Marie Laure Colasson, foto, 2022
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Domanda
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
– Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
– Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?
Risposta di Francesco Paolo Iintini
5 marzo 2023 alle 10:37
Caro Giorgio, rispondo volentieri e “a modo mio” alla domanda che mi hai posto anche se la filosofia è per uno non specialista come me, un campo difficilissimo da calpestare e in ogni angolo mi è quasi impossibile schivare le mine sotto i piedi. Parto perciò da ciò che abbiamo sotto gli occhi. “Invaso \invasore” non mi sembra un mantra qualsiasi o uno slogan. Contiene, secondo me, la valenza di ’Io penso dunque sono”, ha l’ambizione cioè di fondare ogni ragionamento su questo conflitto. Non per niente chiunque si accinga a parlare sull’argomento è obbligato a dare testimonianza di verità a questo fatto evidentissimo da cui sembra che non ci siano vie di uscite praticabili. Non lo sono tutte quelle vie che sbucano in una trattativa di pace che non prevedano un ritorno allo statu quo originario dell’ Ucraina. Non lo sono perché se ci si affida al ferro della logica si sottintende di escludere ogni ricorso alla fiducia reciproca. E tra i contendenti sembra proprio che non ce ne sia in maniera assoluta. Per questo, l’unica regola praticabile è la guerra “fino alla fine”, per conclusione necessaria, come si trattasse di una somma di addendi. Già! il problema però è capire cosa si intende per “fine “e se questo sia davvero coerente, per forza di sillogismo, con il punto di partenza che si sposa perfettamente con un altro e cioè se il principio: “salviamo l’umanità dalla sua autodistruzione” abbia la stessa valenza del principio di “autodeterminazione dei popoli” e se tra i due principi debba prevalerne solo uno di fronte a una loro impossibile conciliazione. Come uomo libero, odio e disprezzo ogni forma di dispotismo, di sopraffazione e qualunque forma di guerra, la risposta però non dipende da me, ma da una partita tra due squadre, l’una di bambini l’altra di adulti. Se i nomi della prima sono sconosciuti, quelli degli altri sono noti a tutti. Quei Pipistrelli nel finale di Venerea stanno in attesa sul bordo campo sentendosi investiti di un ruolo cosmico nella storia dell’universo.
Lo scenario fisico però ne impone un altro di natura metafisica che riguarda il Bene ed il Male. Mentre il primo scenario ci sembra lontano questo ci fa cadere subito in noi stessi gettandoci in un’unica partita senza durata perché i giocatori si avvicendano continuamente in ruoli variabili indipendenti dal tempo.
Come non riconoscere una tela di Bosch in un campo Ucraino?
In parallelo il nostro inconscio non fa che generare mostri, mischia vigliaccherie ad eroismi, simula in piccolo l’assenza di giustizia mentre ne invoca, cerca un perdono che non gli sarà concesso, parla una lingua che sembra familiare ma che invece è incomprensibile perché ridotto a singhiozzo e balbuzie. Il “terror mortis” regna ovunque e probabilmente costituisce il nastro di Mobius che unisce interno ed interno, di cui tu parli. La poesia, a parer mio, risponde a questo estremo bisogno di ordine che ci arriva sotto forma di paura e che riempie gli spazi tra parola e parola, tra un fotogramma ed il successivo. Cosa sono le grandi costruzioni da Omero a Dante e Shakespeare, Leopardi passando dai greci se non un tentativo di mettere ordine, fissare in una narrazione ordinata e tollerabile il brutto, l’orrido, l’assurdo e il nulla in cui la vicenda umana si scioglie? Come tutte le costruzioni ordinate esse rappresentano entropia che si congela in versi concatenati l’uno all’altro secondo un senso, si pietrifica in regole sintattiche e armoniche, in ritmo che fa vibrare corde interiori e sconosciute.
