Fayyum ritratto di uomo
Fayyum-Portrait- 120-140 d.C.
A cura di: Cataldo U. SIRONI-Aladino COSTURI
Anatolio R:SCUDI-Tarcisio D’OLONA
(estratto dall’American Journal of Philology, agosto 2998 )
Una poesia del tardo Quintilius dalla residenza etrusca
Per Mario De Filippis
Ecce solecismi mihi vani adsunt aliorum
Incomitatus quos et levis aspicio.
Lamque catervatim foedis, mihi crede, et ineptis
Carmininibus nullo nunc pluit auxilio,
Multorum cura, viventes qui dicuntur,
caelestes asini, gaudia nulla mihi.
Annosus cum sim, “ Secessus” pangere conor
Pervalidis cinctus, dulcibus asseculis.
Nunc vitae cursum felix possum moderari
Cum in lingua magnae sint mihi divitiae.
Putida me accipiet mox certe terra serenum
Asses perpauci cum mihi sufficiant!
Dal mio mondo solipsistico guardo
I solecismi degli altri
Che sono inesistenti. IL cielo piove
Rovesci di poesie dai cosiddetti viventi,
Asini dal Paradiso, magro conforto, nessuna gioia.
Solo nella mia vecchiaia scrivo le mie Solitudini,
Popolata da un’innumerevole compagnia
Che mi dà conforto, energia, e gioia.
Bastano asses per il peso della mia sussistenza
Ed io affonderò nella putrida terra sereno
Con una grande ricchezza sulla lingua.
Da una postilla latina trovata sotto il tavolo alla Buca S., Francesco di Arezzo. Pratomagno 26 maggio 1993
Tradotta dall’inglese da Peter Russell da Peter George Russell
NOTA: in Plinio “ reddere ad assen” significa “ rimborsare all’ultimo centesimo”. I filologi più scaltri hanno sospetto che questi “ asses” fossero anglosassoni.
Nerone
Petronio arbiter
Peter Russell Una breve Nota su “Quintilius”
Il poeta tardo greco-romano Quintilius nel 1948 dopo una visita a George Santayana, così anticipando di un bel po’ di anni il “ vecchio Filofoso a Roma” di Wallace Stevens! Da allora non ho più smesso di scrivere le poesie di Quintilius- sono già quasi cinquanta anni.
Quintillius è una specie di vasta persona (nel senso di Browning o di Ezra Pound) e mentre le sue opere sono ambientate nel V secolo d.C., con molti riferimenti ai suoi contemporanei ben conosciuti e ad eventi storici contemporanei ed antichi ( anche per lui) e con un apparato greco-romano del tutto autentico raccolto da fonti originali oltre che da studiosi moderni, in esse è riflessa non soltanto la nostra condizione moderna, ma qualche cosa della maggior parte dei secoli trascorsi fra l’epoca di Quintilius e la nostra. Trasformo versi di Dante, Pontanus, Scaliger, Milton, Comeille, Voltaire, Goethe, Holderlin, Novalis e molti altri in echt-quintilius. Neppure Shakespeare è stato risparmiato a questo ladrocinio! Perfino William Carlos Williams viene adombrato da alcuni tropi di Quintilius.
Mi rendo conto fin troppo bene che gli studiosi genuinamente impegnati hanno ben poco tempo, se ne hanno affatto, da dedicare ad una produzione artistica contemporanea a meno che non siano interessati di per se alla poesia, che è cosa alquanto rara.
Al momento presente sto scrivendo (già da dieci anni) l’ “Apocalisse” di Quintilius, che ebbe origine da una serie di sogni che ho avuto riflettevano molte delle caratteristiche della Apocalissi giudeo-cristiane ed islamiche, ( le principali fondi dello stesso Dante), altre agli ‘sciamani’ descritti da Erodoto e Veneratio dai primi orfici e pitagorici, per non parlare dei miei ricordi di conversazioni con anziani indigeni del Canada occidentale ed orientale. Il testo dell’originale ‘Apocalisse’ di Quintilius (1984) è andato bruciato in un disastroso incendio avvenuto nella mia abitazione del 1990, e come sapeva fin troppo bene l’Alighieri, non è possibile ricostruire tali visioni con il solo aiuto della memoria. Le visioni sbiadiscono, non le si possono falsificare. Perciò gran parte dell’ “Apocalisse di Quintilius” ha ben poco di apocalittico ed è simile alla visione di S. Perpetua o di Chaim Vital, che hanno a che fare con contingenze personali che con temi comuni od universali. Comunque una nuova Rivelazione è stata data di recente e si trova già in forma di manoscritto ( gennaio 1995)
Ci sono adesso più di cento poesie di Quintilius nelle riviste e una trentina di articoli dedicati alle sue opere.
LIBRI E OPUSCOLI DI QUINTILIUS:
Three Elegies of Quintilius 1955
The Elegies of Quintilius Anvil Press, 1975, esaurito da 20 anni
Quintilii apocalypseos fragmenta. The Golden Chasnberpots AGENDA EDITIONS, Londra 1986
Metamaipseis noerai AGENDA EDITIONS 1991 original edition ( traduzione italiane di questi Quattro sono pronte) Legnetti per il fuoco/Fiddlestiks Pian di Scò 1992 Bilingual con una satira sugli accademici e post-modernismo;
QUINTILIUS Introduction English only Pian di Scò 1992 Discorso tenuto all’Associazione Italo –britanninca, Viareggio
The Elegies of Quintilius Anvil Press, Londra 1996 Tutte le opere di Quintilius publicate fra il 1949 e 1976
1990, e come sapeva fin troppo bene l’Alighieri;
Due poesie di ritorno Pian di Scò 1993 Bilingual Quintilius torna da soggiorni in India e Persia.
QUINTII APOCALYPSEÔS FRAGMENTA
DUE POESIE DEL RITORNO
Two Poems of Return
English translations from Aramaic targums with italian version by Pier Franco Donovan and Peter Russell
PIAN DI SCO’ 1993

Tiberio
Da Quintiliis Apocacalypseôs Fragmenta
Krisna nero, Gesù bambino, Ishu
Continua a incitarmi a essere
L’Apostolo delle guardiane delle oche
Mi ha mandato tra i prati in fiore
Il vecchio Toro mi ha rincorso
Io sono scappato
Nei pascoli delle pecore
Il vecchio Ariete
Mi ha incornato
Nel recinto dei maiali
Il Signore certamente sentirà il grido
Anche dei discendenti
Di vittoriosi produttori di sapone
Le guardiane di oche mi scivolano tra le dita
Le pastorelle mi hanno bersagliato di pietre
Il fiore del campo
E’ schiacciato dalle macchine
Le pecore stesse
Calpestano Psalliota
Io sono una vecchia vescia
Verde grigio dentro
Il burro sta gocciolando dalle dita delle muggitrici
Quando avrò io una prole>?
All’alba del Venerdì Santo mi sono svegliato
Schizzato di fango nelle tenebre di Gadara
E’ permesso a un mortale pregare gli dèi per il sapone?
Questo campo ai confini di un tetro boschetto
Questo recinto di maiali
E la Piana della verità?
E il campo di Er?
E dov’è il Giardino delle Muse?
Qual è il punto di riferimento della Resurrezione?
Il sito del prossimo Giudizio Universale?
I dottori eruditi ne stanno ancora discutendo
Gli impiegati dei produttori di sapone
Stanno preparando fatture
Le Sirene stesse guardano nei loro magici specchi
Ma non possono vedere i loro musi di maiale
Nessuno sembra soddisfatto della propria vita
Nudo e sudicio gioca un ragazzino
Con margherite grandi come soli
E le ninfe e le driadi timide come gazzelle
Guardano fisse la folgorante bellezza
Del dio bambino
E un vecchio uomo con cosce pelose
Che balbetta
Da Codex Disco
TRADOTTO 1986
Nota del verso “ Quando avrò io una prole?”: in Inglese c’è un gioco di parole: “issue” significa “prole”, ma l’omofono “ Ishu” può essere sia il nome Sanscrito del Signore, Krisna, che il nome di Gesù in Aramaico
Sono tornato a casa
Per trovare il tetto crollato
Il pavimento un cumulo frastagliato
Di mattonelle rotte
Il cielo
Dove c’erano una volta travi
Il foro per il fumo
Ipetra
Un sambuco
Riempie il soggiorno
Foglie giallognole
Cadono sui cocci
Color rosa
Foglie d’oro
Che stridono
Mi siederò sotto il mio ficus religiosa
Con pingui fichi che cadono
Ogni giorno sulla mia testa
Il fuoco non curato
Dura le terra sotto di me
L’aria il mio pane
La luminosità del sole
Cosa è
Se non intensità di Splendore
Che nasconde la fonte
La mia debole fiamma
Come una candela gocciolante Va su
Di palo in frasca
Alla cima dell’albero
E dentro attraverso il buco nel sole
Fiamma
Che diventa fiamma più pura
Niente altro.
Tu sei il capo del filo
Tu attraversi la cruna dell’ago
Ma devi lasciarti dietro
Il cappotto di cammello
Non c’è spazio per entrambi
Quelli che raggiungono la cima dell’albero
Avendo ali
Volano via
Il resto Cade al suolo
Mi sentirai farfugliare a me stesso
Ma saranno e silenzi
Che parlano dei mondi
E se divento malinconico
Per la fugacità Delle eternità transitorie
Guarda su verso il tuo tetto
………………….( greco) mi mancano le lettere
E conta le ragnatele
Da Codex Disco Tradotto 9 giugno 1985
Nota: ficus religiosa è il nome latino del fico della pagoda ( ingl. “bo-tree”), sotto il quale il Budda meditava e ricevette finalmente l’illuminazione. C’è un bel fico della pagoda a Urbino, pingue come il tasso a Selborne reso famoso da Giulio Cesare e poi da Gilbert White. Anch’io l’ho visto qualche mezzo secolo fa.- P.R.
Atena
Nota di lettura di Giorgio Linguaglossa
Peter Russell from Apocalypse of Quintilius University of Salzburg 1997.
Quintilio è un poeta nato dalla straordinaria fantasia e versatilità di Peter Russell. Quintilio nasce nel V secolo dopo Cristo, ha conoscenza delle opere di Proclo e delle filosofia di Agostino; sa a memoria i poeti elegiaci della paganità romana, l’epica di Omero gli è familiare, così come conosce la filosofia dei greci antichi, ma non disdegna gli Gnostici e la Bibbia. Poeta lunatico e visionario, Quintilius Stultus dapprima si converte al giudaismo, ma ben presto, preso dal disgusto, si volge al cristianesimo. Dopo alcuni anni di ardente vita missionaria in Africa, Quintillius ritorna ad una forma di reazionario paganesimo, rifiutando sia i dogmi della Chiesa, sia la sua visione del mondo e della trascendenza. Il mondo giudaico ellenico e tardo-romano in putrescenza convivono con una mirabile sintesi e si traducono in un’opera di poesia davvero polifonica e originale. Poesia simultanea questa di Peter Russell per la sua capacità di assimilare e dare corpo nuovo e volto nuovo alle reminiscenze della poesia cinese, persiana e indiana, ma invero dietro le paratie di tanto trasognato mondo del tardo impero non è difficile riconoscere uno specchio delle nostra epoca senza identità.
E’ significativo citare Russell stesso circa la nascita di questo particolare eteronimo: “I invented the late greco-roman poet Quintilius back in 1948 after a visit to George Santayana, anticipating Wallace Stevens’ ‘ Old Philosopher in Rome’ by quite a few years! I’ve been writing the poems of Quintilius ever since-a-span of nearly fityi years”.
