
i tuoi sospiri, i tuoi fremiti,
respiro il nettare della tua rosa canina
mentre ti afferro come il cavallo la puledra in calore
nel campo di biada.
Godo il frutto del tuo corpo
il mio membro ti sazierà fino a farti scoppiare in lacrime tiepide,
come fossero tiepide pioggerelle d’estate;
appoggia la tua luna nelle mie mani di contadino
affida alle mie labbra assetate il sapore delle tue labbra tenere e carnose.
Apri la tua veste candida,
voglio respirare il profumo del tuo sesso maturo,
felice di essere fecondato dal mio membro desideroso;
coprimi con il tuo corpo come un albero,
sfiorami con i tuoi seni eccitati che fremono,
oh, i tuoi fianchi ricolmi!
Sei pura e il tuo pube è in fiore
ogni sentiero mi porta alla tua ferita,
inebriami della tua fragranza
come la pioggia d’estate penetra nelle fessure della terra spaccata,
così ti penetro anch’io, perché sono il tempo della pioggia.
Sono custode del tuo buio, guardiano del tuo fuoco, contadino della tua vigna,

per me diventi una patria per la prima volta senza tiranni,
un nuovo esilio;
ed io ti nomino regina degli esuli in fuga
verso la linea sottile dell’orizzonte impazzito.

gezim hajdari Foto di Luigi Morante. Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2007

gezim hajdari Foto di Luigi Morante. Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana a Parigi, 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho paura! Sei un errante e un giorno te ne andrai,
non manterrai la tua promessa di besa
e l’anima mia non riuscirà a trovare pace in cima alla collina buia,
tu mi fai solo soffrire,
uomo dagli occhi di falco,
non lascerò che mi trasformi in polvere e cenere;
ma appena mi sfiori, non resisto
la mia carne freme, perdo la memoria e mi arrendo al tuo destriero guerriero.
Mio amante folle,
venuto dal freddo
con il freddo
vieni,
voglio fare l’amore dodici volte al giorno come una pernice;
sono giovane e ti sazierò,
ti inebrierò con i miei profumi d’Oriente fino a farti perdere
la via del ritorno,
ti guiderò da collina a collina,
da fuoco a fuoco,
da valle a valle,
e da verde a verde.

Ti porterò nella mia regione, terra di terremoti,
ti racconterò fiabe d’Oriente d’inganni e tradimenti,
ti trasformerò in un cuculo
che fa il nido nella mia selva ombrosa
e non abbandona il luogo del suo canto.
Nel mio letto dimenticherai la tua patria dell’Est
che ti ha fatto nascere per essere il suo martire
e ti salverò dalla maledizione dei xhin .
Ti amo per le tue notti,
[per il tuo cuore di ghiaccio,
[per i tuoi coltelli affilati nella pietra,
[per il tuo delirio;
mio seme di contadino
voglio essere la tua capra del villaggio di una volta,
per farti bere nel mio seno succoso
che fa aumentare il tuo desiderio di ex pastore virile.
Diventerò la tua favorita
per leggere il tuo destino
e chiamarti con un altro alfabeto;
chiederò alle tue Zana che m’insegnino a leggere
il cielo e la terra come i tuoi avi,
per stregarti e sedurre la tua anima arida
[da monaco mesto.
Ruberò alle spose del fiume la chiave per aprire la porta
invalicabile della tua stanza sgombra

e offrirti una coppa di dolce fiele coltivata nei campi
dei tuoi versi erranti
e vederti ai mie piedi.
Succhierò il sapore amaro delle tue labbra esuli,
ti bacerò fino alla morte
per sottometterti almeno una volta
e sentirmi regina
e tu il guardiano d’ombre che mancherà alla besa Kanùn .

– Baciami e abbi pietà di questo corpo martoriato
che emana gioia e spavento
e vaga di esilio in esilio,
umiliato ed offeso dai tiranni della sua prima patria.
Baciami e prega per queste braccia superstiti
nella dittatura
e ferite nella libertà,
per queste mani cresciute sotto la nudità della pioggia,
per queste labbra che tremano sotto il cielo oscuro dell’Occidente,
per questo Verbo diventato amore e sacrificio.
Accogli questi occhi sconfitti e insanguinati
[fuggiti alla morte di notte,
sempre in allerta pensando che qualcuno m’insegua;
benedici questo sguardo sepolto dal Tempo,
togli queste spine nere dalla mia pelle,
lenisci le mie stigmate,
accarezza le mie pietre
per alleggerire il loro peso prima che mi uccidano.
Non ascolti il nostro sangue rosso che pulsa nelle vene,
le peligòrghe che ci cantano nelle dita?
Mia pernice che profumi d’Oriente,
amiamoci morendo di fronte ai coltelli
e all’alba rinasciamo di nuovo in questo mondo di terrore;
baciamo i nostri corpi innocenti condannati al confine
come se fosse l’ultimo bacio dell’ultimo giorno,
come se fosse eterno,
per tentare se è possibile amarci ancora una volta.
Non ti spaventare, sono le tortore impaurite che si alzano in volo
e le ombre delle colline, quelle che cadono sui nostri corpi,
ora i fulmini giacciono nelle grotte marine oltre l’occhio del giorno.

Gezim Haidari foto di Luigi Morante; Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana, Parigi, 2007

Gezim Haidari foto di Luigi Morante; Centro Internazionale di Lingua e Cultura Italiana, Parigi, 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– Non so se benedire o maledire il giorno in cui ti ho conosciuto,
il tuo amore:
gioia o sventura?
Mio errante di passaggio,
riempimi di te
e lascia che il tuo toro percorra i miei prati
e le mie bianche dune.
Lascia che il tuo diavolo infuriato si asseti nelle mie sorgenti
sono ardente, attraversami con i tuoi xhin,
con le tue Zanat
con i tuoi oracoli,
con le tue pietre.
Seminami, fecondami,
mordimi come mordevi le more,
toccami come toccavi le visciole,
succhiami come succhiavi la melagrana spaccata della tua
[collina,
inondami della schiuma bianca del tuo fiume in piena,
inonda la mia valle di papaveri rossi
e fa che il tuo dio fertile si perda nella mia luna oscura!

(Tratto da Poesie scelte, Edizione Controluce 2014)

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POESIE di Gëzim Hajdari ANTOLOGIA PERSONALE – Testi tratti da Poesie scelte, Edizioni Controluce (edizione ampliata, 2014) – Parte I

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

Gëzim Hajdari, è nato nel 1957, ad Hajdaraj (Lushnje), Albania, in una famiglia di ex proprietari terrieri, i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Nel paese natale ha terminato le elementari, mentre ha frequentato le medie, il ginnasio e l’istituto superiore per ragionieri nella città di Lushnje. Si è laureato in Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani” di Elbasan e in Lettere Moderne a “La Sapienza” di Roma.

In Albania ha svolto vari mestieri lavorando come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio di bonifica, due anni come militare con gli ex-detenuti, insegnante di letteratura alle superiori dopo il crollo del regime comunista; mentre in Italia ha lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Attualmente vive di conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia la sua opera.