Tutto ciò andava bene in una società che non aveva prospettive cosmiche e assegnava centralità alla figura umana intorno a cui, come un germe in un’ostrica, cresceva la perla delle grandi opere artistiche, delle scoperte scientifiche, l’ottimismo delle magnifiche sorti e progressive.
Difficile immaginare l’asimmetria di fondo del nostro tempo per cui il futuro non è altro che un cambio radicale di prospettive in cui la proiezione della mente diventa più intelligente di chi l’ha creato e ne assume il ruolo in forma di persona cosciente. Quello che si prospetta non è difficile immaginarlo in termini di rapporto tra pensiero libero e potere. In questo contesto stare nell’oggi significa scottarsi della lava del vulcano che cresce di potenza sotto i piedi. La stessa che frantuma le costruzioni e le seppellisce per conservarne lacerti, illustrazioni, citazioni da museo, versi per ogni occasione, orme di dinosauri ad uso e consumo della stanza della regina delle api.
Quale allora il ruolo della poesia nel periodo di mezzo? Come chiedere di costruire un diamante e affidarlo al fiume incandescente. Meglio non farne o corazzarlo in maniera da renderlo refrattario, indigeribile, impresentabile e improponibile come un virus che abbia come unica chance di entrare nel sistema.
Marie Laure Colasson, Promenade notturna, collage 30×40 cm, 2023
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Tre poesie di Francesco Paolo Intini
ROBA DA AUMENTO DELLA CIODUE.
Anche il cloro dice la sua
e l’immagine si dissolve nel corridoio.
Il sole irrompe con le stampelle
Fa Enrico Toti ma poi ritorna nel monumento
ogni tanto meraviglia la luce di una cometa
e la via lattea risente dei saluti al fronte.
Tutte le volte che si risalì dalle Marianne
Bevemmo un sorso di vetriolo.
Un inciampo chiuso in uno scaffale
e tra acidi una fiala di ammoniaca
Compare all’improvviso:
-Non mettere in inventario le malefatte
E del ghiacciaio ignora le bare.
Ninfe e satiri si rincorsero nei mortai.
Rubini e smeraldi a bordo campo.
Parve evidente il cambiamento epocale
ma tacemmo accanto agli abstract del 43.
I floppy gli hippy i falchi nella PS,
il più potente cadde da un grattacielo o si suicidò
Come un Rockefeller in disgrazia.
Si conserva la bara, gli eredi depongono chip ai suoi piedi.
Una mantide si raccoglie in preghiera
Divora ruggine e scarta vinile.
Maledizioni partono aspettando il turno.
LIGHTNING ACCOUNTS
Se ne stette immobile tra nuvole di gesso.
Perché voleva Giove alla lavagna ma di fronte ebbe un sussulto
Una scappatoia accelerata da uno sbadiglio.
L’equazione si restrinse a una matrice:
calcolo e nessun elettrone.
Nascono così i carri armati? Ma perché caricarli
Di lupara e jumbo sui piccioni?
Da qualche parte farà zig zag
Sotto la cattedra celeste, tra le gambe di Giunone
Su una barca che si sfracella a destra e manca
Mira a Capaneo tra figure della Panini
Angelillo e poi Rivera un calcio all’arbitro
Un altro a Sivori con l’aria di Beatrice.
Non era un fulmine nemmeno un calcolo di bile
Qualcosa che deborda stratosfera e di sotto
Un plasma col vestito d’arlecchino.
Neanche un albero che esponga i suoi protoni
Un gesto misero come dire matto al Re.
VENEREA
Giungono odori di whisky
Rispondono nubi di vodka.
Imperversa la birra nei calici di giglio
Con le bolle bianche si andrà a coprire i mandorli
Altri si ecciteranno al tintinnio dei bicchieri.
L’effervescenza dirà la sua
Sul vino novello nei canali.
Siamo su Venere, dunque.
Un cataclisma ghiacciò lo zolfo
E il dolce acido si mutò in alcool .