Quintilius è quindi da considerare come una persona ed un poeta distinto da Peter Russell, con una sua peculiarissima identità psicologica e culturale. Ritengo questo volume di poesie di Quintilius una delle vere novità della poesia di questo decennio. Lo dico con la modestia e la saggezza che mi derivano dalla consapevolezza dei miei limiti, mi piacerebbe veder pubblicati in traduzione italiana alcune almeno di queste poesie, ne trarremmo tutti più vigore per uscire dalle secche del minimalismo e dal neoconservatorismo imperante. Non c’è nulla nella poesia italiana di questo secolo di equiparabile alla poesia di Quintilius. Eppure Russell vive in Italia, ama il nostro paese e noi dovremmo essere un po’ grati al poeta inglese per questa sua preferenza
Giorgio Linguaglossa
Ristampata da Poiesis (Roma) N.15 aprile 1999
Da QUINTILIII APOCALYPSEÔS FRAGMENTA
Una annotazione a “ Legnetti per il fuoco”
L’autore di questa poesia scritta in un Greco tardo e molto illetterato, visse in un’epoca così tecnologicamente primitiva tanto da non essere nemmeno capace di accendere un fiammifero. E pure in dubbio il fatto che Quintillius fosse in grado di maneggiare pietra focaia e metallo. Quindi doveva fare ricorso ai tradizionali legnetti per il fuoco, in origine ( come per gli antichi Brahmani indiani) un rito sacro che però richiedeva una gran perdita di tempo. Egli fu visto regolarmente vagare sotto i larici alla ricerca di Fomes fomentarius, il fungo da esca o dei chirurghi, che ben seccato bruciava sin dalla prima debole fiamma.
Sembra che questa poesia l’abbia scritta in un momento di sconforto, o forse soffriva di una mania depressiva o di qualche altra malattia di moda. Il motivo per cui non chiamava i preti ad accendergli il fuoco non era tanto che avesse perso la fede quanto l’evidente penuria di danaro, e i preti sono notoriamente avidi. In questi nostri giorni illuminati dal progresso, le televisione e l’educazione statale, come il dotto Professor Michel Alexander della University of St. Andrews ha recentemente osservato, pochi studiosi ( eccetto se stesso, Hugh Kenner e Donald Davie) conoscono la letteratura inglese, per non parlare della Bibbia. Spero dunque che il lettore democratico non si offenda se il traduttore spiega alcune delle parole meno comuni. Il problema della società senza classi è, come piace dire agli americani, che non ha “ classe”. Le insulae ( letteralmente isole) erano grandi quartieri della città dati con affitti esorbitanti alla gente più povera, ed erano notoriamente rischiosi per gli incendi e invariabilmente erano in uno stato pietoso. Aposynagôgos significa letteralmente “ escluso dalle comunità ecclesiastiche”, una parola greca del Nuovo Testamento. Quintillius, pare, a differenza delle persone castigate dal dott. Alexander, aveva letta la Bibbia. Agyrtôdes significa un accattone vagabondo come il faqîr o derviscio, generalmente un devoto della Grande Madre, spesso un ciarlatano orfico o un indovino che usava i dadi ( vedi Platone, Repubblica 364 e Euboulos Comicus, Fr. 13° . Adelphê mou, numphé “ Sorella mia, mia Sposa”, proviene dal Cantico dei Cantici. che certamente pochi eccetto Michaelus Alexandrinus conoscono oggi. Questa strana frase è stata interpretata dai filologi eruditi come un riferimento a culti segreti dell’incesto del Medio Oriente. La domanda retorica di Quintillius “ mi seppellirò nel mio giardino?” è ovviamente la prova di un tardo culto di Zalmoxix nella Bassa Scizia o Alta Mesia.
Trovo estremamente deplorevole che si debba ritenere necessario spiegare una cosa semplice come una poesia di Quintillius; se le cose stanno davvero così, e i moderni letterati sono così illetterati, dovremmo tutti essere profondamente gradi al dotto studioso di Anglo-Sassone di St. Andrews.
Uno studioso italiano locale, completamente ignorante in letteratura inglese, mi dice che in Quintillius ci sono echi di centinaia di testi di etnologia, religione comparata, cerimonialismo vedico, divinazione orfica, tecnologia antica, storia greca e romana , superstizione popolare e folclore, ecc…, ma a me sembra che il fascino di questa poesia è proprio che non richiede alcuna spiegazione eccetto che per quei studiosi professionisti che vogliono un campo esclusivo nel quale anche la cultura teorica più elementare è riservata unicamente a loro.
Come antidoto alla probabile incredulità del lettore di buone intenzioni riproduco qui di seguito il meraviglioso lucido e responsabile articolo del Professor Michael Alexander. Per coloro i quali siano tanto ignoranti, a differenza del Professor Alexander, da non sapere il Greco Antico ( e la letteratura inglese e la Bibbia) devo spiegare che la dotta parola “fallocentricità”, con la sua elegante miscele di radici greche e latine, benché sia ben oltre la mia limitata comprensione intellettuale, sembra indicare vagamente “ i cazzi parlanti” come elemento centrale alla nostra progredita civilizzazione post-moderna.
Confesso di non essere sufficientemente informato per poter dire cosa intenda Il Professore con “ l’ex contea di Devon “, Posso solo presumere che l’antica contea abbia recentemente dichiarata la propria indipendenza, come i Serbi della Bosnia, e che questa importante notizia non sia ancora filtrata fino a questo mio situs isolato fra le montagne etrusche del Pratomagno.
Ricordo con affetto paterno il quindicenne Michael Alexander, allora allievo del mio vecchio amico Peter Whigham a Worth Priory, Sussex, e mi meraviglio del progresso intellettuale che anche una persona infantile può compiere dopo trent’anni di Accademia.
Isola Tiberina ricostruzione Roma antica
sesterzio romano
Legnetti per il fuoco
(Pian di Scò 1992)
Il fuoco del mio focolare si è spento, la nicchia annerita è tutta buia,
L’umidità fuoriesce dalla pietra, il freddo si sparge per l’atrium.
Il gufo grida alla mia sinistra dalla macchia di sambuco aggrovigliato.
Non ho bisogno di auspici, d’indovini, di nauseanti interiora
Di vittime che mi dicano che la fine è prossima, o almeno
Che qualcosa di cruento sta per accadere. Soltanto riaccendere il fuoco
Con lo stoppaccio non basta. E’ troppo tardi adesso
Per chiamare i sacerdoti, pagarli perché battano assieme
Le pietre del tuono, o inseriscano il piolo di legno duro
Nel receptaculum consacrato di morbido abete de “ lavorare vigorosamente”.
Dicendo preghiere a Hestia, accendendo il fuoco votivo. Il sangue
Si è diluito col declino, il vigore è scorso via col fuoco.
Mi cospargerò di cenere, nudo vagherò per i campi.
Come mero fantasma in abiti di mendicante frequenterò
I focolai d’altri uomini, d’altri banchetti, cliente non desiderato
Che rammenta la morte ai vivi. Meno d’un extracomunitario, d’ora in poi sono
L’eterno forestiero. Dissoluto adesso, desolato, devo solo
Dissolvermi, tutta la mia coscienza dispersa al vento.
Dove nella vastità dell’oceano sono i tratti del Tevere e del Po?
E dietro tutto questo, -maledetto sia questo smantellamento,-una donna.
Liberato dal desiderio, i sapienti venerano lo spirito universale.
Non vogliono più passare attraverso il seme umano.
Gli antichi saggi insegnarono questo. Tutto il desiderio messa da parte, insegnavano anche
Che il Paradiso può essere conquistato con la sola forza, nessuna quantità di virtù
Ti può portare lì. Io ho vissute le mie eternità
Il tempo non ha più misure. Il nodo è stato sciolto.
Vagabondo nella Città stiverò i miei domestici
In un buco umido nel muro di una della insulae?
( Che bel nome per un dormitorio!) – aposynàgôgos, agyrtôdês,
Un derviscio del genere. Persone infelici, ho sentito, spesso si seppelliscono
Nei loro libri. Mi seppellirò nel mio giardino? Vieni a vedere, Sorella,
Adelphè mou, Ninfa, ci saranno violette in aprile.
Fayyum ritratto femminile (120-140 d.C.)
Fayyum portrait d’homme (120-140 d.C.)
THE ELEGIES OF QUINTILIUS
LE ELEGIE DI QUINTILIUS
’Car la Muse m’a fait l’un des fils de la Grèce’
(Traduzione di Mauro De Castelli)
PREFAZIONE ALLE ELEGIE
Fu nel 1948 o 1949 che Robert Payne mi presentò a Stefan Schimanski, il curatore della terza antologia della Nuova Apocalisse, e all’epoca direttore del Word Review . Quando Stefan udì che ero diretto in Italia, mi chiese, per caso, se volevo tentare di intervistare benedetto Croce, George Santayana, Max Beerbohm e Ernest Hemingway.
Se avessi accettato avrei ricevuto 5 sterline per ogni intervista ma nessun compenso per il viaggio. E fu dall’incontro a Roma con Santayana, allora nonagenario, che nacquero i poemi di Quintilius.Molti piccoli dettagli , per esempio i lupi sui colli albani, derivano dalle conversazioni di Santayana con me.
Era rimasto impressionato dal fatto che dalla devastazione della guerra, i lupi avessero ricominciato a vivere e riprodursi nelle dirette vicinanze di Roma. Molti altri dettagli del Mediterraneo in genere, e in particolare dei ‘colli liguri’, provengono del mio soggiorno- quello stesso anno- Ora con Olga Rudge a Sant’Ambrogio, presso Rapallo. Beerbohm viveva solo a poche centinaia di metri di distanza, quindi era semplice andare a fargli visita. I pomei di Quintilius sono intrisi della luce dell’intera costa ligure, secondo la mia propria esperienza e l’idea che me ne ero fatto dai Cantos di Ezra Pound.
Dopo un anno o forse più, trascorsi sei mesi a Cagnes-sur-Mer sulla costa azzurra, una specie di estensione della Liguria, dove un tempo la lingue predominante era ligure. La seconda elegia parla della decisione del poeta di prendere residenza nella Provincia Romana, e la terza descrive la sua vita colà.
Mentr’ero anch’io a Cagnes, dedicai molto del mio tempo a leggere Virgilio e i poeti bucolici della Grecia, fui interessato in particolare al famoso libro Virgilio Romano di Gavin Douglas e lo leggevo assiduamente.
Nello stesso tempo studiavo il portoghese con una mia amica, la bellissima Violante do Canto, figlia di un noto scultore portoghese.
Ricordo, con spasso, che proprio quando iniziammo a leggere Camoens contrassi una grave infezione a un occhio e dovetti girare con una benda nera. Se fosse dovuto alla fogna cittadina che si disperdeva in mare, dove facevamo il bagno, oppure se fosse semplicemente autosuggestione, non lo saprò mai. Nello stesso periodo ero solito fare l’autostop per la strada della costa, spesso fra enormi incendi forestali, per fare visita a Richard Aldington a Le Lavandou e Roy Campbell, che non viveva lontano da quel luogo.
Campbell era un ottimo cuoco e le sue bouillabaisse, con le loro rouille che scottavano, sembravano ancora legarsi ai numerosi litri di robusto vino rosso locale, risuscitando altresì un folto gruppo di reminiscenze dei costumi e della storia della Provenza, antica a moderna.
Mentre mi parlava nella grande cucina di bàsolo, gli sarebbe piaciuto rivivere la vita che descrisse in Provenza Taurina e ne Il Primato battuto, e lasciava cadere frammenti di citazioni da Boezio e Cassiodoro, oppure curiosità tratte da Plinio il Vecchio o Isidori di Siviglia.
Descrisse i combattimenti dei tori e Nimes ( la romana Nemausis ) e la naumachia sia dei pescatori antichi che dei moderni, e sarebbe andato avanti a leggere da Calendal o altre poesie di Mistral. La maggior parte delle informazioni di Campbell finì nella versioni di Quintilius. Il mio ( e di Quintilius) personale ed eterno rancore verso i burocrati e i cercaposto (place-seekers) fu accompagnato dalle tirate di Roy contro gli avidi, i timidi e i taccagni.
Sospetto che, virtualmente, ogni immagine e frase nei poemi di Quintilius fosse formata per concordare, in qualche modo con qualche particolare ‘fonte’ , o nel mondo fisico, o nella letteratura da noi condivisa, o nelle conversazioni di Roy e Richard.
