Intervista a Andrea Temporelli a cura di Giorgio Linguaglossa, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?, Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

Foto Man Ray nudo

Man Ray, nudo

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Figlio di un fiore e di un piccolo merlo, Andrea Temporelli con la poesia ha esplorato Il cielo di Marte (Einaudi, Torino 2005), prima di far ritorno alla Terramadre (Il Ponte del Sale, Rovigo 2012), ma i conti con il mondo letterario contemporaneo li ha risolti con il romanzo Tutte le voci di questo aldilà (Guaraldi, Rimini 2015) e con il volume di interventi critici militanti Smarcamenti, affondi e fughe (Ladolfi, Borgomanero 2016). Insegna nella scuola secondaria a Borgomanero (dove è nato nel 1973) e interviene su YouTube con un personale Dis/corso di scrittura creativa, che s’interroga sul senso della scrittura in un tempo in cui la società letteraria non esiste più.

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Domanda

Gentile Andrea Temporelli le pongo la domanda che ho rivolto ai poeti italiani:

–  Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?

–  Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?

–   Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

Question

Dear Andrea Temporelli, I ask you the question I asked Italian poets:

– What poetry can you write at the time of the end of the story?

– What poetry to write at the time of the end of metaphysics?

– What is the task of poetry before these epochal events?

Answer

Premessa: non esiste la poesia, esistono i singoli gesti poetici. I vari “oggetti linguistici” che accorpiamo sotto l’unica sigla di genere possono essere anche radicalmente diversi. Ciò significa che il discorso sulla poesia conta poco e deve essere sottoposto alla verifica del testo e della sua ricezione storica. Così, più che ragionare in astratto su quello che penso, cercherò di mostrare come mi sembra di aver risposto nei fatti, ovvero con i testi appena usciti nel libro L’amore e tutto il resto (Interlinea).

Ciò detto, verrebbe da affermare che “fine della storia” e “fine della metafisica” siano altrettante etichette, mentre la poesia lavora sull’esperienza concreta e reale. Però devo ammettere che, quando ho iniziato il lavoro che si è ora compiuto nel libro, percepivo effettivamente in me un senso della fine. Non era il semplice giro del millennio a dare questa percezione, era la sensazione concreta che ciò che io definivo “Novecento” si era esaurito. Tutti i poeti con cui mi confrontavo, sia i maestri riconosciuti sia i poeti contemporanei, mi parevano ancora prigionieri di un orizzonte che mi appariva come ormai privo di senso. Il Novecento è il secolo dell’ironia che distrugge ogni visione del mondo presupponendo alternative che in realtà non sa elaborare: una forma di intelligenza che si limita alla pars destruens, insomma (con ciò che di sano porta con sé, contro ogni bigottismo o fanatismo, per esempio). Il Novecento è il secolo anche della sperimentazione formale estrema. Il suo personaggio ideale è la figura umana dell’“inetto”, dell’uomo senza qualità, dell’anti-eroe (anche qui, con aspetti positivi: nessuno crede più nella figura romantica, tutta d’un pezzo, dell’eroe capace di cambiare la storia). Il suo lascito complessivo è il male di vivere, la depressione, la disillusione estrema. Ecco, io ho percepito nettamente questo senso della fine: forse non è esattamente la “fine della storia” della domanda, ma credo che la presenza nella mia raccolta di una poesia intitolata Novecento sia significativa. E dunque, che fa la poesia al tempo della fine? Rintraccia possibili indizi di un altro principio.

La “fine della metafisica” mi fa venire in mente alcuni versi da Verifica della storia: “vivere non basta / e dio non è possibile. Da secoli”. Eppure, se la cultura occidentale ci ha davvero condotto qui, su questo fronte, la poesia percepisce, senza barare, senza pretendere di non vedere il presente o di rendere reversibile il tempo, l’evoluzione ulteriore. E si tratta magari di un evento non prevedibile, non logico, propriamente poetico. Mi sembra di dire questo nella poesia Epoca. La penultima strofa afferma: “Per ciò elemosina giorno su giorno / un senso, scava nelle mani aperte, / dona a tutti un destino. Inventa. Annuncia: / un nuovo mondo dietro l’angolo aspetta”. Sottolineerei l’uso del verbo “elemosina”: la poesia non è fonte di un sapere precostituito, va oltre la cultura stessa: è sapienza primigenia, vitale. Può trovare la ricchezza nelle mani vuote. Può inventare un destino, come anticamente i miti “servivano” la vita, la favorivano. E se qualcosa di nuovo esiste, è già potenzialmente qui, dietro l’angolo: occorre solo trovare uno sguardo capace di dargli credito e di offrirgli la cura necessaria per svilupparsi.