Cubi di ghiaccio ne fanno un albero fiorito.
La Terra si afferra a una fetta di Luna.
Si andrà senza biglietto dovunque vorrà.
Nella casa abbandonata soltanto pipistrelli
A cui è noto il valore di scambio.
Un caro saluto
(F.P.Intini)
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen, nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022) e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Domanda
Risposta alla domanda di Giorgio Linguaglossa
L’Elefante è soddisfatto. Ha fracassato le suppellettili, i ninnoli di dubbio gusto, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e i lampadari di Murano. Si è accomodato in poltrona. Adesso si gode un Campari con le noccioline e le patatine usufritte; ma tant’è, noi facciamo finta di non vederlo. L’Elefante ha generato un gran numero di corvi e i corvi hanno iniziato a parlare ma parlano con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, che poi Teseo ebbe buon gioco a dismetterli e ricacciarli nell’inconscio. I corvi dunque hanno iniziato a parlare: parlano nel linguaggio della parallasse, della serendipity, dell’ekfrasis, attraverso la perifrasi, la peritropè, il salto, la metonimia, l’ultroneo. L’indagine topologica diagnostica la situazione tellurica e sismicizzata del contemporaneo, indugia su singoli temi, singole problematiche, su poesie ultronee, spunti, dettagli, aspetti secondari, microchips, tutto ciò che plasma le nanotecnologie dell’ipermoderno. Il pensiero topologico giunge così ad una sorta di orografia delle superfici complesse e dei dispositivi problematici della poiesis di oggi, indaga la de-psicologizzazione del linguaggio, la diafania e la disfania delle parole, l’assordante presenza del rumore, la de-colonizzazione dell’apparato metafisico e il sorgere del nuovo paradigma ortolinguistico. Che cos’è il contemporaneo? La poiesis? Il soggetto serendipico? Che cosa è avvenuto dopo il declassamento del soggetto parlante? Dopo la disfunzionalità radicale dell’autenticità? Dopo che il locutore è diventato mero fonatore? Dopo la disfunzionalità radicale del significante? – È avvenuta la de-colonizzazione dell’apparato metafisico; il residuo è ciò che resta, il carico residuale, i taxi del mare, ciò che si sottrae al consumo in quanto defecatio, in quanto residuale. Fenomeni quali l’ibridazione, l’entanglement, l’entrelacement, l’aspettativa, la parallasse, il das Ding, lo zapping: appunti, post-it, commenti, glosse, incontri, diverbi, ubbie, pensieri interrotti e poi ripresi, retro pensieri, rumori. Il pensiero compie una circumnavigazione intorno all’iceberg della nuova fenomenologia del poetico fino agli esiti ultimi della poetry kitchen. Chi scrive è un contemporaneista, una figura nomadica e monadica in perenne trasloco, inquieto, minato dalle incertezze e dalla precarietà prende le mosse dalle istanze della praxis e della poiesis per riarticolare le nuove categorie dell’ipermoderno. Questo nomadismo epistemologico è evidente nella formula: topologia + nomadismo: il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico, il soggetto parlante è diventato un soggetto parallattico ed è stato declassato, è diventato un soggetto ibrido, e la condizione della poiesis nel mondo odierno è diventata precaria, ibrida anch’essa. Il lettore è colpito da uno shock anafilattico. Chi scrive presuppone che il tutto è il falso ma è falso anche il frammento e quindi occorre allestire trappole e guinzagli per catturare il contemporaneo e la sua futile e precaria fugacità. Ogni dettaglio getta luce, di rimando, su altre problematiche sconnesse, disarticolate, preannuncia e anticipa lo svolgimento di altre tracce argomentative. È il metodo ametrico e cacofonico della connessione delle membra disiecta, delle parti sconnesse: dal polittico al montaggio, e infine alla costellazione che legano insieme ciò che sfugge alla connessione e al legame inferenziale tra le tematiche senza voler suturare a forza ciò che sfugge in ogni caso alla cicatrizzazione, senza voler imporre la definitorietà delle argomentazioni, sempre transitorie, precarie, instabili, sull’orlo di diventare desuete non appena pronunciate.
