Poetry kitchen di Giorgio Linguaglossa
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Come arredare una parete bianca e noiosa?
Qui ci metto un semaforo, sotto, un tavolino giallo con una tazza da caffelatte
Lascio i grattacieli in grigio sul cielo grigio
Accanto, in primo piano, mezzo divano In alto a dx c’è scritto Exit 7 – 800 m.
Due frecce in alto: Highway
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“Alba” di Giorgio Caproni
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Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.
dall’elegia alla nuova fenomenologia del linguaggio poetico
di Giorgio Linguaglossa
In questa poesia di Giorgio Caproni abbiamo un campionario degli stereotipi della poesia elegiaca: colori esangui, lividi, parole non pronunciate, forse fantasticate ma mai dette, si ode però da lontano «un tram», il personaggio che parla pronuncia parole deserte, create per aumentare il senso di angoscia e di sonnolenza della coscienza. La parola finale «morte» è la degna conclusione di una poesia manierata, stilizzata in eccesso, sovraccarica e sovrassatura di lividori. La poesia è ambientata in un luogo lontano e indistinto, «nei vapori di un bar», in un «inverno lungo», «che brivido attenderti!», «nel sangue è gelo», «tremitio tra i denti», «ora nell’ermo/ rumore oltre la brina io», «Amore, io ho fermo/ il polso», «Ma tu, amore,/ non dirmi, ora che in vece tua già il sole/ sgorga». C’è tutto il repertorio stereotipico elegiaco come concentrato, c’è tutto quello che ci deve essere per commuovere il lettore e adescarlo, farlo partecipe dell’angoscia e dell’infelicità dell’io parlante, c’è tutta una lessicalità scelta («nell’ermo rumore», «il sole sgorga», «attendo la morte») per intenerire il muscolo cardiaco del lettore.
La noesi della poesia elegiaca è una tecnesi, ovvero, è il prodotto eufonico di un campionario organologico che traccia una genealogia organologica dei suoi strumenti musicali. Ma è anche una nemesi. Gli strumenti sono sempre quelli della poesia elegiaca: si percepisce un sottofondo di pianoforte rallentato e ovattato e un violino che suona una musica sdolcinata. Si tratta ora di capire perché e come questa genealogia organologica collimi con quella di una economia libidinale regressiva, cioè al servizio del Super-Io, con una postura e una postazione ideologica avvitate nella «intimità», nella «interiorità», nel «dolore»; più precisamente qui si tratta di una economia libidinale caratterizzata dalla capacità che ha l’elegia di fissare una tecnesi e una noesi in un tempo e in uno spazio memorabili e slontananti di cui essa è la rappresentante estetica dell’economia libidica. L’elegia mette in atto una attività immaginativa orientata alla stabilizzazione e alla fissazione dell’economia libidica su un oggetto continuamente perduto e ritrovato («Ma tu, amore», «Amore, io ho fermo il polso»). L’elegia, che in sé è sempre regressiva, ha bisogno di una economia libidica anch’essa regressiva, implica sempre il ritrovamento di un passato, di una noesi e una tecnesi rivolte al tempo passato e al perduto «Amore», nonché, di una implantologia di strumenti musicali che fanno appello alle intermittenze del cuore. Sia chiaro, una organologia non vale affatto un’altra, una organologia elegiaca come questa di Caproni implica e riflette una economia libidinale sostanzialmente basica e statica, regressiva, arrestata in un tempo passato che non tornerà, che non potrà tornare. Appunto, regressiva.
Una poesia kitchen e una poesia per bambini invece implicano l’adozione di una implantologia organologica ontologicamente «altra» che corrisponde ad una «altra» economia libidinale e a un’«altra» postazione ideologica. La poesia per bambini deve tenere conto che i bambini vivono esclusivamente nel presente, che a loro il passato non dice assolutamente nulla, e che il futuro è importante solo come prosecuzione del presente; la poesia kitchen dunque implica una attività per il futuro. Una nuova forma artistica implica sempre una defunzionalizzazione e una rifunzionalizzazione delle precedenti noesi e tecnesi, in altre parole implica sempre l’invenzione di una nuova economia libidinale «altra», e di un controllo del Fantasma. Resta il fatto che questa rivoluzione noetica e tecnesica coinvolge un drastico ricambio della implantologia organologica che corrispondeva allo statu quo ante. Infatti, la poesia kitchen è progressiva, è diretta verso la disambiguazione del significato, fa appello al trans-individuale. Quando un fatto è immaginabile, ergo può diventare reale, si tratta soltanto di riuscire a pensare l’immaginabile.
* [organologia: elenco degli strumenti musicali di una data epoca]
La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento
La nuova fenomenologia della poiesis ha pagato tutte le spese condominiali arretrate e ha chiuso la contabilità del novecento, non mi risulta che la poesia italiana della soggettoalgia ipocondriaca abbia fatto altrettanto. Ad esempio, la poesia della soggettoalgia controllata di una poetessa storica del novecento, Patrizia Cavalli, è oggi debordata a dolorificio permanente, a poesia della esondazione dell’io. Leggiamo una tipica poesiola della Cavalli:
Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.
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La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, è per eccellenza aliena a far riferimento a qualsiasi soggettoalgia dell’io, anzi, nutre una vera e propria allergia alla fabbrica del dolorificio della poesia italiana di questi ultimi decenni, la nuova fenomenologia della poetry kitchen si rivolge alla mente recettiva dei bambini, ai negozianti, alle commesse della Oviesse e dell’Upim, al pubblico futuro che ama il metaverso, ha in sé una forza tellurica dirompente che viene agita e agitata da un pluripolittico di frasari di spuria e allotria provenienza, un mix e un mash up di polinomi frastici, un remix, un blow up, un rewind, un «gioco» di citazioni dei linguaggi del mondo delle Agenzie linguistiche («lo stato di cose esistente» di Marx in versione attuale) che intende sovvertire la lettura normologante del mondo. Una sorta di remix e mash up di linguaggi radiofonici, telefonici, privati e mediatici, di voci interne e di voci esterne, di interferenze, di entanglement. Smash and mash up, potremmo dire riepilogando.
La poetry kitchen contiene in sé una carica di libertà, di vivacità, di allegria e di sedizione veramente rivoluzionaria, incontenibile, imprevedibile; mi fa piacere questa magnifica espressione di libertà e di grottesca ilarità che mette all’asta il minimalismo elegiaco svelandone l’arcano implicito: che chi cerca il minimal prima o poi finirà con il trovarlo accontentandosi del minimal. Ma noi non cerchiamo il minimo, semmai, il maximum telluricamente esperibile e compossibile.