Il “Novecento” che sentivo alle spalle sembra, storicamente, riproporsi ciclicamente (basti pensare alla guerra attuale), ma forse una parte dell’umanità incarna una figura umana già esausta e superata, anacronistica, mentre altri sono già altrove, già cercano di fissare i tratti distintivi di una nuova figura di uomo. Nella mia poesia il richiamo a Marte è probabilmente l’emblema di quell’altrove verso cui ci stiamo indirizzando. Dunque, il compito della poesia è di guardare “l’ultimo orizzonte” e cercare, fino alla fine, di glorificarne la bellezza – nella speranza, certo, che sia la traccia di un inizio. Ma, se anche così non fosse (come si lascia intendere nella poesia con cui chiudo il libro, Postilla per l’alieno), la poesia ha il compito di registrare e certificare la verità di quella bellezza che la morte stessa non potrà comunque smentire.

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(Andrea Temporelli)

Domanda

– Qual è la sua posizione rispetto alla poesia europea del novecento?

Question

– What is your position with respect to 20th century European poetry?

Answer

Caspita, la domanda fa venire le vertigini. Se per “posizione” si intende un giudizio critico sulla poesia europea, presuppone una levatura intellettuale straordinaria. Se per “posizione” si intende il collocamento della propria esperienza stilistica, presuppone parimenti un ego sconfinato. Di primo acchito, verrebbe da sentirsi soltanto piccoli e inadeguati, del tutto disorientati. In effetti, la risposta più corretta sarebbe: “Non so”. Avrei una nube di pensieri in movimento, e anche di sensazioni tutte da verificare… Balbetterei ipotesi su ipotesi, contraddicendomi ripetutamente.

Ma cerco appigli nel libro. Geograficamente, i richiami a luoghi di provincia sono dominanti: torrenti, montagne, boschi, ma anche cascine, case specifiche, vicini di casa… e poi il cortile, gli interni… La poesia si radica in un territorio preciso e in una lingua precisa. Dunque, guardo all’Europa da qui, dalla lingua e dalla cultura italiana. Ma l’Europa entra anche nei miei versi, sia come paesaggi (in Ballata del mese di maggio per esempio si richiama lo scenario della guerra nel Kosovo del 1999) sia come cultura: l’epigrafe del libro è di Mandel’štam, la “terra marcia” di Fronte del bene comune è prossima alla terra desolata di Eliot, l’angelo della mia poesia sembra un richiamo a Rilke (che però si innesta su un mito familiare), e poi chiamo direttamente in causa le “baldracche di Baudelaire” oppure Kafka… Sì, direi che la poesia europea lascia un velo, in queste pagine. Eppure, sempre stando ai miei versi, lo sguardo non sembra fissarsi sull’Europa, semmai sull’occidente in un senso più ampio, ma a questo punto inserito in un contesto globale…

Ahimè, avrei voluto rispondere in modo positivo, chiamando in causa un’identità europea e un posizionamento rispetto ad essa, ma non posso farlo. L’Europa è terra di confluenze diverse, un ponte sul mondo, da attraversare in entrambe le direzioni. L’Europa in generale, e la poesia europea nello specifico, sono dunque soltanto un’intercapedine tra la mia pagina e il mondo, tra il mio cortile e Marte.

Domanda

Possiamo definire la sua poesia come post-modernista?

Question

Can we define his poetry as postmodernist?