Le parole che ci scambiamo al telefono, i nostri discorsi privati, i nostri discorsi pubblici non sono mai innocenti, le nostre parole sono cariche di vulnus, scavano abissi, scavalcano le montagne ma, di sicuro, non sono mai innocenti… e così gli inciampi, i lapsus, i bisticci di parole, anche le parole dei sogni non sono innocenti, niente di ciò che facciamo dentro e intorno alle parole è innocente, c’è qualcosa nelle parole che comporta un rischio, esprime una minaccia, una indulgenza, una arroganza… la falsa coscienza dell’inconscio ci deve mettere in guardia dall’uso disinvolto delle parole, dal loro uso e abuso; non abitiamo più le parole da tempo immemorabile e le parole ci sono diventate estranee, le parole convivono con noi con il nostro malessere e con il nostro benessere.
«L’anagramma, l’ipogramma, il palindromo, l’acrostico, l’inversione,
la rima, l’assonanza, la consonanza, lo smash,
il distico, il tristico, il polittico, la strofa, la catastrofe, l’apocatastasi,
il pastiche, il patchwork
sono non soltanto categorie dell’estetica e della poetica
ma anche della psicopatologia
della vita quotidiana.
C’è qualcosa di sbalorditivo nella metalepsi.
Il politico è diventato un campo di azione per la metalessi.
C’è predestinazione perché c’è procrastinazione»,
postillò Žižek,
lasciando di stucco il commissario Montalbano
il quale così replicò:
Il Signor Cogito has said al filosofo Žižek:
«Really we are sorry to see you go
Your email address has been removed from our mailing list».
Confesso che le poesie di Francesco P. Intini mi mandano in confusione. Immagino però che questo sia anche il suo scopo: contrastare ogni certezza, creare disorientamento, anticipare un pensiero ancora nebuloso, in divenire. Spesso il suo linguaggio giunge metaforico, eppure non cede alla significazione… Il tono del fuori senso è veritativo, assertivo; poesia sembra lì apposta per assicurare una via di fuga per verità smarrite; così che mentre scrivo, cancello, non creo altre diverse e fallaci aspettative.
Jouissance, per dirla con Žižek, “ciò che non obbedisce a nulla”.
Scrive Slavoj Žižek nel suo libretto su Tarkovskij – ma ben si adatta alla poesia kitchen nella forma inaugurata da Intini – “quest’esperienza è molto più vicina a ciò che Lacan ha chiamato “destituzione soggettiva”, vale a dire un’improvvisa coscienza dell’assoluta insensatezza dei nostri legami sociali, la dissoluzione del nostro attaccamento alla realtà stessa: improvvisamente, gli altri sono de-realizzati, e la stessa realtà viene percepita come un gorgo confuso di forme e suoni, cosicché non siamo più in grado di formulare il nostro desiderio.”
Intini sa che la Cosa senza significato, non può essere considerata un “viaggio interiore” verso la Verità.” Ma questo vale anche per Marie Laure Colasson (le sue maschere cancellano, così mi pare, certa vocazione all’esistenzialismo, e vanno oltre), vale per Linguaglossa, per Pugliese e gli amici che scrivono disorientando… anche se in partenza, nelle modalità, lo si fa per evitare, non ricadere nelle note consuetudini del poetico.
“il Simbolico si fonde col Reale, e il linguaggio comincia a esistere come Cosa Reale.” (Žižek, a proposito del mare pensante nel film Solaris).
L’idea che si possa pervenire a “l’apparizione impossibile del Pensiero” – non solo i “fantasmi” di cui molto si è scritto nella NOE, ma l’accadimento del Pensare, in forma reale (tempo/pensiero) e senza quasi che si avverta la presenza di un dispositivo poetico, è quel che personalmente mi attrae, come testimonianza del contemporaneo.