Nell’inverno del 1991, Hajdari è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. È cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës, nel quale svolge la funzione di vice direttore. Allo stesso tempo scrive sul quotidiano nazionale Republika. Più tardi, nelle elezioni politiche del 1992, si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA.

Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, gli abusi, la corruzione e le speculazioni della vecchia nomenclatura di Hoxha e della più recente fase post-comunista. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese.

La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in albanese e in italiano. Ha tradotto vari autori. La sua poesia è stata tradotta in diverse lingue. È stato invitato a presentare la sua opera in vari paesi del mondo, ma non in Albania. Anzi, la sua opera, è stata ignorata cinicamente dalla mafia politica e culturale di Tirana.

È presidente del Centro Internazionale Eugenio Montale e cittadino onorario per meriti letterari della città di Frosinone. Dirige la collana di poesia “Erranze” per l’editore Ensemble di Roma. È presidente onorarario della rivista internazionale on line “Patria Letteratura” (Roma), nonché membro del comitato internazionale della Revue électronique “Notos” dell’Université Paul-Valery, Montpellier 3. Considerato tra i maggiori poeti viventi, ha vinto numerosi premi letterari. Dal 1992, vive come esule in Italia.

Ha pubblicato in Albania: Antologia e shiut, “Naim Frashëri”, Tirana 1990;Trup i pranishëm / Corpo presente, I edizione “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999 (in bilingue, con testo italiano a fronte). Gjëmë: Genocidi i poezisë shqipe, “Mësonjëtorja”, Tirana 2010.

Gezim Hajdari 1

Gezim Hajdari al Centro Internazionale di lingua e cultura italiana Parigi, 2007

Ha pubblicato in Italia in bilingue: Ombra di cane/ Hije qeni, Dismisuratesti 1993; Sassi controvento/ Gurë kundërerës, Laboratorio delle Arti,1995; Antologia della pioggia/ Antologjia e shiut, Fara, 2000; Erbamara/ Barihidhët, Fara, 2001;

Erbamara/ Barihidhët, (arricchita con nuovi testi rispetto alla prima edizione). Cosmo Iannone Editore 2013; Stigmate/ Vragë, Besa, 2002. II edizione Besa 2007; Spine Nere/ Gjëmba të zinj, Besa, 2004. II edizione Besa 2006; Maldiluna/ Dhimbjehëne,Besa, 2005. II edizione Besa 2007; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, Fara, 2005; Poema dell’esilio/ Poema e mërgimit, II edizione arricchita e ampliata, Fara 2007; Puligòrga/ Peligorga, Besa, 2007; Poesie scelte 1990 – 2007, EdizioniControluce 2008; Poesie scelte 1990-2007, II edizione (arricchita con nuovi testi). EdizioniControluce 2014; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007 (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2008; Poezi të zgjedhura 1990 – 2007, II edizione (versione in lingua albanese di Poesie scelte), Besa, 2014; Corpo presente/ Trup i pranishëm, Besa 2011; Nur. Eresia e besa/ Nur. Herezia dhe besa, Edizioni Ensemble 2012; I canti dei nizam/ Këngët e nizamit (i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012; Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rroftë kënga e gjelit në fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013

Libri reportage di viaggio: San Pedro Cutud. Viaggio nell’inferno del tropico, Fara, 2004; Muzungu, Diario in nero, Besa, 2006

Libri sull’opera di Hajdari: Poesia dell’esilio. Saggi su Gëzim Hajdari, a cura di Andrea Gazzoni. Cosmo Iannone Editore 2010. La besa violata. Eresia e vivificazione nell’opera di Gëzim Hajdari, a cura di Alessandra Mattei. Edizioni Ensemble 2014

Ha tradotto in albanese: L’antologia Poesie /Poezi, ( con testo italiano a fronte) di Amedeo di Sora. “Botimet Dritëro”, Tiranë 1999. Forse la vita è un cavallo che vola, / Ndoshta jeta është një kalë fluturak, (con testo italiano a fronte, Edizioni Empiria 2000. L’antologia/ Eshka dhe guri/ Il muschio e la pietra (con testo italiano a fronte) di Luigi Manzi. Besa 2004.

Ha tradotto in italiano: I canti dei nizam/ Këngët e nizamit (i canti lirici orali dell’800,con testo albanese a fronte). Besa Editrice 2012. Leggenda della mia nascita/ Legjenda e lindjes sime (con testo albanese a fronte) di Besnik Mustafaj. Edizioni Ensemble 2012. Evviva il canto del gallo nel villaggio comunista/ Rrofte kenga e gjelit ne fshatin komunist (con testo albanese a fronte). Besa 2013

È co-curatore in italiano: dell’antologia I canti della vita (con testo arabo a fronte) del maggior poeta tunisino del Novecento, Abū’l-Qāsim Ash-Shābb, Di Girolamo Editore 2008. È curatore e co-traduttore dell’antologia Dove le parole non si spezzano (con testo originale a fronte) del poeta più importante delle Filippine, Gémino H. Abad, (Edizioni Ensemble 2014).

 (Testi tratti da Poesie scelte, Edizioni Controluce I edizione 2008, II edizione ampliata 20014)

gezim hajdari

Gezim Hajdari Centro internazionale lingua e cultura italiana Parigi, 2007

Anche nell’ aldilà mi suonerà
la maledizione nell’alba:
«Non avrai mai fortuna,
che tu possa morire come un cane!»

Ricorderò con timore
il mio dio crudele,
la melagrana spaccata
sotto la luna piena.

L’anatra che si tuffava nel lago,
i tori insanguinati .
Come un segno lugubre
il richiamo della volpe nel buio.

Gli stornelli che scavavano nella roccia
come se fossero impazziti,
le spine nere che cacciavo con l’ago
dai piedi di mia madre.

*

Ora vago tormentato nel paese
come uno spirito accoltellato.
Non mi fa più paura la morte
né il freddo della sera.

So chi mi ha amato
nella collina delirante.
Un amore eterno:
il fango e il buio invernale.

Dietro le spalle m’insegue
come ombra il destino.
Tra i calmanti notturni scelgo
il veleno della vipera.

Due cose porterò con me
nel paradiso promesso:
i pianti in primavera delle prede
e i canti dei gitani.

Non piangere,
è il pettirosso che corre
sul ghiaccio del ruscello.

Presto fiorirà il mandorlo
e gli uccelli lirici ci canteranno
nelle vene.

Non piangere,
ho percorso la tua ferita
per raggiungerti.

Gezim Hajdari_1

Il mio miglior amico è un asino,
un animale buono e serio.
Quando siamo tristi e amareggiati
ci guardiamo l’un l’altro negli occhi
per consolarci.

Insieme parliamo delle nostre cose,
mentre portiamo le pietre dalla cava
o andiamo nel bosco a far legna.
Meglio dar retta al mio ciuccio
che agli slogan del Partito.

Della nostra stretta amicizia,
le spie vigili del villaggio,
informarono la polizia segreta:
«Gëzim Hajdari e il suo asino
minacciano di rovesciare il socialismo».

*

Un verso cieco
senza memoria
è il mio corpo,
nato in un paese povero.