Roy era particolarmente bene informato sulla storia dei vini dell’Europa del sud e sulla storia antica della viticultura in Portogallo, e in verità il più delle volte riecheggiava le parola dello stesso Quintilius, senza conoscerle.
Accadde come se molte menti fossero connesse attraverso i secoli e parlassero a una voce sola.
Peter Russell ( 1983)
Nota: il critico inglese Roger Sharrock nella rivista londinese (settimanale) “The Tablet”, ha detto che questa prima elegia di “Albius Quintilius” ( in verità poesia originale di Peter Russell), sia la migliore imitazione o ricreazione in lingua inglese dell’elegia antica romana.

gioco della palla pittura parietale stile pompeiano
QUINTILIUS
Poetae vesani Libidinosiqve Atque Puellarum Ejus omnium In Meoriam tenetriman
ELEGIA PRIMA
Daunia
Generoso lucignolo con olio di cocco
Che suscitavi ogni sera la nostra fiamma nuziale,
Molte volte testimone dell’atto d’amore fosti,
Ogni notte, nella città di Sfax nei giorni di giovinezza
Finché Daunia mi abbandonò a tremare in un letto vuoto
Fu lei a prendere queste coccole in principio
E baci al chiaro d’una lampada fin tardi dopo che l’alba
Affievoliva a fianco del letto la fiamma subito eretta.
Possibili risultati o la continuità mai sfioravano
Le nostra testa colma di giochi erotici e di gladiatori;
Di giorno l’arena, di notte la polvere del nostro letto
Con il lucignolo slanciato e luminoso, e sull’altro lato
Del foro il gemito dei musici, con flauti e un tamburo
A caricare l’aria seròtina di voci e vino
Troppo teneva occupati per pensare a un focolare o ai bimbi.
Ora mi ha abbandonato, è fuggita con un altro
(Una maledetta canaglia di Roma con più danaro
nel suo borsellino)
Di quanto mai ne ebbe mio padre. Prima
del crollo della dracma e la crisi dei mercati),
Partono con la prossima nave per Roma, è scappata con lui.
Al mattino bussò alla mia porta per un addio
‘Non piangere, Quintilius, presto ne troverai un’altra carina
Che ti scaldi nel letto prima del sonno e ti lavi i capelli.
Dimenticherai la tua dolce Daunia prima che lei
Cessi di bramare un ex amante a Sfax’
Non più di queste parola sopportai di ascoltare fulmineo
Fui nel cortile con i polli e piansi
Lasciando che il resto del suo messaggio cadesse
Sul battiporta di lucido rame, orgoglio paterno.
Spesso avevo pensato di essere sul punto di fare fiasco;
Tutt’al più avevo pensato “ sta ragazza sarà buona moglie
Ora che in ogn’altra cosa ho fallito, sciogliendo a sera
I suoi capelli e acquietando i nostri figli fino al sonno
Mentre sulla nostra modesta casa tramonta il sole”
Mai m’ero preoccupato di domandarglielo. Ora è andata
E le luminose strade di Roma l’avranno per il resto
Della sua giovinezza. Forse morirò solo
Senza il fastidio di prepararmi la colazione
O di tenere in casa più che poche mezze bottiglie
Di conveniente vino rosso e un barattolo di olive nere.
La raffinatezza costa molto-
Senza di lei a volere un bracciale d’occasione
Morirò con le mie palme limpide della polvere d’oro
E non sarò più infelice di prima. ‘O Madre Venere
Cosa possono i figli poveri abbandonati da ragazze
Che davano per scontato? Fa male.
Manda un’altra cortigiana greca
Stanca di vivere nei bordelli, alla ricerca d’una casa
Abbastanza modesta ch’io stesso possa provvedervi,
Oppure poni fine al tedio dei giorni
Sarò buon marito te lo prometto.
Trovami solo una casa non troppo lontana dalla città
Con un campo e spazio sufficiente ai polli,
A un gallo, un suino e una mucca: fai vi siano
Tre o quattro ulivi nodosi e fessurati
Con bacche mature ai primi di Novembre; fai vi siano
Un’ampia stanza per porre d’inverno il frumento e un patio
Di viti dalle grandi foglie per i mesi d’estate.
Non dimenticarti di ricordare al tuo antico padre
Di far sì che piova il necessario. Cara dea
Metterai subito radici ai margini della citta di Sfax
A patto che mia moglie non si riveli una suocera
Ed ulteriori intrusioni non interrompano
Le ore dal piede alato con riunioni di senzatetto
E affamati in cerca di cibo’
Che stupido fui a non farle domanda allora:
Le sue morbide dita rendevano dolce il pasto serale
E mai rifiutò di deliziarsi nelle gioie d’Amore
Dubito di trovarne un’altra, almeno a quest’età
Traduzione dell’inglese di Alessandro Gentili
Rivista da Pier Franco Donovan.
Nota: il critico inglese Roger Sharrock nella rivista londinese (settimanale) The Tablet, ha detto che questa prima elegia di “Albius Quintilius” (in verità poesia originale di Peter Russell), sia la migliore imitazione o ricreazione in lingua inglese dell’elegia antica romana.
imperatore romano Caracalla
SECONDA ELEGIA
I DISEREDATI
Mutamdae sedes…
Quintilius, s’è trasferito: considerava il calore
D’Africa eccessivo per un pigro, piccolo proprietario terriero.
Lo minacciavano anche recenti proscrizioni
(Disse) di confisca della fattoria.
Quindi, preso il meglio di due corsi negativi
(La povera Licoride disperata di lasciarsi tutto alle spalle)
Ha venduto la piccola proprietà di Sfax
Per poco denaro ed è venuto a Cagnes.
Qui in quel poco che è rimasto della provincia romana
Quintilius programma di passare il resto dei suoi giorni
Ahimè! Poiché la maggior parte della sua ottima collezione
Di pergamene ora orna i banchi dell’usato a Sfax
E’ meglio tuttavia ridurre al massimo le perdite
E ricominciare in un altro paese,
Che soffrire ignobile evizione, violenza con tutta probabilità
Per mano di una banda d’insoffribili vandali
Ebbri del senso di potere per il semplice fatto
Che le persone civili sdegnano sollevare la spada
Questi maiali ipernutriti incedono per le rovine della città
Hanno rubato e bruciato, incapaci di governare
Perfino un manipolo d’ignoranti ringhiosi cani di coloniali,
E si fanno chiamare letterati, parlano di cultura’,
Quando tutto ciò che in realtà sanno è far di conto
O sillabare un messaggio di richieste di più cibo,
O le ragazze da condurre ai loro quartieri.
Che feccia! Con le braccia sferraglianti e voci roche
Tiranneggiano i lo saggi come un branco di sciocchi.
Monopolizzano i mercati e assicurano penuria.
Cosa deve fare Quintilius? Dove fuggire il pesante destino?
Detesta Roma – povero poeta!- Mantova e Cremona
Puzzano, con gli occhi sporchi discendenti dei Cimbri e Galli.
Per non dire dei rudi legionari del divino Ottavio.
Dove poggiare il capo? L’Apulia brucia,
La Campania anche, fuma con i fuochi di Febo,
La Sicilia è meglio sui libri ch’abbrucchiandosi a piedi le suole
Solo la provincia romana gli può dare pace desiderata.
Civiltà senza impegni delle città;
Inverni miti senza l’intollerabile calùra
No, Quintilius, è saggio uno spostamento!
Stette troppo al chiuso con la bella Licoride
A studiare finché lei non ne poté più e pregò
Il padre dei suoi piccoli d’arrotolare le pergamene e parlare
Un’ora o più finché il sole non sia tramontato e il vino
Ancora una volta infiamma la giovane coppia fino al letto nuziale.
Dopo è la lingua sottile ed esperta di Licoride
A bruciare come una fiamma le labbra cupide di Quintilius,
Lui come irsuto caprone sulle vette del monte Ida
Scruta estasiato le dolci membra della sua compagna.
Ma a Sfax con i loro polli, il cane rognoso e la capra,
Gl’antichi e nodosi ulivi quasi senza frutto
E la polvere insidiosa d’eterno meriggio,
Cosa dovrebbe fare il poeta, chiuso nell’orbita più esterna
Con nessuno se non con una ex cortigiana e un servo schiocco
Che aiuta in casa e provvede ai bisogni corporali?
E’ vero le schiave africane sono più a buon mercato, ma che si ricava
A comprare una schiava che in men di un mese sarà stuprata ( se avvenente)
O catturata e venduta a un altro ( se i suoi attributi sono tali
Da attirare l’insaziabile vandalo per il proprio volgare spasso?)
Qui sulla calda montagna di Cagnes lui è al sicuro:
Di giorno le api producono un miele più dolce dell’ibleo
e soffici sono le olive come le migliori cresciute
Sulle pendici della Fiesole etrusca. Erbe di gran abbondanza
Scaturiscono dai sentieri di montagna, aglio e salvia
Prezzemolo e cipolla selvatica, anice, pimento e timo,
Balsamo dolce e finocchio, spigo, indivia e alloro.
Fresche insalate, fagioli bianchi e peperoni, melanzane purpuree
Quanto il vino, pompelmo e melone, ovunque a caso sulle mulattiere
Prospera il cactus spinoso ma non impedisce la crescita
Delle albicocche, delle pesche e delle prugne. La mela è vero
Qui non fruttifica, gli spinaci sono grinzosi, e il cavolo
Come cuoio per i palati soliti alle verdure toscane.
Ma i funghi teneri come carni d’agnello crescono
Nei primi mesi dell’anno vicino ai pagliai.
Così si, ora nel porto sottostante
Marinai avvolgono le loro scorte ben ordinate
E il capitano dà ordini di scaricare la stiva
Un ricco carico di granaglie è stato spedito dal Basso Egitto,
Mangime per le bestie in aggiunta a cibo per umani,
Senza far menzione della farina grossa usata da queste parti
Per acconciare pasticci di acciughe da offrire a Espero
Tuttavia anche questo prezioso cargo, dono di nostra Madre Cere,
Non regge il paragone con il tesoro acquisito da Cagnes
Quando il dotto, e da troppo tempo esule, Quintilius discese la passerella

Fayyum, ritratto di fratelli
ELEGIA TERZA
L’ETA’ DELL’ORO
Per tutto il tempo che i fichi acerbi
Continueranno a cadere fuori della porta
Così anche le mie modeste speranze non svaniranno.
Vi fu un tempo quando mi figuravo un futuro
Di pace nel paese, coltura di viti fruttuose,
Possedimenti di una vita compresa una casa e terrazza,
Limpide condutture d’acqua e abbondanza di legna
Per intrappolare le fredde incursioni dell’inverno;
Pochi libri su di una mensola asciutta, le visite degli amici
Da paesi lontani ( occasione per scannare un vitello
E servire agli stanchi viaggiatori un ricco Falerno
E le gustose cervella del povero animale nel burro nero);
Discussioni di poeti nottetempo, il significato d’antichi miti,
-Il tempo della semina, potrebbe essere,
dei nostri capolavori auspicati,
Sbocco finale dei nostri banchetti,- dunque felicità, credevo.
Ma sedendo qui insoddisfatto, con il testo di un povero imitatore
( ingarbugliato, scorretto e zeppo di interpolazioni,
Tristemente frainteso dai Dottori di Roma con orecchi d’asino),
Cosa fare se non piangere, sentendo le ore fluire,
Schiantare fico dopo fico fra fredde e verdi foglie
E sparsi sulla terra buia essere preda di voraci insetti.
Cara generosa Madre, che idiota fu, chiedo,
Chi ha piantato il tuo albero del fico nell’ombre ostili
Cosicché solo i frutti elevati hanno ricevuto la manna solare
Per maturare in pieghe purpuree e calde e nutrire i tuoi ministranti?
Ne fu convenientemente curato quest’albero troppo cresciuto
Per cui non potendo raggiungere i rami più alti resto
Con nulla se non dure pallottole di fico.
