Maria Rosaria Madonna (1942-2002)
(Poco prima dell’approdo all’Isola dei morti)
La tassa per il soggiorno terreno
«Se vengono a riscuotere la tassa
per il soggiorno terreno – disse
un signore vestito in abito scuro, “una specie di
esattore delle imposte”, pensai –
pagherò con questa moneta, con
una moneta fuori corso».
Era lì, sulla soglia della porta. E qui mi mostrò
un soldo antico, probabilmente un sesterzio
del quarto secolo dopo Cristo con l’effigie
di un imperatore romano sul verso
e una bilancia sul retro.
«Una lega d’argento con poco argento
e tanto metallo povero!»
chiosò con ironia il convenuto ammiccando…
– la fessura nel mento ebbe un sussulto –
«Vuol dire che pagherà con questa patacca?»
– chiesi allibita –
«Nient’affatto, intendo pagare con una moneta
stabile, la moneta dell’Impero,
perché stabilmente consegnata all’oblio»,
replicò l’interlocutore lisciandosi il mento
con un gesto sordido del pollice.
«Ma non era nei patti», tentai di obiettare.
«Appunto perché non era nei patti»,
rispose l’ombra alla mia destra
mentre svoltava lo stipite della porta d’ingresso
e si dileguava nella strada buia…
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
Nella poesia di Maria Rosaria Madonna abbiamo la tematica metafisica per eccellenza: il viaggio nell’Oltretomba, il viaggio di Dante nell’Inferno, il viaggio verso l’Isola dei morti; c’è Caronte che richiede il pedaggio, ma il pedaggio viene pagato da un «signore vestito in abito scuro» con delle «patacche», con dei sesterzi manifestativamente «una moneta fuori corso», di qui la stupefazione della voce narrante (Maria Rosaria Madonna) che si chiede: colui che si appresta al viaggio vuole pagare con una «patacca»?. È possibile pagare con una «moneta fuori corso»?, si chiede la voce narrante, cioè con la moneta della «falsa coscienza» come giustificazione?, chi è questo «signore vestito in abito scuro» che vuole gabbare Caronte? È un «signore» che si presenta sotto le sembianze di «una specie di esattore delle imposte», pensa la voce narrante. Così, ponendo questa semplice Domanda, Madonna stravolge e ribalta la convinzione teologica e politica che si possa arrivare all’Isola dei morti sbandierando la propria «falsa coscienza» come giustificazione delle malefatte compiute nell’esistenza storica. È questa la grande problematica che Maria Rosaria Madonna solleva: il giudizio sulle azioni della propria esistenza storica: ma la Domanda cade nel vuoto, nel vuoto di risposta della storia d’Italia e dell’Europa, perché è soltanto osservando retrospettivamente la storia d’Italia e dell’Europa che possiamo rintracciare la Risposta alla Domanda.
E la Domanda posta da Madonna è: È possibile fare poesia dopo la fine della metafisica? Come e con quale moneta pagare per il viaggio? E quale poesia è possibile scrivere dopo questo cataclisma che ci ha investito tutti? Domanda gigantesca di cui nessuno in Italia si è accorto e che Maria Rosaria Madonna lascia per coloro che verranno, cioè noi postumi abitatori del presente storico.
Si può allora vedere nella questione dell’evento il momento centrale di questo genere di poesia, una estrema radicalizzazione della problematica fenomenologica dell’apparire delle parole nel dis-ordine del discorso poetico; si tratta di un dis-ordine che squassa le parole e l’ordine del discorso e che investe la «giusta coscienza» secondo la quale giunti al termine della vita storica, abbiamo o no il diritto di pagare Caronte con una falsa moneta?, con una «patacca»?.
La Domanda di Madonna mette a nudo lo scollamento che è avvenuto tra la coscienza e le sue azioni, tra le parole e le azioni, tra le parole e le cose. Le parole diventano allora varie e eventuali, eventuali in quanto gratuite, varie in quanto arbitrarie. E allora non resta che fare poiesis con le parole arbitrarie e con le «patacche». Le «imago» sono strettamente intrecciate con il dialogo, le immagini sono dialogizzate, personalizzate tra il morto che chiede di entrare nell’Isola dei morti mediante una «patacca», mediante un raggiro, e i pensieri della poetessa che problematizzano il dialogo stesso. La bellezza della poesia è in questa idea di fare una poesia che consta di un dialogo metafisico che Madonna trae ovviamente dalla Commedia dantesca. Una poesia anti-moderna per eccellenza questa di Madonna.