*

Veniva dalla città mia madre,
bella fanciulla della plebe.
Sposò un figlio di contadini,
proprietari terrieri.

Da quel matrimonio lontano
nacqui io, di notte,
in un anno lugubre,
mentre moriva padre Stalin.

Si dimenticarono presto
nel paese della mia nascita.
Il villaggio si mise a lutto,
per giorni e notti.

I seni delle madri
si svuotarono di quel poco latte.
Davanti al Segretario del Partito
i contadini piangevano disperati:

«Meglio se fosse morto mio figlio, che Lui» –
gridavano i padri.
I cani ulularono fino a notte fonda
per la tragedia accaduta.

Così sono venuto al mondo,
con il sangue spaventato d’un bambino
e l’augurio di morire
al posto di un dittatore.

Gezim Hajdari a Venezia

Gezim Hajdari Università Ca’ Foscari, Venezia, 2014

*

Avevo compiuto dieci anni
in quella lontana primavera,
quando ci portarono in fila
allo stadio della città.

Dovevamo assistere
all’impiccagione di un giovane.
Così ci dissero quella mattina,
nella scuola di campagna.

Il condannato era un poeta
che scriveva versi.
«É per il bene delle vittorie!» –
ci dicevano le maestre.

Appena giungemmo
sul posto della gjama ,
davanti ai nostri occhi si affacciava
la forca con il cappio.

Come bambini curiosi
ci fecero sedere davanti al boia,
per vedere da vicino come veniva castigato
un “nemico” della Causa .

«Dobbiamo schiacciare la testa
ai nemici del popolo» –
ripetevano continuamente
con il megafono tra la gente.

Mi si è congelato il sangue
quando il boia tirò la corda,
spegnendo per sempre
lo sguardo dolce del poeta.

Qualcuno tra la folla
si coprì gli occhi con la mano,
altri incitavano la gente
a sputare sul volto del giustiziato.

La sera tornammo nel villaggio
senza voltarci indietro.
I nostri volti divennero gelidi,
oscuri come il fango.

Non ho chiuso occhio quella notte,
accecato dal crimine.
Un profondo abisso si era aperto
sul mio corpo sgomento.

Come un’eco mi segue negli anni
la voce del poeta,
mentre recita i suoi versi
con il cappio stretto al collo.

*

Piove sempre
in questo
Paese.

Forse perché sono straniero.

*

Partiamo di notte,
dimenticando che siamo ciechi,
per raggiungere un territorio nudo
del quale ha bisogno la nostra voce.
Andiamo al mare per parlare
e lanciare sassi controvento.

Gezim Hajdari

Gezim Hajdari Università di Toulouse, 2011

Canto il mio corpo presente
nato da questo freddo spazio
che nulla promette.

Di notte,
visioni di bianchi templi
mi richiamano nel vuoto.

Ho sognato campi solitari
per cercare i segni confusi
e capire la maschera dei cieli
che ama gli abissi.

Non so perché guardo a lungo
la linea sottile dell’orizzonte
o le cime brulle con uccelli neri.

Dove si nasconde ciò che non trovo
sulle tremule alghe
o nei licheni bianchi?

Procedo nel verde consumato
e non porto nulla oltre il mio corpo.

Non lascerò nulla!

*

Sono campana di mare
di silenzi e di voci
chiuso nel Tempo.

E nessun Dio sente i suoni
di acqua e di fuoco
della mia carne.

In Occidente,
ogni primavera che passa
è ferita che si rinnova.

Ed io,
scavato da ombre e pietre,
trascorro le notti italiane
nel gorgoglio di sangue.

Da anni nell’ansia di morire.

Ingannato dalle voci degli oracoli
richiamo volti conosciuti
che non tornano (e mai torneranno!)

Sterili sono i miei sogni
nel buio della stanza sgombra

e ogni giorno impazzisco un poco

*

Com’è triste Roma
senza di te amore mio,
senza i tuoi occhi,
le tue labbra
(rosse di sangue),
la tua ombra.

Accanto a me
sei come una collina,
campo di grano
o bosco vergine
dove bussano
la pioggia
e il mondo.

Se tu chiami,
ti rispondono gli angeli,
se tu gridi,
ti sente il mare,
se tu piangi,
ti accolgono le rovine.

Ti perdo e ti ritrovo
tra mura e grotte,
viva e uccisa
dalle stesse pietre,
dalle stesse ombre!

Faslli Haliti con Gezim Hajdari

Gezim Hajdari e Jozef Radi a destra di Faslli Haliti

 

Sono la verità
di un viaggio e di una linea d’ombra
custoditi sulla terra viva e chiusa
che vuole nasconderci qualcosa.

Vivo sospeso
senza appartenere a nessuna dimora,
al bivio di ogni equilibrio.

Ho camminato con passo lento
fra i morti assetati,
per raggiungere l’alba dell’indomani
di incendi e tregue.

Infinito che mi ospiti,
sono stanco del tempo e del vuoto.

Cos’è il mio frammento
o il tuo frammento?

La mia angoscia diventa orizzontale
come la mia illusione,
sottile diventa anche il muro
che mi difende e mi separa.

*

Mi dici che ieri
ti sei inginocchiata per terra,
ah, la nostra terra
delirio e polvere;
con il volto invecchiato
verso i deserti
e hai pregato per me:
corpo tremante

Migliaia di chilometri, stati, templi,
ghiacci, fulmini, venti
solitudini di sabbia
deve percorrere la tua preghiera:
pura essenza nella materia,
per raggiungere la Pietra Nera.

*

Con le mie notti nate dai tuoi giorni
giungerò alle tue secche labbra,
io sopravvissuto delle dittature
oblìo di tutte le libertà;
busserò a te come ad una città santa,
proibita agli infedeli.

*
Minestrina calda – mio piatto quotidiano –
stasera io ti canto,
consacrato sia il tuo nome nella notte sorda
lontano da letti morbidi e corpi di donna.

Chissà cosa sta accadendo al mio paese
in questo momento.

E’ andato via anche il branco notturno
a ubriacarsi di sesso in nero sulle strade,
senza di me.

Se tornassi indietro, amore mio,
nascerei ovunque
ma non dalla tua verginità.

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BESNIK MUSTAFAJ “LEGGENDA DELLA MIA NASCITA” LEGJENDA E LINDJES SIME (1976 – 1986) Antologia. Cura e traduzione di Gëzim Hajdari

Besnik Mustafaj Hoxa

Besnik Mustafaj “Leggenda della mia nascita” Legjenda e lindjes (1976 – 1986) Edizioni Ensemble, Roma, 2012 – A cura e traduzione in italiano di Gëzim Hajdari

Besnik Mustafaj è nato il 23 settembre del 1958 in Albania. Si è laureato in Lingua e Letteratura Francese all’università di Tirana e ha lavorato come professore, traduttore e giornalista. E’ tra i fondatori del Partito Democratico d’Albania; con Azem Hajdari organizzò la prima manifestazione democratica contro il regime comunista di Enver Hoxha. Ambasciatore in Francia dal 1992 al 1997, è stato Ministro degli Esteri dal 2005 al 2007, per poi dimettersi causa dissenso con il premier Berisha e dedicarsi definitivamente alla scrittura.
Tra i più importanti scrittori contemporanei albanesi, Mustafaj è autore di numerosi romanzi, saggi, raccolte e traduzioni. Le sue opere sono state tradotte in molte lingue, ricevendo un largo consenso di critica. In Italia ha pubblicato Albania tra crimini e miraggi (Garzanti, 1993). Nel 1997 ha vinto il premio Méditerranée per il romanzo Daullja prej letre (Tamburo di carta).