La poetry kitchen è una struttura complessificata che vede la convergenza di una simultaneità di spazi, di tempi (reali e immaginari), di frasari allotri, è una hilarotragoedia, tanto per usare una parola nota. C’è una corrispondenza biunivoca fra la sintassi e la semantica: la semantica inaugura un movimento di sensi e di significati, costruisce una narrazione, una storia; la sintassi dipana un ordine, definisce uno stato, edifica una tradizione. La fine di una metafisica ha prodotto un capovolgimento fra l’alto (il sublime) e il basso (il cafonesco), ha prodotto un capovolgimento tra la lontananza e la prossimità, un capovolgimento fra le cose, fra le parole e fra le parole e le cose; telos della poiesis è di stabilire un riallineamento, un diverso dis-ordine tra le cose, un dis-ordine fra le parole e fra le parole e le cose. La fine della metafisica è la fine della tradizione con tutte le sue convenzioni e categorie e si preannuncia con grandi sommovimenti e rivolgimenti dello «stato di cose esistente»; la nuova poiesis non può che riflettere le forze soverchianti della storia che l’hanno prodotta. Così stando «lo stato di cose esistente», perorare la continuità della poiesis e della tradizione nello stato di cose esistente, è un atto politicamente regressivo, culturalmente disarmato, significa voler accontentarsi di salvaguardare la funzione ancillare e decorativa della poiesis.
Vincenzo Petronelli
Fragmenta historica
Latte di mandorla con ghiaccio sui tavoli del “Cafè de la guèrre”.
Lamarmora e Mancini decidono la formazione per la trasferta di Magenta.
“Sarà importante mantenere l’equilibrio tattico.
Dal nostro ombrellone vista-mare sapremo guidarvi all’immancabile vittoria”.
“Se avessi previsto il Narodni Dom, non avrei dipinto “Il Bacio””
confidò Hayez alla Signora Päffgen in una camera del Chelsea Hotel.
Il caffellatte nello scaldavivande in un ufficio della Zentralstelle in Wien.
Eichmann arriva di primo mattino canticchiando “Rhapsody in blue”.
“Il grande bulino è già in azione. Non pioveva sabbia da secoli
sul Danubio,
ma abbiamo già fatto saltare in aria il rapido 904 con le rane a bordo”.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
A Theresienstadt in inverno si sta come in primavera.
“Si sieda rabbino; posso offrirle del latte nero?”
“Who by fire? Who in the night time?”
Sulla soglia della stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
Alle spalle, Marcuse gusta dell’uva fragolina sotto un pergolato
in Abbey Road; davanti
il deserto del Negev: dobbiamo affrontarlo per intero
per approdare alla stanza-dimora di Mario Gabriele.
Da tempo ormai, non legge più “Satura”: ascolta heavy metal
e sorseggia Bourbon.
Tra poco, si festeggeranno le idi di marzo.
Il Signor Dobermann all’alba
accompagna i pochi vaccinati che si riuniscono nelle catacombe.
Pompei deflagrò quando chiuse l’ultimo cocktail bar.
“Le campagne sono tetre ed insicure signor generale: ci affidiamo alla Vostra guida”.
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.
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pseudolimerick per bambini
di Guido Galdini
c’è una giraffa seduta sul sofà
che ha ordinato una coppa di Campari
a chi le chiede: dimmi, come va
risponde: mica male i miei affari
vieni a sederti un poco qui vicino
che ci facciamo un giro di ramino
ma la giraffa è animale assai ingombrante
per alzarla ci vuole un carro ponte
così il malcapitato che ha subito
l’onore di ricevere l’invito
si è dovuto ridurre alla metà
per non essere invaso e stritolato
da quell’ampia giraffa sul sofà.
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Tre poesie di Tiziana Antonilli
Il protocollo
Il paziente aveva firmato il lenzuolo n. 14,
la notte legarono una vena al lavabo.
Anche alla vegetariana imposero la camicia di forza
infermieri e carcerieri giocavano a poker con i vitelli.
I testimoni sempre off line, ma provvisti di consenso informato.
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Manuale in cinque punti
Bere un filo d’erba per gli omega tre
fare un riassunto dei globuli rossi e cestinarli
corpo a corpo dopo il primo sgarbo ai glutei.
Infilzare due volte al giorno le papille gustative
consolare il chilo e l’etto per il complesso d’inferiorità.
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Controvento
I migranti sulla crosta di ghiaccio
si erano piegati gli abeti in tasca.
Con i guanti non ancora scaduti
si prendevano per mano
e ritoccavano il make up della bora.
I muscoli cardiaci sprizzano sangue sui pattini.
Se i Tre Confini preparano intemperie
non resta che il Daspo perenne.
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Una poesia di Antonio Sagredo
Il sogno dello specchio confortò la sinfonia,
i tasti riflessi si mutarono in suoni libertini
e si sparsero sulle note i grani di un eretico rosario.
Mancò un’arietta per essere linfa e cenere.
Il settenario appoggiò i gomiti su uno scordato pianoforte
e si scarnificò la gola per cedere all’ugola dorata il canto.
Non c’erano che merletti e uncinetti tra le dita intricate
come le immagini ricciute d’un etilico poeta irlandese.
(2023)
Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso. Sue poesie sono presenti nella Agenda. Poesie kitchen edite e inedite, Progetto Cultura, 2022.
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica. Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi compomnimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Vincenzo Petronelli, è nato a Barletta l’8 novembre del 1970. Sono laureato in lettere moderne con specializzazione storico-antropologica, risiedo ad Erba in provincia di Como, dove sono approdato diciotto anni fa per amore di quella che sarebbe poi diventata mia moglie, ho una figlia di 14 anni.
Dopo un primo percorso post-laurea che mi ha visto impegnato come ricercatore universitario nell’ambito storico-antropologico-geografico e come redattore editoriale, ho successivamente intrapreso un percorso professionale nel campo della consulenza aziendale, che mi ha condotto al mio attuale profilo di consulente in tema di comunicazione ed export; nel contempo proseguo nel mio impegno come ricercatore in qualità di cultore della materia, occupandomi in particolare di tematiche inerenti i sistemi di rappresentazione collettiva, l’immaginario collettivo, la cultura popolare e la cultura di massa. Dal 2018 sono presidente del gruppo letterario Ammin Acarya di Como, impegnato specificamente nella divulgazione ed organizzazione di eventi nell’ambito letterario e poetico. Alcuni miei scritti sono comparse nelle antologie IPOET 2017 e Il Segreto delle Fragole 2018 (Lietocolle), Mai la Parola rimane sola, edita nel 2017 dall’associazione Ammin Acarya di Como e sul blog letterario internazionale “L’Ombra delle Parole”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.
