
[Marie Laure Colasson, Collage, foto e acrilico, 20×30, 2020]
La foto di due anonime gambe con calze rosse tratta da un manifesto strappato e desfoliato. La foto, ritoccata con colori in acrilico, è diventata un’opera «ibrida», «ultronea», astigmatica, daltonica, anedonica, inabitata e inabitabile, né pittura, né collage, né fotografia ma tutte queste cose assieme e nessuna cosa. Un manufatto senza identità è quello che meglio contraddistingue l’arte di oggi e l’uomo del contemporaneo che si limita a frequentare il tempo ma non lo abita, che frequenta lo spazio ma è un senza-spazio, che frequenta una fisionomia ma non possiede una identità, che è un senza-luogo, un senza-utopia, un atopos, un atomo che presto scomparirà nel nulla che si porta dentro di sé… Ecco perché la migliore arte contemporanea è un senza-identità che rammenta una identità scaduta, come un medicinale scaduto, come un reato caduto in prescrizione che non è più perseguibile; l’arte di oggi rappresenta un androide che un tempo lontano era purtuttavia un umano, un mortale che aveva un destino… Le tesi Sul concetto di storia di Benjamin si concludono con una frase paradigmatica: “ogni secondo […] era [per gli ebrei] la piccola porta attraverso la quale potevaentrare il Messia”. Questo significa che ogni momento di ogni giorno, in questa vita e in questo mondo, è il momento (“cairologico”) delladecisione e dell’azione, il presente, e non il futuro, è il tempo della storia.
(g.l.)
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Gli esseri umani posti in determinate condizioni storiche percepiscono una certa rarefazione, un assottigliamento delle essenze, delle cose, quello che Heidegger chiama il nulla (Nichts) nel quale è immerso l’EsserCi, in questa particolare condizione avviene una dis-proprietà, una Uberwindung, una Gelassenheit, la poesia acquista una sorta di tonalità di fondo (Grundstimmung), una particolarità dell’essere-nel-mondo, uno stato emotivo proprio. Il “nulla” (Nichts) sarebbe il vero motore non visibile della poesia che avviene allorquando il poeta va oltre l’ente, eccede l’ente. È essenziale che l’autore faccia un passo indietro rispetto alle parole, le parole se verranno, verranno da sé, saranno loro a guidare l’autore. E con ciò l’autore sottoscrive la fine della sua autorialità. La «nuova poesia» reca il contrassegno della fine della autorialità, del soggetto plenipotenziario e della pratica discorsiva fondata sull’io.
Se leggiamo la prima strofa di una poesia di Marie Laure Colasson scritta prima del suo incontro con la poetry kitchen, nel 2019, ci troviamo di fronte ad una serie di tocchi da pittrice, ad un quasi impressionismo post-lirico, ma il passo successivo verso la poetry kitchen è stato subitaneo, perché era già inscritto nell’ordine del giorno. È importante questo mettere a raffronto una poesia pre-kitchen con una poesia kitchen, si avverte che è intervenuto un Evento imprevisto e imprevedibile, e il linguaggio è saltato via da tutte le pareti con tutti i suoi bulloni e chiodi che lo tenevano malamente malfermo. (g.l.)
Marie Laure Colasson
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe
Les oiseaux
Flèches du ciel
Tanti tocchi che introducono ad una tonalità emotiva, ad un concerto di suoni e di parole che non hanno alcun rapporto tra di essi, ma che, tutti assieme costituiscono una «questità di cose», quella cosa complessificata che conforma una Grundstimmung, una tonalità emotiva di fondo. Ed è appunto questa la caratteristica della nuova poesia. In realtà questo «Nulla» è pieno di cose, di momenti, di esperienze, di sensazioni, di cose di cui non sapevamo di sapere.
Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023
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Marie Laure Colasson
(da Les choses de la vie, 2022, trad. di Edith Dzieduszycka)
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe
Les oiseaux
Flèches du ciel
Revêtent leurs combinaisons spatiales
Pour affronter les astres
“fleurs de nénuphars”
Dans la poitrine
Zaza enfile des vérités
Comme des perles
Avec humour
Sœur Candida de la perversion
Droguée de Sporanox
Pourtant la nuit …………
L‘astrophysicien
Observation au télescope
Couleurs et ombres
Changeant selon les heures
Se gratte le crane
Barbara et Rimbaud
Un voyage à travers les océans
“ allèrent (….) à la plage
Et firent beaucoup d‘enfants “
Langueur et envolées des violons
Cristallisations les yeux clos
Méditation de Massenet
Miss vitamines
A B C D E
Quatre-vingt milliards de probiotiques
Transformation subite
En poupée gonflable
Rullio di tamburo
La pioggia
Un fiore rosso
I suoi passi verdi
Un volo cinematografico
Tra due uomini
Uno morto uno vivo
Così diversi
Confronto confusione
Charlotte cavalca la sua Harley Davidson
Scappa
Gli uccelli
Frecce del cielo
Indossano le loro tute spaziali
Per affrontare gli astri
“fiori di ninfea”
Nel petto
Zaza con umorismo
Infila verità
Come fossero perle
Sorella Candida della perversione
Imbottita di Sporanox
Però di notte………
L’astrofisico
Osservazione al telescopio
Colori e ombre
Mutanti a secondo delle ore
Si gratta il cranio
Cambiano secondo le ore
Si gratta il cranio
Barbara e Rimbaud
Un viaggio attraversando gli oceani
“si recarono (…) in spiaggia
E fecero molti figli”
Languore e voli di violini
Cristallizzazioni ad occhi chiusi
Meditazione di Massenet
Miss vitamine
A B C D E
Ottanta miliardi di probiotici
Immediata trasformazione
in bambola gonfiabile
Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023
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E adesso una poesia kitchen inedita del 2022
2.