Answer

Fine e inizio, dicevamo, si compenetrano, e a tratti non si possono distinguere. Ciò che adesso è “post” qualcosa, forse si potrà definire un giorno “pre” qualcos’altro. Poeticamente sono attratto soprattutto dalla seconda ipotesi. Ho ben coscienza, per quello che è nelle mie possibilità, di ciò che ho alle spalle. Ma il senso della fine da cui sono partito ha generato una nausea alla quale ho risposto, umanamente, con il desiderio. Non so se quello che sto per dire ha senso, ma io mi sento più all’inizio di qualcosa che alla fine di altro. Per ora mi basta pensare che la mia poesia sia “pre”-sente. Essere davvero presenti, centrati nel respiro e nel pensiero, consapevoli della scena in modo da non essere “giocati” da essa: dentro i congegni della nostra società complessa, ma senza appartenere ad essi. Credo sia questa l’unica, eterna dimensione contemporanea della poesia. La poesia contemporanea è quella sintonizzata bene nel presente, ovvero quella che, in ogni epoca, riesce a guardare lungo quel crinale infinito e sottilissimo che sta tra il ricordo del noto da una parte e l’ansia dell’ignoto dall’altra (come nell’equilibrista della mia poesia Vertigine), l’unico tempo giusto perché qualcosa accada, anche il primo battito di ciò che sta per arrivare: essere presenti significa a quel punto pre-sentire…

Questa mia visione è una nuova maschera del modernismo o è il suo superamento? Francamente, non saprei dirlo. Dovrei volgere lo sguardo verso uno dei due abissi, rientrare nella prospettiva storicistica. Non ho alcuna intenzione di farlo, “Finché la carne bianca a fuoco ara / una mano ispirata”.

Domanda

Possiamo definire la sua poesia come “Poesia del tramonto”?

Question

Can we define his poetry as “Poetry of the sunset”?

Answer

“L’appuntamento è qui su questa pagina / mio capitano di poche parole, / lettore in fuga dalla somiglianza / che mi fa tuo seguace contro il tempo”. “E adesso voglio un nome impronunciato, / bianchi tutti i quaderni, persi i crediti”… “… di tutti / i confini ho dolore, / ho passione per tutti gli orizzonti”. “Lontano / i vincitori esultano – / ma il pane in tavola è più buono, i figli / sono uomini fatti e nella luce / lattiginosa del portico parlano / come guide già esperte”. No, non direi che la luce che percepisco sia una luce di tramonto.

Domanda

Come è cambiata nel corso dei decenni la sua poesia?

Question

How has your poetry changed over the decades?

Answer

L’amore e tutto il resto comprende versi composti tra il 1996 e il 2022. Le oscillazioni formali ci sono, ma erano presenti fin dall’inizio. Finora, ho sempre trapuntato le forme canoniche: ho sperimentato il loro superamento in alcuni tratti, per eccesso di formalizzazione; le ho scantonate con andamenti apparentemente più liberi, in altre fasi. Il verso perfetto rischia di generare nausea o di suonare vuoto, di interferire con la voce reale della poesia. Ma queste oscillazioni sono rimaste costanti in me, in questi anni, quindi non sono da considerare un reale mutamento, ma un movimento congenito e continuo – almeno finora. Se dunque la raccolta tiene e risulta compatta, come mi sembra, arriverei a sostenere che non c’è stato un reale cambiamento, se non una ovvia sedimentazione figurale e un illimpidimento espressivo.

Foto Man Ray Rue de la transfusion de sang

Man Ray foto rue de la transfusion de sang

Domanda

La civiltà europea è giunta alla sua fine? O è possibile un nuovo inizio?

Question

Has European civilization come to its end? Or is a new beginning possible?

Answer

Credo di avere già risposto. L’Europa è una terra di passaggio, un luogo di confluenze, un margine. Ammaliati dalla spiritualità indiana o dalla disciplina nipponica, abbiamo un calendario babilonese, un dio ebreo, una matematica araba, una filosofia greca e una praticità latina; vestiamo tessuti cinesi, sfruttiamo minerali africani, mangiamo frutta sudamericana e… ci scaldiamo col gas russo. In questa visione, essere un margine è una ricchezza inestimabile, perché significa essere per eccellenza luogo di commercio, di conoscenza e di scoperta. Anche politicamente, quando le forze che interpretano positivamente il concetto di “confine” vinceranno su quelle che pretendono, per paura e ignoranza, di difendere “identità nazionali” fasulle, inizierà una nuova epoca. Ma dirò di più: non esistono muri che possano fermare le migrazioni. Le resistenze saranno, alla fine, superate, volenti o nolenti. Possiamo soltanto decidere se vivere questa trasformazione in modo pacifico oppure in modo più traumatico. L’identità europea è una non-identità, una perenne prossimità all’altro. L’identità europea è la “somiglianza”. E questo fa paura a molti.

Domanda

Grazie per la sua gentile disponibilità Andrea Temporelli, vuole dire ai lettori italiani la sua opinione sul futuro della poesia?