Molte cose sono in dubbio; – di ciò solo siamo certi-
Ogni cosa degna richiede una spesa di lavoro: le superfici
Tutte potenzialmente fertili
Devono essere attraversate da molti canali,
E i rami germoglianti troppo alla svelta
Necessitano sapiente potatura
Per mezzo di ore laboriose sotto un sole cocente;
Proprio come, O Apollo, i tuoi malinconici giovani
Devono adeguare
Il loro triste canto a forme ordinate di dolore,
O anche, Priapo, i tuoi felici adoratori le loro urla.
Matandae sedes: non posso tollerare questa condizione;
Moderata accettazione,
ragionevole disponibilità di libri
E qualche lieve speranza di Pace
Duratura potrebbe avermi distolto
Dal mio infelice vagabondare sulla faccia dell’Europa,
Asia, Africa, alla ricerca tra libri e uomini
Della buona vita. L’iniquità, sembra avere molti volti
Poiché ora vi sono guerre sulla terra: anche per i poeti questa vita
E’ senza onore, integrità- perfino senza vergogna.
Dove un tempo cantavano gl’antichi bardi, vili schiavi
Assurgono a lavori gradevoli
Ben retribuiti nel Servizio Civile, Università, gruppi culturali,
Ed altro, come fossero latifondi metropolitani.
Ogni valore è capovolto dove la codardia è un valore
E il coraggio è da molti considerato vergognosa affettazione,
Dove parlare anche solo di “Eroi” o redigere vergognosa affettazione,
Dove parlare solo di ‘Eroi’ o redigere le gesta dell’aristocratico
Senz’altro contraddistingue il folle, impedisce ogni promozione
E gli procura più nemici di quanti siano i culattoni a Sibari.
E prima d’ogni cosa, tuttavia, è un incontro per venerare gli Dèi:
Così ho sempre creduto e così ,spero, crederò.
Tuttavia dicono che non sia di nessun vantaggio invocare gl’antichi dèi-
Deboli uomini hanno rovesciato l’Onnipotente Giove, il Re
Dicono di aver fatto vergognare Giunone, la regina del cielo.
Non so che dire ma di ciò sono certo
Esistono gli spiriti benefici quanto poi i maligni.
Codesto nuovo Dio che unisce tutti gli schiavi contro di noi
Che ci fa mancare sotto i piedi il meglio dell’antico ordine,
Oberato di etica e avvelenato dalla sgradevole politica,
Ha indebolito il dominio del bene, sostituendo l’Antica Giustizia
Con corti piene di schiavi, orientali e vandali
Ognuno trattenendo, la sua non piccola commessa
Sui frutti della libertà individuale. Puzza
Questo accentramento d’ogni facoltà autonoma,
Questo logorio sistematico della vecchia etica individuale.
Il privato cittadino è derubato della responsabilità
Rivenduta sporca al pubblico, ad alti prezzi,
Presso la folla scomposta
E insopportabile della Roma imperiale di un tempo,
di Costantinopoli, Ravenna e Napoli, o Dèi, che banda
di lerciume e corruzione riempie ora i posti del nostri antichi consigli!
Prego Venere, Apollo, Minerva e Marte
Di disfarmi da questa calca coprofila e bruciare i loro resti
Lasciando insepolte ed animale, loro untuose ceneri.
Per me devo svolgere le ben note fatiche del poeta zelante
Sacerdote profano di Apollo, servo dei virtuosi,
Erudito e appassionato d’ogni arte e scienza
E in ogni istante custode della Musa ospite,
Persi i sensi e lasciato affamato, come potrei essere,
Dalle Parche ostili e dalle mani omicide degli uomini
Qui devo restare e comporre i miei versi persistenti
Finché abbia venduto prodotti sufficienti sui mercati di Cagnes
Per levare di nuovo l’àncora e partire per luoghi più amichevoli
In verità, sopra ogni cosa, le dolci muse
(di cui porto i sacri emblemi guidato da appassionante amore)
Mi potrebbero accogliere con doni;
A me, loro servo, potrebbero mostrare le vie del Cielo
E la stella
Il quotidiano tramonto del Sole, le diverse fasi della Luna;
La causa dei terremoti, e la forza che solleva l’oceano
Ora rompendo le sue barriere,
ora sprofondando nel bacino assegnatogli;
Il motivo per cui gli astri invernali s’affrettano tanto ad immergersi
Al di sotto del mare, e quale indugio trattiene le notti tardive.
Le tue campagne e tutti i Tuoi incessanti torrenti
Siano la mia gioia, dolci Dee; lascia che ami
Le tue acque e i boschi solitari, Là non si ascoltano gli echi profondi
Delle urla della fama lesa, né interrompono le Ore.
Lascia che talvolta in fuga mi faccia avanti nei boschi
Solo per confluire nelle folle, ignoto ad Erraginum,
O che partecipi, non visto, ai riti mitràici a Nemea
Potrei incontrare tribù pacifiche lungo la strada
Che danzano i loro riti segreti in boschetti nascosti
Dove Bacco e le ninfe sono visitatori consueti
Latori di vino dolce e abbondante amore. E potrei vedere
Freddi abissi, abitare all’ombra di enormi rami.
Felice chi seppe d’ogni cosa le cause,
Dominò l’insinuanti paure, pose ai suoi piedi
Il duro Fato ed il lurco Acheronte dal suono terribile.
Felice anche chi conobbe gli dèi agresti
Pan, Silvano e tutte le ninfe sorelle loro amabili.
Costui non si sottometterà agli onori popolari
Né alla porpora reale,
Né ai dissidi che muovono fratello contro fratello;
Né all’unione di forze fra tribù barbare periferiche,
Né al potere costituito o qualsiasi altro punto di collassare:
né s’affliggerà
Pietoso per gli oppressi o invidierà i ricchi.
Il frutto raccolto da tale uomo, i campi àlacri e i rami
Di propria scelta lo producono; egli non conosce
Il Foro ridicolo o le ostinate leggi,
O il tabulario con le liste di tutte le persone
Trascritte meticolosamente tanto quanto in pedigre delle capre.
Poca la sua saggezza, grande la follia dei governanti.
Fayyum ritratto femminile (120-140 d.C.)
Fayyum, ritratto
ELEGIA QUARTA
QUINTILIUS E I SUOI DEI
‘ A quale tipo di femmina, Quintilius, dai la caccia?
Quale dea o etèra attrae la tua natura sensuale?
E’ l’ultima novizia-una vergine fino a poco fa-
Nelle coorti ben addestrate, dislocate presso la porta di Livia?
Una ragazza di certo alquanto affascinante che da poco ha lasciato
Dopo uno sciocco bisticcio la madre- un po’ consueto, forse
Ma che ne importa se apre la soffice sua bocca ai baci
E trattiene le chiacchiere, per il mattino- e un altro uomo?
Alcune iniziano così, piccole innocenti care,
Ma escluse le zitelle e scolarette infine imparano
Di prostituta i trucchi più astuti. Oppure, triste,
E’ un’impudente captiva- Schiava tedesca
Dagl’ occhi azzurri
( Che venera chi sa quali dèi, in più capace
D’ammaestrarti, Quintilius,
Ai propri severi rituali – un’abominevole schiavitù!)
Oppure è una maliarda, occhi a mandorla, asiatica, nuda
Non fosse per l’oro pesante sulle braccia e
campanelli alle caviglie
Ti calma, in barbari templi, fino all’arduo sonno,
Appellandosi a Astarte frigia o altri demoni più
Terribili
Per assicurarsi la stregoneria più potente, vuotarti
Le tasche.
E’ la stessa vecchia storia, Quintilius Stultus, mio amico
Che attende di cadere dalle labbra arse mentre ti trascini
Per il Foro, poco più tardi del solito, in questo
Mattino di febbraio?
Oppure, forse, è Avventura amorosa, il battito del
Tuo povero cuore non il colpo del lingam,
Passione eterna, eroica devozione, di necessità ignota
Per l’onore d’una Lady e di un nome d’antica schiatta?
Eppure l’amor, che la povera Didone dètte prodiga
A Enea, o Ettore a Andromaca sua consorte,
Sia che sia una passione intensa, viva, pare, fino alla morte
O l’Età delle dita flosce che spegne la sua fiamma,
O nobile devozione stabilita tra uomo e donna,
Durevole oltre la morte, che si fa Storia,
E’ pregevole, raro, assai ambito- ma non da quelle come noi.
Per noi, agili ragazze di Coo abbigliate con veli,
Abili nelle nostre astuzie dell’indecente Cipriota
Basta! Nell’oscuro passato era possibile fuori di dubbio
Adorare come dea una ragazza giovane ed amabile
Ché gl’antichi avevano dèi per ogni occorrenza,
Ogni dio una dea o due;
Ogni campo e boschetto, ogni corrente d’acqua lucente
Aveva innumeri ninfe, giovani e amabili, driadi ed amadriadi;
Ma che può fare un giovane solo nelle vie di Roma
Quando la brama d’amore lo assedia come tempesta?
Le giovani carine tutte voglion marito-
Ma qui non v’è gioia, mille pericoli, semplicemente
Benché là, vecchio amico, tu sia sufficientemente al sicuro!
O può essere mio caro, per quanto esiti a suggerirtelo,
Qualche ragazzo dalle guance lisce, un empio oggetto d’amore
Pure niente di strano in questa città (felicemente) oppressa dal vizio,
Ha allettato il più appassionato, a quel tempo, servo di Venere
Con un nuovo piacere? Oppure, povero e abbattuto Quintilius,
E’ questa faccia mattutina, grigia e non accogliente
La ricompensa per i favori concessi del Dio del Vino? Può essere
Che Bacco abbia stordito il tuo intelletto, e il fegato non il cuore
Sia la tua disgrazia? Ma nessun problema è semplice- più probabile
Che il bardo sia caduto in balia di Bacco, e scaldato da troppo Falerno
Sia caduto lungo la strada, mite preda delle ‘signore’
Ah non è la prima volta che accade, Quintilius
E neanche l’ultima, per Venere, sebbene possa vedere
Dalla tua faccia che il tuo borsellino è quasi vuoto!
Non disperare
Si empirà di nuovo presto: La povertà non dura in eterno.
Non è nessuna di queste cose? E’ qualcosa di meno ‘serio’?
Oh Mercurio, aiuta il mio povero amico- so ch’è davvero nei guai!
Quintilius ci raggiunge. I suoi vecchi amici lo deridono un po’
‘Di nuovo bagordi?’ ‘ Come sta la tua testa?’ ‘ Confessa!’
‘ Oh mon brave, sei senza parole- Cosa ti tormenta?
Sfortunato poeta!
Fu lento a replicare, come se cercasse parole inusitate
Fu ovviamente un tergiversare, una conversazione, in
Un certo senso sensazionale,
Si palesava qualcosa di insolito per il nostro
Vecchio amico.
Parlava; povero bardo dai mille guai.
‘Sono entrato in una setta di Cristiani
e vi ho speso la notte
In orazione e digiuno, vigilia davanti all’Unico e
Vero Dio,-
E non miei cari amici, in abbandono sensuale
e volgare.
La mia cara moglie, Lucimnia, di cui ho
prima d’ora, troppo abusato
Per ubriachezza e sfrenatezza, è stata a lungo, in segreto
Una cristiana. Ora, miei cari amici, anch’io
Rinuncio a tutte le vanità, agli inganni,
Alla falsità della vita cittadina e sono qui a dirvi
Addio. Domani partiamo.
Una santa matrona, amica della zia di Lucimnia,
Facoltosa, devota, una santa, ci ha offerto un
Passaggio
A Giaffa, donde andremo a piedi in una piccola
Città della Giudea:
Un convento ci attende. Pane, latte e tutte le
Squisitezze del paese,
Verdura, frutta ed erbe benefiche ci manterranno
In buona salute.
Alla parca tavola.
Così sistemati, il sonno selvaggio non ci priverà
Delle preghiere
Né la troppa agiatezza interromperà lo studio.