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[Umwelt fait en 2004, durée 1 h et 6 mn coreografie Maguy Marin
musique Denis Mariotte pour le Festival Equilibrio 2022]
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Panneaux miroir et six personnages
son musical assourdissant répétitif
infernal le souffle du vent entre les panneaux
Fragments du tourbillon de la vie
une pomme croquée à pleines dents
un sandwich dévoré
une serpillière esclave de la propreté
une defécation de 3 pantalons abaissés
des lampes électriques qui fouillent le sol
des fesses de femmes éclairées à cru
de dos 3 chadors orangés
des bretelles de salopettes que l’on replace
des sacs poubelle
les couronnes du pouvoir
des chapeaux pour toutes saisons
des robes insolentes unisexes rouges jaunes blanches
des disputes des viols
des actes amoureux sexuels
des déchets jetés sur scene
Le tout le peu le rien
les mâchoires grincent
2.
Pannelli a specchio e sei personaggi
suono musicale assordante ripetitivo
infernale il soffio del vento fra i pannelli
Frammenti del tourbillon della vita
una mela morsicata a trentadue denti
un sandwich divorato
uno strofinaccio schiavo della pulizia
una defecazione di 3 pantaloni abbassati
delle lampade elettriche che frugano il suolo
delle chiappe di donne illuminate a crudo
di schiena 3 chador color arancia
delle bretelle di salopette che si aggiustano
dei sacchi di immondizia
le corone del potere
dei cappelli per tutte le stagioni
dei vestiti insolenti unisex rossi gialli bianchi
delle dispute degli stupri
degli atti amorosi sessuali
dei rifiuti gettati sulla scena
Il tutto il poco il niente
le mascelle digrignano
Marie Laure Colasson, Promenade nocturne, collage, 30×40, 2023
6.
“Le concret – dit la blanche geisha –
c’est d’utiliser un parapluie
lorsqu’il pleut sous les peupliers au printemps”
Eredia qui savourait un hamburger d’insectes
répondit: “ou bien du gel dans chaque artère
mais également l’intelligence qui tombe dans une poussette d’enfant”
“Les têtes d’abricots se foutent totalement
du bleu et du vert lorsque l’orage éclate”
répliqua Madame Green en fumant sa cigarette électronique
Le noir de Londres simulation vêtue de son contraire
prétendit “qu’au Musée Grévin l’on trouve
des phénomènes inanimés comme un piano liquide
des porte-jartelles de lézards en mutation
des masques qui se soufflent le nez sans faire de bruit”
“Et l’abstrait?! demande Bellmer
la réponse resta suspendue avec des poupées
démembrées au centre du temple de
Ramsès II où aboyait Kandinsky
6.
“Il concreto – dice la bianca geisha
è di utilizzare un ombrello
a primavera quando piove sotto i pioppi!
Eredia che assaporava un hamburger d’insetti
rispose: “oppure del gel in ogni arteria
ma egualmente l’intelligenza che cade in una carrozzella per bambini”
“Le teste d’albicocca se ne fottono totalmente
del blu e del verde quando scoppia il temporale”
replicò Madame Green fumando la sua sigaretta elettronica
Il nero di Londra simulazione vestita del suo contrario
pretese “che al Museo Grévin si trovano
dei fenomeni inanimati come un piano liquido
di giarrettiere di lucertole mutanti
maschere che si soffiano il naso senza rumore”
“E l’astratto?! chiede Bellmer
la risposta restò sospesa con delle bambole
smembrate al centro del tempio di
Ramses II dove abbaiava Kandinsky
(inediti, da Nuove poesie, 2023)
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Giuseppe Talìa
Tallìa
Caro Germanico,
sono molto preoccupato. Giorgio Linguaglossa
non è più quello di prima, È diventato un buono
perdona tutti, perdona anche le mie intemperanze
invece di ributtarmi nel vuoto da cui vengo.
Dice che anche il vuoto è una “cosa”, una cosa che
Contiene il vuoto stesso come un vaso che contiene
La presentificazione e il paradosso del pieno e del vuoto.
Tu lo capisci? Farnetica che la verità è più potente
Della verità stessa. Non ti pare, Germanico, delirante
Il pensiero per cui la verità che di per sé non esiste
Possa esistere in un fondo veritativo? E poi frequenta
Piazze dell’Urbe colme di sardine inneggiando
Ad un rinnovamento che dal profondo dei mari terrestri
Possa riportare questa nostra società malata di memoria
A lungo termine dal Nulla al Tutto e che il Tutto possa comunicare
Con il Tutto. Non ti pare la metonimia un sintomo grave?
Lo tengo d’occhio e ti dirò nella mia prossima.
Giorgio Linguaglossa
Risposta di Germanico a Tallia (Giuseppe Talìa)
Il posto del re è vuoto
caro Tallia,
scrivo dalla mia abitazione: Marketstrasse n. 7 nell’anno mille 3781 ab Urbe còndita.
Il posto del Re è vuoto.
La nuova poesia?, il nuovo romanzo?, la nuova critica?
L’elefante sta bene in salotto, è buona educazione non nominarlo.
Tu dici:
«Andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole?».
L’elefante si aggira nel salotto.
Con la proboscide fracassa il vasellame, sporcifica la tappezzeria,
rovista nei cassettoni stile liberty e post-pop,
manda in pezzi anche il lampadario di Murano
e la cristalleria di Boemia…
Il vestito di Heisenberg è morto il 25 agosto 1926
mentre si recava in tram a Copenagen.
Noi lo sappiamo dai resoconti dei suoi studi intorno ad un misterioso ipotocasamo
una micro struttura elicoidale
un miliardo di elementi all’incirca
con innesti di mitogrammi di tantalio e cadmio.
Ricordo un trafiletto del 24 aprile 1997 sul “Sole 24 Ore”
di un poeta milanese che parlava di silenzio e di ascolto…
Masticavo quei tramezzini psicopoetici con del chewingum che attaccavo alle pareti.
Adesso ci sono i cinici, stretti parenti delle cimici,
gli iloti parenti stretti degli idioti.