L’opera di Lucio M. Tosi dell’articolo precedente è davvero intrigante. Una frase scritta su un pacco, come su un muro tipo: “Abbasso il governo”. Ecco, l’ho immaginata così come qualcosa che non abbia nulla a che fare con l’interno, che può darsi sia filogovernativo e dunque farà di tutto per lavare via la scritta con la stessa veemenza di un sindaco contro gli imbrattatori di icone. Anche qui la bicicletta della frase non ha nulla a che fare con l’interno come se fossero due universi che s’incontrano in una sintesi assurda che il visitatore terrestre con le sue categorie logiche, non riesce a decifrare. Da qui la necessità di ripulire al più presto a getto d’ acqua, pensando in termini conservativi, l’interno come padrone dell’esterno.
Il fascino della poetry Kitchen è tutto in questo porre l’opera in un contesto-senza contesto in questa possibilità dichiarata delle parole di non aderire al significato rifiutando cioè ogni rendez-vu al mainstream del pensiero unico che vede, nel caso della poesia, l’affermarsi di un tipo io centrico,-“la fabbrica del dolorificio” nella definizione Linguaglossiana-come l’unico in grado di farsi valere nel mercato. In questa prospettiva la scelta di un inchiostro lavabile e virtuale, è coerente con l’idea che l’arte sia un fatto mentale e nel nostro caso dica NO. Altrimenti, come spesso accade, anche le scritte sui muri diventano arredamento per le strade e per esse si creino corsie preferenziali e autostrade, asservite, funzionali e devitalizzate. Ovviamente.
A VOGLIA A DIRE BOTTICELLI
“Il ministro dei temporali
In un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
Con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”
(La domenica delle salme, Fabrizio De Andrè)
——
Cosa si sia messo in testa l’angolo giro nessuno lo sa
Ma è nota la capacità del trombone di collassare in un fischietto.
Fu così che una tribù di spigoli assistette alla disfatta dei tonni
Chi ci guadagna a tirarli nelle barche?
Così ellissi da sembrare chiavi di volta
Si abbracciano ad un getto di sangue.
Per fare il polpo, avvolgono alla luna
I raggi di Sole.
Risolvere l’immortalità dalla spina dorsale
Farne un affare di collo e bostik.
Poi scricchiola qualcosa ma una vertebra resiste
come una monaca alla distruzione del convento
Se un bisturi trova rifugio nella maschera dell’eterizzato
L’incubo diviene primo piatto ma nel lavandino
Ci sono bolle che si avvolgono ai palazzi.
Mentre l’olandesina si affaccia a un’ostrica
Coprendo il pube con un san marzano.
F.P.Intini
La morte di Dio ha decretato anche, tra le altre cose, oltre la catastrofe del Simbolico, anche la resurrezione del Fantasma. I fantasmi sono necessari, anzi, indispensabili alla poesia kitchen. Tutti e quattro gli autori di questo post (compreso il compianto Guido Galdini), trattano a proprio modo i propri fantasmi, li vezzeggiano, i fantasmi hanno soppiantato l’Io, lo hanno defenestrato…
I fantasmi sono i veri attori di questo movie. I fantasmi interpretano al meglio la svolta macchinica della nostra civiltà cibernetica, essi sono i veri manichini che hanno sostituito l’identità e l’autenticità dell’io presunto e mal posto. La poesia di Patrizia Cavalli, una delle più famose, è davvero poca cosa, si regge tutta su false rime e falsi richiami fonici… ma insomma, si tratta di cosettine facili facili che prosperano allegramente sulla tradizione lirica, sliricizzando il testo di quel tanto poco che consente un dimagrimento stilizzato del testo. Della hilarotragoedia della poesia kitchen non c’è traccia, si tratta di compitini ben svolti e ben edulcorati. Ben educati,
Beh, che devo dire di quei versi dei due “poeti” su menzionati, Caproni a Cavalli, come dire capre e cavoli, e non cambia nulla:
poesia ferma, statica e che dunque ha poco valore, come tantissima poesia del dopo guerra; dal futurismo italiano non hanno imparato nulla, nemmeno il movimento, la scioltezza e l’auto-ironia delle loro stesse azioni. E di Dino Campana nemmeno.
L’insegnamento di come deve essere un vero poeta. E di Emilio Villa, autore di una pooesia cosmopilta, versatile che sapeva coniugare la poesia antica con quella moderna (di questo secolo intendo), potrei citare il grande Ceronetti, e tutti questi sono stati poeti del limte e dell’oltre-limite, ecc.
Dei due ho conosciuto personalmente la Cavalli e già come persona non mi esaltò più di tanto, era quasi sciatta.
Caproni è migliore come traduttore che come poeta e questo vale per quelli che vogliono passare per “veri poeti”, quando sono stati ottimi traduttori. Quindi non hanno compreso i loro limiti e hanno signìficato nella POESIA, fallendo. Meglio essere un grande traduttore che mediocre poeta. Hanno scelto di essere mediocri.
E invece vi sono stati, come p.e. A. M. Ripellino (di cui sono stato allievo-amico), un grande poeta e un grandissimo traduttore: una rarità, cope pochissimi altri.
Ma basta così
L’elefante passeggia in salotto
Noterelle sulla Poetry kitchen
La poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. In realtà il poeta di oggi non ha nulla da dire: nessun messaggio, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come rappresentazione e volontà. Quella metafisica è giunta al capolinea. E con essa tutta l’argenteria bella della poesia della tradizione. Quella argenteria è oggi inservibile. Un poeta consapevole lo sa, non può non saperlo.
(Marie Laure Colasson)
L’elefante sta bene in salotto, ha frantumato le suppellettili, ha fracassato i piatti di porcellana e i bicchieri di cristallo, ma tant’è, si fa finta di non vederlo, così si può sempre dire che non c’è nessun elefante, che i bicchieri sono a posto, le teche di cristallo anche, le suppellettili anche, che la poesia gode di buona, anzi, ottima salute, che non c’è niente da cambiare, che la poesia da Omero ad oggi non è cambiata granché, che da quando il mondo è mondo la poesia è sempre stata eguale a se stessa, è sempre stata in crisi… Ed altre quisquilie consimili. Qualcuno mi ha rimproverato che il mio linguaggio critico non è un linguaggio critico, come dire che il mio «filoso fese» è un alibi perché non ho niente da dire. Ed è vero, non ho niente da dire dei compitini poetici che si redigono oggi, oggi non c’è più un linguaggio critico condiviso, con tanto di lessico condiviso e categorie condivise. Oggi non si dà nulla di condiviso se non il bric à brac della critica salottiera.
È che la poesia italiana che si fabbrica in giro in miliardi di esemplari non ha veramente nulla da dire credendo ingenuamente e in falsa coscienza di avere ancora qualcosa da dire di importante. La poesia italiana evita accuratamente e con tutte le proprie forze di vedere l’Elefante che passeggia in salotto e che con la sua proboscide ha fracassato tutto ciò che c’era da fracassare.