D’estate gl’alberi ci forniranno una tettoia
In autunno le foglie, cadute per l’aria più gelida,
un frascato
Diverso dalla frenetica Italia perseguitata dagli eccessi;
In primavera quando i fiori decorano i campi
I nostri salmi saranno più dolci
Mischiati con le lodi degli uccelli;
E, all’arrivo delle nevi invernali
Quando i poveri rabbrividiscono nei loro letti,
Saremo benedetti con legno abbondante e camere
Ben riscaldate.
Roma si tenga le sue folle, la sua arena crudele
gli spettacoli selvaggi,
i teatri soffochino nella propria stoltezza,
E tutti i nostri vecchi amici continuino le loro
Fatue ‘ visite’;
La nostra gioia è in Dio, in Lui la nostra speranza,
la nostra salute
Acquisita in Paradiso, e tutti i beni terreni, senza
Valore…
Così predicò il povero compagno, pazzo
Ovviamente,
Cercammo di non farci troppo caso. Era già
Accaduto
Quintilius ha sovente attacchi di pazzia,
predisposizioni
Deplorevole per uomini meno famosi di lui ( anche
Se più ricchi)
Noi lo trovammo divertente da parte sua. Gli
Stringemmo la mano
E gli dèmmo l’addio, accettando di buon grado le
Sue benedizioni
( Come spesso sopportavamo oscenità, scurrilità,
insulti
Quando bevendo era solito insultarci).
Chissà che cosa ha in serbo il destino per un
Iniziato tanto strano?
Non credo durerà a lungo questa infatuazione
Quest’adulazione di “ Un Solo Dio” ( come se gli dèi
Nativi
Ci dovessero turbare tanto, lasciamo perdere
Un nume pazzo cui gli stessi Ebrei non
S’inchineranno).
Povero diavolo sarà andato pur lontano
Ma non durerà per sempre: tornerà, lo sento
Non appena la ricca matrona avrà acquisito i suoi
Risparmi
E si occuperà d’un altro ingenuo intrigante.
Se solo si fosse attaccato alle donne ( il vino
Non fu mai abbastanza!)
Tutto ciò sarebbe stato eluso. Piccolo vizio ma
Fece gran danno
Ma la virtù rovina molti innocenti.
O fratello Mercurio, risparmia
Al nostro vecchio amico questa disgrazia!
Lascia che si salvi – maledizione, sei il DIO delle
Evasioni!
ELEGIA QUINTA
Quintilius, esule dai circoli di corte, è adagiato sul punto di morire. Avverte l’anima separarsi dal corpo, la implora di non abbandonarlo, di ricordare piuttosto gli splendori che avevano caratterizzato la loro vita in comune, e ritornare così a nuova vita.
ELEGIA IN PUNTO DI MORTE
E di nuovo la verde primavera invade la Terra
Inabitata
Splende il Sole e Zefiro stimola in germogli novelli:
Anima mia, non celarti nei desolati antri iemali,-
Ritorna! Non abbandonare, povera anima
Vagante, il tuo Maestro esiliato.
Ritorna! Non andare a Est, Ovest, Nord o Sud!
Non a Oriente ove sfumano le carovane di
Cammelli della Media
In cupi e sterili livelli di sabbia senza fine
Più crudele della sanguinaria arena, popolata di
Demoni
Ch’infuriano, irsuti con testa di porco e occhi
Sporgenti;
Oh anima non andare nell’oriente denso di
Pericoli, Rinvia!
Né anima dovrai andare nel gelido Nord,
Su montagne glaciali dove procedono lenti barbari
Con le corna;
Dove non cresce vegetazione e scorrono gelidi e
Profondi i fiumi,
Mai in secca d’estate per la traversata dei non
Disinvolti;
Dove il cielo è increspato di neve e il gelo taglia
Come spada, uccidendo la linfa vitale. Oh anima!
Non andare, errante svolazzante, nei gelati abissi del Nord.
Né nel terribile Ponente, insoddisfatto disertore d’avversità,
Dove come migliaia di forti legioni schierate a cavallo
Spietato l’Oceano sommerge l’ultima spiaggia della Terra
Nuvole s’addensano basse, si posa sul mare la
Nebbia. E al di là fluttua luccicante il ghiaccio.
Oh anima, non andare a Ponente, verso la conca
Boscosa ove il Sole
Sprofonda nel buio, com’anima senza casa
Nell’Orco.
Né, Anima, nel Sud consumato dal fuoco dove la
Terra si sgretola
Annerita e serpi velenose scompaiono tra le
Fiamme!
Dove su erti sentieri o in boschi profondi furtivi
Movonsi
Tigri e leopardi, e strani uomini- bestia saltano
Dalle rocce
Non andare al Sud, O Anima! Volgiti alle lieta
Pace.
Godi nella quietezza Capri e Baia, i colli toscani e
Le valli
Dell’aprica Umbria, schivo solo dei tuoi capricci,
Dimentico del dolore, di nessuno servo.
L’agio quotidiano attenuerà il peso dei giorni
E prolungherà gl’anni restii a un’altra esistenza,
E dove il grano mietuto è riposto alto come case,
Si preparano squisite crostate di mais tenero e ricco;
Lo straniero viene invitato a scrutare le pentole in
Ebollizione
Mentre il cuoco affaticato vi getta pezzi di pollo
Ed erbe astutamente pepate. O Anima-il vitto
Che ami!
Leccornie e delizie dei tempi andati. Ritorna!
E presso il fuoco è il rosso Falerno
Riscaldato di gradimento per il palato più esigente;
E quando fragranti i fumi quanto lenitivo
L’agognato sorso,
Vendemmia per gli Dèi,- per noi – non per
Gente qualsiasi.
O Anima, ritorna, estingui la tua spossatezza,
Le cornamuse e le corde pizzicate, remote melodie
Allietano i banchettanti, antichi canti di quelle colline;
Non le farse levantine della delicata lira,
Del genio musicale, che filano oro, O Anima,
Ritorna al lamento dell’arpa e al flauto.
E poi i danzatori! Orientano i loro passi alle parole
Del poeta,
Battono i loro campanelli, accordano i loro suoni
Alla moderata rapsodia.
E i cantanti! Canto dopo canto finché penseresti
Nulla più resti da cantare, e ancora ne cantano di nuovi.
O Anima, ritorna al fraterno incontro canoro!
Le signore della Corte, donne belle, caste
Le amammo e curammo, donne che amarono
E curarono i nostri figli – mirandamente
Preparate
Di filosofia, brillanti tuttavia serie – ora dove
Sono?
E le cortigiane, le danzatrici e le cantanti, e le
Argute,
Irriverenti e viziate ma teneramente arrendevoli,
Scuotono i lunghi capelli, ci mostrano i denti,
Ridono e battono le mani, premendo vivaci
L’intricate gioie della notte,- ricordi?
E, anima mia! – di giorno – sfilano per strade e parchi,
Festeggiano in locali intimi con amici preziosi,-
Anima mia, torna a vivi per questi piaceri.
Ricordi là sui prati i pavoni, i laghetti con le
Lamprede?
Ricordi il richiamo di Iti nel profondo del gualdo
Di mirti?
Chi gode di questi molteplici piaceri è felice,
E nobile, saggio: il suo consiglio è di Pace,
Non il saccheggio delle ricchezze o la
Sottomissione dei poveri.
Forse governerà ancora un Imperatore, guidato da
Saggezza
E amore non dall’avidità arrogante o dalla follia
Adulatoria,-
Con interesse, non disprezzo, per i bisogni
Dell’impero brulicante di gente:
In ambito pubblico con doti mercenarie, ora
Scomparse.
Io potrei essere un idiota farneticante,
sognatore dai sogni sconsiderati,
Ma so che sulla terra c’è cibo e acqua sufficiente
Per tutti,
Per essere felici e amare: che non si può dividere
E distribuire in porzioni uguali a ognuno, a
Dispetto della categoria.
Ciò potrebbe produrre danni peggiori persino
Dell’attuale fiasco.
Godimento, non di ricchezze e potere, il
Godimento della Natura,
Della sufficienza, della libertà, è più del diritto
Di vivere come un porco.
Un governatore giusto scalderebbe i cuori come il
Sole:
Un’epurazione di generali
E banchieri renderebbe l’aria più fragrante…
Pure non dimenticare che gli abusi sono radicati a
Fondo,
E dubito che nell’Impero esista una dozzina di
Uomini
Adatti al controllo della Giustizia – e forse non è
Per niente un bene.
Muoio con questi amari pensieri sulle labbra,
questa pena in me.
Anima, sei sul punto di lasciarmi, d’andare a
Ponente o a Sud
A Oriente o a Nord, non so dove,-
M’abbandoni freddo e trascurato, senza vita e
Illacrimato
Cadavere rannicchiato e insepolto sulla terra
Antica, generosa.
acconciatura muliebre periodo del principato
QUINTILIUS
AGLI AMICI IN GALLIA
Che inviarono un cesto di squisitezze
L’avvenente Licoride era nel recinto a sfamare
Il rognoso porco
Anch’essa non indifferente alla gran
Confusione che facevano,
Quando uno schiavo dal mercato nel Campus
Ucca, giunse in gran fretta
Portando un possente cesto di gamberi della
Selvaggia costa marina
Un prosciutto ben cotto adornato di pampini,
e formaggio dei colli di Albione
Dono di qualche amico lontano. V’era un tale
Trambusto quando l’affamato Quintilius
Pose lo sguardo sulle leccornie; svelto quanto
L’arcadia cacciatrice
Corse alla tavola imbandita e tirando il collo a
Una bottiglia
L’assetato poeta rese generosa libazione.
‘O Bacco, il tuo àlacre schiavo- se fossi ricco
Quanto molti poderosi templi
Con pareti di marmo, non m’alzerei in felice
Adorazione.
E, vivande, Priapo! Quante pietanze non ha
Ordinato il generoso!
Ma non è più il Saturnale Dicembre, quant’è
Consuetudine i regali vòlino
Qua e là, fibbie per le scarpe, cerini e tavolette
Di cera,
Piccoli vasi impacchettati con prugne di
Damasco, gingilli
E quant’altro, – e io – miserabile amico, un
Semplice liberto della penna,
Senz’altro da invidiare che parole, graffiate
Sulla cera con stilo incerto.’
Licordide, mentre il poeta pomposo parolaio
S’esprimeva, assaggiò il formaggio.
Sbocconcellò il biscotto avvantaggiandosi sul
Suo padrone. ‘ O Mercurio, caro fraterno dio,
Quali bontà hai inviato! Aiutami ad avere la
Mia parte altrimenti
Lui avrà tutto ed io e i miei piccoli
Sgraffigneremo neppure una salsiccia.’
Propizia l’occasione, il poeta consumava una
Miscela di parole e vino,
Dita leste sottraggono una buona porzione e la
Nascondono
Dall’avide mani del bardo, sebbene ignaro.
‘Benedetto da Mercurio! E ‘da Bacco’
Pronunciò
La coppia felice, guardando con garbo
Una volta ancora il grasso e sbuffante porco
Britannico.
Sesterzio romano
statua di Costantino
BROCK sul sudario
Un poema sulla pazzia di Quintilius, trovato iscritto
Sul sudario avvolto al corpo di una prostituta sacra
nel tempio di Iside a Mestre, scavato di recente.