Però gli iloti hanno un aplomb più strutturato,
intendo i loro brodini psicocritici.
Nei loro trafiletti ci vedo il vuoto apotropaico, il vuoto del Re.
Una volta c’erano anche i “francobolli” su “La Stampa”,
con all’interno una poesiuola.
Lo spettacolo non era edificante, affatto.
E certo che i lettori normali non prestavano alcuna attenzione a quelle sciocchezze.
Quindi nessuno le leggeva.
Bei tempi, caro Tallia!
Eventum.
(Risposta di Tallia a Germanico)
Caro Germanico,
La crisi idrica è iniziata lo scorso anno.
I pozzi si asciugheranno la prossima estate.
Il popolo se ne accorgerà goccia a goccia.
Quando il vaso sarà colmo.
Giorgio Linguaglossa è un eremita.
Gli spedisco di tanto in tanto i fichi secchi della Bitinia.
Con dentro le mandorle delle Galapagos.
Da quando ha visto per primo l’elefante
In salotto sporcificare la cristalleria,
Non è più lo stesso.
Recentemente mi ha inviato un rotolo.
Con alcune domande. Uno spartiacque.
È ossessionato dal pensiero della fine
del pensiero occidentale.
L’algoritmo – metafisica del presente lo tenta.
E ci sta dentro. La crisi iniziata nel 1929.
Un Nihil si muove dall’ora da una banca all’altra.
Le legioni dispiegate cercano di fare la storia.
Un sentore di fine secolo anticipata
Fuoriesce dagli split dei condizionatori.
Lo invito a qualche incursione barbarica:
Aleja, la schiava amazoniana, recita tutta la divina Commedia;
Grunge Assistant, il liberto, traduce qualsiasi frase in tutte le lingue.
Avoir la patate/banane/pêche.
Tomber dans les pommes.
Raccontare qualche insalata.
(Come dargli torto, la bellezza del sublime
Nel disordine estraneo al bello, ci accomuna)
Un giorno Boileau mi suggerì: lascia perdere gli alessandrini.
Ignora i bellimbusti degli emistichi. Molla i signorini settenari.
I gargarismi del privé a portabilità probatoria.
Apri le finestre al nonsenso del mondo. Aria.
Chiudi le inferriate del valore assoluto.
Di te che ti nascondi.
Va verso – verso. Rompi quando è necessario.
Ti accorgerai che Eventum non è cosa di macchine.
Ricorda che l’ape esce dal fiore solo quando è ubriaca di polline.
Giuseppe Talìa
Risposta di Germanico (Giorgio Linguaglossa) a Tallia (Giuseppe Talìa)
caro Tallia,
qui nell’Urbe non ce la passiamo tanto bene.
La plebe è nel dubbio se stare dalla parte dei meloniani o se da quella del bullo di Mediolanum.
Oscilla.
In entrambi i casi siamo fottuti.
E poi c’è quel Cavaliere con le sue coorti di lucidascarpe e sciacalli che maneggiano sottobanco con l’azero Ozerov che viene dalla Sarmatia.
Ozerov ama il prosecco del Friuli, i fanghi del mar Morto e gli spaghetti alla amatriciana.
Ozerov scalda le sue armate ai confini della Dacia.
Al momento, è in vetta agli scudi il tribuno Conte, quel manigoldo vuole la pax, costi quel che costi con i barbari sarmati.
Asserisce il Conte:
«La Dacia se la sbrighi da sola, non sono fatti nostri, teniamoci le legioni a guardia delle Alpi apuane, i bordi dell’impero ad est non sono questione che ci riguardi!»
Questo dice il tribuno, sostiene la resa senza condizioni al barbaro d’oriente.
Il cavaliere cincischia, i meloniani fanno minzioni, i salviniani spetazzano, caracollano per l’Urbe con le magliette e l’effigie dell’azero perfino nelle terme di Diocleziano…
Nel frattempo, i prezzi del gas sono alle stelle, le cibarie costano quanto un occhio.
Servono rigassificatori, stoccaggi di armi e munizioni, meno climatizzatori, più balestre e balliste, obici, pilum.
Serve il grano della Dacia e meno ciarle tribunizie.
Intanto, il poeta Montale cincischia con questi versicoli: «Le trombe d’oro della solarità»
Caro Germanico,
Fukuyama ha mosso le truppe di terra per tentare
Di ricreare la collettività perduta.
Bauman ha pensato bene di allagare il terreno.
Renderlo scivoloso, fanghiglioso e disaggregante.
Si naviga come con Conrad, si scrolla come per scrollarsi
Di dosso ogni responsabilità, si surfa come a Bondi Beach,
Si entra e si esce come si fosse con Proust, ci si accontenta
Di poco come per ipertrofia congenita dell’io sono,
Si lasciano tracce inesistenti come minimale chic.
L’altro giorno si parlava con Laterzo sed Peiora:
Shakespeare vivacchiava con il bonus studenti.
Montale teneva con il reddito di cittadinanza.
Pasolini veniva invitato spesso nelle Domus.
Gli altri a seguire, tra un’ospitata e l’altra
e il bonus docenti qualcosa pure gli entrava nelle tasche.
Pare che si riuniscano di tanto in tanto per capire
Come resistere nell’autonomia differenziata dell’Impero.
Caro Tallia
Il poliptoto è entrato nel retto di Putler
Bum! il poliptoto è entrato nel retto di Putler lanciato dall’incrociatore Moskvà
L’Elefante suona l’olifante
Ne esce il pesce Lavrov con squame e sopracciglia dipinte
Odisseo commercia con il petrolio e il gas dei russi, manduca fagiani e noccioline del Ponto Eusino
Confonde Cesare con la regina Zenobia, però ha un occhio peritissimo per la valuta pregiata della Signora Circe
Il pesce Lavrov tira per la giacca il Signor Putler
Ne usce una marmellata di essenze all’isotopo di deuterio e un rotolo di carta igienica con impresso l’aureo sigillo della defecatio del Tirannosauro
Accadde nel Cetaceo che una proboscide con squame di coccodrillo prese a crescere dal retto dell’Ibrido
«It is high time to put this on the agenda»,
disse Odisseo appena uscito dall’antro di Polifemo aggrottando le sopracciglia.