Ma, paradossalmente, adesso l’Elefante si è fermato, è rimasto disoccupato perché non c’è più niente da fracassare, è già stato fracassato tutto. Adesso sono sopraggiunti i corvi, a miriadi. E parlano, parlano.
Salman Rushdie ha dato notizia che pubblicherà su Internet un nuovo romanzo kitchen, a puntate, un feuilleton elettronico con tantissimi gangster, sparatorie e uccisioni in forma di newsletter. Verrà pubblicato da una piattaforma californiana che sta scalando il mercato. Il plot del romanzo verrà via via modificato dall’autore in base alle reazioni e ai suggerimenti dei lettori.
Quando si sale su un podio, qualsiasi podio, la Musa fugge a gambe levate. Questo principio lo vorrei scolpito nella carta straccia.
Per fare poesia ci dobbiamo rivolgere al rigattiere, al robivecchi, alle discariche abusive che spuntano come funghi nel territorio disastrato di questo Paese; dobbiamo falcidiare tutti i cippi, funerari o meno, tutti i podi, tutte le stele e le colonne di marmo, la poesia la dobbiamo fare con gli stracci sporchi, togliere tutte le superfetazioni, tutte le lucidature, tutti i detersivi… «Ciò che rimane lo fondano i poeti» diceva Hölderlin. Appunto, prendiamo in parola la parola del poeta: ciò che rimane dalle discariche delle parole è la nostra poesia, la sola poesia che oggi si può fare…
La poesia la trovi nelle discariche delle parole, nelle parole abbandonate perché non più utili, che non servono più a niente… tutto il resto, quello che si legge oggidì, sono superfetazioni letterarie. La Musa la trovi tra il rancido delle discariche piuttosto che nei salotti del dolorificio manifesto.
Il «condominio linguistico delle parole» lo trovi nelle discariche abusive, nella terra dei fuochi, negli incendi di parole appiccati dai piromani e dagli imbroglioni, dagli imbonitori.
(Giorgio Linguaglossa)
Ha scritto Gianni Godi:
Gianni Godi
Ero già kitchen a mia insaputa nel 1985 molto prima del ministro Scajola che si ritrovò una casa vista sul Colosseo, a sua insaputa! La tecnica kitchen la sperimentai nella scrittura con grafica del Viaggio Cilindrico nella Materia negli anni ’90. Forse inconsapevolmente e nella mia profonda ignoranza, avevo comunque capito che la strada della poesia così come era non era più praticabile.
Grazie Giorgio
La poesia la trovi nelle discariche delle parole, nelle parole abbandonate perché non più utili, che non servono più a niente… tutto il resto, quello che si legge oggidì, sono superfetazioni letterarie. La Musa la trovi tra il rancido delle discariche piuttosto che nei salotti del dolorificio manifesto. (Linguaglossa)
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Questa fraseologia critica e sacrosanta mi fa pensare a certa poesia ceca (praghese speciamente) dalla fine degli anni ’50 fino a tutto la decade successiva (anni sessanta), che nella pittura trovò il suo maggio cantore : Vladimir Boudnik, che trovava sui muri rancidi di piscio e di birra e di tant’altro scarto la più efficace poesia da mostrare, e i questa stessa natura erano infarcit tanti suoi versi.
Così scrivevo (nella mia tesi sul massimo poeta ceco il simbolista Otokar Brezina) nel 1975 :
“Ma l’opera di Vladimír Boudník, piu o meno dalla metà degli anni ‘50 fino alla fine degli anni ’60, metterà in gravissima crisi tutta la grafica ceca a lui precedente, poiché lavora sul materiale stesso dell’arte grafica modificandolo… e modificato sarà l’uso e la fruizione in un conflitto che vedrà gli attori: il creatore (che non cede affatto alle immaginarie chimere degli autori passati) e il destinatario (chi e dove e quando?!) dell’opera… distantissimi. L’innovazione (certamente!) e la distruzione (forse non totale!) della forma e del contenuto… la ri-strutturazione della grafica stessa (che insisteva sul figurativo) dichiara una guerra anche all’arte della fotografia conducendo l’artista a un metodo detto dell’ explosionalismo, che sarà situato, a voler essere storicisti, tra l’avanguardia (nuova?!) e l’underground. La sua condizione di lavorare in un stato di repressione politica è anche motivo che lo condurrà ad estremizzare la sua arte fino ad una radicale re-visione della sua stessa vita-pensiero.
Dunque, a causa di questo artista e della sua opera, credo, che non si possa più illustrare, coi vecchi metodi, e scrivere i testi di alcun poeta (ceco), specie Březina, che appartiene ad un mondo morto e sepolto! Gli stessi garndissimi grafici Váchal e Konůpek e altri della stessa tendenza, compresi i postsurrealisti, sono presi in contropiede dall’opera di Boudník, la quale stravolge e trasforma totalmente la maniera stessa di lavorare il/sul materiale, che è a sua volta modificato e mutato in altro diverso materiale: l’explosionalismo è tutto qui: far esplodere dall/all’interno stesso del proprio pensiero e della composizione del materiale i vecchi metodi grafici e fotografici, per generarne altro, e diverso… un ripartire da uno zero-spazio-tempo soltanto frequentato dall’artista, interiore/esteriore che sia, e potrà essere anche il muro sporco di un recinto o di una vecchia casa della periferia praghese… come si osserva in una foto della metà degli anni ‘50 scattata da Jaromir Pergler, in cui si vede l’artista Boudník grafitare-graffiare una parete (qui c’è ancora la figura!… dall’inizio degli anni ’60 la sua distruzione), e poi abbandonare l’opera al suo destino di autoerosione”.
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Ho fatto una lunga citazione per confermare quanto scritto sopra nel precedente intervento da Linguiaglossa, non certo per una precedenza temporale, quando per avvertire il lettore che già oltre sessanta anni fa il poeta e l’artista sentivano quanto il passato fosse già morto da tempo, e che bisognava cominciare “tra il rancido delle discariche piuttosto che nei salotti del dolorificio manifesto”.
Alla domanda posta in una intervista a (omissis) di portata epocale:
– Quale compito ha la poesia dopo la morte della metafisica e dopo la fine della storia?
ho pensato a ciò che per esempio è successo in Polonia dopo il 1989. E’ successo, secondo alcuni studiosi di letteratura e poesia polacche, che con la “fine del paradigma romantico”, si registra la fine della missione sociale della letteratura e degli scrittori.
Una volta ottenute democrazia e libertà, la letteratura cessa di occupare una posizione privilegiata nella società, vengono meno tanto la sua autorità come fonte di modelli di comportamento e di pensiero, quanto la sua capacità di influire sulla storia. ma anche la storia muore con la morte della metafisica e da storia diventa storie e quindi “storialità”.