Question

Thank you for your kind availability Andrea Temporelli, do you want to tell Italian readers your opinion on the future of poetry?

Answer

Non c’è niente da dire sul futuro della poesia. Il futuro della poesia non esiste. Il futuro della poesia si fa. Poeticamente.

10 commenti

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10 risposte a “Intervista a Andrea Temporelli a cura di Giorgio Linguaglossa, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?, Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?, Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

  1. caro Andrea Temporelli,

    non sono io che ho inventato la dizione «fine della metafisica» ma Heidegger. Già nel 1929 compare nel suo pensiero la dizione «fine della metafisica» nel saggio fondamentale Was ist Metaphysik?. Per Heidegger è in atto da tempo il processo di «fine della metafisica», quel processo di nichilismo negativo che investe il pensiero dell’Occidente le cui tracce si possono rintracciare in Max Stirner e Friedrich Nietzsche. Nel quadro ontologico heideggeriano la «metafisica» rappresenta il culmine e allo stesso tempo la fine del pensiero occidentale. «Fine della metafisica» come ricerca di una verità definitiva, inconfutabile, incontrovertibile. In questo processo di dissoluzione del fondamento veritativo vengono meno le nostre pretese universalistiche e la stessa Ragione è frantumata in una pluralità di Ragioni. Nella divaricazione tra la Ragione al singolare alle Ragioni al plurale si consuma per Heidegger la marginalità del pensiero filosofico trascinando con sé la «fine della metafisica» e la «fine del pensiero». Si profila la frattura tra la scienza e la filosofia: la scienza dichiara il nulla, la filosofia dichiara che là risiede il senso dell’essere.
    Filosofia e scienza si contrappongono: Essere o Nulla? da cui la famosa domanda di Heidegger: «Perché l’essere e non il nulla?».1

    Al tempo stesso la domanda sulla Uberwindung della metafisica ci muove a una domanda fondamentale: La domanda sul nulla mette in questione noi stessi che poniamo la domanda. Si tratta quindi di una domanda metafisica.

    «L’esserci umano può comportarsi in rapporto all’ente solo se si tiene immerso nel niente. L’andare oltre l’ente accade nell’essenza dell’esserci. Ma questo andare oltre è la metafisica. Ciò implica che la metafisica faccia parte della “natura dell’uomo”. Essa non è un settore della filosofia universitaria, né un campo di escogitazioni arbitrarie. La metafisica è l’accadimento fondamentale nell’esserci. Essa è l’esserci stesso. E poiché la verità della metafisica dimora in questo fondo abissale, essa è costantemente insidiata da vicino dalla possibilità dell’errore piú radicale. Questa è la ragione per cui non c’è rigore scientifico che eguagli la serietà della metafisica. La filosofia non può mai essere misurata col parametro dell’idea della scienza.»2

    1 Heidegger pone la domanda: “Perché è in generale l’ente e non piuttosto il Nulla?” (Was ist Metaphysik? (1929), Nachwort zu ‘Was ist Metaphysik?’ (1943); Einleitung zu ‘Was ist Metaphysik?’ (1949), Vittorio Klostermann, Frankfurt a.M., Che cos’è metafisica? (1929), trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 2001, p. 67.
    2 Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pag. 282

  2. milaure colasson

    Rispondo in breve alla prima domanda di Linguaglossa

    perché è quella che ritengo fondamentale, le altre sono domande di contorno di cui mi sarà lecito rimandare ad altra occasione l’onere di una risposta.
    Con la parola «metafisica» di cui si parla nella domanda penso si intenda la legislazione del linguaggio a cui noi tutti storicamente sottostiamo: la grammatizzazione della voce orale che ha fondato la nostra civiltà occidentale con tutti i suoi innumerevoli tropi e figure retoriche. Ma la «metafisica» è l’opera di una gigantesca grammatizzazione, non è un corpo unitario e infrangibile, la si può infrangere togliendo alle parole la loro destinazione di legalità e di utilità, sospendendo, con un atto di deposizione, le parole dal loro significato ordinario.