«The event has occurred»,
così chiuse la questione l’itacense alla conferenza stampa convocata da Penelope.
Dopo aver ingoiato il poliptoto il pesce Lavrov non trovò di meglio che rifugiarsi di nuovo nel retto del Signor Putler
Ed ivi compì la defecatio e la prolificatio
Il topo saltellò sul piattino con del formaggio bucherellato, morse un fiordo di Emmental Switzerland e lo trangugiò
Dal retto del pesce lavrov uscì un minuscolo Putler all’isotopo di plutonio in forma di supposta o di Sputnik
Lo psicozoico tossì e crebbero delle margherite all’intorno
«Benvenuti – esclamò il manigoldo – alla fine dell’Antropocene, ovvero, l’Età della Catastrofe Permanente!»
Gli universi che non sanno il proprio spazio
non conoscono i limiti dei loro movimenti
e i confini non danno segnali di riconoscimento
all’umano che sogna solo un luogo immaginario.
Il tempo tornava sui suoi passi,
sui secondi che non conoscono le ore.
La chiave su cui gli umani si misurano
le loro età gira a vuoto e non ha un dove esistere.
aprile 2021
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“Avevate ragione, Lazzaro, si risorge solo per finta, altrimenti è terribile il viaggio verso l’ignoto! Non esiste ritorno! Lazzaro, Io non ritornerò! Lazzaro, non ti arrendere, rientra, perDio! Avevate ragione, Lazzaro, si risorge solo per finta, non vi dirò nulla!”.
(da “Elegia viola per Annita”, 2021)
Il posto del Re è vuoto
Il collasso del Simbolico si presenta fenomenologicamente come dissoluzione postmoderna del soggetto e del suo linguaggio.
Nascita del sogetto anedonico
Slavoj Žižek capovolge la tesi marxista ortodossa della «falsa coscienza» considerata come un contenuto sepolto che conterrebbe in sé, nel profondo, una verità da mettere in luce. Nel mondo moderno l’ideologia costituisce il supporto ineliminabile che governa il riconoscimento del Reale da parte delle soggettività; l’ideologia più funzionale sembra essere la cosa che si presenta come non-ideologia, così l’ideologia si presenta come una sorta di regolatore dell’orizzonte di lettura, visibilità e invisibilità dei fenomeni sociali, una struttura che determina ciò che è considerato possibile e/o impossibile in una situazione storica. Ecco perché ciò che è veramente decisivo non è il contenuto ideologico in sé, ma il modo in cui l’affermazione delle tesi ideologiche mette in moto un processo di trasformazione della posizione soggettiva. In questo modo, per Žižek ciò che è tipicamente ideologico del nostro tempo è l’impossibilità stessa di immaginare una realtà extra-capitalista (uscire dal capitalismo), piuttosto che il contenuto concreto attraverso il quale si articola questa impossibilità. L’impossibilità di pensare l’uscita dal capitalismo porta all’impossibilità di pensare. È questa la posizione ideologica che rende il capitalismo imbattibile, eterno, il non poterlo pensare come storicamente determinato, e quindi uno stadio transitorio dell’ontogenesi.
La pietra di paragone dell’intera teoria dell’ideologia di Žižek è la co-appartenenza: la nostra soggettività è sempre strettamente in simbiosi con l’ideologia, una co-appartenenza che non equivale a corrispondenza; infatti, l’eccesso del Reale si manifesta come terrore di cadere nel presimbolico, terrore che respinge la soggettività determinandone la lacerazione e la dissoluzione; di qui l’ ingovernabilità pre-ontologica della realtà stessa o, più esattamente, del Reale, questo terrore verso il pre-ontologico si presenta come IDEOLOGIA, l’ideologia delle soluzioni facili e di pronto impiego (Trump, il fenomeno delle destre, i populismi di movimenti e partiti di sinistra, il presentarsi come rivoltosi né di destra né di sinistra). Žižek ricorre sistematicamente al concetto lacaniano di Reale, Il Reale per Žižek designa l’ostacolo proprio del linguaggio e il limite della ideologia alla quale non possiamo mai rinunciare se non vogliamo ricadere nel cataclisma dell’eccesso di Reale, che è Ciò a cui non possiamo rinunciare come esseri parlanti costretti all’impossibile tentativo di voler colmare l’abisso che si apre tra le parole e le cose. L’eccesso di Reale è un nucleo di forza tellurica spaventosa che mette in crisi il sistema simbolico e la stessa possibilità della esperienza, perché eccede e annichilisce la soggettività e qualsiasi possibilità di godimento che è il presupposto della nostra vita simbolica: «Ciò che chiamiamo ‘realtà’ implica l’eccedenza di uno spazio fantasmatico che riempie il ‘buco nero’ del Reale».1
Il collasso del Simbolico si presenta fenomenologicamente come dissoluzione postmoderna del soggetto e del suo linguaggio divenuto incapace di offrire una sponda alla soggettività dinanzi all’eccesso di Reale, ciò determina il formarsi di un orizzonte di radicale contingenza e frammentazione della soggettività «il cui dogma di fondo è che è definitivamente tramontata l’epoca in cui era ancora possibile fondare un movimento politico sul riferimento diretto a qualche verità eterna, metafisica o trascendentale. ( …) L’unica soluzione sarebbe accettare che viviamo in una nuova era (…) in cui la politica è una questione di phronesis, di giudizi strategici e di dialogo, e non di applicazione di intuizioni conoscitive fondamentali».2
1 S. Žižek, Il soggetto scabroso, op. cit. p. 33.
2 Ibidem.
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
questi versi brevi sono stati scritti sotto l’urgenza di una passionalità che si è aperta un varco nel grigio. Molto lontano dal soggetto anedonico che non è in grado di reggere nessuna passione o passionalità e si rifugia in una zona anestetizzata e de-politicizzata dell’esistenza.