Ne deriva una posizione sempre più marginale e secondaria della letteratura nella vita contemporanea, e la trasformazione del ruolo degli scrittori che da vati, profeti e difensori della verità diventano semplici professionisti della scrittura, produttori di libri e narratori di storie.
Ciò non significa affatto non volere più scrivere versi, visto che scrivere è una necessità, significa soltanto ridimensionare le attese degli scrittori, dei critici, dei poeti [segue…]
Poesie kitchen di Giorgio Linguaglossa e Gino Rago
Giorgio Linguaglossa
receipt n. 57327
Lì, nel backstage si sente un gran fracasso
Sono i poeti che lavano i piatti in cucina
Un altoparlante dichiara:
Speed up, clean up, and fix up your devices in just a few simple steps
(traduzione:
Velocizza, ripulisci e ripara i tuoi dispositivi in pochi semplici passaggi)
receipt n. 57329
«La scena della “doccia” in “Psycho” di Hitchcock, film del 1960, è stata ottenuta con 78 differenti posizioni della macchina da presa e 52 tagli di montaggio»
spiegò placido Italo Calvino nel 1978 al poeta marxista Franco Fortini
facendo proprie in qualche modo le osservazioni
del promotore della poetry kitchen
tale Linguaglossa
il quale asseriva che il Green Pass fosse una imposizione totalitaria
prodotto di una dittatura securitaria
Avvenne così che il Linguaglossa ingollò due bottigliette
di Amaro medicinale Giuliani
trasecolò
e venne ricoverato presso il pronto soccorso
dell’Opificio Nazionale dell’ex Pastificio Barilla
dove era in corso una lettura di poeti orfici no vax no tax no fax
Anche il poeta Vincenzo Petronelli trasecolò e barcollò
e anche il pacifico Gino Rago
avvertì
un certo fastidio alla bocca dello stomaco
«Il diegetico però fa rima con aritmetico»,
commentò in un suo verso il primo poeta rivolgendosi
a un tal sarchiapone poeta leghista mentre usciva dal tubo del dentifricio
Mentadent Plus anti placca
dicendo:
«This is an advertisement»
(2020)
Giorgio Linguaglossa
receipt n. 57323
Il tram chiamato Desiderio si è scontrato con l’autobus chiamato Impossibile
L’asciugamani è quella cosa su cui il vento si asciuga le mani
L’attaccapanni è quella cosa su cui si appendono gli abiti
L’accalappiacani è quella cosa dove ci metti i cani randagi
Il mondo è quella cosa che contiene un insieme di cose dove ci metti altre cose
Gianna mi ha portato una aspirina
Alice mi ha portato un caffè con il latte
Tutte queste sono cose che entrano dentro altre cose
Risposta alla Domanda:
Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica? È solo un gioco di specchi – direbbe il mago Woland – un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio, una collezione di figurine bizzarre, una bizarrerie.
Pomodorini Pachino, un budino made in Italy, un crumble made in Britain
Il Database prevede una deroga alla mozzarella e ai fondi del PNRR
«Le volpi prima o poi finiscono in pellicceria!»
affermò il mago Woland dopo aver ingoiato un succo di albicocca
Il gufo del Madagascar si dice che vada in sidecar con olio di propilene e olio di fegato di merluzzo
Il gufo del Bengala invece si dice che preferisca Aperol aperitivo analcolico
Tutto ciò
«Outdated conception of what the future will be»
così chiuse la questione il Segretario di Stato U.S. Antony Blinken
(2020)
Gino Rago
Marie Laure Colasson interpella la scultura: l’uccello Petty
posata sopra il comodino a destra del soggiorno
dell’appartamento in affitto sito in Roma, Circonvallazione Clodia n. 21
accanto ad un volantino color turchese
e una molletta per i panni.
L’uccello Petty:
«Egregio critico Linguaglossa,
la informo che
la “Bestia” di cui parla il Conte di Kevenhüller
l’ho catturata io, è un sedicente poeta elegiaco,
una vera canaglia,
le cui auto pubblicazioni oscillano fra lo “Specchio” Mondadori
e la collana bianca dell’Einaudi,
l’ho chiusa a chiave nella toilette dell’atelier di Piero Tevini
sito in questo stabile al piano quinto.
Resto in attesa dei 49 milioni di euro a suo tempo trafugati
dalla Lega lombarda di via Bellerio;
mi sto preparando
per la cerimonia della targa all’ex Presidente della Repubblica
Carlo Azelio Ciampi …
ma che è che non è la squadra omicidi del commissariato del dott. Ingravallo
ha manomesso il nome deturpandolo,
allora la sindaca dell’Urbe,
la Raggi,
ha reclamato essere stata oggetto di un complotto
ordito dalla Lega lombarda e da Fratelli d’Italia per detronizzarla
dalla carica di sindaco
e far decollare la candidatura della leghista Irene Pivetti
– l’ex Presidente della Camera dei deputati –
per le elezioni del sindaco di Roma Capitale
e così infliggere un colpo mortale ai 5Stelle.
Il Conte di Kevenhüller
ha già ordinato alla Tesoreria Generale della Banca d’Italia
di corrispondere 49 milioni di euro
a chi colpirà la “Bestia”,
somma che verrà corrisposta al Regio Cassiere
don Antonio Porta
per il tramite del direttore dell’Ufficio Affari Riservati
di via Pietro Giordani, 18.
Allora, accade che il pentastellato Lucio Mayoor Tosi
abbia contattato il filosofo Žižek
il quale ha appena affibbiato un ceffone in pieno viso
al segretario della Lega lombarda,
tale Salvini,
ben noto al commissariato del dott. Ingravallo
in quanto reo di aver baciato in pubblico il rosario
della Madonna Santissima Addolorata
dopo aver deglutito alcuni panini alla mortadella e alla porchetta di Ariccia,
pregandolo di risolvere a suo modo la questione.
Allora, Žižek
ha telegrafato al commissario Ingravallo
intimandogli di sortire fuori dal romanzo
di Carlo Emilio Gadda
e di assumere servizio presso il commissariato della Garbatella
in subordine al commissario Montalbano
il quale ha risolto il caso chiamando in servizio operativo
nientemeno che il filosofo Giorgio Agamben
il quale ha scritto una interpellanza al Presidente del Consiglio Mario Draghi
il quale a sua volta ha ordinato al Generale Figliuolo
di intercedere presso la Santa Sede per via della
Madonna Santissima Addolorata
baciata dal nominato Salvini sul pubblico palco del “Papeete”
quando i sondaggi lo davano al 34%
mentre il nominato chiedeva «pieni poteri» per poter risanare
l’Italia…
La storia non finisce qui, potrebbe continuare, ma noi la vogliamo
interrompere qui…».
