Lucio Mayoor Tosi, Uomo in bicicletta sotto la neve, 2023, opera digitale
.
Risposta alla Domanda:
Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica?
La «nuova poesia» crea le sue «nuove» categorie ermeneutiche. La «nuova poesia» è nient’altro che «una messa in scena» con annesso e connesso la abolizione del simbolico e del sublime. La sublimazione presuppone la rimozione, è per questa ragione che la «nuova poiesis» avendo abolito la sublimazione può fare a meno, correlativamente, anche della rimozione. Una volta libera da queste due estremità la «nuova poiesis» può estendersi sulla superficie della estimità, essendo libera anche della intimità o interiorità che della rimozione ne è storicamente il prodotto alienato e contraffato.
La nuova fenomenologia del poetico, la poetry kitchen, si muove all’interno di una zona di interoperabilità tra gli oggetti (interni e esterni) e gli attanti, una zona di discretizzazione di tutte le funzioni della trasduzione, essendo la trasduzione nient’altro che il processo di trasformazione (interoperabilità) degli elementi che non esistevano prima che prendesse luogo il rapporto di trasduzione; è solo un gioco di specchi – direbbe il mago Woland – un gioco di scacchi, di fuochi d’artificio, una collezione di figurine bizzarre, una bizarrerie. La «nuova poesia» preferisce la folla e il rumore al silenzio ovattato della poesia elegiaca e del romanzo memoriale, è affollata in modo assordante dalla presenza del «mondo», in essa si assiste al «mondeggiare» del mondo e al «coseggiare» delle cose con tutte le loro acrobazie e follie; heideggerianamente, c’è la presenza della «terra», con tutta la sua pesantezza e voluminosità che ingombra. Le funzioni poetiche diventano così meri espedienti. E gli espedienti diventano meri scambi di interoperabilità degli elementi del rapporto trasduttivo.
Che altro è l’espediente della «pallottola» che nella poesia di Gino Rago attraversa ampi spazi e svariatissimi personaggi di plurimi tempi se non una relazione trasduttiva, un colloquio costante con la morte?, con la sua presenza ingombrante?; che altro sono gli inciampi linguistici e gli shifter, gli scambi di binari semantici di Francesco Paolo Intini se non l’ossessione della pulsione di morte dei significati convalidati dalla pratica sociale?, che cosa sono quei «pendeloques» (ciondoli) di Marie Laure Colasson se non manifestazioni del «mondeggiare» degli oggetti ovunque si volga lo sguardo?, quel «mondeggiare» che avviene in una condizione di assenza di orizzonte?, anche le «descrizioni» di Vincenzo Petronelli in realtà sono espedienti che portano fuori strada il lettore, interpretano una variante di quel «mondeggiare» privo di mondo e di orizzonte che è nient’altro che la nostra epoca glocale. Secondo il filosofo marxista Slavoj Žižek la freudiana pulsione di morte deve essere adottata quale categoria centrale del capitalismo, una categoria che si è internalizzata ed è diventata una adiacenza del mobilio psichico. La pulsione di morte abita il cuore del capitalismo odierno. La poetry kitchen è ossessionata dalla presenza di questa pulsione di morte che tenta di esorcizzare con un caleidoscopio di immagini, di figure, di icone, di avatar e di situazioni ultronee, ma si tratta pur sempre di un esorcismo, di una magia bianca in realtà la pulsione di morte è la protagonista assoluta della poesia kitchen che avviene mediante una «messa in scena» che avviene all’interno di una relazione di trasduzione che converte gli estremi in, come dire, estimità internalizzate.
La pop-poesia kitchen può essere letta da chiunque eserciti una professione utile ma non da un impiegato della pseudo cultura: un negoziante, un orologiaio, un barista, un bambino, chiunque tranne che da un letterato.
«Noi figli degli anni più belli», recita la pubblicità di Facebook. È vero, adesso noi, figli degli anni più belli abbiamo tra le mani un linguaggio di rottami, di rifiuti, di remainders, ed è con questo lessico che dobbiamo puntellare le nostre capanne per l’inverno che verrà. In distici, in tristici o in quadristici il kitchen è un discorso sulla tristizia del linguaggio de-politicizzato e privatizzato che usiamo tutti i giorni. Il fatto è che quel linguaggio si era decomposto già da tempo, il fenomeno era già da tempo sotto i nostri occhi, ma non volevamo vederlo. La decostruzione è già avvenuta e avviene continuamente tutti i giorni e tutti i momenti ad opera delle Agenzie emittenti dei media che emettono vomito linguistico profumato in miliardi di esemplari. Ma, gratta gratta, resta vomito. Così, ogni discorso diventa un percorso kitchen ad ostacoli.