    Nel pensiero di Walter Benjamin la verità si dà solo nei «cocci del pensiero», nelle parole depositate sul fondale marino del dimenticato, sottratte al rimosso e all’oblio dalla rete del «pescatore di perle» e del «pescatore di stracci». Benjamin aveva escogitato una precisa strategia in grado di infrangere l’incantesimo di una tradizione che considerava alla stregua del «bottino di guerra» dei «vincitori della storia». Si tratta di una straordinaria collezione di citazioni, minuziosamente appuntate sui suoi taccuini e della quale il filosofo faceva il contenuto fondamentale della sua speculazione.
    La citazione, come forma del nominare, se sradicata dal suo contesto semantico e sintattico originario, consente di ricongiungersi alla potenza del dire prima che intervenga la legislazione del senso e del significato. Le citazioni organizzate dalla tecnica del montaggio recidono i vincoli che le tenevano avvinte alla ♫metafisica☼ del «significato»; qui il principio di autorevolezza dell’enunciato viene soppiantato da quello di libera individualità delle parole liberate dalla sottomissione al significato ordinario socialmente condiviso.

    Ha scritto Linguaglossa in un commento postato il 28 febbraio 2023:

    “Oggi abbiamo a disposizione la «musica» e le «parole» ovunque: non solo nelle sale concerto, ma, nei teatri, nei cinema, nelle sale d’aspetto dei dentisti, nei negozi di alimentari, nei supermarket… come la «musica» anche le «parole»: siamo invasi da parole di tutti i conii, da quelle bicefale a quelle alto allocate, parole insulse, prometeiche, cafonesche, a quelle prive di significato, parole vuoto a perdere… così non solo negli aeroporti ma anche in spiaggia e finanche nel mare a bordo dei pedalò siamo assediati dalle musichette orripilanti e dalle parole dei bagnini… tutto questo ha cambiato il nostro rapporto con la musica e con le parole; innanzitutto, dobbiamo liquidare una volta per tutte l’ideologema mitico della «voce originaria», come se ci fosse una mitica «voce» nella mitica «interiorità» in grado di affiorare in superficie
    (con tanto di duende) e di irrorare di bellezza composita il foglio bianco del poeta intonso. Tutto ciò è un mito! In realtà, non c’è nessuna «voce» originaria e tantomeno «narrante», non c’è nessuna «origine» e nessuna «autenticità» da salvaguardare e quindi non c’è nessuna «duende» originaria, nessuna «nostalgia», non c’è nessuna «autenticità» da liberare nella voce dispiegata. Tutti miti di un bel tempo che fu. E con la scomparsa della «voce» originaria del poeta, abbiamo i suoi sostituti: delle «voci» multilaterali che provengono da ogni dove.”

    Il poeta di oggi agisce in modo analogo a quello del «collezionista» di Benjamin, le parole intimamente intrecciate all’origine del loro valore d’uso e di scambio si configurano presso la nuova fenomenologia del poetico, una volta liberate dall’origine, in guisa antisistematica; libere di agire in base al principio di libertà, le parole non sono più soggette alla legislazione di quella «metafisica» (la tradizione) che ne irrigidisce il senso e il significato.
    Possiamo considerare il collezionismo di oggetti di Benjamin una procedura analoga al collezionismo di frasari nella poetry kitchen, una procedura che consente di sostituire il valore d’uso e di scambio delle parole con un valore dato dal mero piacere disinteressato del poeta. Così, gli oggetti liberati dalla schiavitù dell’utilità e del significato, vengono «riscattati». Si tratta di un’attività rivoluzionaria governata dal kairos che sconvolge l’ordine imposto dal passato e legittimato dalla tradizione.
    Le citazioni anonime, i frasari anonimi costituiscono il nucleo centrale della tecnica compositiva della nuova fenomenologia del poetico, nella quale non vige il principio logico-causale ma un intento azionatorio-predicatorio insito nel linguaggio. Verrebbe da pensare, allora, che proprio il kairos rappresenti la categoria portante della poetry kitchen.
    Il kairos che governa il rinvenimento di «perle e coralli» (dizione di Benjamin) perduti, il kairos che culla il passeggiatore, il flâneur, nel reticolo delle strade di Parigi.