Sarà quel che sarà, ai posteri l’ardua sentenza.
(da Storie di una pallottola e della gallina Nanin, 2022)
di Gino Rago
Giorgio De Chirico guida il taxì
Duchamp espone l’orinatoio a Trinità dei Monti
Ennio Flaiano ci fa la pipì
Italo Calvino prende al volo un colibrì
Moravia prende un caffè al Caffè de Paris
Il poeta della linea lombarda non sa l’abbiccì
Il critico della linea romana dice sempre “altresì”
Il direttore dell’ “Avvenire” dice: “Sono qui se non sono lì”
È un disastro
Il Presidente del Consiglio ha disposto per decreto la rima in “i”
Mario Lunetta scappa dall’aldilà ed entra nel “Notturno n. 14” di Madame Colasson, dice: “Tutti i matti sono lì”
Il sindaco di Roma Gualtieri esce dal detto acrilico tutto vestito di blu
E invita l’uccello Pettì al Caffè de Paris
(inedito, 2023)
STELLE NANE
Rubagalline rubacuori sperperano la palude
delle due l’una: Penelope o l’epidermide
per agevolare la via di fuga della radio
Il libretto delle istruzioni ha la parrucca
nel parcheggio dei carri armati scavano le liane
tutti gli sciamani attorniano il juke-box
La luna di metallo è seduta a capotavola
i borbottii sono rinchiusi nella botola
lo screenshot storpia in continuazione lo skyline
Il mattino si separa dal cornicione
e a centrocampo nasconde la palla ai gendarmi
da qualche parte una sirena spaventa gli acquerelli
Sulle giunture dei solstizi sopravvive il baobab
la brillantina testimonia la vivibilità del territorio
un nido di ghiaia frantuma stelle nane
Le rotatorie sciupano il cielo dei violini
un set di bicchieri si incatena ai cancelli dell’Olimpo
gli stalli del centro commerciale anneriscono i garofani
La poesia kitchen è diretta in rotta di collisione contro il muro del rumore delle parole, eretto dall’homo sapiens per chissà quale veredizione tanto tempo fa. È che in questa condizione ontologica il poeta di oggi non ha altro scampo che tentare di picconare quel muro per provare a vedere che cosa c’è là dentro, là dietro, frangere il tegumento delle parole per vedere che cosa c’è dentro l’ovetto Kinder…
Scrive Le Clézio:
«Abbiamo voluto dimenticare il fatto che il mondo linguistico è un mondo totale, totalmente chiuso; non ammette compromessi, non ammette condivisione. Dal momento in cui vi siamo penetrati, non ci è più possibile tornare indietro, verso quell’altro mondo, quello del silenzio».1
1 J.M.G. Le Clézio, La torre di Blabele , in P. Barbetta, E. Valtellina (a cura di), Louis Wolfson. Cronache da un pianeta infernale, Manifestolibri, Roma 2014, p. 101»
«Dobbiamo prendere atto che il mondo linguistico è un mondo totale, totalmente chiuso, un mondo concentrazionario che ammette tutti i compromessi possibili in quanto ammette ogni condivisione ma ammette anche tutti i contrasti possibili. Dal momento in cui vi siamo penetrati, ci è possibile tornare indietro soltanto mediante l’immaginazione, verso quell’altro mondo, quello dell’immaginazione e dei sogni. Siamo condannati ad andare avanti a tentoni, verso il rumore delle parole. Quelle assurde, insignificanti, plurisignificanti, impostore, fasulle, farisaiche, nauseabonde…»
Complimenti a tutti i poeti che hanno vivificato questa pagina con le loro composizioni, tutti molto bravi e tutti diversi gli uni dagli altri.
Preparatevi per la prossima Antologia del 2023
Premere per Poesia.
Tocco e scorrimento di parole scritte.
Poet painter.
Sabato del villaggio.
Margherite.
Alla ho di ‘ho detto’, qualcosa di pertinente.
Ho, geroglifico carta zucchero non le rispondo
vicino all’orecchio. Detto. Niente Tris.
Me ne dia un altro.
Domenica d’agosto. Quattro ermellini. Vodka.
Luna senza frontiere.
LMT
caro Lucio,
la noesi della tua composizione è una tecnesi, giacché di vera e propria «composizione» si tratta, cioè di un «compostaggio» di elementi frastici disparati e dis-connessi che provengono dall’esterno, dalle periferie, da direzioni diverse e allotrope verso un «centro» che, semplicemente, non c’è. Mentre nella poesia elegiaca tradizionale il «centro» c’è, eccome, ed è l’io esperiente che coincide sempre con l’io empirico, con la persona fisica del poeta, nella tua «poesia compostaggio» non v’è alcun «centro» e neanche tanti «centri», non v’è nulla di alcunché, il «centro» è un buco vuoto all’interno del quale tutto sprofonda e scompare, una sorta di buco nero (o buco bianco?). Così, in quegli spazi bianchi tra un verso e l’altro, proprio lì si celano le parole (forse significative) che però non sono pronunciate (non sono state trovate), in quegli spazi bianchi delle interlinee ci sono le parole bianche che però non compaiono, quasi che una forza invisibile le abbia cancellate o rimosse; ed è proprio lì che si nascondono le parole (forse) significative che tu non vuoi (o puoi) intercettare, di quelle parole forse sono rimaste delle tracce, delle orme evanescenti, che tendono ad evaporare… così tutta la «composizione» tende ad evanescere, tende a vaporizzarsi nel nulla delle parole pronunciate e di quelle non pronunciate, perché, penso, nel tuo concetto di registro linguistico non si danno parole significative (del vuoto) né parole non-significative, tutte le parole, tutti i frasari sono equivalenti nel loro essere sostanzialmente l’equivalente del niente, ni-ente, e questo è il corrispondente speculare del tuo pensiero, il tuo modo di intendere la «poesia» e il «mondo» come speculari del «ni-ente», di un «non-ente», corrispondente speculare del vuoto e del nulla di cui il tuo pensiero poetico condivide la ratio (non penso, dunque sono). In tal senso, la tua poesia del fuori-senso o del non-senso intende il significativo (se così vogliamo dire) proprio in quelle parole non pronunciate che hanno abbandonato gli spazi vuoti delle interlinee.