Bisognerà chiedersi se la museruola lasciata al bulldog rientri nel silenzio dell’Essere. Andiamo tutti in giro con una museruola, solo che non ce ne accorgiamo; diciamo frasi fatte, frasi obbrobriose e intonse per la loro insignificanza. Tutto ciò «nel silenzio dell’essere». Non è drammatico se non fosse comico? Drammatico e demiurgico e demoscopico con un algoritmo che decide del nostro linguaggio de-politicizzato profumato all’aloe. È che «l’essere svanisce nell’Ereignis», «l’essere svanisce nel valore di scambio», ha scritto più volte Heidegger. Davvero, delle frasi così potrebbe sottoscriverle anche un filosofo marxista, e magari verrebbe tacciato di estremismo infantile. E invece le ha scritte Heidegger.
(Giorgio Linguaglossa e Marie Laure Colasson)
Come arredare una parete bianca e noiosa?
Qui ci metto un semaforo, sotto, un tavolino giallo con una tazza da caff… twitter.com/i/web/status/1…—
Giorgio Linguaglossa (@glinguaglossa) March 16, 2023
Marie Laure Colasson
Poesia n. 34 della raccolta Les choses de la vie (Progetto Cultura, 2022).
34.
Des pendeloques en or et en cellules d’apocalypse
se dessinent sur le visage de Petr Král
Kandinsky et Klee combat de pensées sous presse
refusent de se fourrer des pois chiches dans le nez
Voltige de mouettes dans la cuisine
se ruent sur les épluchures et la poignée du réfrigérateur
La blanche geisha se parfume à l’acide acétique
ne laissant aucun reflet dans le miroir
Eredia et Kantor poursuivent leur route
contre l’ingérence en construisant des emballages
Král Kandinsky Klee Kantor mettent en scène la blanche geisha et Eredia
créant l’impensable et l’impossible
La débauche terminée les mouettes
laissent des empreintes sur la sable
Des rides sur la mer
des cris et de funestes cercles dans le ciel.
*
Ciondoli in oro e in cellule d’apocalissi
si disegnano sul volto di Petr Král
Kandinsky e Klee combattimento di pensieri sotto la pressa
rifiutano di ficcarsi dei ceci nel naso
Volteggiano dei gabbiani nella cucina
si affollano sulle bucce e la maniglia del frigorifero
La bianca geisha si profuma all’acido acetico
senza lasciare alcun riflesso nello specchio
Eredia e Kantor proseguono la loro strada
contro l’ingerenza mentre costruiscono imballaggi
Král Kandinsky Klee Kantor mettono in scena la bianca geisha e Eredia
creano l’impensabile e l’impossibile
Finita la deboscia i gabbiani
lasciano delle impronte sulla sabbia
Delle rughe sul mare
delle grida e dei cerchi funesti nel cielo
Mimmo Pugliese
Il tango ha i capelli ricci
Hai nascosto le parole dietro i denti della pioggia
le matite accanto ai gatti sugli scafali del metaverso.
La memoria degli aghi di pino
bussa alla catatonia del polonio.
Sulle sbarre di sabbia diventa latte il ritorno
girato l’angolo è magro il fruscio del segnalibro.
Tra virgole d’asfalto si riposano gli elefanti
sorvolano il sudore i citofoni delle banche.
La giacca di flash-back centrifuga bustine di thè
su ponti inesistenti resistono passeri rampanti.
Non ti hanno visto partire
erano spenti i semafori.
Ha capelli ricci il tango uscito dallo specchio
ZZzzz…ZZzzz… video in riconnessione…..
Fuori è pomeriggio
Il pomeriggio che abbaia
si perde dietro all’eco del labirinto
Un rumore di motori scende dai tetti
innervosisce le briciole, scompone il vento
Nella fessura degli armadi
la luce bagna impermeabili nuovi
Quando la collina naviga nella pioggia
sono àsole le canne sulla strada
Alberi che non ti sono mai piaciuti
sciolgono gli intrighi delle onde
Ha dita di sale la botola
che scrosta i muri alla fine del fiume
La traiettoria del sonno si lascia dietro
scarpe e cifre smaltate sulla camicia
Mordono la luna gli storni
mentre parli ai cani della vendemmia
Francesco Paolo Intini
MARLIN
Ci sono missili che fanno la spesa al supermercato
Comprano nature morte senza copyright.
E intanto che nel nervo X si elencano le sinapsi da bloccare
Bartolomeo Colleoni segna un punto nella partita a golf
Ma forse non c’è stato e dunque il fegato chiude il coledoco
dopo la pestilenza , subito dopo Pasqua, oppure prima della Lotteria
Anche ora che la minaccia sembra sepolta
I contromissili di questa parte mostrano grossi sigari dalle ogive.
Ci sarà come trovare aria pura negli intestini
Penetrare da qualche altra parte e respirare nel duodeno.
Nell’attesa che il pancreas blocchi il dotto
Una gru parla in Televisione di una foglia
Che si secca di scendere giù dall’ albero.
Rallegra un Marlin con la testata bionda
Più della moglie appena uscita dal parrucchiere
CARO DESTINO
C’è un destino sul fondo del tegame
Ne parla Tiresia su richiesta di Re Nasone
La condizione umana coperta di teflon
E la Sfinge che torna al suo quiz:
Quale caffè dopo il postmoderno?