La parola la si trova nel registro basso. Nella poesia di Madonna è evidente che il registro basso ospita le sue domande; in Madonna il registro del triviale convive con il registro culto, il sublime ormai con i suoi connessi e le sue adiacenze è stato definitivamente estromesso dalla dicibilità dalla dizione poetica. Le parole di Madonna si presentano con il vestito consueto di tutti i giorni, ma in realtà sono nuove, risuonano al massimo del diapason.
La parola è evento e, insieme, il luogo nel quale si mostra l’evento. Come dire che l’evento è la parola che lo indica.
La parola ci guarda, ci osserva, sta lì da sempre, attende un nostro cenno, un cenno di accoglimento, ma c’è una resistenza (conscia e inconscia) che noi opponiamo con pervicacia e supponenza, la resistenza dell’inerzia del linguaggio condiviso, del linguaggio sociale, del linguaggio della normologia.
Allora dobbiamo chiederci: si dà un evento senza la parola che lo nomina? La risposta è NO. È la parola che chiama l’evento in quanto lo indica. È perché siamo «guardati» dall’evento che siamo anche «guidati», condotti dalla parola che non ci aspettavamo.
A fine 1991 Maria Rosaria Madonna (Palermo, 1942, Parigi, 2002) mi spedì il dattiloscritto contenente le poesie che sarebbero apparse l’anno seguente, il 1992, con il titolo Stige con la sigla editoriale Scettro del Re. Con Madonna intrattenni dei rapporti epistolari per via della sua collaborazione, se pur saltuaria, al quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che avevo nel frattempo messo in piedi. Fu così che presentai Stige ad Amelia Rosselli che ne firmò la prefazione. Era una donna di straordinaria cultura, sapeva di teologia e di marxismo. Solitaria, non mi accennò mai nulla della sua vita privata, non aveva figli e non era mai stata sposata. Sempre scontenta delle proprie poesie, Madonna sottoporrà quelle a suo avviso non riuscite ad una meticolosa riscrittura e cancellazione in vista di una pubblicazione che comprendesse anche la non vasta sezione degli inediti. La prematura scomparsa della poetessa nel 2002 determinò un rinvio della pubblicazione in attesa di una idonea collocazione editoriale. È quindi con sedici anni di ritardo rispetto ai tempi preventivati che trovano adesso la luce le poesie di uno dei poeti di maggior talento del Novecento italiano. Alcune sue poesie inedite sono apparse nella Antologia da me curata: Come è finita la guerra di Troia non ricordo (2016). Nel 2018, sempre con Progetto Cultura di Roma, esce Stige, Tutte le poesie (1990-2002).
(Giorgio Linguaglossa)
Una poesia grande della più grande poetessa del novecento.
Se, nella cronistoria della poesia kitchen, Alfredo De Palchi ha scavato le fondamenta, Maria Rosaria Madonna ci ha messo la luce. Mi ferisce il pensiero che non abbia pubblicato altri libri di poesia, che verso se stessa sia stata tanto critica. Il suo fantasma mi ha tenuto compagnia in questi anni di continue scoperte con L’ombra delle parole. Allego una mia patacca:
Dialoghi.
Giorgia era una pazza. Sapeva fare cose molto belle,
ti dava una mano, a modo suo; era elegante, vanitosa.
Una smorfiosetta.
Nel vuoto giardino le marionette si preparano a non avere speranze.
Il gelsomino. Due battiti al cuore. Oggi carovane di fichi, sventola l’allegrezza.
A oriente e a occidente, quaranta lettighe di grano.
LMT
Ed io comprendo benissimo la insoddisfazione di Maria Rosaria Madonna per i testi che andava scrivendo . Penso che ella non si sentisse realmente supportata da qualche autorevole mentore, anche se la prefazione a Stige di Amelia Rosselli avrebbe dovuto rassicurarla. Purtroppo va detto che il linguaggio della Normologia ha narcotizzato stabilmente poeti, critici e lettori e che chi scrive poesia ” Nuova” si percepisce emarginato ed ha quasi timore di dire coram populo di essere un poeta, soprattutto se la propria scrittura rovescia quel rapporto tra l’evento e la parola, teorizzato da Giorgio. La Parola indica sì l’evento, e direi che lo fa proprio accadere. La Parola fa accadere di tutto, anche l’inimmaginabile.