*

tirana

tirana

 La poesia di Mustafaj nasce nelle Bjeshkët e Nëmuna (Montagne Maledette), nel nord dell’Albania, nel pieno inverno della dittatura comunista albanese. Il giovane poeta delle Alpi entrerà molto presto in contatto con il mondo letterario pubblicando la prima raccolta in età giovanissima, a soli diciannove anni. Dopo gli studi superiori nella città natale, si trasferisce nella capitale per frequentare gli studi universitari di lingua e letteratura francese A quel tempo, Tirana, era la capitale della cultura del realismo socialista che alimentava la macchina del terrore rosso. Nel cuore del regime le vicende scorrevano come in una scena delle tragedie shakespeariane. Erano i tempi del famigerato del IV Plenum 1973 che colpì duramente la vita culturale. Nella grande città, il giovane poeta spaesato, viene preso dalla vita studentesca e dagli studi, osservando da lontano la vita culturale e gli ambienti letterari. Portava con sé un’aria di libertà, che le alpi avevano imposto alla sua stirpe fiera e guerriera di Tropojë, città natale. Vivendo al di fuori dei circoli dei poeti, ancora non si rende conto del meccanismo sanguinario e del terrore esercitato contro gli uomini di cultura e non solo.

Manifestazione a-Tirana 1990

Manifestazione a-Tirana 1990

 In quegli anni, la Lega degli Scrittori riprende la caccia alle streghe e iniziano processi inauditi contro scrittori e artisti che, secondo il regime, erano stati influenzati dall’“ideologia borghese” occidentale. Molti di loro furono arrestati e internati, oppure fucilati e le loro opere messe al bando. Numerosi furono anche quelli mandati nelle campagne per essere rieducati ideologicamente. ”Essendo fuori da tutto ciò che accadeva dentro le mura della censura, non conoscevo il senso della paura”, ricorderà, più tardi, il poeta Besnik. Questo lo aiutò a riflettere sui temi esistenziali della sua poesia e non limitandosi solo a quelli celebrativi imposti dal manifesto dell’arte di partito. Quando inizia a lavorare come giornalista presso il quotidiano del partito Zeri i popullit (La voce del popolo), il poeta si renderà conto di tutto quel che accadeva nei palazzi del potere.

Macchina della Polizia di Tirana

Macchina della Polizia di Tirana

 Ormai “il migrante” del nord era divenuto più maturo e più cosciente e cerca di resistere e difendersi, per non essere schiacciato dal peso dell’oppressione del regime. In queste condizioni riesce a sopravvivere la sua parola, pur all’interno dell’estetica di Stato; il che dimostra che il suo verso ha resistito ai tempi, anche dopo il crollo della dittatura e della letteratura declamatoria e demagogica del realismo socialista. E’ per questo che la sua opera ha un doppio valore: umano e letterario.
Il verso di Mustafaj sembra pacato a una prima lettura, epico come nei racconti degli antichi, senza grida né enfasi. Ma è solo un inganno, perché rileggendo con l’attenzione dovuta, si scopre che sotto l’essere del suo verbo abitano echi, suoni, ritmi interiori intensi che penetrano nella memoria del lettore accorto, rimanendovi per sempre. E’ un verso vero e vissuto profondamente, carico di umanità e di universalità. Mustafaj sa colloquiare con le cose, dando loro voce e volto, attraverso una prosa poetica che colpisce per la forza e per la bellezza antica ed ancestrale. A volte tumultuosa e carica dell’inquietudine quotidiana, la sua poesia si fa carico del dolore e della sofferenza dell’uomo, in attesa di un raggio di luce durante le notti nere, che sembrano non avere mai fine: “Non arriverà mai l’alba”. Fare il poeta nel cuore della dittatura più feroce del vecchio continente, in cui s’intrecciavano i vivi con i morti, poteva essere una scelta fortunata per i poeti di corte, ma pericolosa per gli ‘eretici’. Attraverso le metafore e simboli ambigui, i poeti tentavano di ricuperare la libertà quotidiana perduta. Chi ha osato spingersi oltre il limite proibito, fissato dalla censura, ha pagato con la propria vita, uccidendosi con la propria poesia.

Tirana squarebesnik mustafaj copertina Leggenda

Tirana square

 Il territorio poetico di Mustafaj è un territorio minacciato, abitato da streghe, notti nere, boschi oscuri, lupi mannari, sangue versato… Sono simboli negativi che, come presagi, preavvisano un lugubre destino per il poeta e per la poesia stessa. Scene makbethiane, in cui ognuno tenta, disperatamente, di difendersi e salvarsi, come dimostrano i versi «Nella casa costruita con gli alberi del bosco, / durante le notti nere, ti difesero dalle streghe». Per il poeta, la vita quotidiana ha perso il proprio senso, è per questo che ha deciso di vivere diversamente, trasformarsi in un sogno irreale, perché il presente emana solo gemiti. Non rimane altro che continuare a sperare, stringendosi l’uno all’ altro ed amarsi: «Come fanciulli, amore mio, / come fanciulli siamo noi». L’amore come anima del mondo; è la poesia stessa che sopravvive, sfidando qualsiasi oppressione e i recinti di filo spinato. Toccanti sono i versi dedicati alla propria donna, alla madre, che pur essendo assente, è sempre presente e accanto al proprio figlio, pronta a proteggerlo, insegnandogli le leggi antiche degli avi malsor (montanari).

Besnik Mustafaj

Besnik Mustafaj

 Immagini surreali percorrono il palcoscenico della sua poesia. Il poeta soffre, è inquieto, decide di affidare il suo segreto d’uomo al proprio corpo, scendendo nel profondo del suo io, aggrappandosi forte ai ricordi, al paese natale, alle sue leggende e ai suoi miti. L’unico patrimonio prezioso che dà un senso al suo esistere, per Mustafaj, diventa l’infanzia, fatta di pietre, di pugni di terra, di manti di neve, del respiro delle montagne; tutto questo per non morire come uomo. «Mia infanzia – sei una Rozafë* rinchiusa nelle fondamenta della nuova città. / Ma non hai lasciato fuori / delle mura / né la mano / né il seno / né gli occhi». E’ l’unico cordone che lo terrà in vita, d’ora in poi a Tirana, capitale del crimine.
Nella “nuova città staliniana”, egli e la sua parola soffrono, non si riconosceranno più e il poeta si sente come la Rozafa, murato vivo nelle sue mura, quindi in quelle della propria opera. E’ un gesto estremo, quello di scegliere di vivere, d’ora in poi, trasformando il suo corpo in versi. Allora, è questa la vera missione del poeta e della poesia stessa. Ma le notti buie ingombrano ovunque, schiacciando uomini e pensieri. Partecipe alla sofferenza del suo popolo e all’angoscia quotidiana del poeta, diventa anche la natura che lo circonda. Infatti, stanno per scoppiare fiumi e fulmini e la terra inclinata si regge alle braccia degli uomini, per non cadere nei propri abissi. Il sole pallido sulle alpi non riscalda più; tutto sta per congelarsi. Scene apocalittiche, in cui l’uomo e la natura si consolano disperatamente a vicenda. La paura e il terrore della dittatura albanese è presente e penetra dappertutto, persino nei grembi delle madri e dei bambini. «Figliolo mio /Da dove ti viene questa paura». Mentre i fiori, «/ donano ai vivi / odori morti». Si vive in un incubo perenne, in cui ognuno teme per la propria sorte.