    “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato.
    Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
    Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.”.1

    (Marie Laure Colasson)

    1 Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti

    Giorgio Linguaglossa
    Discorso della Montagna

    Il Presidente del Globo Terrestre alzò la cornetta del telefono
    Urlò:
    «Il misuratore dei bidet è andato a prendersi un caffè, ha attaccato un cartello alla vetrina del negozio di ortofrutticolo di via Pietro Giordani con su scritto:
    “Torno subito”»
    E continuò con questi frangenti:

    «È in corso la denazificazione della poetry kitchen!
    È in corso la saponificazione della formaldeide!
    Non dimenticate di prendere un’aspirina, la sera, e una di Lexotan la mattina e dopo i pasti, vi toglie il mal di stomaco
    È vietato fornicare con la vicina di ombrellone
    Ai nani è vietato indossare gli shorts
    È vietato pomiciare con un LGBT
    È vietato chiudere i rubinetti del gas prima di uscire
    È vietato chiudere i flow cash dei bancomat
    È consentito indossare la canottiera solo d’inverno
    Non è permesso immergere i savoiardi nel caffelatte
    Non dimenticate di assumere il prolettico dopo pranzo
    La penicillina è diventata astemica
    La majonese è una combriccola milanese
    L’alopecia è una torta Sacher con la Lichtung al centro
    Il poliptoto è il nome scientifico della medusa mediterranea
    Il maggiordomo Camembert ha deglutito per errore la créme caramel di propietà del poeta Michal Ajvaz
    Madame Colasson usa sempre il filo interdentale Colgate Control»

    Fu a questo punto che Papa Francesco dal Vaticano interloquì in modo appropriato:

    «Spolverate più spesso la piramide di Cheope con lo spazzolino da denti Kukident e poi lucidatela con il lucido da scarpe Nugget
    Non fidatevi del Mago Woland, è un malmostoso putleriano, un fidejussore, un profittatore
    Ogni evento ha il suo contrario ope legis
    Il periplo è analogo al peplo
    Il contrattempo è in allestimento
    Il contraddittorio è in allestimento
    Il collutorio contiene la clorexidina
    È in allestimento anche il futuro
    Per il passato ci incontreremo domani»

    Gli ofidi sono ventriloqui, parlano spesso con i T-Rex
    Il Velociraptor ha deglutito il pesce Lavrov
    Anassagora beve un bicchierino di vodka in compagnia di Prigožin
    Il cateto di Pitagora litiga con l’ipotenusa di Aristarco

    Così il Parlamento ha votato la fiducia al Governo di unità nazionale
    La legge di stabilità contiene l’autorizzazione al termovalorizzatore dell’Urbe
    Il pappagallo Totò ha augurato “Buongiorno!”
    Achille ha raggiunto la Tartaruga
    Un pesce in marsina si sta lavando i denti con Pepsodent anti placca quando il misuratore dei bidet, il Mago Woland, dopo aver masticato un würstel ha continuato con questi frangenti:
    «Dio è diventato impotente! Questa è la migliore prova dell’esistenza dell’Essere e del Dasein, lo stigma della sua impotentia coeundi!»

    Nel mondo capovolto Churchill va in bicicletta e Fausto Coppi è il primo ministro del Regno Unito
    Lo scolapasta andò a picchiare contro la pentola di Chernobyl in ebollizione
    Fa ingresso nell’ologramma il Corvo di Salaparuta il quale spedisce una cartolina alla papessa Giovanna con su scritto “Viva l’Italia!”
    Nella circostanza, un nano esce da una poesia di Michal Ajvaz, bussa alla porta della abitazione del critico Linguaglossa e non trova di meglio che radersi la barba con una lametta Bic tripla lama
    Si guarda allo specchio, sorride, fa dei versacci, dei cilecca e dei princisbecchi e dice:
    «Caro Linguaglossa, Lei è il terrore dei poeti elegiaci!»

    Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Antony Blinken ha dichiarato al G7:
    «We’re not going to tell the russians how to negotiate, what to negotiate and when to negotiate»,
    con una postilla significativa:
    «They’re going to set those terms for themselves»

  3. antonio sagredo

    Sento la gravità, la gravezza, il peso della poesia sulle mie spalle.
    Me ne devo sbarazzare, della poesia ovviamente – puttana
    in versi – la voglio solo in falsetto… in sospensione …
    leggera come una condanna capitale!

    Dicembre 2004
    ———————————————-

    verso con se stesso

    Verso, io ti chiesto una squillante Voce di falsetto!
    Ti ho chiesto, di lei, la più alta nota che non giunse mai!
    Lacrime-meduse hanno invaso la mia gola atterrita,
    la Poesia si trastulla e s’inchina, devota, alla mia Parola!

    Il suo occhio ancora non si è mutato in gelido passo,
    nero stiffelius che uno stendardo agita come un muto addio,
    ma dai trivi un umido urlo, luce equina di una città,
    dietro la sguaiata quinta si è disteso mortale come il Tempo!