Posto qui due miei testi, a mio avviso, non conformi alla cosiddetta “norma”, che ordina in modo cogente l’istituto poetico corrente.
I giorni della merla con quell’odore
di guasto alle narici.
Il banditore con vesti da giullare medievale
non lo ascoltare. Avanza.
Rifiuti e cassonetti festeggiano una zolla
e un’erica; fanno ecologia.
Un ponte in concussione, in ogni topografia.
Pianeta terra senza più poli, con tre paesaggi
in vista,
precipita la bussola in un oceano basaltico
**
Primavera ha rotto gli argini.
L’invasione barbarica pensa straniero.
Chiudete porte e finestre ella passa e circola per aria.
Per il Sacco di Roma muniamoci di mascherine
anche i caschi anti-infortunio vanno bene.
La Corona resta della regina madre che non abdica.
I vassalli le sono fedeli; non mollano.
Diventeranno principi.
Un fiore di pesco virtuale spinge pollini sugli schermi
e lo smartphon si innamora.
-Amor ch’a nullo amato amar perdona-
Nel monastero il Paracetamolo manca, ma canti e preghiere
si somministrano all’occorrenza.
Il cielo nutre nuvole solo benedettine.
Forse siamo nati in Medioevo,
eppure un barman a Milano serve aperitivi,
In Nome Della Rosa.
Una poetessa di livello assolutamente superiore, unica nel panorama del novecento italiano ed europeo. La composizione è scritta in punta di spillo, pochissime parole, pochissimi accenni alla questione centrale: il pagamento del pedaggio per la vita terrena che si è conclusa. E’ la prima volta da Dante ad oggi che un poeta europeo si cimenta con la poesia dialogica tipicamente dantesca. La falsa e la giusta coscienza, questo è il dilemma. Il tentativo del signore vestito in scuro è quello di pagare il pedaggio con una moneta falsa, cioè, la falsa coscienza. Nel giro di un dialogo di poche frasi vienedetto tutto l’essenziale della nostra epoca caratterizzata dalla falsa coscienza degli uomini, falsi e bugiardi. È davvero incredibile che una poetessa di questo livello non sia stata accolta a braccia aperte da una casa editrice maggiore, la ragione è che nelle case editrici «maggiori» chi decide non sono più degli autorevoli poeti (che oggi non esistono) ma degli impiegati della cultura, grigi e anonimi, dei commercialisti che magari snno fare di conto, con, magari, la collaborazione di piccoli letterati e piccoli «poeti» che fanno il gioco di sponda, perché non saprebbero fare altro.
Tra le poetesse del novecento Maria Rosaria Madonna (Palermo, 1942 – Parigi, 2002) è probabilmente la più grande. Adesso, questo libro in edizione critica curato da Giorgio Linguaglossa, ci consegna uno dei percorsi più originali della poesia italiana del secolo scorso. Scrive l’autrice nel Postscriptum al volume di Tutte le poesie:
Dalle parole che precedono si capisce quanto Maria Rosaria Madonna lavori nell’immondezzaio della materia oscura dell’inconscio. Ci va per intensificazioni stilistiche. Lavora però anche sul rallentamento, sull’alternanza tra le intensificazioni e i rallentamenti, gli slarghi, gli stacchi, i picchi; infatti, questi ultimi servono per mettere in risalto le impennate, le iperboli, le intensificazioni. Un eccesso di alti picchi, oltre ad essere difficili da eseguire, alla fine rende vacua e pleonastica la stessa intensificazione; infatti, allo scopo di introdurre dei rallentamenti metrici Madonna adotta spesso i virgolettati per il parlato anche per dirimere il parlato dalla descrizione; i dialoghi in poesia risultano utilissimi per mettere movimento lo scacchiere dei singoli «pezzi» musicali; per esempio, nei pezzi per pianoforte di Morton Feldman il musicista statunitense parla di «asimmetrie» e di «crippled simmetry» e della «memoria» «crippled»; e che cosa sono queste cose se non quello che noi della nuova ontologia estetica chiamiamo «frammenti»? La grande musica del Novecento ha saputo fare tesoro di questi inciampi, di questi azzoppamenti della simmetria, della dismetria, la poesia italiana del secondo novecento invece è rimasta prigioniera di una visione pacificatrice e unilineare del verso, il verso lineare di matrice «zdanoviano-pretesca» secondo la pittoresca espressione di Maria Rosaria Madonna.