Aggressore e aggredito: è vero, ma perché tacere sulla mentalità da Guerra fredda ancora ben presente nei blocchi di potere, da un continente all’altro? C’è faziosità…
“Confesso che le poesie di Francesco P. Intini mi mandano in confusione. Immagino però che questo sia anche il suo scopo: contrastare ogni certezza, creare disorientamento, anticipare un pensiero ancora nebuloso, in divenire. Spesso il suo linguaggio giunge metaforico, eppure non cede alla significazione… Il tono del fuori senso è veritativo, assertivo; poesia sembra lì apposta per assicurare una via di fuga per verità smarrite; così che mentre scrivo, cancello, non creo altre diverse e fallaci aspettative.” (L.M.T)
Caro Lucio
Ho letto da qualche parte che prima di licenziare definitivamente le Demoiselles d’Avignon, Picasso avesse disegnato diverse figure, tra cui un marinaio. Ora di questi personaggi non c’è più traccia e sono stati via via sostituiti con quelli che compongono il capolavoro che possiamo osservare. A mio avviso di certo avrebbe avuto un effetto più rassicurante se al posto del mascherone in alto a destra ci fosse stato un volto simile a quello dei due nudi centrali ma quello è frutto di una evoluzione e di apertura verso un mondo tenebroso e sconosciuto che non dà alcun sollievo al lettore e che convive con quello presentabile e comprensibile. Cosi facendo consegna l’arte a un nuovo capitolo della sua storia che non prevede un senso di appagamento nell’osservatore confortato da un senso compiuto e liberatorio, ma lo tiene in continuo scacco. È questo stato dell’osservatore che risulta interessante e lo è anche nella poesia kitchen dove trovare il senso equivale a voler dare contemporaneamente posizione e velocità a qualcosa di infinitamente piccolo rispetto all’universo in cui si vive.
Una poesia come quella che segue scritta una decina di anni fa, ha un senso, appartiene alla mia storia evolutiva ma in qualche modo non produce nessuna aspettativa, nessun dubbio in chi legge come si trattasse del pianeta Venere di cui conosciamo anche il cono d’ombra. Il problema è che a scrivere è lo stesso infinitesimo di cui scrivo qui sopra. Ciao
NELLA MENTE DI UN FUOCHISTA
Molte e strane cose accadono
nella mente di un fuochista:
l’epoca degli urti
uno dopo l’altro l’incedere dei clorati
e dove andranno le raganelle verderame.
Le scale non gli sfuggono dal rosso fino al viola
ma dosarli,
dosarli è come cogliere il “fiore augusto”
della bella nella notte
Competere col lampo non è facile:
il sogno che spalanca le persiane
e dopo?
Il glicine s’accende all’improvviso
sui balconi coltivati a punto luce.
Ma è nel filo che conduce al colpo scuro
la sapienza del silenzio
come fosse per aprir bocca
quando il cuore si spaura.
Trovo illuminante l’aver portato Picasso ad esempio, le sue Demoiselles. Lo sguardo pittorico è sempre lampante, è la Cosa in evidenza. Leggere poesie kitchen è come recepire nei sensi un’opera astratta, di gestualità informale. Oltre che Pop.
Possiamo ancora parlare di piacere estetico, di valori plastici, linee forti o deboli, equilibrio, colorazione, ecc. anche perché non incoraggiati da significato, il quale va cercato a margine e attorno all’opera. Involontariamente, la poesia kitchen ha restituito al significato un che di misterioso: l’enigma, aperto, quale somma dei significati possibili. Scrittura da “inchiostri fluttuanti”, direbbero in Giappone.
