foto di Eliot Elisofon, La vita come ripetizione infinita
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Giorgio Linguaglossa
Sulla natura delle formazioni discorsive kitchen
Il montaggio richiede di comporre la sequenza come una pellicola cinematografica in 3D; una sequenza non è costituita soltanto di immagini o solo di spazi pieni, ma soprattutto di vuoti, di spaziature, di amnesie, di lapsus, di interferenze, di rumori di fondo, di non detti, di sfondi laterali visibili e/o latenti che delimitano il susseguirsi degli enunciati e delle icone. Il lavoro di montaggio va fatto esattamente in quello spazio della percezione che possiede contemporaneamente il compito di separare e unire, di isolare e ricomporre. Quello spazio Warburg lo chiamava «Denkraum», lo spazio tra un pensiero e l’altro, lo spazio dell’intervallo che si configura proprio a partire da quegli spazi vuoti che attendono di venire connessi. L’approccio di demistificazione delle poesie kitchen dei quattro autori implica la consapevolezza di una poiesis effetto di demistificazione in quanto il linguaggio viene impegnato in una contesa con il senso chiaro e distinto della poiesis del novecento, quella del soggetto cartesiano. Non si dà né maschera né menzogna né verità perché non c’è alcuna pretesa di verità, si ha semmai un effetto di verità che non può mai valere per il soggetto in quanto esso è stato già espropriato a monte della propria soggettità in quanto il soggetto è già da sempre decentrato e lateralizzato, nasce già come effetto di linguaggio, effetto di significanti. Essendo infatti il soggetto nient’altro che un effetto del linguaggio. Asserire che il linguaggio è il luogo dell’equivoco e che tuttavia nella sua equivocità, esso purtuttavia dice e mostra qualcosa, equivale ad affermare con Aristotele che «l’essere si dice in molti modi». Ne deriva che il discorso poetico è quel discorso che dice l’essere in molti modi. Da un esame dell’«asse verticale» di una formazione discorsiva kitchen emergerà il legame strutturato con altre pratiche extra discorsive, se poi passiamo all’esame dell’«asse orizzontale», giungiamo alla visione dei rapporti interdiscorsivi, ovvero, delle forme di connessione interattiva tra i due assi. Il kitchen è il risultato dell’intima e indissolubile interconnessione tra i due assi, e l’unico giudizio ammissibile sarà la condizione di realtà o di possibilità degli enunciati. Non si tratta quindi di condizioni di validità degli enunciati ma unicamente di condizioni di realtà, di possibilità. Il «senso», se senso v’è in un testo kitchen, si dà soltanto dall’improvvisa apparizione di un enunciato, nel bagliore di un attimo; questo senso dis-senziente può sorgere sempre e soltanto nel campo di esercizio di una funzione enunciativa, senza riguardo per alcuna soggettività reale perché gli enunciati abitano sempre e soltanto l’eventuale del reale. L’ordine del discorso e l’ordine del pensiero, lo spazio in cui pensiamo, può essere lacerato: è la situazione limite delle «eterotopie», ovvero, sorta di «contro-spazi» di cui le culture dispongono e «in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura, sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati»1; tali eterotopie sono talvolta luoghi fisici (ad esempio i cimiteri) oppure ideali, che si trovano solo sulla carta, come nel caso dell’«enciclopedia cinese» di Borges da cui prende l’incipit l’intero progetto teorico de Le parole e le cose di Foucault. Le «eterotopie» svolgono un ruolo epistemologico speciale nella misura in cui denudano l’essere del discorso e con esso del pensiero, proprio «perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruiscele frasi, ma anche quella meno manifesta che fa “tenere assieme” (a fianco e difronte le une alle altre) le parole e le cose»2. Sorgono due domande: chi parla? e cos’è ciò che dice? Si tratta di due quesiti radicali, perché pongono in questione allo stesso tempo l’essere del discorso e l’essere del soggetto Parlante. Ma è bene ribadire che non c’è alcun mistero né alcuna anteriorità nel Parlante, il senso del suo discorso sarà all’interno del discorso stesso, non oltre e meno che mai nelle cose le quali sono altrettanto equivoche quanto il linguaggio che le esprime. Giunti a questa conclusione possiamo asserire una volta per tutte che il linguaggio poetico kitchen abita integralmente le «eterotopie», che altro non sono che quei luoghi che consentono l’irruzione evenemenziale dell’atto enunciativo.