Diresti che il pranzo è servito e il ragù galleggia sul Tg
Chi alza la mano per spostare un bicchiere
giura d’aver visto l’angelo ma un bagnino lo convince
che raccogliere bollini è il Bene dell’umanità.
Gazze e corvi continuano a beccarsi.
La peste diffonde le sue idee nell’intestino crasso.
C’è un’appendice che s’infiamma
Un’idea, l’immortalità del moplen
che scuote come un T-rex nell’ano.
La stessa carne esposta ai pesci
E dunque che vale spogliarsi di bianco
Rendere al blu le bare?
E’ un affaccendarsi di notai ed eredi al letto di morte.
Ah ma se facciamo firmare una Guernica
Finisce che la cornice ci fa causa!
La linfa sale alla testa del verde
Quanti giri fanno i sanfedisti?
La vista del mandorlo si annebbia
La lingua ingrandisce l’ascessi a spese del dentista cieco.
Affini! Macchinisti!
Grida Antigone che si sbellica dalle risate
scambiando Creonte per l’onorevole Trombetta.
Lucio Mayoor Tosi
Primo pomeriggio
Un sottopentola, o tovaglietta. Di paglia, un po’ sfrangiata ai bordi.
Per forza di colore bordò. Chiaramente usata.
Anche farsi una sigaretta. Tavolo con casamenti per l’intero universo.
Nessun profilo, tutte le cose messe di fronte.
Quando d’improvviso. / E’ l’ora dei nani, tre quattro mosse
in paradiso di coscienza. E lì scavare, scavare.
Grigio, colore dominante. Acqua di colonia. Blu e nero
il monitor confinante col cimitero.
Un campo di luce più ristretto di quello del sole. Ora
primo pomeriggio. Raggi dal sottosuolo bene attivi.
Fermo come impalcatura ascolto. Se cuore e bellezza
siano confinanti.
«Confina con me. Il sottopentola» dissi. Quindi lei
sbattè la porta. E giurò di non vedermi mai più.
L’importanza di ogni cosa è misurabile scandendo
ogni sillaba del prontuario “Nuovo tempo”. Metodi
per il soccorso giornaliero. Homo sapiens. Prima
del digiuno. Lui e la sua coorte di oggetti.
Una poesia, quella di Lucio Mayoor Tosi, che sopravvive priva di alcun principio gerarchico, direi anarchica, con un metro polisillabico in distici che sta lì come una sentinella armata; ma armata di che?, di nulla, direi, perché la poesia è costruita senza alcuna costruzione (costrizione), sembra nata già decostruita, già rottamata e buona per la pattumiera del non riciclo. Sembra quasi che l’autore di Candia Lomellina si diverta a produrre scarti non riciclabili, scarti inquinanti ma non tossici, scarti che aggiungono inquinamento a inquinamento, così, giocando spensierato e alleggerito da tutti i pesi, perché l’importanza di ogni cosa (non) è misurabile, e l’homo sapiens se ne sta lì «Lui e la sua coorte di oggetti». (g.l.)
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, nonché nella Agenda Poesie kitchen 2023 edite e inedite Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume saggistico di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Tomas Tranströmer
da La lugubre gondola (1996)
I
Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande
insieme alla donna irrequieta che è sposata con il re Mida
quello che trasforma tutto ciò che tocca in Wagner.
Il verde freddo del mare penetra attraverso i pavimenti nel palazzo.
Wagner è segnato, il celebre profilo da maschera1) è più stanco di prima
il volto una bandiera bianca.
La gondola è gravata dal peso delle loro vite, due biglietti di andata e ritorno
e uno di andata.
II
Una finestra del palazzo si spalanca e si fanno smorfie alla corrente improvvisa.
Fuori sull’acqua compare la gondola dell’immondizia spinta da due banditi con un solo remo.2)
Liszt ha buttato giù alcuni accordi, così pesanti3) che dovrebbero essere mandati
all’istituto mineralogico di Padova per l’analisi.
Meteoriti!
Troppo pesanti per trovar quiete, possono solo sprofondare sempre di più
dentro il futuro giù
fino agli anni delle camicie brune.4)
La gondola è gravata dal peso delle pietre del futuro rannicchiate.
Sguardi5) sul 1990
III
25 marzo. Inquietudine per la Lituania.6)
Ho sognato che visitavo un grande ospedale.
Niente di personale. Tutti erano pazienti.
Nello stesso sogno una bambina appena nata
che parlava con espressioni compiute.
IV
Accanto al genero che è uomo del suo tempo Liszt è uno sciupato grandseigneur.
È un travestimento.
L’abisso che prova e respinge tante maschere ha scelto proprio quella per lui –
l’abisso che vuol far visita agli uomini senza mostrare il suo volto.
V
L’abate Liszt è abituato a portarsi da solo la valigia nel nevischio e sotto il sole
e quando un giorno morirà nessuno lo aspetterà alla stazione.
Una tiepida brezza d’un generoso cognac lo rapisce nel bel mezzo di
un compito.
Ha sempre dei compiti.
Duemila lettere all’anno!