Guerra fredda, guerra calda, guerra semifredda e guerra semicalda… parole vuote, vuote di significato, parole ideologicamente orientate, da che mondo è mondo si è sempre passati da una guerra fredda a una guerra calda, e poi la guerra la decide uno soltanto, mica la si decide in due, la guerra esiste perché esiste il conflitto con se stessi e con gli altri, la guerra non è altro che la manifestazione più evidente che “gli uomini non sanno starsene tranquilli in casa propria” scriveva Pascal. L’unico modo per impedire la guerra (docet i libri di storia) è che una parte è talente più forte dell’altra da scoraggiare l’altra parte dall’iniziare una guerra. Non facciamoci illusioni.
L’ultima dichiarazione del ministro degli esteri Wang Ji ad esempio è una classica dichiarazione di preambolo alla guerra calda, la Cina si sta preparando ad una guerra calda (non nucleare), non ha ancora deciso il QUANDO, ma ha deciso il COME. Siamo vicini ad una gigantesca battaglia navale, la più grande della storia dell’umanità tra US, Occidente e Cina e autocrazie del pianeta, Chi vivrà vedrà, vedremo chi uscirà sconfitto e chi vincitore. Una cosa però è chiara prima o poi le autocrazie scaricano sulla guerra (sul nemico) le proprie contraddizioni).
Non mi meraviglia che nella poetry kitchen ci sia presentissima una lessicologia conflittuale e belligerante.
Chi scrive un verso siffatto o è un marziano o è un indigeno della Amazzonia che non ha mai visto uno Zeppelin volare e non ha mai assaggiato gli spaghetti alla amatriciana, che poi ad Amatrice giunse quel terribile sisma di grado 7 della scala mercalli e tutto andò giù.
Siamo in piena de-colonizzazione dell’apparato metafisico, ovvero, siamo già alla fine della metafisica con tanto di acqua benedetta e di acqua di colonia sui pensierini irriflessi che lo interpretano come etichettatura della saponetta Palmolive, il che, a pensarci bene, è cosa più intelligente di quelle che i poeti di accademia rifilano come poesie.
Intini è un “pervertito” (delle parole) vede con acutezza che le parole sono ormai diventate tutte baldracche, che si sono parlamentarizzate, che sono andate a lezione dal ministro Piantedosi… che non c’è da dar retta ad esse.
Le parole al potere sono giornalistiche. A livelli più bassi, le parole di propaganda politica (i Senza se e senza ma); le parole dei pubblicitari, per bambini viziati e affetti da bulimia. Sui social vanno alla grande le titolazioni, specie se in sequenza nelle anteprime. Le poesie sono belle da scrivere, quasi insopportabili se le vai a leggere. Dare fondo alla nevrastenia, farsene carico, è ovvia costrizione. In fondo, siamo uno per l’altro soltanto specchi.
Un poeta consapevole di ciò che implica fare poiesis oggi ha sempre un rapporto «pervertito» con le parole, e Intini non fa eccezione a questa regola, tanto più oggi in un mondo che vive la catastrofe del sensibile e del simbolico, dove non c’è più una parola «innocente». Un poeta della prima metà del novecento come Sandro Penna, lui sì che può scrivere con la coscienza innocente della innocenza delle parole usando parole innocenti. Una delle sue poesie più eufoniche (e belle) suona così:
Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.