Sessile, un nomade,
Società, gli esperti, mi vorrebbero estirpare
Non dovevo nascondermi nel mio covacciolo
Un tasso, mi chiamano, i preti e i tribuni
Militari,
I Rufuli, retori e disgustosi rapsodi,
gli amanuensi sepolti nei loro scrittoi
E gli avvocati nelle lor toghe corte e untuose
S’incontreranno un Sabato, giorno di riposo,
E indosseranno le tuniche dei cacciatori
E giungeranno alla porta della mia casa con
Ciocchi e zolfo,
E roteando il bastone di quercia
Nel solco fondo del grembo di mia madre
Appiccheranno il fuoco ai fuscelli di betulla
E poi a questa catasta ammuffita,
E così mi cacceranno
Ma sono astuto- ho tre porte sul retro
( A uso di mogli prese in prestito e altre
Emergenze)
E so fare di meglio che lasciare
I miei oggetti preziosi
Senza protezione in una casa vuota
Vamus
Nelle foreste vergini dove il tasso sogna
Appiombo, dalle bianche e infere parti
Degli alni
Corre a lato della ninfa lucente
E io siedo alla luce di una luna tuberosa
E fischio alle nottole e alle rossette
Sotto una fronzosa quercia
Dove la calda sorgente di Apollo, come Baia
Allo strepito dei flauti foresti
Dolcemente inonda e attenua
Lo spirito, Artrite, ch’indugiò a lungo
Fra i miei artigli retrattili e robusti
Sono Brock della foresta vergine
Non, in una città, un somaro a due gambe
Lascia che vengano con i loro bastoni e i
Randelli
Le scatole per l’esca e le loro citazioni
Le loro bugie e le loro fusa
Me ne sarò andato per il loro arrivo
Lasciati esplodere d’odio
Lascia che si dilettino con l’inganno
E dei compiacimenti supremi
Della menzogna
Io sarò fuori nella boscaglia
Dove il merlo chiama
E lo smeriglio vola basso
Sopra la brughiera rosea in fiore
E le probi api accumulano il loro pondo di
Miele
*
A sera farò visita
A mio fratello il vecchio orso bruno
E condividerò, nella tana battuta e
Confortevole
Del cacciatore anziano e scarmigliato
Il miele da entrambi trovato
Nelle profondità d’impenetrabili boschi
Dove le sottospecie umane non giungeranno
Con i loro fucili e gli esplosivi
E si siederanno sulle nostre anche a rompere
Nocciole dai rami virenti di avellàno e nocciòlo
E le spoglie rubate alle falde dell’Etna
E a biascicare indisturbati
Sì la fortuna è fortuna
L’umane bestie dicon sia una ruota che gira
Ma nel nostro buon mondo
Possiamo destreggiarci abbastanza bene
Senza tali ambigui vantaggi
Quali la ruota che schianta e frantuma
Bruin ed io ottimi denti
Ma i carradori e i carpentieri e i costruttori di
Chiodi ferrei
I folli sdentati
Son tutti andati dai chirurghi barbieri
A comprare una serie di molitori
Inadatti a rosicchiare anche la coscia più tenera
Di giovane daino
Tanto meno le squisitezze del cervo
E cosa dovrebbero fare gli idioti
Se non cucinarlo in pentole di ferro
Con viscoso grasso di scrofa capuana
O Troia!

BIOGRAFIA
Tra le numerose biografie di Peter Russell, apparse su varie riviste e libri pubblicati, scegliamo quella scritta di suo pugno che va dal 1921 al 1995, da noi integrata fino al 2002, anno della sua scomparsa.
1921 – Nasco a Bristol, Inghilterra, il 16 Settembre (Vergine !)
1927 – Collegio privato per ragazzini. Studio latino e greco. Sento una grande attrazione per Omero,
una grande affinità con Platone. Subivo quasi una specie di apocalisse nella scoperta della natura, – uccelli, alberi, fiori, insetti. Esperimenti bambineschi con le sostanze chimiche che adesso riconosco, dopo sessanta anni, come pura alchimia.
1934 – Borsa di studio per le lingue classiche. Malvern College. Leggo Dante, i poeti del Dolce Stil Novo e Petrarca e divento appassionato dei pre-raffaelliti inglesi. Trovo in casa nostra i libri del mio prozio Arthur Knight, il quale visse a Firenze dal 1844 fino alla morte, nel 1928.
Dal 1935 in poi studio le scienze (zoologia, botanica, fisica, chimica) e il tedesco come lingua della scienza. Ma scopro anche la poesia romantica tedesca.
1939 – Passo l’estate a Heidelberg. Mi arruolo volontario nell’artiglieria reale.
Servizio antiaereo durante il blitz.
1943 -Servizio con l’aereonautica come osservatore della contraerea nemica.
Incursioni in Germania.
1944 – Paracadutista, osservatore. Campagna in Olanda.
1944/45 – Servizio contro i giapponesi in India, Birmania, Malaysia, Cina.
Studio molte lingue orientali. L’esercito è stata la mia università tecnica.
1946 – Torno in Inghilterra. Studente all’Università di Londra. Comincio indipendentemente gli studi su EZRA POUND.
1947 – Passo sette mesi a Firenze e visito molte città in Italia. Studio cultura italiana usando la biblioteca dell’Istituto Britannico. Incontro Montale, Landolfi, Rosati, Napoleone Orsini, Bigongiari, sem-pre con i miei cari amici Sergio Baldi e Arnolfo Ferruolo. Intervista con Margherita Guidacci. Dal ’47 al ’51 visito l’Italia ogni anno per qualche mese. Trascorro anche molto tempo a Parigi. Incontro T. S. Eliot.
1948 – Per World Review faccio interviste a Hamingway, Croce, Beerbohm e Santayana. Comincio la serie (un’opinione espressa anche da Robert Nye, critico del Times).
1949 – Fondo la rivista delle arti NINE (cioè le nove Muse), che continuo a pubblicare fino al 1958.
L’elenco dei collaboratori include fra gli altri Santayana, Eliot, Pound, Windham Lewis, David Gascoyne, Kathleen Raine, Allen Tate, Roy Campbell, Owen Barfield, E. E. Cummings, C. S. Lewis, Borges (prima pubblicazione in lingua inglese), T. E. Lawrence (inediti), Robert Graves, Basil Bunting, Sitwell, Empson, Nicholas Bachtin, Arthur Waley e giovani poeti come Tomlin-son, adesso famosissimi. Il 7° numero fu dedicato alla poesia italiana, spagnola, portoghese e francese del Rinascimento.
Pubblico An examination of Ezra Pound a New York e Londra. Una collezione di saggi: fra gli al-tri, Eliot, Sitwell, Windham Lewis, Tate, Hamingway, Seferis, Kenner, Mc Luhan ecc., con una mia lunga introduzione. Il testo fu ristampato nel 1974, rivisitato e con nuovo materiale.
Pubblico molte mie traduzioni di Ungaretti, Montale, Quasimodo, Cardarelli, Sereni ed altri.
A Venezia Carlo Izzo e Manlio Dazzi mi aiutano con gli studi poundiani e mi insegnano molto di letteratura italiana.
1950 – 6 mesi nel sud della Francia, studiando poesia provenzale, antica e moderna. Anche quella portoghese, specialmente Sa de Miranda, Camoes e Pessoa. Amicizia con Roy Campbell e Ri-chard Aldington. Riunione internazionale del P.E.N. a Venezia. Incontro Ungaretti e anche Au-den. A Londra comincio la pubblicazione di opere in prosa di Ezra Pound.
Fondo “The Ezra Pound Society” (Presidente T. S. Eliot) per propagare le idee di Pound e per cercare di farlo liberare dal carcere negli U.S.A.
1951 – Da Londra mi trasferisco in campagna per finire i miei libri su Pound e su Ovidio. La casa, con tutti i libri e manoscritti, fu distrutta da un incendio. Questo mi accadeva dopo un’altra distruzione, causata da un’incursione aerea durante la guerra, quella della mia collezione di libri e manoscritti relativi agli studi giovanili, fatto che mi ha sempre molto rammaricato. Non sarà l’ultima volta che si verifica un simile evento! Solo pochi giorni dopo l’incendio fui richiamato sotto le armi per la guerra di Corea. Mi dovetti aggiornare circa le nuove tecniche della contraerea e dei radar.
Verso la fine dell’anno trovo una nuova casa con mezzo ettaro di terreno nella foresta di Ashdown, nella contea di Sussex, e ci vivo fino al 1959. Intanto apro una libreria nella città di Tunbridge Wells e comincio a stampare artigianalmente dei libri di poesia. Il primo libro stampato fu una collezione di traduzioni in dialetto scozzese di poesie di François Villon, opera geniale del poeta Tom Scott. Continuo ad occuparmi sia della libreria che della tipografia fino al 1959.
Dal 1949 al 1963 scrivo molte recensioni per settimanali e mensili come il Times Literary Supplement, Time & Tide, Spectator, World Review, New English Weekly e Changing World. Faccio rego-larmente trasmissioni radiofoniche con la BBC fra il 1950 e il 1963. Tengo conferenze a Oxford, Cambridge e altre università. Molte mie poesie vengono pubblicate in riviste inglesi e statunitensi.
1952 – Di nuovo !! Il fuoco distrugge la tipografia commerciale, Clement & Son, che aveva appena stampato due nuove opere in prosa di Pound, ed altre mie pubblicazioni. Poesie pubblicate in una antologia spagnola.
1953 – La routine di lavoro della libreria, la tipografia, la distribuzione di libri, e il giornalismo letterario, se non anche il lavoro nell’orto di casa, diventano troppo pesanti, e fino al ’63 mi sento sovraccarico di pratiche banali e perciò poco capace di scrivere poesie. Comincia un’amicizia molto speciale col grande poeta scozzese Mc Diarmid.
1954 – Poesie di Quintilius sono trasmesse dalla BBC, e appare il primo libro di Quintilius.
1956 – Incontro a Londra Allen Ginsberg e Gregory Corso.
1957/58 – Studio con grande intensità la lingua e la cultura russe. Traduco molte poesie di Pushkin,
Lermontov, Mandelshtam e Pasternak. La BBC mi impiega come interprete per la visita al Mo-scow Arts Theater. C. M. Bowra e Isaiah Berlin mi aiutano negli studi di Mandelshtam e Paster-nak.
Pubblico con la sorella di Pasternak un libro di traduzioni delle sue poesie.
1959/63 – Mi trasferisco a Londra. Apro una nuova libreria in Soho. Studio assiduamente, prima, lingua e poesia persiana classica, e poi la cultura africana, e passo molto tempo con degli africani residenti a Londra. Incontro di nuovo Ginsberg e Corso, questa volta con Burroughs e molti altri Beats, specialmente l’editore del North Carolina (U.S.A.), Jonathan Williams. Scrivo la lunga poesia epica, Ephemeron (500 pagine), pubblicata solo nel 1976 negli U.S.A.
Passo molto tempo a Londra con Quasimodo, e lo trovo simpaticissimo.
Traduco un volume di poesie del poeta milanese Camillo Pennati.
Nel Marzo 1963 la mia libreria va in fallimento, in parte a causa del fatto che ho trascurato gli affari e ho dedicato tutto il mio tempo agli studi, sia linguistici e letterari che scientifici. Dopo sei mesi di intensa attività letteraria a Londra, mi trasferisco a Berlino.
Fra il ’59 e il ’63 ho scritto molte poesie liriche che finora sono ancora inedite.
Comincio la mia raccolta di sonetti
1963, Novembre, fino al Novembre 1964. Vivo a Berlino. Periodo di intensissimo lavoro. Studi sulla musica moderna (incontro Elliott Carter e Xenakis), sul platonismo e neoplatonismo ed ermetismo (scopro le opere di Francis Yates), e su C.G. Jung e M. Eliade. Incontro Borges. Lunghe discussioni con W. H. Auden circa l’uso delle scienze nella poesia. Vasco Popa cerca di interessarmi alla poesia serbocroata.
1964 – Agosto. Passo una settimana ospite di Ezra Pound a Rapallo. Trovo una casa in via temporanea a Venezia per l’inverno. Da Novembre 1964, fino al 1983: vivo a Venezia. Fino alla sua morte, nel ’72, vedo Pound ogni settimana.
1964/66 – Studi su Rilke, Blake e Yeats.
1966 – (nov.) fino al Luglio 1967. Londra, New York, Boston, Washington e Parigi. Letture delle mie
poesie e molti incontri con poeti statunitensi. La Harvard University raccoglie in un disco delle mie poesie.
1968 – Fino al 1973 visito la Iugoslavia ogni anno per qualche mese e traduco molti poeti slavi, specialmente Dobrisa Cesaric e Popa. Assisto quasi ogni anno alla “Riunione Internazionale Eranos e Ascona” e incontro Henry Corbin, Gershom Scholen e Toshihiko Izutsu, geniali interpreti del misticismo islamico, giudaico e buddista. Vengo profondamente influenzato dalla lettura di Renè Guènon, J. Evola, Amanda Coomaraswamy e altri “tradizionalisti”.