Lo scolaro che scrive cento volte la parola sbagliata prima di poter andare a casa.
La gondola è gravata dal peso della vita, è semplice e nera.
VI
Di nuovo nel 1990
Ho sognato che avevo guidato per duecento chilometri inutilmente.
Poi tutto si fece grande. Passeri grossi come galline
cantavano in maniera assordante.
Ho sognato che avevo disegnato tasti di pianoforte
sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti.
I vicini venivano ad ascoltare.
(trad. Gianna Chiesa Isnardi, Sorgegondolen, Herrenhaus, 2003)
Altre poesie
SULLA STORIA (PARTE V)
Fuori, sul terreno non lontano dall’abitato
giace da mesi un quotidiano dimenticato, pieno di avvenimenti.
Invecchia con i giorni e con le notti, con il sole e con la pioggia,
sta per farsi pianta, per farsi cavolo, sta per unirsi al suolo.
Come un ricordo lentamente si trasforma diventando te.
MOTIVO MEDIEVALE
Sotto le nostre espressioni stupefatte
c’è sempre il cranio, il volto impenetrabile. Mentre
il sole lento ruota nel cielo.
La partita a scacchi prosegue.
Un rumore di forbici da parrucchiere nei cespugli.
Il sole ruota lento nel cielo.
La partita a scacchi si interrompe sul pari.
Nel silenzio di un arcobaleno.
Note
1 In svedese Kasper è una maschera del teatro delle marionette, una sorta di Arlecchino.
2 Vi è qui un gioco di parole, intraducibile, tra enarade banditer “banditi a un sol remo” (con evidente allusione al modo in cui i gondolieri spingono la loro imbarcazione) e l’espressione svedese enarmad bandit, letteralmente “bandito con un solo braccio”! con cui si fa riferimento a una slot machine. Ciò, secondo S. Bergsten sottolinea l’aspetto di buffonata da fiera che assumerà il culto di Wagner.
3 L’allusione è probabilmente al fatto che sullo spartito Liszt ha inseriro l’indicazione «pesante».
4 Chiara allusione al fatto dall’ideologia nazista della figura e dell’opera di Wagner.
5 Letteralmente, in svedese glugg (plurale gluggar) indica una “apertura” o una “piccola finestra”.
6 Non si dimentichi che dal punto di vista storico i Paesi baltici hanno da sempre rivestito una grande importanza per gli Svedesi. Si consideri inoltre che Tomas Tranströmer, oltre ad avere rapporti personali di amicizia con intellettuali di quell’area, ha dedicato alla distesa del Mar Baltico (quello che al “tempo della grande potenza” [stormakstid], 1630-1721, poteva essere considerato il mare nostrum svedese) l’opera Österjöar (“Mari baltici”, 1974), nel cui titolo l’uso di un plurale apparentemente improbabile vuole invece sottolineare la molteplicità degli elementi naturali e culturali che la caratterizzano.
Commento
Adorno nella Teoria estetica, mette in luce il concetto secondo cui nelle società di massa anche il bisogno di arte non è poi così certo come può apparire, anzi, per il filosofo tedesco il bisogno di arte sembra essere stato abolito, o comunque sostituito con un’arte di massa, ovvero, con il kitsch. Tranströmer è consapevole di questa situazione epocale, comprende che un certo condominio di parole della poesia memoriale e della poesia mimetica è giunto alla fine, che occorre un nuovo sguardo, un luovo linguaggio e nuovi attori.
L’esaurimento di un «condominio di parole» di un’epoca porta sempre con sé l’esaurimento di un certo tipo di poiesis. Per trovare la soluzione a certi problemi stilistici (che stilistici non sono) bisogna sempre tornare ai «maestri», esaminare come loro abbiano portato a soluzione quei problemi stilistici che stilistici non sono.
Del resto il problema viene da lontano. Per esempio, Baudelaire nella stesura de Les fleurs du mal (1857) ha tenuto presente queste implicazioni ed ha fornito il paradigma di un tipo di poesia che internalizzava il kitsch, la merce, il disvalore, nonché il valore e il sublime il tutto in un unico linguaggio composito… Nei suoi appunti critici sull’arte figurativa questa problematica è ben presente; questa «discesa verso il basso» tipica di tutta l’arte moderna è un portato dello sviluppo della società delle merci. Ewa Lipska tiene ben presente questa problematica, anzi, l’ha internalizzata nei suoi strumenti espressivi e l’ha convogliata nel suo linguaggio.
Oggi un’arte che disdegni la «discesa verso il basso», per timore di sporcarsi le maniche della camicia, rischia di periclitare precipitevolissimevolmente verso il basso del kitsch malgrado le nobili intenzioni dell’autore…
Direi anche che un’arte che disdegni di «salire verso l’alto», di rischiare di sfiorare il sublime, rischia egualmente di periclitare con i tacchi a spillo verso il baratro del kitsch malgrado le migliori intenzioni dell’autore.