Feldman diceva che quando si fa una musica della memoria bisogna introdurre una «disorientation of memory», è curioso che anche la poesia di Madonna adotti il procedimento del «disorientamento della memoria», una vera e propria dismetria e distassia della memoria. Giorgio Linguaglossa scrive: «è nella squisita fattura ellenistica della sua lessicalità il segreto di questa poesia», giudizio da condividere in toto, un ellenismo interiorizzato e riplasmato. Quanto al lessico, esso è costituito da scampoli presi a prestito dall’immaginario visivo e innalzati alla dignità di significanti, presi in saldo da una «neolingua» e da un linguaggio intriso di elementi ellenistici rivisitati e stilizzati in modo da consentire all’inconscio di rivelarsi, in tal modo Madonna crea le condizioni di accessibilità affinché si verifichi l’ingresso nel linguaggio poetico. Adesso possiamo dirlo: la poesia di Madonna allestisce un palcoscenico dove gli interpreti sono voci di un linguaggio incantatorio dove la sovradeterminazione regna sovrana.
Il discorso poetico in Madonna ha questo elemento valoriale, sta dalla parte della «internalizzazione degli oggetti» come afferma la poetessa, delle «cose» diremmo noi oggi, e le «cose» per essere dette abbisognano di un linguaggio «internalizzato».
(Donatella Giancaspero) da https://lapresenzadierato.com/2018/05/04/maria-rosaria-madonna-poesie-scelte-stige-tutte-le-poesie-1990-2002-progetto-cultura-roma-2018-lettura-di-donatella-costantina-giancaspero-e-nota-di-giorgio-linguaglossa/
Non adularmi per la mia misura,
se sono evanescente; tu dici «che non capisco
la lingua dei famuli…», ma «è che provengo
da un terribile digiuno…».
Tu dici che «non comprendo perché sono pagana?
Che non comprendo la lingua degli iloti?
E tu?, tu, invece, la capisci?».
«Io lo so: tu, convertito al dio dei cristiani,
intendi bene la lingua degli iloti
i tuoi simili, i devoti all’altare di Mitra
e del vostro dio dei cristiani…».
Un sonno leggero sulle mie palpebre.
Adesso sono una gemma (una stella?, una supernova?)
una stella senza profeta, sacerdote senza segreta.
«Sono la tua baldracca?, dimmi;
la tua lussuria osserva la danza araba
del mio ventre, l’ombelico che ondeggia
al suono dei sistri.
Non adularmi per la mia arrendevolezza,
è che sono evanescente e non capisco
la lingua dei servi».
*
da Ecco alcune poesie scritte in «neolingua» (da Stige, 1992)
Veniat sua jurisdictione terribilis
Supra mea culpa tollita, veniat
Sua maledictione supra mea carne bollita,
veniat Arcangelo superno supra mea
jocundissima ferita, veniat mea glabra
infernalia supra infermità condita,
veniat mea liquidissima suspicione
supra intentione amarissima, veniat
asprissima dipartita post meo iocundo
delitto.
*
Egredientes latrinitatibus meo pectore
armet oratio, regredientibus de platea
mea mens armet fortitudo atque
ad omnem incessum manus pingat crucem.
*
Cave, ne aures perfores, ne cerussa
et purpurisso consacrata Cristo ora depingas,
né collane d’auro et perle ornino
meo volto, nec capillum irrufes.
Habeat alias margaritas.
*
Oratio sine intermissione, ut sempre
me diabolus inveniat occupatam.
*
Così coltivo l’anima, quae futura est
templum Domini; non est obiurgare
si tardior procedo. Nihil aliud convenit audire,
nihil loqui. Turpia verba non intelligo.
*
Horam tertiam, sextam, nonam,
diluculum quoque et vesperam.
Nec cibus nisi oratione praemissa
nec luxuria nisi intercessione gratia.
Noctibus legere, orare, psallere.
*
Si cum tuo licore nel mio core
versato, si cum tuo livore sul mio
onore posato, si cum tuo stiletto in mio
diletto infernato, si cum tua malia
in mia regalia instanato, si cum mea
trebile ardua Canossa supra tue
ossa annerato, sic transeat mea amaritudo.