Man mano che scorrono i versi di Mustafaj, davanti agli occhi

Besnik Mustafaj

Besnik Mustafaj

 del lettore, si affacciano immagini e situazioni sconvolgenti, per arrivare al culmine con “O corvi che mi divorate, oi, oi!”. Versi che rammentano i lamenti delle grandi tragedie antiche. Un’accusa al cielo aperto che sanguina. Al poeta non resta che uscire allo scoperto, questa volta tramite una poesia emblematica «Cammino per la mia strada». Una poesia blasfema per il tempo, pubblicata nella raccolta Volto di uomo 1987. Una sfida aperta al potere e alla sua ideologia culturale. I suoi versi suoneranno come un anatema contro l’oppressione e i suoi censori: «Cammino per la mia strada./[…]/ Il mantello non riesce ad essere la maschera del mio corpo / […] / Voi che mi conoscete, vi prego, se mi volete veramente, / non chiedetemi di essere sempre lo stesso!
E’ questa la leggenda della nascita del poeta e della sua poesia imponente, dai toni epici ed elegiaci, che assomigliano ad una “leggenda” vivente sorta nel gelido el lungo inverno della dittatura albanese.
G. H.

Scontri-a-Tirana 2001

Scontri-a-Tirana 2001

FATA

Tutto questo, grazie ai miei avi
che ti hanno insegnato ad amare la vita.
Nella casa costruita con gli alberi del bosco, durante le notti nere,
ti difesero dalle streghe.

Ti convinsero a stare qui, nella loro terra,
sul suolo scuro
quando in quel tempo
ogni cosa si rifletteva violentemente
sui vetri dei finti Palazzi e nei cieli.

Ti raccolsero dal nulla,
ti donarono il proprio caldo respiro d’uomo
e ti santificarono come donna.
E tutto questo, grazie a loro!

Altrimenti non ci saremmo mai incontrati
ed amati
e al posto del tuo nome,
ti avrei chiamata
Fata del mare e del cielo.

Besnik Mustafaj

Besnik Mustafaj

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MADRE

Vecchia madre, taciturna,
la tua vita, un andare e venire, sei sempre la stessa,
nell’aria d’intorno e nell’assenza,
nelle vene del sangue, nell’anima.

Sulle strade che percorro, siano esse minacciose o lontane,
ovunque io vada,
o cammini,
riconosco le tue orme
che mi guidano
e mi proteggono.

Se avverto il richiamo delle sirene,
sei tu ad affievolirmi l’udito,
rendi forti le mie braccia quando tiro con l’arco,
e mi rimproveri quando dimentico le leggi antiche
della mia stirpe.

Ulisse, mio fratello balcanico di tremila anni,
in segno di riconoscenza di fronte ad Atene,
pregasti davanti all’Olimpo vuoto.
Che peccato, non riuscisti a capire che fu tua madre,
che ti fece tornare a Itaca,
sei vissuto e morto senza posare neanche un fiore appassito
sulla sua tomba. Continua a leggere

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GËZIM HAJDARI da “DELTA DEL TUO FIUME” GRYKË E LUMIT TËND Inediti – con nota di lettura di Giorgio Linguaglossa

 

 Faslli Haliti 4

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

Gezim Hajdari, Foto di Piero Pomponi

dalla Prefazione di Giorgio Linguaglossa al libro di prossima pubblicazione nelle edizioni Ensemble di Roma

Il logos poetico di Gëzim Hajdari è governato dalla legge dell’identità nella molteplicità poiché parte dalla presa d’atto dell’esilio fisico e spirituale del parlante il quale non abita più la patria, la Heimat del linguaggio e del paesaggio, perché ne è stato escluso mediante un ingiusto esilio; privato della propria patria, il parlante è costretto a peregrinare di terra in terra, a mescolare il proprio idioma con quello di altri paesi e di altre Lingue, il suo sarà un canto dell’erranza e della trasfusione di Lingue nella Lingua universale-primordiale che sola può ospitare il canto dell’erranza. Disillusione dell’erranza sarà il destino del parlante colui che osa quindi tradire e tradurre il propio canto in un’altra lingua. E il tono epico della singolarità del parlante sarà il tono dominante della lingua, ad un tempo primordiale e originaria, nella quale egli esprime il canto della dimenticanza e del ricordo, dell’esilio e del ritorno impossibile, del tradimento e della fedeltà all’origine. Gëzim Hajdari è costretto così ad inseguire il proprio destino come un Fato pagano: il canto della fedeltà e dell’infedeltà alla propria Lingua e al proprio popolo, di qui il Tragico che incombe su ogni parola pronunciata, il giganteggiamento dell’io, il canto dell’addio («Vado via Europa, vecchia puttana viziata… Addio Europa di muri, impronte delle dita e tombe d’acqua»); infatti la forma di questa poesia è calcata, alla maniera antica, su quella dell’epicedio e dell’inno. È la voce dell’oracolo antico che parla («Io venivo dai luoghi dell’oracolo di Delfi»), che si rivolge alla antica deità-femminile della «savana», del mondo femminile da lungo tempo scomparso che è compito dell’aedo riportare in vita:

Sei una dea negra imbevuta di astri di savana,
sorta dall’oblio dell’arco del tempo.
Attraversi silenziosa la mia carne che brucia,
come la luna piena il bosco oscuro del Congo
nelle notti corti estive.

Porti aria di savana
nelle mani e sul collo di ebano,
stella del Sahara.

I tuoi occhi di antilope – origine delle notti oceaniche,
la tua pelle di seta – profumo di mango,
il tuo corpo di nairone – frutta della passione
sorta dalle viscere della terra rossa,
come la notte del destino.

Un vento erotico soffia dalle Indie,
si sofferma sulle nostre selve incendiate.

Chi ci indicherà la via del ritorno dall’equatore?

Le onde notturne mordono impietosamente il candore
della sabbia bianca sulla riva,
tu tremi.