Così, certe parole si sono già «raffreddate» nella lingua di relazione che non c’è nemmeno bisogno di «raffreddarle» ulteriormente, escono già ibernate dal frigorifero del mondo. Nel raffreddamento universale dell’economia libidica globalizzata parlare di «riscaldamento» delle parole può apparire sommamente disdicevole se non ingenuo.
È questo stare nel mezzo che bisogna riuscire ad attuare, stare nel mezzo, cioè in un non-luogo e toccare i vertici dell’alto e del basso con un linguaggio che coniughi il sordido con l’alto allocato. Questo «stare nel mezzo» è in verità un «non-luogo».
L’autore, Lucio Tosi, scrive su un lato di un parallelepipedo: «uomo in bicicletta sotto la neve», e in effetti non si ha ragione di ritenere che non sia così, solo l’autore può saperlo con certezza, noi, i fuitori dell’opera, possiamo solo immaginare che non sia così o che contenga un ircocervo o un tonno salato o un nanerottolo raggomitolato e imbalsamato, o un toy sex etc., ma è solo l’autore colui che può dirimere tutti i nostri dubbi. Da quando Warhol ha fatto scrivere su una scatoletta di latta che si trattava di una scatola di fagioli, è cambiata la situazione ontologica dell’opera d’arte nella ricezione del pubblico e nel mondo. È solo la parola dell’autore che fa testo, tutte le altre parole di noialtri che non siamo l’autore equivalgono a quintessenza del vacuo. Così, l’opera di poiesis ha esaurito la sua funzione rappresentativa che per secoli aveva accompagnato l’opera d’arte, le opere d’arte del moderno non hanno più alcuna funzione rappresentativa ma solo una funzione nominalistica. Il che, a pensarci bene, è una bestialità.
“Uomo in bicicletta sotto la neve” è un verso-titolo, privo di aggettivi, spogliato di tutto. È un titolo-merce. La scatola potrebbe contenere un dipinto, una fotografia, l’annotazione di un passante, la sequenza di un lungometraggio. Ma la prima interpretazione è che si tratti di un vero uomo in bicicletta, che di certo non può stare in una scatola di Amazon. È un paradosso.
Quindi la domanda è: ma veramente, tutto ciò che facciamo è merce? Se è così, ne siamo davvero consapevoli?
Il ritorno di Odisseo
Lunedì atterra Odisseo all’aeroporto di Itaca
Volo low cost con Itavia
L’Eroe dei due mondi è a mal partito e ha mal di denti
Ha fatto un podcast al ministro Piantedosi, ha richiesto la pensione di guerra che adesso ha cambiato denominazione, si chiama MIA
Un sms da palazzo Chigi
«Lei è un piantagrane, un carico residuale, che è tornato a fare?, se ne stia a zonzo nel mar Egeo, qui non c’è posto per gli attaccabrighe!»
Odisseo però ha avuto una nuova idea, adesso vende fumo in scatola con su scritto “fumo in scatola” e l’ha messo su E-Bay
Minosse ha diffidato l’eroe ad intraprendere un altro viaggio per l’Egeo, ha già fatto tanti guai in quel di Troia!
È intervenuto Dedalo che dopo averlo salutato ha posto le seguenti domande all’itacense:
– Buongiorno!
– Conoscevi i rischi della traversata?
– Come sta la prostata?
– Diomede?, i suoi accalappiatopi di Argo?
– Euriloco?
– Digli che ha dimenticato la giacca sull’attaccapanni della Circe!
– Tutti salvi i tuoi manigoldi?
– Con quella idea del cavallo mi hai surclassato davanti ai posteri!
– Dimmi, quel soldato fannullone, come si chiamava?
– Ah sì, ora lo ricordo…
– Omero?
È questo stare nel mezzo che bisogna riuscire ad attuare, stare nel mezzo, cioè in un non-luogo e toccare i vertici dell’alto e del basso con un linguaggio che coniughi il sordido con l’alto allocato. Questo «stare nel mezzo» è in verità un «non-luogo».
(linguaglossa)
Ne il “Ritorno di Odisseo” di Linguaglossa vi sono atmosfere che mi ricordano alcuni poemi del poeta ceco Vladimir Holan specialmente negli ultimi versi… dove in stanze circoscritte dai propri pensieri “metafisici” intavola discorsi dialettici coi suoi filosofi e poeti preferiti, quasi tutti del nord-Europa, dove in effetti si origina una sublimazione del pensiero in discorsetti quotidiani, spiccioli.
Su Linguaglossa agiscono antichi miti greci traslati e traslocati nel ricordo di una sua Sicilia artefatta, e qui vengono mutati in fatti quotidiani, incontri che avvengono in visioni controllate che si diffondono ovunque fino alla maschera di una Roma fittizia dei Cesari e d’un tratto veicolati nella modernità nella quale difficile è districarsi tra novità trascendentali e genialità effimere.
gli ultimi miei versi su un “non-luogo”
IL SUONO DELLO SPECCHO
IL sogno dello specchio mi confortò d’una sinfonia,
i tasti riflessi si mutarono in suoni libertini
e si sparsero sulle note i grani di un eretico rosario.
Mi mancò un’arietta per essere linfa e cenere.