Il kitchen è un fenomeno estetico (e non solo) di un’epoca che vede una anestetizzazione diffusa e di massa. E questo spiega anche la crisi della politica progressista in Occidente. Il kitchen lo può fare soltanto un cittadino appassionato, pieno di energie, non certo un soggetto anedonico, nel cassetto Cultura si gioca il vero scontro APERTO tra le posizioni anedoniche (che seguono la moda culturale senza prenderle sul serio) e le posizioni materialiste (che seguono la posizione rivoluzionaria affidandosi ad essa, anche sapendo che un esiguo gruppo di appassionati non potrà mai prevalere sulle masse anedoniche e stereotipizzate.
ELEMENTI IMPANATI E FRITTI COME SI CONVIENE DOPO L’INVERNO
E mentre l’organizzazione dei sorrisi discute del collocamento di Venere
Se un po’ a destra o un po’ a sinistra di Giove
Le armate napoleoniche, quelle di Cesare e l’andirivieni di formiche
In una parola primavera, avanza nei pantani.
Tutto l’inverno che rane e grilli se le danno di santa ragione!
Disparità di vedute persino sulla tavola periodica.
L’uranio pensava di chiudere la partita a novantadue
Anche l’Inps si sarebbe accontentato e il coccodrillo non avrebbe pianto
Ma poi sotto gli occhi dissero che il gradone sarebbe stato cento
E perchè no? Centodieci. Suvvia a centoventi il traguardo per tutti
Il darmstadio corre per un posto di ordinario
Se hanno dato tre neutroni a te perché non darne a me?
Voglio silicone intorno agli occhi e contare in medicina
C’è chi rimprovera perfino l’oganesson per non avere i titoli da primario
Due protoni in più e ce l’avrebbe fatta ma resta un disgraziato
Uno che fa pari con il proletariato, un assistente eterno
Un invidioso cronico da mettere in un proiettile
E farlo schiattare contro un carrarmato.
(F.P. Intini)
«disgraziato» e «proletariato», rima al mezzo o richiamo fonico all’interno di un bordello chiamato poesia dove un proiettile si schianta contro un «carrarmato»?, diciamo che il mondo è, per l’autore, una pluralità di punti di vista e di cose dove Intini magistralmente intesse il suo canto di Prufrock: «Disparità di vedute persino sulla tavola periodica», epperò, quasi a scusarsi, l’autore rimarca che «Anche l’Inps si sarebbe accontentato e il coccodrillo non avrebbe pianto».
Magistrale esecuzione di una poesia che potremmo designare come l’Anti-limoni di Montale del 1924, ed è passato quasi un secolo…
Due Domande di Donatella Giancaspero a Giorgio Linguaglossa – 2017
Domanda:
Ritieni che sia giunto il momento di dichiarare a chiare lettere l’esigenza di una frattura con la tradizionale forma-poesia del recente minimalismo poetico?
Risposta
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/03/23/intervista-di-donatella-costantina-giancaspero-a-giorgio-linguaglossa-sulla-sua-monografia-critica-la-poesia-di-alfredo-de-palchi-quando-la-biografia-diventa-mito-edizioni-progetto-cultura-r/comment-page-1/#comment-18846
Giunti al punto in cui è giunta oggi la poesia maggioritaria, ritengo che una semplice Riforma della forma-poesia a vocazione maggioritaria, ovvero, il minimalismo romano-lombardo, sia del tutto insufficiente. Quello che c’è da fare è una frattura netta e consapevole con la tradizione recente del secondo Novecento (le timidità di Claudio Borghi che vorrebbe un ammorbidimento della diversità, non sono accettabili), per semplificare quell’area che va dalla Antologia di Berardinelli e Franco Cordelli Il pubblico della poesia (1975) ai giorni nostri. Una vera riforma linguistica e stilistica della poesia italiana comporta anche una rottura del modello a vocazione maggioritaria entro il quale è stata edificata negli ultimi decenni un certo tipo di poesia dotata di immediata riconoscibilità. È un dato di fatto che una operazione di rottura determina necessariamente una solitudine e diversità stilistica e linguistica per chi si avventuri in lidi così perigliosi e fitti di ostilità. Ma, giunti allo stadio zero-maggioritario della scrittura poetica della poesia italiana di oggi, una frattura è non solo auspicabile ma necessaria.
Il mio libro monografico sulla poesia di Alfredo de Palchi si situa in questa linea di pensiero: la necessità di aprire dei varchi nella ottusità degli studi accademici sulla poesia del secondo Novecento, correggere le macroscopiche omissioni, le dimenticanze, e, fatto ancor più grave, le distorsioni dei valori poetici del secondo Novecento, dimostrare che è possibile e auspicabile disegnare un diverso Novecento. Occorre soltanto un po’ di coraggio intellettuale.
Domanda
Tu parli di una «frattura» della continuità di una tradizione, pur conflittuale e policentrica, che si è verificata nella poesia italiana dagli anni Settanta ad oggi. Ne prendo atto. È un compito gigantesco quello di riscrivere la storia della poesia italiana del secondo Novecento, da Satura (1971) di Montale fino ai giorni nostri, non credi? Ritieni che i tempi siano maturi?
Risposta
INVITO ALLA RILETTURA DEL SECONDO NOVECENTO POETICO
Riportavo le affermazioni di A. Millet in un post del 13 ottobre 2015:
«Nel postletterario, tutto risiede nella postura, vale a dire nell’ignoranza della tradizione e nella fede nei poteri di immediatezza espressiva del linguaggio», o anche «postletteratura come confutazione dell’albero genealogico». L’autenticità data dall’immediatezza sarebbe quindi l’obiettivo dello scrittore post-letterario e prova della sua validità: «L’ignoranza della lingua in quanto prova di autenticità: ecco un elemento dell’estetica postletteraria»; «il romanziere postletterario scrive addossato non alle rovine di un’estetica obsoleta ma nell’amnesia volontaria che fa di lui un agente del nichilismo, con l’immediatezza dell’autentico per unico argomento».