Interceda tunc lux sancta et benefica
affinché lo mattino more ustorio
vampa infuocata discacci l’ombra
e mora lo demonio dello inferno!
Ego sempiterno dolore amo et rinsavisco,
marcisco e porto lo crocefisso sulle spalle
leggero come l’albero di betulla
*
In fusca tunica incedo, dalla inopia cellula
del mio convento nel trono della tua alcova.
Vibratile lingua et focum fero.
George Steiner ha scritto: «il fatto che l’immagine del mondo si stia sottraendo alla presa comunicativa della parola – ha avuto la sua influenza sulla qualità del linguaggio. A mano a mano che la coscienza occidentale si è resa più indipendente dalle risorse del linguaggio per ordinare l’esperienza e dirigere il lavoro della mente, le parole stesse sembrano aver perso in parte la propria precisione e vitalità. So bene che questo è un concetto controverso. Presume che il linguaggio abbia una “vita” sua in un senso che va oltre la metafora…».1]
Steiner vuole dire che l’immagine del mondo nel linguaggio si è indebolita, il mondo si sta sottraendo al linguaggio, il linguaggio non può più rappresentare tutta la complessità e variabilità del mondo… di qui la dis-missione della memoria della tradizione: il discorso poetico, proprio in quanto libero dall’utile, dall’utilitario e dal funzionale, ha la possibilità di mantenersi a doverosa distanza dai sobborghi del «segreto» epifanico dell’ente.
Il discorso poetico è quel tipo di linguaggio che ci avvicina all’extra linguistico, ciò che non è più tematizzabile con il linguaggio della comunicazione, a riprova di ciò la poesia di Maria Rosaria Madonna attraversa il linguaggio dell’io, lo decostruisce, lo spinge fino al limite estremo per giungere al linguaggio dell’io e del noi. Con le parole di Derrida:
«Perché io condivida qualcosa, perché comunichi, oggettivi, tematizzi, la condizione è che ci sia del non-tematizzabile, del non-oggettivabile. Ed è un segreto assoluto, è l’absolutum stesso nel senso etimologico del termine, ossia ciò che è rescisso dal legame, staccato, e che non si può legare; è la condizione del legame sociale, ma non lo si può legare: se c’è dell’assoluto, è segreto».2]
1] George Steiner Linguaggio e silenzio, 1958, Rizzoli, 1972 p. 41
2] Jacques Derrida, Ho il gusto del segreto, in Jacques Derrida e Maurizio Ferraris, Il gusto del segreto, Laterza, Bari, 1977 p. 51
Straordinaria poetessa. I suoi testi hanno un che di magnetico. Si fanno leggere e rileggere senza fatica; anzi, riservano al lettore sempre nuovi intendimenti.
In questa specifica di cui si tratta nell’articolo mi sorprese il continuo rincorrersi di contraddizioni: la tassa che è richiesta all’uomo delle tasse che vuole pagare con una moneta fuori corso, la quale tuttavia è stabile perché relegata nel passato e quindi destinata all’oblio, e, pertanto, assimilabile a una patacca. Quali erano i patti? Non so se la moneta è falsa (è infatti una moneta fuori corso); ma quando la lessi la prima volta subito mi venne in mente “La moneta falsa” del Baudelaire. Uno dei racconti brevi de “Lo spleen di Parigi”. Si tratta di un racconto complesso ed enigmatico centrato sulla moneta falsa e sull’elemosina. Quindi forse sul dono e sulle possibilità a cui questo dono può far accedere. Forse Baudelaire, all’inizio della rivoluzione industriale, era più ottimista della Madonna; o forse trattava della moneta falsa e non della moneta fuori corso.
In archivio ho poi una poesia di Raul Maria De Angelis (che era mio vicino di casa quando vivevo con i miei genitori in una palazzina romana disegnata e progettata dall’arch. La Padula, in cui abitò anche Alba De Cespedes, Corrado Alvaro, e poi altri scrittori di quel periodo, e poi, più di recente Lucio Colletti) proprio dal titolo “Moneta falsa”:
Io sono una moneta falsa
che passa di mano in mano:
e appena tocco la mano
subito sono scomparsa,
perché mi vedono falsa,
e avvertono il peso
leggero, mi sfiorano e passano
all’altro il fiammifero acceso.