Il settenario appoggiò i gomiti su uno scordato pianoforte
e si scarnificò la gola per cedere all’ugola dorata il canto.
Non avevo che merletti e uncinetti tra le dita intricate
come le immagini ricciute d’un etilico poeta irlandese.
febbraio-marzo 2023
Ho trascritto la poesia di Antonio Sagredo ma ho modificato, anzi, cancellato, i riferimenti alla prima persona singolare: “io”. Così la poesia funziona meglio, va più dritta verso il bersaglio dell’efficienza significazionale (mi perdonerà Antonio Sagredo).
Così, il linguaggio «fiorito» sagrediano appare più compatto, ha più forza, il significazionale riesce meglio se è assente la prima persona singolare (so che Antonio non è d’accordo ma gli chiedo uno sforzo di comprensione: abbandoni per sempre la prima persona singolare e non se ne parli più).
Il significato (o fuori-significato) della composizione è tanto più forte quanto più si presenta «inatteso». La liberazione dell’«inatteso» era in realtà atteso: era atteso, ma era stato rimosso dal sistema P.C. (Preconscio-Conscio). La liberazione del rimosso ha creato una forza significazionale dirompente. In quanto c’è la rimozione, c’è anche il rafforzamento del vettore significazionale, c’è un di più di diacronizzazione e di sincronizzazione. E voilà.
In equilibrio su un limone
Rachele ti ha sfilato il vento dall’orecchio.
Intubato di vino nelle gambe
toglievi la buccia al coltello
e spremevi i marciapiedi.
Iscritta all’albo degli spilli
scavava un balcone nel telefono.
In aereo si galleggia se il ministro
ha svitato i bulloni.
L’hostess al ritorno ha intonato fratello d’Italia.
da Wikipedia:
«L’organologia è la scienza che studia gli strumenti musicali, indagandone storia, caratteristiche acustiche e meccaniche, tecniche costruttive e prassi esecutive.
Il termine deriva dal greco ὄργανον (= utensile, strumento, strumento musicale) ed è stato usato per la prima volta da Michael Praetorius nel suo trattato Syntagma musicum, del 1618.»
da Treccani:
«diṡambiguazióne s. f. [der. di disambiguare; cfr. fr. désambiguïsation]. – In linguistica, intervento con cui si toglie ambiguità a una parola, a una frase.»
«Organologia» e «disambiguazione» sono due parole-chiave per eseguire un testo kitchen, in primo luogo perché un nuovo testo implica l’impiego di nuovi strumenti musicali (parole e tropi) e quindi non è immediatamente comprensibile; in secondo luogo perché è l’impiego dei nuovi strumenti musicali che produce una nuova fonologia, una nuova musica, una nuova simbolica; in terzo luogo perché i nuovi strumenti esprimono nuove significazioni che nulla hanno a che vedere con gli antichi significati (che erano una funzione degli antichi strumenti).
I nuovi testi operano così una «disambiguazione», cioè tolgono ambiguità agli enunciati poetici e producono un endorsement verso i nuovi non-significati.
Gli enunciati di Tiziana Antonilli sono perfettamente disambigui in quanto dal punto di vista della poesia del significato sicuro non offrono alcuna garanzia di comprensibilità né alcuna scontata veredizione. Scrivere:
In equilibrio su un limone
Rachele ti ha sfilato il vento dall’orecchio.
è un enunciato talmente preciso perché è stato costruito mediante un rigoroso lavoro sulla «disambiguazione», l’enunciato è talmente preciso e circostanziato da non lasiare adito a dubbi. Tiziana Antonilli avrebbe potuto scrivere anche:
In equilibrio su un pentagono
Rachele ti ha sfilato il vento dall’orecchio.
Avrebbe potuto scrivere anche:
In equilibrio su un trapezio
Rachele ti ha sfilato il vento dall’orecchio.
E anche:
In equilibrio su un cellophane
Rachele ti ha sfilato il vento dall’orecchio.
E via all’infinito… Il testo è così talmente disambiguato da contenere in sé infinite possibilità, infinite varianti, perché, come afferma Aristotele: «l’essere si dice in molti modi».
La variante di Linguaglossa sulla (mi si perdoni il possessivo: mia) poesia su pubblicata non modifica affatto il contenuto e pare più oggettiva ma non soltanto in apparenza. In effetti la poesia pare più efficace così, e la musicaltà non è affatto mutata, e neppure la forma, – e allora che dire?
Per me va bene egualmente. Il traduttore Linguaglossa conduce i versi per mano che non disdegnano di essere accompagnati dall’inizio alla fine.
Ma con questo ultimissimo componimento si conferma il fatto che potrei senza fine scrivere ancora fino all’ultimo respiro in questa maniera:: cosa che tempo fa mi fece sospettare qualcosa, come di troppo facile per me comporre in siffatto modo, e allora smisi di scrivere Sono cosciente del fatto che i (miei) componimenti hanno del fascino irrisolvibile ed io sono il primo a sorprendermi, e spesso mi soffermo…. una scrittura che si fa beffe del silenzio del mondo come del rumore del mondo, di ogni conclamata metafisica o assenza della stessa insomma pensavo o credevo di aver aggiunto alla Poesia un altro tassello, e forse è così.