Giorgio Linguaglossa

Giorgio Linguaglossa

Il primordiale e il presente combaciano e si sovrappongono, si elidono per creare un altro tempo e un altro spazio entro i quali la voce dell’aedo può riprendere alito e vita. Il testo che riportiamo è rivolto avverso la evangelizzazione forzata della Chiesa Cattolica nei confronti dei popoli dell’Africa; non è l’io del poeta che parla ma la «Volontà di Potenza» della Chiesa Cattolica:

Annuncio il Verbo del buon dio.
Tribù del dio fertile Ashanti , non mi conoscete?
Non sono forestiero, ma sangue del vostro sangue,
custode della Verità,
la mia voce germoglierà da ombra ad ombra
e da verde a verde. Il mio seme prospererà di capanna
in capanna.

magritte

magritte

 Il canto dell’identità ha come corollario il poeta quale «custode della Verità», la non-contraddizione, il suo voler essere simile al canto degli dèi i quali soli possono conoscere la rivalità ma non la contraddizione, la innumerevole ripetizione delle loro gesta nelle loro infinite varianti ma non la loro falsificazione, e i Miti, le gesta favolose, sono il giusto vestito linguistico di questo canto. L’aedo si fa simile ai Morrani (cacciatori di teste di leoni, coloro che uccidono corpo a corpo un leone, che portano sul collo la sua criniera dell’animale come segno di distinzione), si confonde con essi, diventa uno di loro, un essere senza tempo e senza spazio che parla la sua lingua primordiale-universale. L’aedo sposa la Lingua della «savana», la Lingua dell’«Africa»; è la lingua dell’«Africa» a denegare la lingua dell’aedo e a prestargli la propria lussureggiante Lingua ancestrale di miti e di metafore:

Tu, Africa, hai scomunicato il mio Verbo.

faslli_gezim hajdari Il poeta si congiunge con le africane, ama la loro primordiale ferinità femminile, si immerge nella loro femminilità. È una immersione panico-pagana.
È la «crocifissione» il rito primordiale ancestrale mediante il quale il Verbo è diventato carne, ma è un rito ferino, la denegazione dell’uomo pagano originario con il quale l’aedo si è identificato, il rito di «un dio smemorato che non si è mai fatto uomo»; il poeta si dichiara «ospite di Li Po e Du Fu , / sono i miei vecchi amici di gioventù», si rigenera in una sorta di transustanziazione e di trasmigrazione delle anime di tutti i poeti di tutti i tempi, chiede l’ingresso in «Cina», chiede udienza e accoglienza tra gli spiriti dei giusti e dei poeti di tutti i tempi. Il panismo della poesia di Gëzim Hajdari è la diretta conseguenza della sua ribellione alle leggi ingiuste del mondo che gli ha decretato l’esilio. Ecco una immagine epica che potrebbe stare in un film di Kurosawa:

 

 

Al confine della Cina attendo. Dintorno l’eco
del galoppo dei cavalli mongoli,
incendi e città arrese alla furia delle spade
e delle loro frecce avvelenate.

Le guardie rosse non mi fanno entrare
mi chiedono dove vado
e chi conosco in Cina. Oltre le mura,
concubine, imperatori e pagode in festa.

E qui si leva potente il canto di protesta dell’aedo per le ingiustizie del mondo, per tutti gli esiliati del mondo, ecco le «Smokey Mountains», (Montagne Fumanti), queste montagne di spazzatura che rappresentano l’unica fonte di sostentamento di sopravvivenza per duemila famiglie; ecco «Tondo»: una enorme discarica a cielo aperto sul porto di Manila, che comprende le Smokey Mountains; ecco Padre Giovanni Gentilin, di origine italiana di Treviso, che guida una delle parrocchie di Tondo e vive tra i rifiuti. Ecco tutti gli esiliati di tutto il mondo con i quali il poeta si identifica. E il canto dell’esilio diventa, man mano che la lettura avanza, il canto di una umanità degradata dalle ingiuste leggi del profitto e della perdita, dell’oltraggio alla dignità dell’uomo. E il poeta, come un Eracle mitico, erra in tutti i tempi e attraverso tutti gli spazi:

La città di Tutankhamon
dorme ai piedi della Sfinge come un accampamento prima
della battaglia. Gelida la luna sul Nilo ci spia tra i rami nudi
dei datteri. Carri carichi di grano partono verso Roma,
la dolce aria della corte reale mi conduce tra giovani schiave
ed eunuchi. Polvere di chichi di melograno, vaniglia di Zanzibar,
miele di Oman vengono offerti agli ospiti. Dopo i banchetti
e le danze del ventre delle ancelle, nel letto di Cesare,
tra balsami e incensi, mi guida l’infedele Cleopatra.

Il seme del poeta contadino «custode del Verbo» germoglierà e feconderà le giovani donne e la progenie dell’aedo avrà lunga vita, gli uomini si moltiplicheranno e il Verbo tornerà un giorno a signoreggiare nella terra dei «tiranni». Da allora il poeta ha «vissuto solitario / errando di esilio in esilio / condannato dalle tuniche nere / per aver praticato il culto del peccato», il suo canto è alto e potente, come il suo seme, e germoglierà sui tiranni e vincerà sull’esilio decretato da uomini vili e ingiusti. L’aedo è il nuovo Messia, colui che èstato «incaricato» dal Signore per rinnovare le stirpi degenerate:

Toccatemi, sono fertile, virile
uomo in carne ed ossa,
il Signore mi ha incaricato

*

Non voglio essere il tuo figlio,
né il creatore dei corpi celesti,
né attendo la gloria eterna,
voglio essere beato nella vita odierna
in cima alla collina buia di siliquastri

gezim hajdari

gezim hajdari

 Il «contadino della poesia» è l’aedo primordiale, colui che proviene da un altro tempo, e che buca il tempo per giungere, integro e vergine, al nosro tempo dei «tiranni», è colui che restituisce «dignità al Verbo», che parla con la voce autentica della sua virilità primordiale, che restituisce «il tempio delle Parole distrutto dai rampolli del minimalismo sterile»; «fare il contadino della poesia, significa dire la verità», «fare il contadino della poesia, vuol dire essere chiamato traditore e nemico della patria». Ecco, siamo giunti al termine del viaggio, l’aedo è un essere ancestrale, un centauro metà animale e la testa di uomo, metà uomo civilizzato e metà uomo-infero, che ammette una sola signoria: la pulsione dell’eros pagano e primordiale avverso la religione delle «tonache nere» e dei «tiranni», la religione del Potere del mondo contemporaneo, «l’inferno degli eunuchi». La poesia diventa canto orale e corale di guerra e di resistenza attiva, atto di belligeranza e di oltranza, in una parola ridiventa Leggenda, Mito. La sintassi diventa paratattica, va per accumulo, ad ondate, un’onda segue un’altra, l’aedo passa attraverso il Tempo e lo Spazio, grida: «Annuncio il Verbo tra le tribù del Dio fertile Ashanti», «Tu, Africa, mi hai scomunicato / La mia infanzia giace nei Balcani… Sono entrato a Casablanca dalle mura dell’Est / Ho attraversato il Sahara… Le donne di Segou lavano i panni nel fiume Niger… I giovani cheleb muscolosi con i corpi dipinti… Ho attraversato il fiume Niger insieme con le carovane del Sahara… In Egitto sono entrato di notte… Kampala, capitale dei feroci dittatori… I pellicani a stormi… L’inferno degli eunuchi… Custode della mia uva…». Le ultime parole di questa gigantografia dell’io escono come smozzicate, intorbidate dall’immane sforzo sostenuto, quasi balbuzienti. E proprio per questo purissime, vere.  (Giorgio Linguaglossa)

gezim hajdari

gezim hajdari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(a Roma)

Tu sei nata dall’esilio e in esilio,
sulla terra del Fato,
promesso dall’oracolo di Apollo,
in memoria dell’ultima notte di Troia in fiamme.