E tuttavia anch’io ho due facce
incise per ogni evenienza;
non ne potrei fare senza
giacché mi formano intera.
Mi giocano, a volte; la posta
è sempre alquanto maggiore:
confusa tra le sorelle
balùgino al raggio di quelle.
Chi vince, non è migliore
di me, s’impossessa di tutte;
poi fa la cèrnita: troppo
tardi – e mi passa di mano,
mi gioca di nuovo, mi butta
– ho la lebbra – lontano; ho il coraggio
di un verde che sembra veleno.
Ordunque nessuno mi vuole
e certo nessuno mi tiene.
Mi palpa, mi gira, mi volta,
mi sputa davanti e di dietro,
su entrambe le facce,
mi scaccia:
ed io m i sfogo in veleno.
Tu no, mi tieni più stretta
al tuo cuore, al tuo petto:
non so per quale vendetta
che gli uomini chiamano amore.
Non è difficile ammettere che qualsiasi moneta può essere falsa, si apre il tema dell’autorità (e dell’autorità spodestata e relegata al passato e della moneta fuori corso, la quale ha comunque un valore, quanto meno archeologico). Le criptovalute sono lì a ricordarcelo.
Di seguito partecipo anche io con una mia ‘patacca’.
GENESI
La bocca della moneta si spalancò
E noi ci lanciammo dentro
Trovando nel mondo dei mostri
Alcuni unicorni
Uno di loro sfogliava un libro
Ogni pagina un origami
Che evocava parole
Analizzando i lessici si scoprì
Che l’apice aporico del discorso
Richiede una metafora
Per sanare il terribile equivoco
Dal bordo delle mie mutande
Una mezza luna calante spunta
Un cammello avanza a passo lirico e lento
Forse libico
Spuntano e ballano Finferli cinesi
Fiori di begonia ballano
E pesci rossi si raggruppano floreali
Nel vento turbina l’autunno che spira
Terribili lucertole si aggregano
Dopo il freddo siderale e il caldo magmatico
Volute di fumo in pipistrelli
E farfalle volteggiano
Tentano di risolvere con violenza
I guai combinati
Apprendisti improvvidi
Poi si litigarono cervelli di piccione
Peripazzie
In lontananza fonde la montagna
Nel bianco afoso delle ore rimembranti
Gli elefanti zannuti
La poesia di Maria Rosaria Madonna ‘ La tassa per il soggiorno terreno ‘ ha dei momenti drammatici magistralmente vestiti di abiti dimessi. Chiunque abbia assistito alla morte di una persona ha incontrato e visto la Porta. Madonna descrive il varcare la soglia di quella Porta definitiva . La moneta da pagare non può che essere falsa, appartiene all’oblio.Il ‘gesto sordido del pollice’ è da antologia kitchen. Questa poesia potrebbe essere una canzone di Fabrizio de André.
La poesia inizia con Se,quindi niente è realmente avvenuto,un sogno, un sogno alla
Schnitzler.
Bene ha fatto Giorgio Linguaglossa a proporre la poesia ,interessante il riferimento alla falsa coscienza come chiave interpretativa.
Il raffinato e coltissimo radar di Maria Rosaria Madonna è stato tra i primi a saper cogliere due fatti epocali nel modo stesso di continuare a fare poesia: l’accento posto da Nietzsche sul nichilismo e la dichiarazione della fine della metafisica di Heidegger.
Maria Rosaria Madonna è stata fra le prime poetesse, da qui anche la sua solitudine e con essa il clima di incomprensione, nell’attardata poesia italiana del suo tempo (idillio, lirico-elegiaco, ecc.), ad avvertire la necessità di una poiesis in grado di tracciare una inversione di rotta rispetto a una coscienza ottimistica e progressiva del modernismo metafisico, una nuova coscienza in cui la poesia non vivesse più nella storia ma in un insieme di storie, suggellando così anche la morte della Storia.