Ma non mi va – è troppo “stancoso” per me –di eliminare gli “ii” da tutti i miei versi, perché il tempo trascorso a realizzare questa operazione lo preferisco usare per altri componimenti che premono e spremono il mio cerebro.
as
La nuova fenomenologia del poetico, alla quale Antonio Sagredo si sta allineando in queste ultimissime composizioni, significa che è riuscito ad attraversare e irreggimentare la sua personale distruzione dell’economia libidinale del sublime attraverso la scomparsa del Fantasma dell’io. Scrivere un verso siffatto:
Il settenario appoggiò i gomiti su uno scordato pianoforte
implica aver attraversato la disambiguazione del significato e averlo addomesticato al Fattore immaginativo. Di qui in avanti Antonio Sagredo avrà una strada tutta in discesa, verso una poesia tutta psichica, che non VUOLE dire niente di significativo (come fa in modo ingenuo la poesia epigonica ancorata alla centralità dell’io) ma di significazionale. Sagredo ha imboccato la sua strada verso la disindividualizzazione del testo, verso una poiesis come consistenza dell’abreazione psichica, flatus vocis, vento fonico…
(Gino Rago)
Storia di un ospite che nessuno aspetta
Sigillate il futuro in una busta di plastica
Lo scolapasta ha litigato con l’appendiabito
Obliterare il biglietto prima di salire nella vettura
La sera prima dei pasti assumere un flacone di Fluimucil
Sturare il lavandino ogni 6 ore
Prima del trapezio viene il siniscalco
Ogni notte viene la befana con il sacco dei ricordi
Distruggere il passato con un colpo di tank B 72
Prima bere la cedrata poi mangiare un cornetto
Il gatto Proust della Colasson ha divorato tutta la marmellata
Gettare nel fuoco il foglio matricolare
Soffiatevi il naso prima di fare ingresso in cucina
La morte è un congedo illimitato siglato dal Signor Dio
Prima di uscire chiudete la porta a doppia mandata
Verificare se il gatto di Schrödinger è vivo
Altrimenti andate dal barbiere a farvi tagliare i capelli
La poesia è finita
*
Un colpo apoplettico
Un colpo apoplettico colpisce alla fronte il Signor Odisseo
sul set del regista Omero che sta girando un movie
tant’è che si dimentica di Circe e di Calipso e di Agamennone,
così vaga nel mare Nostrum
finché non approda nell’Urbe dove si incontra con il Presidente Draghi
che è appena stato defenestrato dalla Presidenza del Consiglio
e gli propone di tornare al governo
con l’ausilio del voto segreto di Conte, Calenda, Renzi
e del dimissionario Letta per il tramite di un congegno ad orologeria
denominato “Cavallo di Troia”
che farà deflagrare la Presidentessa della Garbatella, la Melona…
Proprio in quel frangente interviene il commissario Ingravallo
il quale grazie agli auspici e ai maneggi del critico Linguaglossa
telefona al cavalier Berlusconi
che non vota la fiducia al governo
e infatti lo manda giù…
Così nasce la nuova fase della poetry kitchen.
Le parole «dimissioni» corrono di bocca in bocca e di brocca in brocca,
finiscono per litigare con il farmacista di via Chiabrera per un farmaco scaduto
e poi entrano nel bar “Odissea nello spazio”
ma il barista le caccia via a pedate
e dice che devono andarsene a quel paese
perché con le parole non riesce a pagare le bollette della luce
e di ritornare dalla Melona della Garbatella…
Così le parole infingarde della poesia elegiaca
ritornano dalla Melona della Garbatella e le chiedono di tornare
da dove è venuta, cioè da “Dio Patria e famiglia”.
È così che le cose sono andate, parola dell’Ombra delle parole!
Forse è utile ricordare ciò che ha scritto Giorgio Linguaglossa sul concetto di “fine della metafisica” il 1 marzo 2023 alle 8:56
caro Andrea Temporelli,
non sono io che ho inventato la dizione «fine della metafisica» ma Heidegger. Già nel 1929 compare nel suo pensiero la dizione «fine della metafisica» nel saggio fondamentale Was ist Metaphysik?. Per Heidegger è in atto da tempo il processo di «fine della metafisica», quel processo di nichilismo negativo che investe il pensiero dell’Occidente le cui tracce si possono rintracciare in Max Stirner e Friedrich Nietzsche. Nel quadro ontologico heideggeriano la «metafisica» rappresenta il culmine e allo stesso tempo la fine del pensiero occidentale. «Fine della metafisica» come ricerca di una verità definitiva, inconfutabile, incontrovertibile. In questo processo di dissoluzione del fondamento veritativo vengono meno le nostre pretese universalistiche e la stessa Ragione è frantumata in una pluralità di Ragioni. Nella divaricazione tra la Ragione al singolare alle Ragioni al plurale si consuma per Heidegger la marginalità del pensiero filosofico trascinando con sé la «fine della metafisica» e la «fine del pensiero». Si profila la frattura tra la scienza e la filosofia: la scienza dichiara il nulla, la filosofia dichiara che là risiede il senso dell’essere.