Ma è che oggi un poeta degno di questo nome non può più operare su quel «pentagramma», non può più mettere le parole musicali al loro posto (ammesso che esita un posto giusto per le parole), al posto più idoneo a suonare la musica di un quartetto di strumenti a fiato. Non è più possibile, punto e basta. Per un poeta avveduto di oggi presupporre una parola «innocente», «polita», «profumata» e «azzimata» che voglia interpretare «un canto delle sirene» ammaliatore è una bestemmia, un atto di ingenuità imperdonabile. Intini prende le parole dal salvadanaio della società mercantile e le impiega sotto false flag (bandiera falsa), come spaventapasseri, come trappole truculente per allodole, e le mette in riga come sotto un capestro che presto le strozzerà. Oggi pensare di fare una «poesia ragionamento» (alla maniera di Raboni) o una «poesia sperimentale» (alla maniera di uno Zanzotto) rischia di convertire quelle parole in uno sberleffo, una boccaccia, una sguaiataggine, una bastardata, una infingardaggine. Intini ne è pienamente consapevole, e usa le parole come del resto fanno tutti nel mondo della falsa coscienza, le usa come fake news, come modanature lucidate e brillanti, di suo ci aggiunge la brillantina Linetti, uno spolverio di Keratine H per capelli secchi e un ammorbidente per panni delicati, tutti ingredienti che convertono la modanatura eufonica e delicata del linguaggio penniano in un anti-linguaggio, un linguaggio privo di modanature e di lucidature, un linguaggio sketch, un linguaggio trash.
Nel mondo collassato o che si avvia al collasso globale, verso la guerra totale per la conquista di Taiwan c’è ancora chi pensa al mondo bello pieno di marinai muscolosi vestiti di bianco che passeggiano sul lungo mare? A leggere le poesie di accademia che sfornano centinaia di migliaia di baggianate c’è da restare allarmati!
https://www.reuters.com/world/studying-ukraine-war-chinas-military-minds-fret-over-us-missiles-starlink-2023-03-08/
Ogni verso di Francesco Paolo Intini è un universo.
L’anti-linguaggio di cui scrive Giorgio Linguaglossa è la sfida odierna, non mi pare ci siano alternative.
Tiziana Antonilli.
cara Tiziana,
l’anti-linguaggio corrisponde ad un anti-universo.
L’esistenza di un linguaggio Altro, già con la sua semplice apparizione mette in discussione il linguaggio esistente, il linguaggio reificato; ogni espressione chiama in causa una specifica repressione. Nell’anti-linguaggio di Intini non c’è un diritto e un rovescio del suo linguaggio che possa essere chiamato in causa per giungere ad una situazione di compromesso o di ballottaggio con il linguaggio di accademia; non si dà continuità ma dis-continuità, rottura, infrazione. Senza contare il fatto che ogni nuovo linguaggio contiene in sé la revoca del linguaggio precedente, altrimenti non sarebbe un «nuovo» linguaggio. Ogni «nuovo» linguaggio è un atto pubblico, e quindi politico, perché agisce sulla polis.
Sulla serendipità
La Treccani: «serendipità s. f. [dall’ingl. serendipity, coniato (1754) dallo scrittore ingl. Horace Walpole che lo trasse dal titolo della fiaba The three princes of Serendip: era questo l’antico nome dell’isola di Ceylon, l’odierno Srī Lanka], letter. – La capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, spec. in campo scientifico, mentre si sta cercando altro.»
Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo, di quel soggetto, ergo: crisi della rappresentazione prospettica e unitemporale e crisi della rappresentazione tout court.
Il soggetto serendipico è diventato una traccia, parla un linguaggio-traccia, un linguaggio osmoticamente serendipico, cancellabile, sostituibile. La poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la realtà serendipica, la condivisione serendipica, l’I like serendipico: la narrazione giornalistica della crisi prospettica. L’arte diventa comunicazione del comunicato stampa, del comunicazionabile, comunicazione della condivisione, l’I like della «privacy» de-storicizzata e privtizzata, l’I like delle storie personali, degli affari propri, dei fatti i fatti tuoi.
(Marie Laure Colasson)
Una esistenza de-storicizzata e privatizzata dà luogo ad una esistenza turpemente serendipica e la poiesis di Francesco Paolo Intini è la più formidabile espressione di questo stato di cose serendipico per cui cerchi una parola e ne trovi un’altra, cerchi una cosa e la trovi spostata, depistata, deragliata. La serendipizzazione della coscienza porta con sé la serendipizzazione dell’inconscio, onde avviene che chi cerca non trova più ciò che cerca ma trova un’altra cosa che non aveva preventivato o immaginato. Gli stessi linguaggi pubblicitari e politici sono affetti dal virus della serendipità, dicono delle cose che non corrispondono più alle cose, parlano delle parole che non corrispondono più alle parole che pensavamo idonee.