Tra le poesie in “neolingua” (la definizione è di Amelia Rosselli) anteriori al 1992, anno di pubblicazione di Stige, a quelle della nuova forma-poesia dialogica, passa circa un decennio, le nuove poesie dialogiche sono state scritte, presumibilmente, intorno al 2000 o giù di lì. Il cambio di paradigma avviene quando probabilmente Madonna non ritiene più sufficiente continuare a fare poesia in “neolingua”, quello che occorre fare è una vera rivoluzione della forma-poesia, e giunge così alla nuova scrittura dialogizzata, ma alla base di questa innovazione sta la presa di coscienza che un intero modo di fare poiesis è finito e che la nuova poesia dovrà, da un lato, tornare all’antico, alla “Commedia” di Dante, dall’altro dovrà inoltrarsi verso il nuovo millennio. La nuova forma di poesia dialogica sarà un vettore potentissimo di innovazione che però sarà interrotto dalla intervenuta, nel 2002, morte della poetessa.
Ma la poesia di Madonna sta lì, a ridosso di questo cambiamento epocale, e ci guarda, sembra incitarci a continuare nella sua direzione di ricerca.
Che dovrei dire ancora sulla poesia di M. R. Madonna?
Che gli elogi sulla sua poesia non sono del tutto avventati?
Che la poesia kitchen si genera dalla poesia dialogica?
Che la distonia linguistica “madonniana” è una novità nata troppo presto?
Che le metto accanto una altra poetessa di gransìdissimo valore: AnnaMaria De Pietro?
Che ancora non dirò mai l’ultima parola su di loro due?
Che ancora mi ricorda una poetessa dal nome: Odio Eunice?
Che nel giardino della Dickinson sono state fatte entrare con squilli di trombe e rulli di tamburi?
e che infine qualche verso memorabile ho pure dedicato a lei?
é che vorrei sapere i suoi ultimi 5 minuti di vita!!!
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Le tue dita sono lame di catrame – di untore!
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patacca delle finzione o finzione della patacca?
Si gioca qui il viaggio verso l’Isola dei Morti o il suo (eterno) ritorno )da vivemti).
E se fosse il ritorno dell’Eterno?
a. s.
Oggi una poesia o un romanzo all’altezza del nostro tempo sono solo quelli che prendono atto della fine della metafisica
«Tra pensatori molto diversi tra loro come Nietzsche, Heidegger e Derrida concepiscono tutti la loro epoca come quella del punto di svolta critica della metafisica: nel loro (nostro) tempo, la metafisica ha esaurito il suo potenziale, e il dovere del pensatore è quello di preparare il terreno per un nuovo pensiero post-metafisico… Più in generale, l’intera storia giudaico-cristiana, fino alla nostra post-modernità, è determinate da ciò che sarei tentato di chiamare il paradigma di Hölderlin, il quale venne articolato per la prima volta da sant’Agostino ne La città di Dio: “Dove nasce il pericolo maggiore cresce anche ciò che può salvarci” (Wo aber Gefahr ist das Rettende auch)”. Il momento presente appare come il punto più basso nel lungo processo di decadenza storica (la fuga degli dei, l’alienazione…). ma il pericolo della perdita catastrofica della dimensione essenziale dell’esser-umani apre anche alla possibilità di una svolta (Kehre): la rivoluzione proletaria, l’arrivo di nuovi dèi (che, secondo l’ultimo Heidegger, sono i soli che ci possono salvare), e così via. Siamo in grado di immaginare un universo astorico “pagano”, un universo del tutto estraneo a questo paradigma, un universo in cui il tempo (storico) si limita a scorrere, senza alcuna curvatura teleologica in cui l’idea di un pericoloso momento di decisione (il Jetz-Zeit di Benjamin), dal quale può emergere un “futuro luminoso” che redima il passato, sia semplicemente senza senso?
Sebbene questo paradigma di Hölderlin venga solitamente identificato con il cristianesimo, quest’ultimo, nella sua forma più radicale sembra però far prendere ad esso una piega insolita: tutto ciò che deve accadere è già accaduto, non c’è niente per cui attendere, non bisogna aspettare l’evento, l’arrivo del Messia, il Messia è già arrivato; l’evento ha già avuto luogo, noi ne viviamo i postumi. Questo atteggiamento basilare di chiusura storica è anche il messaggio di Hegel, del suo detto che la nottola di Minerva vola al crepuscolo; e l’aspetto difficile (ma cruciale) da cogliere è come questa posizione lungi dal condannarci alla riflessione passiva, dia spazio ad un intervento attivo. Non vale forse lo stesso per Kierkegaard, il quale, nonostante i suoi soliti brontolii contro la società di massa del “tempo presente”, sembra non fare ricorso al paradigma di Hölderlin della storicità… non c’è niente di eccezionale nella nostra epoca, ma al contrario viviamo in tempi ordinari e poco interessanti?»