Filosofia e scienza si contrappongono: Essere o Nulla? da cui la famosa domanda di Heidegger: «Perché l’essere e non il nulla?».1
Al tempo stesso la domanda sulla Uberwindung della metafisica ci muove a una domanda fondamentale: La domanda sul nulla mette in questione noi stessi che poniamo la domanda. Si tratta quindi di una domanda metafisica.
«L’esserci umano può comportarsi in rapporto all’ente solo se si tiene immerso nel niente. L’andare oltre l’ente accade nell’essenza dell’esserci. Ma questo andare oltre è la metafisica. Ciò implica che la metafisica faccia parte della “natura dell’uomo”. Essa non è un settore della filosofia universitaria, né un campo di escogitazioni arbitrarie. La metafisica è l’accadimento fondamentale nell’esserci. Essa è l’esserci stesso. E poiché la verità della metafisica dimora in questo fondo abissale, essa è costantemente insidiata da vicino dalla possibilità dell’errore piú radicale. Questa è la ragione per cui non c’è rigore scientifico che eguagli la serietà della metafisica. La filosofia non può mai essere misurata col parametro dell’idea della scienza.»2
1 Heidegger pone la domanda: “Perché è in generale l’ente e non piuttosto il Nulla?” (Was ist Metaphysik? (1929), Nachwort zu ‘Was ist Metaphysik?’ (1943); Einleitung zu ‘Was ist Metaphysik?’ (1949), Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M., Che cos’è metafisica? (1929), trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 2001, p. 67.
2 Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pag. 282.
*
La fine della metafisica è oggi introdotta dal Collasso del Simbolico e dalla Miseria del Simbolico, concetti individuati da filosofi come Lacan, Slavoj Zizek e Bernard Stiegler, Fenomeni come Trump, Putin, Xi Jnping, l’Unione Europea, la crisi climatica, la crisi delle certezze, la crisi delle ideologie (che è già in sé una ideologia), la crisi della Crisi… appartengono a questo quadro macro storico e macro categoriale e non sarebbero comprensibili senza questo quadro macro categoriale.
Nella divaricazione tra la Ragione al singolare alle Ragioni al plurale si consuma per Heidegger la marginalità del pensiero filosofico, poetico, scientifico trascinando con sé la «fine della metafisica» e la «fine del pensiero» sostituiti dalla Tecnica. La Tecnica intesa come Gestell fornisce all’uomo moderno il lessico e la sintassi della “nuova metafisica”, quella metafisica che ha messo il lucchetto alla antica metafisica dichiarandone la sua derubricazione a rubinetto dell’acqua corrente.
In questa situazione macro categoriale è lecito chiedersi:
Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
Penso di sì.
Dimenticavo di dire che
in questo quadro macro categoriale rientrano l’opera digitale di Lucio Mayoor Tosi, Uomo in bicicletta sotto la neve, 2023 e la poesia di Gino Rago “Un colpo apoplettico” e l’ultima poesia sopra postata nella versione riveduta da Linguaglossa di Antonio Sagredo.
Novembre è il più amabile dei mesi:
distrugge lillà dalla viva terra
divide oblio e disprezzo,
sconsiglia le esasperate radici
con la pioggia invernale.
……………………………………
……………………………………….
Quale poesia scrivere nell’epoca della Fine della metafisica?
Per Heidegger l’essenza dell’esserci è andare oltre l’ente e attingere la nientificazione. Con le parole di Heidegger: «ci perdiamo completamente nell’ente».
«L’essenza della metafisica è l’andare oltre l’ente: in quanto trascendenza l’esserci si trova perciò da sempre in essa… il pensiero è metafisico in quanto proiettato nell’oltrepassamento dell’ente è tuttavia destinato a smarrirsi in esso».1
Ad ogni epoca della metafisica corrisponde una determinata situazione emotiva, una determinata Stimmung.
L’esserci «è la località della verità dell’essere».2 Ciò che c’è nella domanda dell’esserci è l’esperire la Stimmung, la tonalità emotiva, stato d’animo, vibrazione della gettatezza. Io sono toccato da ciò che cerco, ovvero, sono gettato nel cercare, e cerco qualcosa che non so di cercare. La gettatezza è allo stesso tempo pro-getto e una co-struttura. L’esserci è quell’ente che in quanto è gettato nel mondo, gettato in ciò che è, si lascia toccare da questo pro-getto che è un pro-gettare se stesso, un gettare-innanzi se stesso, trascendenza dell’esistenza. Essere è già sempre essere «oltre», in senso ontologico, fenomenologico. L’esserci ontologicamente non è in sé de-finito, non ha una essenza che lo determini; l’esserci è in quanto poter-essere, in quanto possibilità, pro-getto».
1] M Heidegger, Introduzione a Che cos’è metafisica? op. cit. p. 11
2 Ibidem.