Ad esempio, il Consiglio dei minstri che si è tenuto a Cutro in Calabria è un avvenimento in sé serendipico perché intende una cosa e ne dice un’altra affinché l’uditorio capisca qualcosa intorno alla prima cosa. Così la serendipity cessa di essere un tropo retorico per diventare una categoria del politico, uno strumento di comunicazione, uno strumento del dominio e della (come si dice oggi) governance.
(Giorgio Linguaglossa)
Penso che non ci sia serendipità nel linguaggio politico e in quello della pubblicità, manca l’incontro inatteso, manca la sorpresa della scoperta. In entrambi i linguaggi, a mio parere, si compie l’operazione voluta di piegare le parole ai fini della persuasione.
L’idea dell’anti-linguaggio a cui corrisponde un anti-universo è , caro Giorgio, condivisibile e affascinante, l’universo di cui parlo io in relazione ai versi di Intini è proprio un universo altro, la cui esplorazione viene lasciata al lettore. Uno dei caratteri della poesia kitchen che più amo è il ruolo forte conferito al lettore.
Tiziana Antonilli
Domattina pubblicheremo le poesie per bambini di Osip Mandel’stam in prima traduzione italiana.
L’aspetto più straordinario di queste “nugae” del poeta russo è che lui non tratta le parole ma le immagini, le sue composizioni per bambini si rivolgono direttamente alla mente dei fanciulli i quali sono, è notorio, i meno esposti alle ipomnemata che derivano dall’educazione sociale che normalizza la loro immaginazione e il loro gusto. I bambini per Mandel’stam sono liberi di immaginare, cosa che invece gli adulti non fanno più perché hanno smesso di immaginare, quindi Mandel’stam si rivolge alle capacità che i bambini hanno di immaginare e di vedere con «sguardo sincipitale» a partire da una o più immagini combinate. Così il lettore, cioè il bambino, viene assunto e innalzato a vero interprete delle poesiole, i destinatari diventano i bambini e solo i bambini essendo gli adulti ormai irrimediabilmente compromessi nella normologia che richiede la poesia come una colonna sonora con tanto di rime e anti-rime che finiscono per addormentare il lettore piuttosto che risvegliarlo. Il poeta russo è anche qui impegnato in una battaglia culturale contro la poesia simbolista che privilegiava la colonna sonora e il gioco fonosimbolico. Con queste poesiole per bambini Mandel’stam si situa tra i grandi innovatori del linguaggio poetico del XX secolo e uno dei punti di riferimento per la nuova fenomenologia del poetico che stiamo facendo.
poesia di Mandel’stam
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Leggere solo libri per bambini,
vezzeggiare soltanto pensieri infantili,
spazzar via lontano tutto ciò che è per i grandi,
sorgere dal profondo dolore.
Io sono stanco mortalmente della vita,
non accetto nulla da essa,
ma io amo la mia povera terra
perché non ne ho vista un’altra.
Io mi dondolavo in un lontano giardino
su una semplice altalena di legno,
e gli alti, cupi abeti
ricordo nel nebbioso delirio
1908
(trad. di A. M. Ripellino)
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(mia nota 254, p. 117)
(dal Corso su Mandel’stam di A. M. Ripellino 1974\75)
Forse Mandel’štam allude ai celeberrimi racconti in versi e fiabe per l’infanzia di Kornej Čukovskij, famosi anche perché gli animali erano i veri protagonisti; furono scritti prima della Rivoluzione d’ottobre e questo sembra combaciare con la data 1908, cioè di un Mandel’štam quasi 18enne, ma conoscitore di queste fiabe; che furono proibite negli anni ’30, in pieno regime sovietico.