Con le dovute differenze, credo che possiamo estendere la categoria dell’immediatezza dell’estetica post-letteraria anche alla poesia contemporanea. Anch’io ho parlato spesso di «post-contemporaneo» e di «post-poesia», intendendo sostanzialmente un concetto molto simile a quello di Millet, ma nella mia analisi della poesia italiana ritengo di aver indicato anche la debolezza delle direzioni di ricerca di quello che ho definito «minimalismo». Lo ammetto, meglio sarebbe stato aggiornare tale definizione con quella di «post-minimalismo» delle scritture poetiche a vocazione privatistica, nel senso che oggi in tutto ciò che accade sembra d’obbligo far precedere l’etichetta «post»: post-sperimentalismo quindi, post-esistenzialismo, post-chatpoetry, post-del-post. Tutto ciò che avviene nella pseudo-letteratura del tempo mediatico sembra presentizzato in un post-presente, il presente diventerebbe la dimensione unica, una dimensione superficiaria unidimensionale, ciò che sembrerebbe confermato anche dalle tendenze del romanzo di intrattenimento che dal fantasy e dalla fantascienza sembra spostarsi verso le forme ibride di intrattenimento di post-fantasy e di post-fantascienza. Quello che tento di dire agli spiriti illuminati è che tutte queste diramazioni di ricerca sono impegnate in una forma-scrittura dell’immediatezza, quasi che l’autenticità del romanzo e della scrittura poetica la si possa agganciare, appunto, con l’esca dell’immediatezza espressiva.
Nulla di più errato e fuorviante! Non può dare adito a dubbi la mia tesi sui paradigmi moderati del Ceto Medio Mediatico e della vocazione maggioritaria della forma-poesia, il minimalismo e il post-minimalismo, entro le quali la totalità delle scritture poetiche contemporanee rischia di periclitare, detto in breve, volevo alludere non al concetto di «egemonia», fuorviante e inappropriato quando si parla di poesia contemporanea, ma al paradigma della riconoscibilità delle scritture poetiche e narrative secondo le quali certe tematiche (della cronaca, del diario e del quotidiano) sarebbero perfettamente digeribili dalla lettura della post-massa acculturata del Medio Ceto Mediatico. Certo «professionismo dell’a-capo», come stigmatizza il critico Sabino Caronia diventa l’arbitrio di un a capo che può avvenire in tutti i modi, con le preposizioni, con le particelle avversative, con i pronomi personali, e chi più ne ha più ne metta. Vorrei però prendere le distanze da una facile tendenza a voler stigmatizzare la «dittatura del Medio Evo Mediatico» in quanto questa posizione sottintenderebbe un approccio moralistico al problema del paradigma moderato e unidimensionale che ha preso piede negli uffici stampa degli editori necessariamente impegnati in una difesa delle residue quote di mercato editoriale dei libri. Le strategie del marketing hanno sostituito quelle che un tempo lontano erano le poetiche.
La situazione descritta sembra essere ancora più grave per la poesia, che vanta però i suoi illustri antenati e precise responsabilità anche ai piani alti della tradizione poetica italiana, voglio dire di quei poeti che negli anni Sessanta e Settanta non hanno più creduto possibile una difesa della forma-poesia: Montale, Pasolini, Sanguineti e altri di seguito. Da questo punto di vista, paradossalmente, una difesa della forma poesia è più evidente nei Quanti del suicidio (1972) di Helle Busacca, il più drastico atto d’accusa del «sistema Italia», che non ne La vita in versi (1965) di Giovanni Giudici, il quale si appoggia ad una struttura strofica e timbrica ancora tradizionale, ma è una difesa della tradizione che va in direzione di retroguardia e non di apertura all’orizzonte dei linguaggi poetici del futuro. È un po’ tutto l’establishment culturale che abdica dinanzi alla invasione della cultura di massa, credendo che una sorta di neutralismo o di prudente e ironica apertura nei confronti dei linguaggi telemediatici costituisse un argine sufficiente, una misura di sicurezza verso una forma-poesia aggiornata, con il risultato indiretto, invece, di rendere la forma-poesia recettizia della aproblematicità dei linguaggi telemediatici.
Quel neutralismo ha finito per consegnare alla generazione dei più giovani una forma-poesia sostanzialmente debole, minata al suo interno dalle spinte populistiche e demotiche provenienti dalla società della massa telemediatica. La storia della poesia degli anni Ottanta e Novanta sta lì a dimostrare la scarsa consapevolezza di questa problematica da parte della poesia italiana.
Domanda
A questo punto?