Caro Giorgio,
ti ringrazio, le tue considerazioni mi sono utilissime, come sempre. Le mie parole sono sassi trovati lungo la via, quel che conta è la solitudine del passaggio e della raccolta. È arte povera, quasi “Land art”, che è intervento sul paesaggio naturale, per noi linguistico; hanno carattere effimero, ma sono scelte per poter stare dentro una griglia, in ordine estetico che definirei “sacrificale”, di felice rinuncia. Poesie francescane, quindi, di pura esistenza e nessun significato oltre al semplice esistere (assistere) – di un monte, un grande magazzino, una giornata di pioggia, ecc. – Hanno a che fare con l’evento di parole non ancora versi, o non più versi. Non sono guidate da immaginazione ma la creano… Sì, le parole stesse, dove cadono, creano presenza attiva, si ripercuotono (cerchi nell’acqua), ma hanno la sostanza dei messaggi non decriptabili, il prendere o lasciare di spot pubblicitari; che però sono la nostra esistenza. Nascono dal pensare premeditato, lavorativo, ma ogni pensiero deve accomodarsi nello stile nominale, quindi ridursi a niente. I segni del passaggio sono resi evidenti da l’intercalare parlato, la parte prosaica. Troppo spesso parliamo parliamo, e scriviamo scriviamo, senza renderci conto della meraviglia di poter nominare. Mi piace pensarmi erede di Basho (niente meno!), portatore di quel background filosofico.
In questa poesia ho tratto ispirazione dalle slot machine.
«Una bottiglia di latte o un passaporto recano una data di scadenza, i mobili d’antiquariato i vini pregiati comportano tra le loro proprietà interne il fatto di essere vecchi, distinguiamo le persone anziane dai malati… i ruderi hanno valore solo in ragione del tempo di cui sono testimonianza…».1
La poesia “Alba” (da Il passaggio d’Enea, 1956) di Giorgio Caproni e la poesia di Patrizia Cavalli “Cosa non devo fare” (1947 – 2022, Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974) recano, come ogni prodotto storico, in sé impressa una data di scadenza. (Giorgio Caproni – 1912-1990 – appartiene alla Terza generazione, insieme ai poeti Mario Luzi, Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni). Caproni fa un genere di discorso poetico che ha cessato di parlare ai contemporanei di oggi, che ha cessato di essere significativo, il loro valore è quello di un «rudere» che ha significato solo in ragione del tempo trascorso di cui sono «testimonianza». Una poesia diventa «rudere» quando cessa di essere significativa per i posteri, cioè di veicolare «valore». Il fatto che in seguito Caproni abbia cambiato strada con il Conte di Kevenhüller (1986), e Res amissa (1991), non è senza significato, Caproni ha avuto il merito di innovare la sua poesia e di fare un passo in avanti; al contrario, invece la Cavalli ha continuato per cinquanta anni a fare quel genere di scrittura poetica che ha avuto tanta fortuna, ma oggi quel genere ci appare un «rudere» di un momento storico caratterizzato dalla svolta «privatistica» e «intimistica». Il tempo è il vero critico delle opere d’arte.
1 Maurizio Ferraris, Emergenza, Einaudi, 2016, p. 31
Una poesia come questa di Caproni, che inizia con “Amore” e finisce con “Morte”, nel mezzo, non ha scampo. La poesia di Giorgio, che inizia con “Come arredare una parete bianca e noiosa?” e finisce con “Highway”, ha nel mezzo infinite possibilità. Ma, a mio parere, funziona meglio senza immagine, perché didascalica. Il rapporto tra parola e immagine è cosa complessa e andrebbe approfondita (con vuoto di memoria e scostamenti kitchen?). Ma fino ad oggi, è stato fatto solo dalla pubblicità – che in arte è come il diavolo.
Un altro esempio di poesia elegiaca
Roberto Carifi (1948-2018)
Grazie per la parola
che ancora accendi nel mio cuore,
per quel raggio che dal bene
hai ricevuto in dono
e che nel mio abbandono
lasci che nasca
come fosse grano in un deserto,
per quella tua bellezza,
per l’orma divina del tuo sguardo,
per quella tua dolcezza che vorrei baciare
come si bacia l’innocenza,
inginocchiato davanti alla tua anima
quando una lieve ombra
la lascia affiorare sulla carne,
per quello che chiami il tuo peccato,
per il tremore che turba la tua voce
quando mi dici l’indicibile
e lasci l’impronta dell’amore
in questo cuore arato.
Ecco un’altra poesia tutta vergata e vissuta lungo le linee elegiache delle tonalità. Innanzitutto, la positura del poeta che ringrazia: «Grazie per la parola», dando per scontato ciò che scontato non è, cioè che la «parola» sia realmente avvenuta; e poi il tono da salmodia, di preghiera, con quel tanto di sottofondo di compiacimento dell’autore per essere stato visitato dalla Musa. Si tratta di una narrazione della visita che la Musa ha concesso al «poeta»: per una «parola» ricevuta per grazia et amore dei, per il candore dell’anima del «poeta», il piano fonosimbolico è quello del salterio, della preghiera più vicina alla liturgia religiosa che alla forma-poesia del novecento. Infine, tutto quel parlare a vanvera e in astratto tanto per colpire il lettore con parole altolocate e misteriosofiche: «bellezza», «anima», «peccato», «indicibile», «dolcezza», «innocenza», «abbandono», «baciare», «bene», «dono», «amore»… Tutto un repertorio di stereotipi del poeta buono e bianco che ha avuto in «dono», lui solo, la «parola» dalla Musa. Una teosofia raccapricciante.
È chiaro che qui siamo davanti ad una vera e propria “Annunciazione” della Musa che si presenta dinanzi all’ego spropositato del «poeta» , il quale visitato dalla Musa deborda dagli argini dell’io «inginocchiato davanti alla tua anima» e invade il mondo con il proprio « cuore arato». Insomma, il solito dolorificio permanente dell’elegia che ci confeziona un quadridimensionalismo teosofico che sconfina con il pauperismo e il banalismo, con un populismo travestito di bianco dell’anima nobile e nubile che attende il mistero della Annunciazione.
Uno spettacolo davvero indecente.
Gli esseri umani posti in determinate situazioni percepiscono una certa rarefazione, un assottigliamento delle essenze, delle cose, quello che Heidegger chiama il nulla (Nichts), una dis-proprietà, una sorta di tonalità di fondo (Grundstimmung) del loro essere-nel-mondo, uno stato emotivo proprio della nuova poesia. Il “nulla” (Nichts) sarebbe il vero motore non visibile della nuova poesia.
Se leggiamo la prima strofa di una poesia di Marie Laure Colasson scritta prima del suo incontro con la poetry kitchen, nel 2019, ci troviamo di fronte ad una serie di tocchi da pittrice, ad un quasi impressionismo post-lirico:
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe
Les oiseaux
Flèches du ciel
Tanti tocchi che introducono ad una tonalità emotiva, ad un concerto di suoni e di parole che non hanno alcun rapporto tra di essi, ma che, tutti assieme costituiscono una «questità di cose», quella cosa complessificata che conforma una Grundstimmung, una tonalità emotiva di fondo. Ed è appunto questa la caratteristica della nuova poesia. In realtà questo «Nulla» è pieno di cose, di momenti, di esperienze, di sensazioni, di cose di cui non sapevamo di sapere.