1970 in poi – Studi delle lingue arabe, ebrea e sanscrita.
1972 (fino al 1976) – La rivista letteraria inglese LITTACK dà risalto alle mie nuove poesie e alla mia teoria critica. Il Gazzettino di Venezia chiama la mia raccolta di liriche The Golden Chain “Le fleurs du bien”!
1973/76 – Sono “poeta residente” alla Victoria University della Columbia Britannica. Insegno poesia, mitologia, folklore e italiano. Passo molto tempo studiando i funghi nella Fraser River Valley. Letture di mie poesie in 20 università canadesi.
1976/77 – Insegno alla Purdue University, Indiana, U.S.A. Letture in 10 Università statunitensi.
1977 – Un mese a Londra. Poi sei mesi a Venezia. Studi coranici in arabo e persiano. Studi etimologici in tutte le lingue indoeuropee.
1977 – 1979 (Aprile). Insegno Storia Mondiale, Filosofia e Religione comparate alla Farah Pahlavi University e al Damavand College a Teheran. Alla Imperial Iranian Academy of Philosophy tengo un corso su “Dante e Islam” e nello stesso tempo studio filosofia orientale con i miei maestri Corbin e Izutsu.
A causa della Rivoluzione islamica ho dovuto abbandonare tutto e fuggire dall’Iran per tornare in Italia. Ho perso così 5000 libri di gran pregio, tutti gli appunti e abbozzi delle mie conferenze, oltre ai mobili e vestiti e tutti i giocattoli dei miei tre bambini.
1979 /1983 – Risiedo di nuovo a Venezia. Insegno arabo e persiano. Traduco due lunghi libri di Corbin (dal francese, arabo e persiano).
1981 – Leggo le mie poesie al Cambridge Poetry Festival e alla Riunione Eranos. Un mese a Parigi per ricerche nell’orientalistica .
1981/1984 – Visite annuali all’Università di Salisburgo, dove tengo conferenze e faccio letture delle mie poesie. L’Università pubblica tre libri delle mie poesie, una biografie con interpretazioni delle mie idee (Servant of the Muse), un “Festschrift” (Garland for the Muse), e altri 15 saggi critici sulla mia poesia nella rivista “Studies in Poetry and Drama”.
1983/84 – L’Università di Firenze (Magistero) presenta un corso “Poesia simbolista e postsimbolista in lingua inglese: W. B. YEATS E PETER RUSSELL”. Io assisto al corso come professore a contratto. Faccio altre conferenze su poeti moderni angloamericani. Causa l’inquinamento dell’atmosfera di Venezia mi trasferisco in Toscana. Trovo una casa colonica a Pian di Scò (Arezzo). Mi dedico accanitamente al mio orto e passo molto tempo insegnando ai miei bambini i nomi e le caratteristiche di alberi, fiori, funghi, uccelli ecc., sul Pratomagno.
1984 – (Luglio). Le mie poesie scelte (1946-1984) sono pubblicate a Londra.
Il Times di Londra mi associa a Auden e Empson come poeta di rilievo. Delle poesie dello pseudo poeta romano “Quintilius” dice sul Times il critico e noto romanziere Robert Nye: “Il Quintilius di Peter Russell ci offre allo stesso tempo una traduzione e una critica, ma in fin dei conti non deve essere considerata né l’una né l’altra, ma piuttosto un qualcosa di più raro, cioè una poesia, una ‘somma finzione’ (‘a supreme fiction’). Essa ha la qualità di autorità che viene quando un uomo raggiunge la sua voce dopo tutta una vita di devozione all’arte poetica”.
Il critico Roger Sharrock scrisse sul settimanale londinese cattolico The Tablet che “le elegie di Quintilius possono essere considerate la migliore imitazione dell’elegia amatoria romana in lingua inglese”. La poetessa Kathleen Raine, eminente studiosa di Blake e Yeats, ha anche scritto: “Pe-ter Russell è sempre stato fedele (come il suo maestro Ezra Pound) a ciò che è la più grande e immaginativa concezione filosofica della tradizione europea, – ‘ il Bello’ “.
1985 – Tengo una conferenza sul poeta sudafricano Roy Campbell all’Università di Pisa (Lettere e Filosofia). Leggo le mie poesie in 15 università inglesi e scozzesi. Poi faccio una tournèe negli Stati Uniti, presentato come “distinguished American poet” (!) al Morris College, New Jersey. Eletto membro d’onore della Society of N. J. Poets.
Tra il 1985 e il 1988 faccio conferenze ogni anno sia al liceo comunale di Locarno in Svizzera che all’Istituto Britannico a Firenze. Comincio L’ apocalisse di Quintilus.
1986 – Comincio a catalogare il mio archivio che comprende materiale dal 1934 ad oggi e che consiste di circa 10 tonnellate di documenti e manoscritti.
Studi sul testo della Bibbia tedesca di Lutero e traduco 60 poesie di Novalis.
Le mie The poems of Manuela sono pubblicate in italiano e in inglese con commento, da una casa editrice pirata.
1987 – Assisto alla riunione internazionale all’Università di Pisa per gli studi su Byron e Shelley in Italia.
1988 – Assisto al Congresso nazionale svizzero degli insegnanti liceali di lingua e letteratura inglese.
Vi tengo quattro conferenze.
Mia figlia Sara, undicenne, vince un premio nazionale italiano con una poesia in italiano.
1988 e 1989 – Conferenze su Ezra Pound per The British Council, a Napoli.
1989 – Mia moglie e i tre bambini vanno negli Stati Uniti per completare l’educazione in lingua inglese.
Assisto alla riunione internazionale dei poeti serbi a Belgrado. Faccio una conferenza sul simbolo di Kosovo nella poesia serba. Leggo mie poesie scritte in lingua serba alla TV. Un poeta serbo, Aleksandr Petrov, le traduce in lingua inglese! Sono ospite d’onore al Festival Jugosloven-ska Poezije di Smedorova. Rivisito Mileseva e altri monasteri in Serbia. Conversazioni fruttuose con i poeti eminenti Ivan Lalic e Miograd Pvlovic. Un mese a Parigi per celebrazioni In Memoriam: Peter Whigham, insigne traduttore di Catullo e Marziale (per Penguin Books). Faccio conferenze e letture delle mie poesie per diversi gruppi parigini.
1990 -Preparo per la stampa una edizione bilingue (italiano-inglese) delle mie poesie liriche. Scrivo nuove poesie in italiano. Letture delle mie poesie in italiano per il Comune di Figline Valdarno per il Liceo classico di Montevarchi. Sono incaricato di scrivere articoli in prosa (italiano) per la rivista Micro-Macro (Comune di Figline Valdarno) e la stessa rivista accetta versioni italiane delle mie liriche.
Conferenza alla Amity School di Arezzo sulla natura della poesia contemporanea.
Preparo i primi numeri di una nuova rivista letteraria Marginalia, un tipo di pubblicazione “samizdat”.
1990 – Marzo, il mio archivio è totalmente distrutto da un incendio, assieme a molti libri di pregio, olografi di molti autori famosissimi, tutti gli abbozzi delle mie poesie e conferenze, le traduzioni e gli appunti su Mandelshtam e Pasternak, e tutta la corrispondenza a partire dal 1934. Anche qualche migliaio di fotografie della mia famiglia, dal 1980.
Pubblico il primo numero di Marginalia.
In aprile faccio sei conferenze sul “modernismo” per il Congresso Nazionale Svizzero degli in-segnanti liceali di lingua e letteratura inglese a Locarno.
In estate faccio quattro interventi al Costanzo Show (Canale 5).
A Dicembre Carlo Mancosu, Roma, pubblica la mia silloge “Teorie e altre liriche”, Edizione bilingue, pp.240. Recensione molto favorevole di Franco Loi su “Il Sole 24 Ore”.
1990 – 95 – Molte poesie e prose sono pubblicate nelle seguenti riviste italiane: “Micro-Macro”, “Mixer”,
“Alfa e Omega”, “Voce dell’Anziano”, “Cultura e società”, “Sinopia”, “Poesia” (Milano), “Talento”, “Bot-tega di Poesia”, “Pomezia-Notizia”, “Archetipo”, “Istrice”, “Anki Kele”, Semicerchio”, “The informer”.
Vengono discusse tesi di laurea sulla mia opera all’Università di Urbino (Adamo) e all’Università di Firenze (Procopio).
Le quattro conferenze su “Dante e l’ Islam” e “Campagna, verde campagna” sono pubblicate in italiano dall’Università di Salisburgo (Austria). Emanuele Occelli sulla rivista “Talento” (Torino) pubblica due articoli sulla mia poesia.
Tengo le seguenti CONFERENZE in italiano
– All’Accademia Petrarca di Arezzo: “Ezra Pound: grande poeta, grande de amico” (pubblicata
negli annali della Società, 1993).
Altre conferenze a Montevarchi, Pergine, Figline Valdarno, Terranuova Bracciolini ed altri co-muni toscani.
– All’Università di Pisa su “Shelley e il Platonismo”.
– A Foggia alla Biblioteca regionale, in cinque licei nei dintorni e al Rotary Club Internazionale.
– Alle Associazioni Italo Britanniche di Viareggio (tre volte), Genova, Piacenza, Napoli, Milano (Il Salice, il Teatro dell’Arsenale).
– Ad Arezzo, presso il Rotary Club Internazionale, la Libreria “Il Milione”, l’Associazione degli
scrittori aretini, il Kiwanis Club.
– A Terranuova Bracciolini: “Hermann Melville, “Moby Dick” e le versioni italiane”.
– A Firenze, presso la Biblioteca Nazionale viene presentata “Marginalia”.
Tengo altre CONFERENZE, SEMINARI, ecc. in Europa.
In Svizzera: ogni anno una conferenza al Liceo Cantonale di Locarno.
Altre conferenze ai Licei di Basilea, Berna, Friburgo e alle Università di Basilea (due volte) e
Berna. Tengo un corso di quattro conferenze all’Istituto Carl Gustav Jung a Zurigo (su “Le Mu-se” e sulla “Figura della donna nella poesia mistica medioevale cristiana e islamica”.Congresso nazionale degli insegnanti d’inglese al Ministero svizzero di pubblica istruzione (tre anni diversi). In Austria: conferenze all’Università di Salisburgo, all’Università di Innsbruck, all’Università di Vienna (sotto l’egida del British Council) 20 poesie tradotte da Charles Stunzi, testo inglese con quello tedesco a fronte, pubblicate dalla rivista “Der Spanische Hund”.
In Germania: conferenza all’Università di Aachen dal titolo “Tolkien and the Imagination”, pubblicate più tardi nella rivista Inklings. Viene pubblicato un libro con 60 mie poesie. Testo in-glese con traduzioni in tedesco a fronte di Charles Stunzi.
Ricevo inviti, per il 1996, per fare letture e conferenze alle Università di Tubingen, Stuttgart e Monaco. Invito in Inghilterra (1996) per letture e conferenze al Bath Literary Festival e in varie Università.
Dal 1990 al 1995 sono state pubblicate circa 500 poesie in riviste letterarie inglesi e statunitensi,
comprese molte traduzioni in varie lingue sia occidentali che orientali.
Intanto continuo a scrivere le poesie di Quintilius, il poeta tardoromano inventato da me nel 1948. La sua vita immaginaria si svolge nel v secolo, ed egli visita molti paesi fuori dei confini dell’impero. Le poesie sono basate su fonti ebree, aramaiche, greche, latine, persiane, indiane ecc.
Adesso (Luglio 1995) sto aspettando la consegna di un libro di cento sonetti pubblicato a Seattle,
Washington, U.S.A. Ho consegnato il testo finale delle mie poesie “Venice 1965” all’Università di Salisburgo e il testo delle poesie “Venice 1966” è già in preparazione. L’Università di Salisburgo ha già pubblicato i seguenti volumi:
Outsiders Vol. 3: The Pound Connection, 1992.