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1 Id., Eterotopie, in Archivio Foucault III, a cura di A. Pandolfi, trad. it. di S. Loriga, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 310.
2 M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris, 1966, trad. it. di E. Panaintescu, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967, p. 8.
[poesia di Lucio Mayoor Tosi]
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Marie Laure Colasson
Cito da Paul Valéry: «L’arte nel mercato universale è più ottusa e meno libera»
«L’Arte, considerata come attività svolta nell’epoca attuale, si è dovuta sottomettere alle condizioni della vita sociale di questi nostri tempi. Ha preso posto nell’economia universale. La produzione e il consumo delle opere d’Arte non sono più indipendenti l’una dall’altro. Tendono ad organizzarsi. La carriera dell’artista ridiventa quella che fu all’epoca in cui egli era considerato un professionista: cioè un mestiere riconosciuto. Lo Stato, in molti Paesi, cerca di amministrare le arti; procura di conservarne le opere, le «sostiene» come può. Sotto certi regimi politici, tenta di associarle alla sua azione di persuasione, imitando quel che fu praticato in ogni tempo da ogni religione. L’Arte ha ricevuto dai legislatori uno statuto che definisce la proprietà delle opere e le condizioni di esercizio, e che consacra il paradosso di una durata limitata assegnata a un diritto ben più fondato di quelli che le leggi rendono eterni. L’Arte ha la sua stampa, la sua politica interna ed estera, le sue scuole, i suoi mercati e le sue borse-valori; ha persino le sue grandi banche, dove vengono progressivamente ad accumularsi gli enormi capitali che hanno prodotto, di secolo in secolo, gli sforzi della «sensibilità creatrice»: musei, biblioteche, etcetera…
L’Arte si pone così a lato dell’Industria. D’altra parte, le numerose e stupefacenti modifiche della tecnica, che rendono impossibile ogni ordine di previsione, devono necessariamente influire sull’Arte stessa, creando mezzi del tutto inediti di esercizio della sensibilità. Già le invenzioni della Fotografia e del Cinematografo trasformano la nostra nozione delle arti plastiche. Non è del tutto impossibile che l’analisi estremamente sottile delle sensazioni che certi modi di osservazione o di registrazione fanno prevedere conduca a immaginare dei procedimenti di azione sui sensi accanto ai quali la musica stessa, quella delle «onde», apparirà complicata nel suo meccanismo e superata nei suoi obiettivi. Diversi indizi, tuttavia, possono far temere che l’accrescimento di intensità e di precisione, così come lo stato di disordine permanente nelle percezioni e nelle riflessioni generate dalle grandi novità che hanno trasformato la vita dell’uomo, rendano la sua sensibilità sempre più ottusa e la sua intelligenza meno libera di quanto essa non sia stata.»