Marie Laure Colasson
(trad. di Edith Dzieduszycka)
Roulement de tambour
La pluie
Une fleur rouge
Ses pas verts
Un envol cinématographique
Entre deux hommes
Un mort un vivant
Si différents
Comparaison confusion
Charlotte enfourche son Harley Davidson
S‘échappe
Les oiseaux
Flèches du ciel
Revêtent leurs combinaisons spatiales
Pour affronter les astres
“fleurs de nénuphars”
Dans la poitrine
Zaza enfile des vérités
Comme des perles
Avec humour
Sœur Candida de la perversion
Droguée de Sporanox
Pourtant la nuit …………
L‘astrophysicien
Observation au télescope
Couleurs et ombres
Changeant selon les heures
Se gratte le crane
Barbara et Rimbaud
Un voyage à travers les océans
“ allèrent (….) à la plage
Et firent beaucoup d ‘ enfants “
Langueur et envolées des violons
Cristallisations les yeux clos
Méditation de Massenet
Miss vitamines
A B C D E
Quatre-vingt milliards de probiotiques
Transformation subite
En poupée gonflable
Rullio di tamburo
La pioggia
Un fiore rosso
I suoi passi verdi
Un volo cinematografico
Tra due uomini
Uno morto uno vivo
Così diversi
Confronto confusione
Charlotte cavalca la sua Harley Davidson
Scappa
Gli uccelli
Frecce del cielo
Indossano le loro tute spaziali
Per affrontare gli astri
“fiori di ninfea”
Nel petto
Zaza con umorismo
Infila verità
Come fossero perle
Sorella Candida della perversione
Imbottita di Sporanox
Però di notte………
L’astrofisico
Osservazione al telescopio
Colori e ombre
Mutanti a secondo delle ore
Si gratta il cranio
Cambiano secondo le ore
Si gratta il cranio
Barbara e Rimbaud
Un viaggio attraversando gli oceani
“si recarono (…) in spiaggia
E fecero molti figli”
Languore e voli di violini
Cristallizzazioni ad occhi chiusi
Meditazione di Massenet
Miss vitamine
A B C D E
Ottanta miliardi di probiotici
Immediata trasformazione
in bambola gonfiabile
La reazione a questa «zona neutra», di «indifferenza», di «cinismo», di «scetticismo» e del «fatti i fatti tuoi» che ha invaso il Paese chiamato Italia
La vittoria di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico è un segnale di riscossa a questa situazione di compromissione a questa fenomenologia della «zona neutra», della «indifferenza», del «cinismo», dello «scetticismo» e del «fatti i fatti tuoi», in cui non c’è né sinistra né destra, una zona di «disimpegno», di «privatismo» e di «tribalismo». Quanti film, quanti romanzi, quanti libri di poesia trattano questioni privatistiche dal punto di vista tribale della mia tribù il cui modello è la telenovelas e la chat? La nuova fenomenologia del poetico e la poetry kitchen (anche se interessano una esigua minoranza) sono segnali di una reazione e di una «rottura» radicali con questa «zona di compromission», contro questa «indifferenza», «cinismo», «scetticismo», contro questa filosofia del «fatti i fatti tuoi», questo «malcostume» che è diventato una endemia antropologica e psicopatologica. L’impresa di una «reazione» non è facile perché ci troviamo e ci troveremo sempre più a dover fare i conti con una manifesta ostilità, sordità, indifferenza e cinismo prodotto di tutte quelle istituzioni, individualità, lobby e gruppi di interesse che si sono sedimentati in questi ultimi decenni in Italia e che hanno determinato questa lunghissima stagnazione della vita quotidiana, politica e civile del Paese.
Scomparsi Pasolini e Fortini, la politica del «cassetto cultura» di quelli che una volta si chiamavano «intellettuali», si è tramutata in una politica di auto legittimazione delle consorterie più influenti. Ad esempio, l’ultimo oppositore di questo malcostume letterario, il poeta Mario Lunetta (1939-2017), è stato rimosso, con plauso generale, dalla storia del cassetto poesia; una grande poetessa, Maria Rosaria Madonna (1940-2002), è come se non fosse mai esistita.
In Italia negli ultimi cinquanta anni ci sono state svariate politiche estetiche (non belligeranti, anzi cooperanti) prodotto di singole istituzioni (Case editrici, Università, riviste di cultura, gruppi di potere politico e istituzionale etc.) che si sono mosse nella logica di estendere quanto più possibile la propria egemonia, o comunque estendere la propria influenza sui target della scrittura letteraria. Così si è solidificata una scrittura narrativa e poetica truffaldina a vocazione maggioritaria parametrata sul basso interessata a silenziare qualsiasi poiesis diversa, nuova o non allineata. È ovvio che in questa situazione il risultato è che si è verificata una stagnazione prolungata e diffusa della ricerca narrativa e poetica con penalizzazione della ricerca del «nuovo» di cui ne hanno fatto le spese le generazioni che si sono succedute dagli anni settanta ad oggi.
Non basta dire come fa Cesare Viviani che «la poesia è finita», se poi non si indica quale «poesia» e quali autori sono «finiti», che magari continuano a scrivere e a pubblicare nel «cassetto poesia» inquinando quel «cassetto» e rendendolo irrespirabile; così ci si acconcia ad una «falsa coscienza», quella falsa coscienza che è diventato un «malcostume» tutto italiano e tutto impolitico. «Odio gli indifferenti» scriveva un grande italiano, Antonio Gramsci; uno dei più grandi romanzi italiani del 900 ha per titolo Gli Indifferenti (1929) di Alberto Moravia. Fatto sta che siamo diventati tutti indifferenti, cinici, scettici e anche il cassetto della produzione letteraria non fa eccezione, è speculare alla indifferenza della vita quotidiana che spartisce democraticamente le responsabilità tra l’«aggressore» e l’«aggredito», entrambi colpevoli ed entrambi responsabili, soprattutto gli «aggrediti» che hanno osato difendersi.
Il PD ci ha ormai abituato a finte rivoluzioni. Come anche la destra. Realismo o servilismo?
La poesia di Lucio Mayoor Tosi e il relativo commento di Giorgio Linguaglossa offrono idee preziose. Si è sempre detto in queste pagine che la poesia kitchen è ( s)composta da frammenti in movimento centrifugo,la mancanza di un centro ne è la conseguenza , il movimento nella poesia elegiaca è centripeto. La poesia di Lucio Mayoor Tosi è un esempio di ready made con in più il buco nero di cui parla Giorgio Linguaglossa , buco in cui precipita il non detto,il non trovato,il non esistente.Come nei film sperimentali nei quali compare a tratti un fotogramma completamente nero.