Qui un giorno Enea
giunse sulle sponde del Tevere
e pose la prima pietra della città eterna,
accompagnato dai miei avi dell’antica Butrint.

Roma: patria degli esuli,
città in fuga verso la leggenda e il destino

magritte

magritte

 

 

 

 

 

 

 

 

Gezim Hajdari a Venezia

Gezim Hajdari a Venezia

 

 

 

 

 

 

 

 

Vado via Europa, vecchia puttana viziata.

I tuoi ruderi non mi incantano più,
i tuoi specchi e i tuoi abissi hanno ingannato il mio esilio,
ferito il mio mesto corpo dell’Est
davanti ai falsi altari impietriti.

Addio Europa di muri, impronte delle dita e tombe d’acqua.

La mia patria mi ha costretto ad andare via,
i tuoi santi mi hanno abbandonato sotto la pioggia,
come straniero.

Domani, di buon ora,
partirò con la prima nave del Tirreno,
dal porto del Circeo,
accompagnato dai canti mortali delle Sirene,
verso la Croce del Sud
senza voltarmi indietro.

Nei deserti lontani m’aspettano viandanti sconosciuti,
guerrieri di tribù antiche, danzatrici del ventre;
ruberò fanciulle dalle corti dei re di confini,
come Halìl di Jutbìna delle Bjeshkëve të Nëmuna ,
per donarle in sposa al mio signore
e dare vita ad una nuova stirpe.

Incendierò le vecchie lingue arrugginite,
mi scrollerò di dosso identità, cittadinanze e patrie matrigne;
voglio trascorrere i miei anni in prigione,
lontano dai miei libri,
con banditi onesti e fuorilegge.

Addio Europa del sangue versato in nome dei confini assassini
e delle bandiere insanguinate.

Domani, di buon ora,
partirò con la prima nave del Tirreno,
dal porto del Circeo,
accompagnato dai canti mortali delle Sirene,
verso la Croce del Sud

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FASLLI HALITI – POESIE SCELTE a cura di Gëzim Hajdari

gezim hajdari

gezim hajdari

(Tratto dal saggio Gjëmë.Genocidi i poezisë shqipe/Epicedio albanese di Gëzim Hajdari. Shtëpia botuese Mësonjëtorja, Tirana 2010)

Faslli Haliti è nato nel 1935 a Lushnje. Si è diplomato al Liceo Artistico. All’università statale di Tirana ha studiato Lingua e Letteratura Albanese.
E’ vincitore di importanti premi letterari. Ha pubblicato numerose raccolte, tra cui: Oggi, Messaggi di campagna, Non so tacere, Addio miei capitani, Rovescio, Delirio, Se n’è andato, nonché autore di diversi saggi. Ha tradotto in albanese Esenin, Cechov, Imenez, Prevert, Vaghenas.

Faslli Haliti

Faslli Haliti

Il poeta di Lushnje Faslli Haliti (1935) credeva in un socialismo dal volto umano. Fece la sua apparizione nel panorama poetico albanese con la raccolta Sot (Oggi), una delle più interessanti degli anni ’60. Egli resta uno dei poeti più originali della poesia contemporanea albanese. La sua poesia, che si distingue subito per l’intensità delle parole e la particolarità dello stile e del tono, è piena di vita e affonda le radici nelle profondità del pensiero mitico. Alcuni suoi testi furono dei veri e propri «manifesti» che colpivano il cuore della burocrazia comunista. Forse la parte più interessante della sua produzione, come per la maggior parte dei poeti del blocco sovietico, rimane quella scritta sotto la dittatura comunista, e non è un caso. Basterebbe Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola) per capire la forza dei versi e l’impatto che questo testo ebbe sui lettori negli anni ’70. Questi i versi:

Faslli Haliti

Faslli Haliti

gezim hajdari

gezim hajdari

«Lui aspetta che tiri vento/ Non per vedere gli alberi spogli/ Non per veder cadere le foglie gialle/ Ma per far alzare il lembo della giacca/ E far vedere la pistola nella cintola./ Lui aspetta che venga la primavera/ Non per mietere e falciare/ Ma per togliere la giacca/ E far vedere sotto la giacca/ La pistola ».

Questo testo è stato giudicato sovversivo e revisionista e aspramente criticato durante il IV° plenum del PCA nel ’73. All’autore venne tolto il diritto di pubblicare per 15 anni consecutivi e fu mandato in campagna per essere «rieducato».
Per diversi anni il professore d’italiano e di francese lavora dietro il carro trainato dai buoi nella cooperativa agricola di Stato, a Fiershegan, provincia di Lushnje. Nessuno degli operai e dei contadini poteva rivolgergli la parola, perché egli era considerato dal Partito un “reazionario”.