Una poesia
Umwelt fait en 2004, durée 1 h et 6 mn coreografie Maguy Marin
musique Denis Mariotte pour le Festival Equilibrio 2022
Panneaux miroir et six personnages
son musical assourdissant répétitif
infernal le souffle du vent entre les panneaux
Fragments du tourbillon de la vie
une pomme croquée à pleines dents
un sandwich dévoré
une serpillière esclave de la propreté
une defécation de 3 pantalons abaissés
des lampes électriques qui fouillent le sol
des fesses de femmes éclairées à cru
de dos 3 chadors orangés
des bretelles de salopettes que l’on replace
des sacs poubelle
les couronnes du pouvoir
des chapeaux pour toutes saisons
des robes insolentes unisexes rouges jaunes blanches
des disputes des viols
des actes amoureux sexuels
des déchets jetés sur scene
Le tout le peu le rien
les mâchoires grincent
*
Pannelli a specchio e sei personaggi
suono musicale assordante ripetitivo
infernale il soffio del vento fra i pannelli
Frammenti del tourbillon della vita
una mela morsicata a trentadue denti
un sandwich divorato
uno strofinaccio schiavo della pulizia
una defecazione di 3 pantaloni abbassati
delle lampade elettriche che frugano il suolo
delle chiappe di donne illuminate a crudo
di schiena 3 chador color arancia
delle bretelle di salopette che si aggiustano
dei sacchi di immondizia
le corone del potere
dei cappelli per tutte le stagioni
dei vestiti insolenti unisex rossi gialli bianchi
delle dispute degli stupri
degli atti amorosi sessuali
dei rifiuti gettati sulla scena
Il tutto il poco il niente
le mascelle digrignano
Raffaele Ciccarone
13 gennaio 2023 alle 17:00
Miscellanea
Della miscellanea dorata gli zoccoli delle alture,
solo lo sposalizio tra elettroni garantisce
l’emicrania del mazzo di fiori.
Algoritmo del profumo in affanno di acuto piedistallo
senza burro non c’è felicità per il risotto.
La pioggia di clorofilla rigenera missili opachi
nel purè di patate inattesi i rilievi glicemici
pur dalla cottura dei cavoli verdi nei piani cartesiani.
Riparate le congiunture, le mappe di Pick liberano farfalle
che sfuggono da ogni dove
al momento l’esibizione dei cuscini porta alle suite migliori.
Ci risiamo col motore per la formula uno
generato da slalom di successi dovuti
a pannelli solari sotto spinta fotonica, ma solo per ora!
Mimmo Pugliese
13 gennaio 2023 alle 19:27
CUCCHIAI
Un fascio di cucchiai misura
la distanza tra un tampone ed il cratere di una bomba
Sotto un cielo di ontani
strambano soldati e streghe
Cigni neri ingoiano la strada
in un congelatore sagome conservano bruchi
Ideogrammi entrano ed escono dal muro
origami di carne prosciugano il faro
Una piuma sospende gli ordini del giorno
basta un secchio di vernice per impiccare i tulipani
Hai composto il numero sbagliato
le ante degli stivali seducono sedativi
Arrivi in tempo per assistere al sole
che inciampa su una pertica e si suicida
Francesco Paolo Intini
13 gennaio 2023 alle 21:22
MA QUALE ESPERIMENTO? LA POESIA È REVERSIBILE
La scorribanda è stata micidiale.
Tutto un susseguirsi di corvi e passeri feroci
Difficile competere con Lucifero
Sul fronte Ovest.
Le bordate di droni alla ricerca di cosa salvare
e missili che fanno zig zag sulla nutella.
Da qui si vede un azzurro appena accennato su un visetto d’ elefante
Poi inizia l’ignoto, re dei clandestini.
Perché uscirsene con un collasso?
Non è più nero l’arresto del miocardio?
Bisogna prendere una pompa di benzina
E farle sputare gli anni di piombo.
In un angolo blindato c’è Obama, di fronte l’ipotenusa
Ma è possibile, o porco di un cane, che non abiti Pitagora?
Interroghi un cateto ti risponde il Sole
Con una barzelletta sul pigreco.
Qui nel cuore dei teoremi manca Mike.
E picchi martellano l’intonaco.
Ripareremo la sua coronaria destra con bostik
poi aizzeremo i pirati contro i boat people
tra spruzzi di vodka e il mar di coca cola
Nessuno è mai fuggito da Kabul
Senza portarsi dietro uno stent, anche piccolo.
Arriveremo al Don con un bypass.
Il gatto nero sistemò i cuscini sul motore
Le lune di Marte si eclissarono all’ Air Force
E un filo d’erba strozzò il do di petto nella culla.