S. Zizek, The Parallax View, tra. it. La visione di parallasse, il melangolo, 2006. pp. 116, 117
sulla Metafisica rsispondo così:
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“Parea ch’a danza e non a morte andasse
ciascun de’ vostri o a splendido convito”.
Giacomo Leopardi
Pudesse o instante da festa romper o ten luto
Sophia de Mello Breyer Andresen
(1919-2004)
Metafisica?
Dal futuro che fu un alibi interdetto e incolore
raccolsi dopo un festino la cenere stremata
per rivoltarmi insonne e sfinito nel tuo cratere
o nel principio accattone della sua informe creta.
La grazia insonne e libertina dei tuoi lamenti
e il latte della memoria dal sangue in fuga
per stanze che pretendono un’ombra secolare
il lutto eloquente sarà come un festa irrevocabile.
Il rugoso capezzale è inquieto come la sua pelle,
una sindone stampata si ribella alle tue movenze.
L’erezione e la sua dimora sono un distico perfetto:
il resto che io vedo è soltanto l’ombra di una cenere!
antonio sagredo
Vermicino, 26 gennaio 2005
Come ha premesso Lucio nel suo intervento, parlare della poesia di Maria Rosaria Madonna, vuol dire parlare di un riferimento fondante per la Poetry kitchen, che d’altra parte ci ha accompagnati fin dall’inizio della nostra ricerca, probabilmente in parallelo, come giustamente afferma sempre Lucio, ad Alfredo De Palchi, non solo come possibile riferimento stilistico (anche perché come ho avuto modo più volte di osservare, una delle prerogative determinati della nostra ricerca è l’assoluta poliedricità, polimorfismo dei canoni stilistici di ogni poeta della Poetry kitchen), ma soprattutto per la potente carica dirompente della loro versificazione, totalmente e causticamente in rottura con i modelli di poesia dominante, con la loro vacuità di contenuti e con il loro anacronismo espressivo.
Trovo che questa poesia sintetizzi mirabilmente tutta la carica innovativa ed insieme corrosiva della poetica madonniana, dove la parola rimanda sempre ad una pluralità di possibili chiavi di lettura e di significazione, ledendo il rapporto convenzionale tra significato e significante; il che implica conseguentemente, la possibilità di un’interpretazione proteiforme della realtà, che non è evidentemente un monolite, un blocco dal volto estrinseco, ma è al contrario una pietra porosa, in grado di assorbire ed amalgamare nei suoi interstizi profondi, le varie particelle che si muovono contemporaneamente nello spazio per unità di tempo, dando vita ad una formazione componibile a scomponibile in base alla profondità delle lenti con cui si guarda allo spazio ed al tempo e cangianti inoltre, in relazione alla sua riproposizione nelle varie epoche ed alle varie latitudini.
Non esiste una sola realtà, rispondente all’esperienza sensibile e spesso bisogna scendere nei meandri, nel sottoscala del cosmo per scoprire le connessione profonde: questo pare voglia dirci Maria Rosaria Madonna in questa sua composizione (come del resto in tanti suoi scritti) condensando il messaggio in quella metafora finale della strada buia verso la quale si dilegua il protagonista della sua poesia ed è esattamente uno degli insegnamenti fondamentali che trasmette a chi ancora oggi (come fa la Noe con la Poetry kitchen) si impegna per attribuire un nuovo statuto ontologico ed antropologico alla poesia.
Per riagganciarmi ancora una volta all’intervento iniziale di Lucio, è sicuramente sconcertante il fatto che una voce poetica fondamentale come la sua non abbia trovato uno spazio nel mondo dell’editoria poetica che le permettesse di trovare, in vita, la sua giusta collocazione nel panorama poetico italiano (che peraltro già all’epoca avrebbe avuto un bisogno palpabile di un apporto come il suo) ma sappiamo bene come il mondo della poesia ed dell’editoria poetica italiana, ancorché languente dal punto di vista dei risultati di vendita, sia impaludato nelle sabbie mobili delle lobby salottiere.
Buona domenica a tutti, cari amici dell’Ombra.