    Non mi hai donato nemmeno un pianto o la farsa di un conforto
    da citare in un’estasi maestra… esperto saggio di una mano
    illume che sul leggio canta le tue movenze, e un miniato
    sguardo assegna, non interdetto, al diritto di uno spezzato gesto.

    E genero ancora qualcosa di mostruoso al capezzale ignobile,
    come un cuore speranzoso tradito dai balsami di una fede idiota,
    e sul rogo dai battiti di un libero pensiero… recidivo è un ceppo
    scabroso, e mi condanno: non ho vergogna, io, se la testa di un poeta si ribella.

    Antonio Sagredo

    Roma, 18 aprile 2010
    (ora antelucana: 02.30)

  4. Video di Gianni Godi voci di Alice e Pilar Castel ispirato alle “Strutture dissipative” di Marie Laure Colasson

    Oggi, nel 2023, non si può porre mano ad alcuna ermeneutica dell’arte a seguito della Fine della poiesis, di quella che un tempo si chiamava «arte» nel tempo della storia lineare e progressiva; oggi, nel tempo della storialità (cioè della storia non-progressiva), la fine dell’«arte» trascina con sé anche la fine della critica d’arte. E qui il discorso si chiude. La poiesis kitchen è l’espressione artistica più consapevole alla domanda della posizione dell’«arte» in un mondo «storiale»; ovvero, in un mondo «storiale» ci può essere soltanto una poiesis «storiale», cioè non-storica, che non abita più un orizzonte storico. La nuova fenomenologia del poetico è la fenomenologia di una poiesis storializzata che si presenta incubata e intubata in una duplice cornice, se così possiamo dire, una cornice esterna al quadro e una cornice interna ad esso. La poiesis possibile sarà soltanto quella che si situi all’interno tra le due cornici, nell’intercapedine tra le due cornici là dove si apre uno spazio vuoto, vuoto di significazione. Si tratta di una poiesis ovviamente priva di «essenza» e di qualsivoglia «interiorità».
    Quelle interiorità ridotte a palline luminescenti, sfere che rimbalzano e galleggiano all’interno di una macchina celibe dove majorette in reggicalze ballano con scheletri redivivi il tutto accompagnato da spezzoni di triviali musichette marziali e acuti di un melodramma soporoso…

  5. milaure colasson

    Das Ereignis ereignet (l’evento avviene, Heidegger), L’ultimo periodo della vita di Heidegger è stato dedicato alla nozione di Evento (Ereignis), ma il filosofo non è riuscito a cavare un ragno dal buco. Il concetto di Evento è sfuggente, imprendibile, se fosse prendibile non sarebbe un Evento. Per esempio, la nuova poesia. Bene, se fosse leggibile non sarebbe più un Evento. Per essere Evento non deve essere né leggibile né prevedibile.
    La poesia di Linguaglossa è l’unico discorso che Gesù potrebbe pronunciare se tornasse sulla terra. Che altro potrebbe dire? Non c’è nulla da dire di significativo…
    L’Evento è in se stesso una Enteignis, («espropriazione»), ciò che eravamo prima dell’evento ora non siamo più. L’Evento è ciò che rivoluziona il nostro «proprio», ci dispossessa delle nostre proprietà e ci restituisce alla espropriazione di noi stessi. L’Evento non è qualcosa di cui pensare ma qualcosa che avviene, che precede il pensiero e lo trasloca. iI pensiero post-metafisico che prende dimora nell’evento, non è un atto di fede ma una presa d’atto, una presa di coscienza dinanzi a ciò che si presenta come irriconoscibile, infatti l’Evento è sempre irriconoscibile, si presenta come nuovo linguaggio di cui appropriarsi. Con lo svanire dell’essere nel rapporto di scambio nasce il «nuovo». Heidegger afferma che dell’Evento non si dà una teoria o una conoscenza, ma un’esperienza, e che «l’esperienza non è qualcosa che mistico […] ma è il raccogliersi che porta a soggiornare nell’evento» e come tale «un accadimento che può e deve essere mostrato»: il «pensiero preparatorio» è già esso stesso esperienza dell’evento.
    Al di là dell’alone di mistico che aleggia nelle parole del filosofo tedesco si può interpretare così: prima della Rivoluzione Francese non c’era nulla, nessun Evento, dopo di essa il nuovo evento cambia la storia del mondo occidentale e le coscienze degli uomini. L’imprevedibile e l’irriconoscibile è diventato realtà. Analogamente, una «nuova poiesis» all’inizio è sempre imprevedibile e irriconoscibile, ma dopo di essa la poiesis è cambiata per sempre. Prima del 1954, anno di pubblicazione del libro d’esordio di Tomas Tranströmer, 17 poesie, la poesia europea era diversa, pensava e scriveva ancora in chiave di mimesis, era neoverista nelle sue profondità, dopo quel libro la poesia europea è cambiata, per sempre. Certi Eventi che accadono non tutti lo intercettano, e magari i suoi effetti risuonano a distanza di decenni, ma questo risiede nella struttura stessa dell’Evento che si presenta sempre con le caratteristiche della invisibilità e della impredittibilità.