Risposta
A questo punto, ritengo che una vera poesia di livello europeo e internazionale la si potrà fare in Italia soltanto quando qualcuno sarà capace di sciogliere quel «nodo». Diversamente, la poesia italiana si accontenterà di vivacchiare nelle periferie delle diramazioni epigoniche della poesia del Novecento. Non escludo che ci possano essere nel prossimo futuro dei poeti di qualche talento (e ce ne sono), ma il talento singolo non basta, quello che escludo è che finora nessun poeta italiano degli ultimi quarantacinque anni, cioè dalla data di pubblicazione di Satura (1971) di Montale, è stato capace di fare quella Riforma del discorso poetico nelle dimensioni richieste dal presente stato delle cose. Certo, ci sono stati l’ultimo Franco Fortini di Composita solvantur (1995), negli anni sessanta Angelo Maria Ripellino, negli anni settanta Helle Busacca (I quanti del suicidio del 1972), e poi negli anni novantaMaria Rosaria Madonna (con Stige, 1992, Stige. Tutte le poesie (1992-2002) pubblicato nel 2020, Fernanda Romagnoli con il libro pubblicato da Garzanti nel 1980, negli anni ottanta Giorgia Stecher con Altre foto per album (opera postuma, 1996), volume oggi ricompreso in Tutte le poesie (1978-1996) pubblicato da Progetto Cultura, 2022, Anna Ventura (Antologia Tu quoque 1978-2013), il più convintoe talentuoso oppositore del minimalismo disimpegnato di fine novecento, Mario Lunetta, scomparso nel 2017, e anche, tra gli ultimissimi, Roberto Bertoldo (Pergamena dei ribelli, 2011 – Il popolo che sono, 2016), ed altri che non è il caso di nominare, poeti che si sono mossi nella direzione di una fuoriuscita dal novecentismo aproblematico e aproteico, ma resta ancora da scalare la salita più ripida, c’è ancora da sudare le sette fatidiche camicie. In una parola, c’è da porre mano alla riforma di quel discorso poetico ereditato dalla impostazione in diminuendo che ne ha dato Eugenio Montale.
I collages denominati promenades nocturnes di Marie laure Colasson vogliono accompagnare il passeggiatore durante una passeggiata notturna al lume dei fanali e delle ombre di una città. Il solitario passeggiatore è un cittadino anonimo di una città anonima, è un senza nome, è privo di identità, non sappiamo da dove viene né dove va. Analogamente, le sue poesie kitchen sono esercizi, ghiribizzi di personaggi solitari, di avatar che «passeggiano», schermidori che si atteggiano in atti di scherma… cioè esseri anonimi e eteronimi che «consumano» il tempo e lo spazio in quanto non hanno nessuna occupazione lavorativa. Il lavoro, sembra dirci la Colasson, è la Cosa che rende schiavo l’uomo, l’unico momento di libertà e di jouissance è l’atto gratuito della promenade senza capo né coda, senza «finalità» o telos, con il solo scopo di liberarsi dalla schiavitù del lavoro e della ideologia del liberalismo, come anche di quella del socialismo che vedono nel lavoro la massima realizzazione dell’uomo-cittadino, al pari della religione che vede nel lavoro dell’anima e nella liturgia dell’anima la massima realizzazione della interiorità religiosa. Il «lavoro» è un concetto della teologia trasposto e transvalutato nella economia del Capitale di Carlo Marx. Nulla di tutto questo nell’atto kitchen di Marie Laure Colasson o in quello di Francesco Paolo Intini, in entrambi c’è l’irrisione e la derisione per ogni atto che provenga dall’«io penso dunque sono» o dalla interiorità di Ignazio di Loyola; l’atto kitchen respinge il «lavoro» con le sue ideologie d’accatto e le spedisce indietro, nell’aldi qua della vita terrena. Il kitchen è l’atto di non-compromissione, di rigetto della seriosità tutta ideologica dell’atto del «lavoro», inteso in accezione teologica e in quella materialistica. Il Kitchen dice «No», apre uno spazio di profanazione. E si ferma lì.
Come sappiamo, Agamben concepisce la religione a partire dal verbo latino relegere. Parola che significa essere attenti, vigilare, vegliare sulle cose, che sono sacre, preoccuparsi che le cose sacre restino separate dalle altre. Questa separazione è essenziale per ogni religione.
La profanazione, al contrario, significa, esercitare contro quella vigilanza un atteggiamento di consapevole in-curia, non-curanza, anzi, di consapevole avversione trasgressione per tutte le cose considerate sacre.
La profanazione è, quindi, una prassi di libertà che ci libera dalla trascendenza, da ogni forma di soggettivazione, di assoggettamento all’Altro, di assoggettamento alla trascendenza.
La poiesis kitchen è lo spazio aperto dove si svolge il gioco della profanazione e della trasgressione, della libertà dalla trascendenza e dal recinto delle cose ritenute sacre.
La profanazione apre cosí uno spazio di libertà dell’immanenza.
Come noto sia Hegel che Marx pensano il pensiero del lavoro. La Fenomenologia dello spirito è la storia capovolta del lavoro umano. Il Capitale è concepito come critica del concetto di lavoro di Hegel rimesso sui piedi. Tanto il pensiero di Hegel quanto quello di Marx sono dominati dal principio del lavoro; alla stessa stregua, Essere e tempo (1927) di Heidegger è ancora vincolato al concetto di lavoro. Nella sua «cura» e nella sua «angoscia», il Dasein è un uomo che lavora, che pensa il lavoro come libertà, come auto realizzazione nella sottomissione della natura mediante il lavoro. Il Dasein non gioca mai, è sempre impegnato nella seriosità in un impegno, in un lavoro: l’aver cura, la cura. L’ultimo Heidegger sembrerebbe voler fare un passo indietro da questa teorizzazione, infatti il concetto di «abbandono» (Gelassenheit), vorrebbe fornire una via di uscita dal vicolo cieco rappresentato dal concetto dell’«aver cura», di «cura», di «lavoro». Ma si tratta di una soluzione parziale e insufficiente, perché chi prende congedo dal «lavoro» ritorna, prima o poi, al «lavoro» e all’abbandono, alla Gelassenheit dell’atto del «lavoro». L’abbandono della ideologia del «lavoro» (che implica l’abbandono della ideologia del «valore»), è già un primo passo in vista dell’abbandono totale di qualsiasi ideologia del «lavoro» e delle politiche del «lavoro».
Rileggiamo di Maria Rosaria Madonna (1943-2002)
(Poco prima dell’approdo all’Isola dei morti)
La tassa per il soggiorno terreno
«Se vengono a riscuotere la tassa
per il soggiorno terreno – disse
un signore vestito in abito scuro, “una specie di
esattore delle imposte”, pensai –
pagherò con questa moneta, con
una moneta fuori corso».