Faslli Haliti

Faslli Haliti

Il pretesto per colpire il poeta di Lushnje fu il poema Dielli dhe rrëkerat (Il sole e i ruscelli), pubblicato per la prima volta il 16 dicembre 1972 nel settimanale «Zëri i rinisë» (La Voce della gioventù). La sua apparizione nella rivista suscitò scalpore ed indignazione tra gli alti dirigenti del PCA. Quest’ultimi organizzarono riunioni e dibattiti pubblici in cui sia il poema che l’autore vennero aspramente criticati. Secondo la censura, “Il sole e i ruscelli” era frutto di una confusione ideologica e politica del poeta che travisava la realtà socialista e il ruolo del Partito, minandone così l’unità con il proprio popolo. I primi versi del poema «Mentre il tetto della mia patria è celeste, ottimista./ Il tetto della mia casa è quello di una stamberga», divennero un pretesto per attaccare e denunciare l’autore. Haliti aveva osato troppo. Con un coraggio inaudito invita il popolo a spezzare “i denti alla burocrazia”. Cito: «Ordine/ con il pugno della classe operaia/ spezzate i denti/ ai compagni/ Per spezzarli ci vogliono pietre/ che non abbiamo » I comunisti lo accusano di essere un poeta ribelle e anarchico, mentre i critici di Stato accostano i suoi testi a quelli dell’arte malata e decadente dell’Occidente. Haliti diventa un caso nazionale. Nel Paese si organizzano riunioni per denunciare il poema. I membri della Lega degli Scrittori si dividono in due: quelli che ammirano i versi del poeta e quelli che li disapprovano. Un gruppo di alunni del liceo della sua città natale, Lushnje, pubblica un articolo di denuncia sul giornale « Shkëndija» (La scintilla) , organo del PCA. Gli unici studenti che difesero con coraggio “Il sole e i ruscelli” furono i poeti Fatbardh Rustemi, Bujar Xhaferri e il regista di teatro Tahsin Xh. Demiraj.
In una lettera Rustemi si rivolse a Enver Hoxha in per protestare contro la condanna del poeta Haliti e Xhaferri, per difendere il suo poema, rischiò l’espulsione dal ginnasio. Per attaccare il poeta trentaseienne di Lushnje si mobilitarono anche le forze dell’ordine pubblico: il questore della città Zija Koçiu pubblicò un articolo sul giornale del partito del dittatore, «Zëri i Popullit» (La voce del popolo), in cui denunciava “l’opera reazionaria” del suo concittadino .
L’eco di questa vicenda si diffuse in tutto il Paese. Piovvero critiche e denunce da varie città. Della vicenda si parlò anche al di fuori dell’Albania. A Parigi, nel 1974, il trimestrale albanese «Koha jonë» (Il nostro tempo) riportò il poema “Il sole e i ruscelli” e, nello stesso tempo, condannò la campagna denigratoria del PCA verso il poeta Haliti. Un anno più tardi, a Roma, Ernest Koliqi, nella rivista che curava, « Shenjzat» (Le Pleiadi), conferma che «la voce di Haliti è stata soffocata dal Partito».
Faslli Haliti 4Nonostante tutto questo il poeta ribelle di Lushnje non smette di scrivere. Con lo stesso coraggio pubblica altri testi contro la burocrazia altrettanto feroci: Djali i sekretarit (Il figlio del segretario), Unë dhe burokracia (Io e la burocrazia), Edipi (Edipo) e altri ancora. I testi di Haliti diventano oggetto di discussione persino nell’Olimpo del partito. Nel ‘73 Fiqrete Shehu, moglie del Premier Mehmet Shehu, critica la poesia Vetëshërbim (Fai da te) definendola “una poesia che non ha nulla a che vedere con l’arte rivoluzionaria” . Un anno dopo, nella rivista «Rruga e Partisë» (Il percorso del Partito» (Rruga e Partisë), ella si esprime contro la poesia Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola) . Negli anni seguenti l’opera di Haliti verrà sempre censurata. Il Partito gli toglierà il diritto di pubblicare e lo spedirà a lavorare nei campi.
Nel 1985, dopo 15 anni di silenzio forzato, egli riappare sulla scena culturale con la raccolta Mesazhe fushe (Messaggi di campagna). La presentazione del libro avviene nel teatro della città. Doveva essere una festa, per il poeta, invece fu ancora una volta un processo vero e proprio. Ricordo quel pomeriggio.
Solo dopo il crollo del regime Haliti è riuscito a pubblicare i suoi libri e la traduzione in albanese di vari autori italiani, russi e francesi. Continua a leggere

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JOZEF RADI POESIE SCELTE a cura di Gëzim Hajdari

magritte-golconda(Tratto dal saggio Gjëmë. Genocidi i poezisë shqipe/Epicedio albanese di Gëzim Hajdari. Shtëpia botuese Mësonjëtorja, Tirana 2010

Ho visto con i miei occhi il poeta Lazër Radi (1916-1998) messo alla berlina nel Campo di internamento di Savër, a Lushnje, nella mia città, dove si trovavano 11 dei 19 Campi di tutta l’Albania. È accaduto il 20 ottobre 1982, al Palazzo della Cultura, in presenza di 600 persone al seguito del Segretario di Partito Petraq Nushi. L’hanno insultato, gli hanno sputato addosso e tirato dei sassi. Ma lui, fermo come una statua, non ha mosso ciglio, sfidando le pietre con la sua parola. Tra le mani stringevo la mia pietra colma di rabbia. Si è alzato un collaboratore della dittatura, Rustem Bega, gridando: «Lazër Radi, vogliamo sapere perché continui a parlare male del comunismo? Che male ti ha fatto il potere del proletariato?» Fiero e coraggioso Lazër, uno dei più grandi intellettuali della nazione albanese, ha risposto ironicamente: «Mi ha condannato a 16 anni di carcere e a 30 di internamento nei Campi; questo per voi non è un male che mi ha fatto il potere del proletariato?!

Lazër Radi nasce a Prizren, in Kosovo. A causa delle violenze subite da parte dei serbi e dei montenegrini la sua famiglia abbandona il Kosovo nel ‘29 e parte in esilio in Albania. Termina la scuola media a Tirana e vive tra la capitale e la città di Shkodër. Insieme ai compagni partecipa alla fondazione della società culturale «Besa Shqiptare». Durante il liceo fa l’attore di teatro. In quegli anni in Albania nascono i primi gruppi d’ispirazione comunista e Lazër Radi entra in contatto con le nuove idee. Si distacca dagli ideali della rivoluzione bolscevica nel momento in cui i serbi e i montenegrini incominciano a commettere violenze nei confronti dei cittadini inermi del Kosovo.

magritte-1L’incontro con il celebre poeta Migjeni (1911-1937), nell’estate del ’36, lascia un segno profondo nella vita di Lazër. A quel periodo appartengono anche i suoi primi articoli sulla stampa dell’epoca. Nel ‘38 termina le scuole superiori a Shkodër e si iscrive a “La Sapienza” di Roma. Nella città eterna inizia per lui una nuova vita. Nell’aprile del ‘39 viene espulso temporaneamente dall’Italia a sèguito dell’invasione dell’Albania da parte di Mussolini. Si laurea comunque nel ‘42 in Giurisprudenza con il massimo dei voti. Il Prof. Vito Cesarini Sforza lo vuole come suo assistente all’università, ma il giovane kosovaro preferisce tornare in Albania per servire la causa del proprio popolo. Il rientro in patria segna il suo calvario e quello della sua famiglia.

Lazër, arrestato per la prima volta nel ’44, nel ’45 viene condannato a 30 anni di carcere, accusato di esser stato “un anticomunista reazionario al servizio degli italiani”. Viene liberato dopo aver scontato 10 anni di lavori forzati. Una volta libero viene mandato immediatamente in un Campo di internamento, dove rimane fino al 1974. Mentre si trova in prigione il Sigurimi (la polizia segreta del regime comunista) arresta e condanna a diversi anni di carcere anche la moglie Viktoria. Dopo averla torturata, il Sigurimi, per poterla condannare, l’accusa di essere un agente al servizio di Tito. Così il poeta e la sua famiglia trascorrono la loro vita lavorando nelle paludi dei villaggi Savër, Shtyllas e Radostinë. A Kuç, Çermë e di nuovo a Savër affrontano lavori faticosi nei campi melmosi e infestati dalla malaria. In quegli anni Lazër non potè rientrare a Tirana. Lo farà solo nel 1991. Continua a leggere

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Gezim Hajdari Un inedito: “L’inferno degli eunuchi”

Gezim1   Gëzim Hajdari è nato nei Balcani di lingua albanese nel 1957. È il maggior poeta vivente albanese, bilingue, scrive in albanese e in italiano. Nell’inverno del 1991 è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. Nello stesso anno è cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës (Il momento della parola), nel quale svolge la funzione di vicedirettore. Nelle elezioni politiche del 1992 si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA. Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione in Albania, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, Continua a leggere

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