Outsiders Vol. 4: The Image of Woman as a Figure of the Spirit, 1992.
Outsiders Vol. 5/6: Poetic Asides, 2 vols., 1992, 1993. Lectures and addresses.
Outsiders Vol. 7: The Duller Olive. Poems 1942-1958 previously uncollected or unpublished, 1992.
Outsiders Vol. 8: A False Start. London Poems 1959-63, 1993.
Outsiders Vol. 9: “The Angry Elder” The Epigrames of Peter Russell. pp.50 essay by James Hogg, Plus
essays on Ashbery, M.I. Fornes, Tom Stoppard, W. Oxley.
Outsiders Vol. 10: P.F. Donovan, Condensations (Introduction by Peter Russell, pp.17), 1993.
Outsiders Vol. 12: Berlin – Tegel 1964 with pp. 50 . Introduction by Peter Russell.
La rivista londinese Agenda ha pubblicato (nel Febbraio 1995) un numero speciale dedicato alla
poesia di Peter Russell, 100 pagine di poesia e critica sull’opera russelliana.
Attualmente continuo a preparare nuove edizioni di vecchi libri (lavoro indispensabile da quando lo stock di tutti i miei libri è stato distrutto dal fuoco); continuo anche a curare nuove collezioni di poesie finora non pubblicate (se non in riviste o in periodici). Ma nello stesso tempo devo continuare a studiare, scrivere e tradurre, oltre ad avere il tempo per pensare e contemplare. Perché le vere fonti della creazione immaginativa sono nella memoria naturale, la Mnemosinè, madre delle Muse, e il vero imparare e la vera produttività artistica vengono dalla anamnesi.
|
|
|
WILLIAM BUTLER YEATS, SAILING TO BYZANTIUM (Navigando verso Bisanzio) (THE TOWER, 1927) Commento e versione di Giorgio Linguaglossa
Yeats and Eliot
Sailing to Bysantium (Navigando verso Bisanzio)
I.
That is no country for old men.
The young in one another’s arms, birds in the trees –
Those dying generations – at their song,
The salmon-falls, the mackerel-crowded seas,
Fish, flesh, or fowl, commend all summer long
Whatever is begotten, born, and dies.
Caught in that sensual music all neglect
Monuments of unageing intellect.
I.
Quello non è un paese per vecchi.
I giovani l’uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi –
Quelle generazioni morenti – intenti al loro canto,
Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,
Pesce, carne, o volatili, per tutta l’estate lodano
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.
S.B. Yeats
II.
An aged man is but a paltry thing,
A tattered coat upon a stick, unless
Soul clap its hands and sing, and louder sing
For every tatter in its mortal dress,
Nor is there singing school but studying
Monuments of its own magnificence;
And therefore I have sailed the seas and come
To the holy city of Byzantium.
II.
Un uomo anziano non è che una cosa miserabile,
Una giacca stracciata su un bastone, a meno che
L’anima non batta le mani e canti, e canti più forte
Per ogni strappo nel suo abito mortale,
Non v’è altra scuola di canto se non lo studio
Dei monumenti della sua magnificenza
E per questo ho messo vela sui mari e sono giunto
Alla sacra città di Bisanzio.
III.
O sages standing in God’s holy fire
As in the gold mosaic of a wall,
Come from the holy fire, perne in a gyre,
And be the singing-masters of my soul.
Consume my heart away; sick with desire
And fastened to a dying animal
It knows not what it is; and gather me
Into the artifice of eternity.
III.
O saggi che state nel fuoco sacro di Dio
Scendete dal sacro fuoco, scendete in spirale,
Come nel mosaico d’oro d’una parete,
E siate i maestri di canto della mia anima,
Consumate tutto il mio cuore; malato di desiderio
E legato ad un animale mortale,
Non sa quello che è; e accoglietemi
Nell’artificio dell’eternità.
walter_de_la_mare_bertha_georgie_yeats_nc3a9e_hyde-lees_william_butler_yeats_unknown_woman_by_lady_ottoline_morrell
IV.
Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing,
But such a form as Grecian goldsmiths make
Of hammered gold and gold enamelling
To keep a drowsy Emperor awake;
Or set upon a golden bough to sing
To lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to come.
IV.
Una volta fuori dalla natura non prenderò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale,
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di foglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, che passa, o che sarà.
Lynn rileva che, Cleanth Brooks basando alcune sue intuizioni, almeno in parte, sull’approccio strutturalista di Ferdinand de Saussure, il testo offre, passo dopo passo, dei contrasti binari. Brooks osserva che Yeats in ogni contrasto favorisce il secondo elemento rispetto al primo. Brooks elenca, ad esempio, natura ed artificio, “quello” (in riferimento a una “realtà” non definita) contro la mitica Bisanzio, l’invecchiamento contro il senza tempo, il sensuale contro l’intellettuale, e l’essere contro il divenire. Questi contrasti creano confusione presso i lettori i quali sono spinti a risolvere il problema attraverso l’analisi della poesia.
Yeats and Eliot
All’elenco di contrasti Per Brooks, si potrebbero aggiungere i “giovani contro la vecchiaia” e “la morte contro la vita eterna”. Yeats introduce il concetto di “giovani contro la vecchiaia” nella strofa in cui parla di “The young in one another’s arms”, quindi compensa questo passaggio con “Birds in the trees/ – Those dying generations – at their song.” Il vecchio “dying generations” (le generazioni morenti), passaggio presentato come gli uccelli che sembrano essere guardati dal giovane, nonostante il fatto che gli anziani moriranno prima.
W.B.Yeats ritratto
Per quanto riguarda il contrasto, “morte contro la vita eterna”, la quarta strofa della poesia discute cosa accadrà una volta che il parlante è “fuori della natura.” Dal momento che l’uomo è parte della natura, quella frase “fuori della natura” suggerisce ‘fuori della vita’ o ‘morto’. Se non si è più parte della vita, o si è morti o si è in un piano spirituale più elevato (il cielo, per così dire). Il parlante dice anche che la sua forma fisica non sarà quello di una forma naturale. Lipking prende questa frase per indicare la forma di qualcosa che si trova in natura, ma potrebbe anche significare una creatura vivente in contrapposizione a qualcosa di soprannaturale o ultraterreno. L’interpretazione della stanza sembrerebbe favorire l’interpretazione ultraterrena in quanto, sebbene il parlante dichiara di assumere la forma di un uccello, non si tratta di un uccello naturale con ossa, sangue e piume ma di un uccello soprannaturale “di oro battuto e oro smalto”, che intrattiene immortali relazioni con un tribunale eterno. Invece di accettare la morte Yeats opta per l’eterna, anche se artificiale, vita di Bisanzio.
W.B. Yeats
Bisanzio nella visione di Yeats era una «città sacra» in quanto capitale della cristianità d’Oriente. Per Yeats nella civiltà bizantina si era realizzata la discesa del sovrannaturale verso l’uomo, mentre l’altra civiltà, quella del Rinascimento, aveva realizzato l’ascesa dell’uomo verso il soprannaturale. Scrive il poeta irlandese: «Se mi fosse concesso di vivere un mese nell’Antichità e la facoltà di trascorrerlo dove preferisco, credo che vorrei passarlo a Bisanzio, un po’ prima che Giustiniano aprisse S. Sofia (nel 537 d.C.) e chiudesse l’Accademia Platonica. Credo che potrei trovare in una qualche osteria un mosaicista ‘filosofo’ che saprebbe rispondere a tutte le mie domande, poiché il sovrannaturale discende più vicino a lui che allo stesso Plotino (…) Credo che agli inizi della civiltà bizantina, forse mai prima di allora né dopo nella storia di cui si ha memoria, la vita religiosa, estetica e pratica erano tutt’uno, e che l’architetto e l’artefice (…) si rivolgevano parimenti alla massa e ai pochi. Il pittore, il mosaicista, coloro che lavoravano l’oro e l’argento, il miniaturista di libri sacri erano quasi impersonali (…), tutti presi dal loro soggetto che era la visione di un intero popolo».
Once out of nature I shall never take
My bodily form from any natural thing
Brooks ritiene che la parola “artifizio”, «artifice of eternity» e i concetti correlati che suggeriscono l’artificio omogeneizzino stilisticamente l’opera. Ad esempio, nella prima strofa gli anziani sono paragonati agli uccelli che vivono sugli alberi; altrove, a Bisanzio, gli anziani sono diventati uccelli d’oro e rami d’oro, Yeats non canta “tutto ciò che è generato, è nato, e muore” ai giovani amanti in preda della passione, ma “di ciò che è passato, che passa, o che sarà” per signori e signore ultraterreni. Per Yeats «la natura è l’arte di Dio». Al contrario, nella poesia di Yeats, l’eternità, che si può rendere visibile soltanto attraverso l’arte, è considerata come l’artificio dell’uomo». L’«artifice of eternity» trova il suo fondamento in antitesi con l’artificio della natura opera di Dio. Nel suo paradiso fantastico l’artificio dell’arte è visto come preferibile alla vecchiaia nella vita reale.
Brooks fa notare l’ironia nella parte in cui il poeta che parla deve lasciare il mondo vivente, che è sempre in evoluzione e ‘in divenire’ per assumere un senza tempo, l’immutabile, l’esistenza soprannaturale prima di poter contemplare (cantare) il passato, il presente e, soprattutto, il futuro del mondo vivente.
La lettura decostruzionista di Lipking di “Sailing to Byzantium non riesce a trovare una unità della poesia. Il critico ritiene che i versi e le strofe spesso o si contraddicono a vicenda o semplicemente non hanno alcun senso unitario. Come Brooks, Lipking osserva i modelli di opposti nella poesia di Yeats, obietta che il lettore può trovare un modo per risolvere la confusione creata dai contrasti oppositivi. Anche se Lipking cerca di trovare una logica nei contrasti di Yeats, essi lo lasciano con domande senza risposte. Come quando il poeta dice che “I shall never/Take my bodily form from any natural thing”, ma assume l’aspetto di un uccello, una creatura naturale. Anche la parola “Che” (That) all’inizio del poema genera fastidio in Lipking perché non c’è un vero modo per sapere con che cosa quel “Che” (That) sia in riferimento.
Lipking trova che, in alcuni casi, la moltitudine di significati di un passaggio potrebbe avere contribuito a confondere piuttosto che chiarire il messaggio della poesia. I versi “and louder sing/ For every tatter in its mortal dress” può avere due significati diversi, entrambi ugualmente validi; Pertanto, il vero significato del passaggio è sfuggente. Il verso “artificio dell’eternità” cattura l’attenzione di Lipking proprio come è avvenuto per Brooks. Lipking ritiene che “l’artificio dell’eternità” potrebbe anche avere un significato duale, uno che suggerisce la permanenza, l’altro l’illusione. Dal momento che entrambi i concetti sono, come mostra il passaggio precedente, ugualmente validi, i lettori non possono avere alcuna idea circa il vero significato di quei versi.
I due critici mostrano come il significato di una poesia può cambiare a secondo di come i lettori si avvicinano al testo. Lipking ritiene che i contrasti di fondo nel poema ad un attento esame, rivelino una inconciliabile mancanza di logica interna, mentre Brooks trova unità nella ironia del poeta nel lasciare fluttuare la sua imagery. Entrambi i critici sono convincenti, ma la lettura di Brooks appare più convincente, soprattutto laddove rimarca il passaggio sugli uccelli reali che cantano tra gli alberi in una strofa che è in contrasto con il canto degli uccelli d’oro nell’albero d’oro in un altro luogo del poemetto. Particolare opposizione binaria che invece lega insieme la poesia e fa compiere ai lettori un circolo ermeneutico completo.
2 commenti
Archiviato in poesia inglese
Con tag commento critico di Cleanth Brooks, commento critico di Lawrence Lipking, giorgio linguasglossa, La poesia Sailing to Byzantium di William Butler Yeats commento di giorgio linguaglossa, Sailing to Byzantium di William Butler Yeats, William Butler Yeats