Era lì, sulla soglia della porta. E qui mi mostrò
un soldo antico, probabilmente un sesterzio
del quarto secolo dopo Cristo con l’effigie
di un imperatore romano sul verso
e una bilancia sul retro.
«Una lega d’argento con poco argento
e tanto metallo povero!»
chiosò con ironia il convenuto ammiccando…
– la fessura nel mento ebbe un sussulto –
«Vuol dire che pagherà con questa patacca?»
– chiesi allibita –
«Nient’affatto, intendo pagare con una moneta
stabile, la moneta dell’Impero,
perché stabilmente consegnata all’oblio»,
replicò l’interlocutore lisciandosi il mento
con un gesto sordido del pollice.
«Ma non era nei patti», tentai di obiettare.
«Appunto perché non era nei patti»,
rispose l’ombra alla mia destra
mentre svoltava lo stipite della porta d’ingresso
e si dileguava nella strada buia…
promenade lunaire
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Per il tuo disamore non mi restava che la cenere di una voce sulla viscida soglia
e la pelosa notte di Olimpia che strisciava coi suoni ineludibili del suo cantare.
E se una straniera morte non mi è di conforto in quali labirinti io devo nascondermi?
Mostruoso un eco lunare da uno specchio :
soltanto la Vita non ha pietà per l’uomo !
Antonio Sagredo
Roma, 10 marzo 2018
Riscrivo la poesia di Antonio Sagredo abrogando i luoghi dove c’è l’io:
promenade lunaire
Per il tuo disamore non restava che la cenere di una voce sulla viscida soglia
e la pelosa notte di Olimpia che strisciava coi suoni ineludibili del suo cantare.
E se una straniera morte non è di conforto in quali labirinti nascondersi?
Mostruoso un eco lunare da uno specchio :
soltanto la Vita non ha pietà per l’uomo !
*
Roberto Terzi
Fenomenologia dell’inappariscente
«L’uomo in quanto esserci è il Ci, il luogo di questa manifestatività, ma non è colui che la costituisce o padroneggia, perché l’evento accade all’uomo prima di ogni sua iniziativa e l’uomo stesso,come vedremo tra breve, appartiene all’evento in cui diviene ciò che è. Ma concepire il fenomeno in termini evenemenziali significa anche indicare il cuore di nascondimento e sottrazione insito in ogni manifestazione, l’impossibilità di portare l’essere ad un disvelamento completo o ad una «evidenza». È significativo allora che nel suo ultimo seminario Heidegger si confronti nuovamente con la fenomenologia e parli programmaticamente di una «fenomenologia dell’inapparente»: gli enti appaiono, ma l’apparire degli enti non appare a sua volta, non perché sia qualcosa fuori dagli enti, ma perché è l’evento ritraentesi di ciò che appare. Diviene così comprensibile anche il senso del richiamo all’etimologia di Ereignis da eräugen (mostrare, far vedere, o anche guardare, adocchiare) e da Eräugnis (ciò che è messo sotto gli occhi): l’Ereignis è il movimento del venire-alla-visibilità, l’evento che «ostende» qualcosa portandolo alla manifestazione e conducendolo così al suo proprio. È ciò che rende possibile la nostra stessa visione, perché se bisogna parlare qui di un «guardare» e di uno «sguardo», si tratta innanzitutto dello sguardo dell’evento verso l’uomo e non viceversa. È in quanto siamo «guardati» dall’evento che possiamo a nostra volta guardare qualcosa: possiamo avere una visione perché siamo coinvolti nell’evento non-visibile della visibilità.»
da https://www.academia.edu/6007917/Esperienza_o_tautologia_La_questione_dell_evento_in_Heidegger
Mi piace quello che scrive Milaure Colasson nel suo post. Passione, passionalità, urgenza, zona anestetizzata e depoliticizzata dell’esistenza.Il kitchen può farlo solo un cittadino appassionato,scrive Milaure Colasson. Penso che siamo cittadini quando usciamo dal ruolo di merce e siamo appassionati quando diventiamo cittadini.La poesia kitchen rompe gli schemi come il bambino rompe il giocattolo ‘ per vedere come è fatto dentro’ e prova piacere puro.
Insomma quando il bambino fa una frittata!!
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Come quando iniziai da bambino. Quindo la poesia kitchen è una poesia d’infanzia, che ha fondamenta solide fin dall’infanzia, come deve essere appunto una POIESIS.
Quando l’IO è preponderante, ma poi col passare degli anni scema fino a scomparire, ma a non tutti i poeti succede.
Così che alcuni rimangono “fanciullini”fino alla morte.
Altri invece si emancipano subito dalla schiavitù dell’IO, sono i cosidetti poeti precoci… Rimbaud è esempio clsassico!
Mentre Goethe fino alla vecchiaiasi canta con l’IO.
Insomm GRANDE VARIETA’.
La prospettiva, che considera il punto di vista dell’osservatore ed è movimento in avanti dell’osservazione, è elemento nuovo nell’arte visiva di Marie Laure Colasson. Forse non nuovo del tutto, ma pone l’avanzare in direzione del vuoto in modo che salta l’identificarsi sul tema, qualsiasi esso sia. E questo è kitchen, nel senso che, a differenza dell’arte che focalizza sul soggetto, qui il soggetto è plurimo; ci passi accanto e vai oltre. In poesia, lasciare un verso per un altro non conseguente, vuol dire non identificarsi e non pilotare la narrazione in modo persuasivo. Se le opere astratte di Marie Laure precedenti a questa narrazione visiva, esploravano il pieno, la composizione e l’accostamento cromatico, nelle nuove “Promenade nocturne”, grazie all’osservazione prospettica, moto-in-avanti, e astratta, cioè tra isole di presenza senza ordine e grado di importanza, lontananza o vicinanza, come versi kitchen sono all’insegna dell’impermanenza, del fuggitivo, così che l’immagine acquisisce valore cinematografico, ha movimento. Nel vuoto dominante, l’albume che ci contiene.