    Due parole al bellissimo video di Gianni Godi. Questo è per me un Evento, inatteso e imprevedibile in quanto Evento. Che Gianni Godi abbia preso lo spunto dalle mie «strutture dissipative» mi dà soddisfazione… le nuoveopere camminano, gli eventi sono in cammino… La nuova poesia è difficile, problematica, irriconoscibile molto più facile è fare le poesie della interiorità e della bellezza sfregiata. Sull’amore non saprei che dire, io che ho molto amato, dinanzi all’amore resto senza parole. E forse questo è la migliore poesia: una poesia senza parole, come una musica senza note… l’ideale per ogni poeta o musicista.

  6. antonio sagredo

    Non ho guardato il video, l’ho am-mirato, e ho mirato i vari passaggi de-costruttivi…
    davvero bravo l’artista Gianni Godi e al musica che si interpone scandendo le varie scene… è mirabile questo breve ma intenso video sulle dissapazioni metaforiche.
    Chsssà se Godi illustrerebbe uno dei miei poemetti: mi metto in fila dopo la Colasson…

  7. Pingback: Una prova senza appello - Profezia privata

  8. tiziana antonilli

    Vorrei difendere ‘ l’identità europea’, non da un punto di vista riduttivo, di chiusura, ma da donna. Ci sono valori non negoziabili, uno di questi è l’autodeterminazione delle donne. In molti Paesi non europei è invece un’utopia. Non dimentico certo di vivere in una società per molti versi patriarcale, ma qui azioni, parole e decisioni che contrastino le libertà delle donne sono un reato e vengono sanzionati. Abituati come siamo a darci sempre addosso dimentichiamo le nostre conquiste. Di conseguenza le migrazioni pongono anche questi problemi che in altri Paesi europei sono affrontati con la presenza sistematica dei mediatori culturali e di un’opera di ‘educazione’ ai nostri principi di libertà delle donne. Forse non sono politicamente corretta, meglio così.
    P.S. In inglese le nostre forme di cortesia ‘suo’ e ‘sua’ non si traducono con l’aggettivo possessivo, in inglese c’è solo your. Mi riferisco all’intervista e alla traduzione delle domande.

  9. Mimmo Pugliese

    LA BARCA

    La barca è finita in cielo
    gli elefanti in salopette stordivano tarocchi

    Zigomi e seni quadri marciavano in cassaforte
    una ruga di cortisone abbraccia pupazzi di neve

    Le lampade della sera si inginocchiano alle tonsille
    ha fatto boom il promemoria del gelsomino

    Le schiene delle bottiglie dirigono il traffico
    dalla tana il dentifricio scavalca la cresta dei galli

    Sabbia e sale avevano scarpe intrise di occhiali
    bighe contromano masticavano aghi

    Posacenere demodè inseguivano molluschi
    portapenne a transistor affilavano rasoi

    Le trame dei tappeti erano aloni di bocche
    dal bagnasciuga spuntava la gobba delle piramidi

    Il petto sudava tricicli
    sulla cima del ventaglio pioveva

    Cornicioni resettano metri di caffè
    la catapulta diventa dirigibile

    Al centesimo mese dell’anno il sirtaki vomita inchiostro
    vetri distopici scarnificano la risacca

  10. Pingback: Video di Gianni Godi, voci di Alice e Pilar Castel ispirato alle “Strutture dissipative” di Marie Laure Colasson, Domanda: Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della ♫metafisica☼? Nel mondo «storiale» ci può essere soltanto una

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