Marie Laure Colasson
14 gennaio 2023 alle 19:33
Negli ultimi venti anni il salario medio di un europeo è cresciuto del 20%, invece in Italia il salario medio è cresciuto solo del 3%, questo ci dice molto sulla stagnazione economica e sociale degli italiani e la decadenza economica, politica e sociale del Bel Paese.
La poesia, il romanzo, le arti in genere in Italia hanno risentito della stagnazione in misura forse ancora maggiore. Siamo arrivati a un ristagno vero e proprio, lo si può vedere da molti segnali, in particolare dalle pubblicazioni delle principali case editrici nelle quali l’indice di qualità è quasi scomparso e le nicchie pseudo culturali si sono moltiplicate e rafforzate. Il Paese è caduto nelle mani di un governo di destra-centro come mai avvenuto nella storia della Repubblica e, cosa più grave, i partiti del centro sinistra sono divisi da conflittualità insormontabili e dalla mancanza di progettualità riformistiche, La poetry kitchen va collocata perciò in questo quadro storico, è nata, in un certo senso, proprio per reazione a questa lunghissima stagnazione del Paese.
Giorgio Linguaglossa
15 gennaio 2023 alle 10:06
Ogni interpretazione è già una auto interpretazione
Il principio di «malevolenza» dei segni, elaborata da Foucault, obbedisce al principio di auto interpretazione, ovvero, una ermeneutica è quell’atto di intellezione che costruisce una superficie lungo la quale dispone i segni secondo la dimensione della profondità. Interpretare significa perlustrare la profondità. Questo non implica affatto l’avvicinamento a una interiorità dal momento che la profondità non comporta alcuna «interiorità», al contrario, essa è «esteriorità», ovvero, un gioco del piano dove non si ha il più un interiore, il più intimo rispetto al vero. Foucault giunge alla «scoperta che la profondità era solo una piega della superficie»1. Attraversando questo spazio e i segni che lo popolano, l’interprete non incontrerà mai un termine definitivo, né un inizio assoluto, si tratta di mere illusioni: prima e dopo ci sono ancora e soltanto dei segni. La conseguenza sta nel fatto che «se l’interpretazione non può mai concludersi vuol dire semplicemente che non c’è nulla da interpretare. E non c’è niente di assolutamente primario da interpretare perché, in fondo, tutto è già interpretazione»2. Il segno non è altro che un’interpretazione precedente che tuttavia si nasconde, esso è «malevolo» (Foucault): chi interpreta non «si impadronisce di una verità addormentata per proferirla» ma «pronuncia l’interpretazione che ogni verità ha la funzione di ricoprire»3. In questo processo l’interpretazione finisce per ripiegarsi su sé stessa e per interrogarsi. È questo il dovere sommo dell’interprete. In sé egli scopre le numerose stratificazioni che lo identificano, scopre così un essere che è sempre già un interpretato. Nel processo di queste infinite stratificazioni di senso, l’interprete non giunge alla fine al proprio nucleo solido di verità, ma al contrario si avvicina al rischio più grande: quest’arretramento conduce nella regione dove l’interpretazione medesima si inabissa, «portando forse con sé la scomparsa dello stesso interprete»4. Nel linguaggio, l’ermeneutica scopre la legge stessa della anonimia del parlare, che è anche la medesima legge in cui operano i segni.
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M. Foucault, Nietzsche, Freud, Marx, in Archivio Foucault I, a cura di Judith Revel, trad.it. di G. Costa, Feltrinelli, Milano, 1996, pp. 137-146, p. 139.
1 Ivi , p. 141.
2 Ivi , p. 143.
3 Ivi , p. 145.
4Ivi , p. 142
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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
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Davvero interessante! Il pensiero di Foucault e la scelta dei quattro autori per evidenziare le pratiche di montaggio di certa poesia kitchen collocabile nel quadro storico attuale.
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“Quello spazio Warburg lo chiamava «Denkraum», lo spazio tra un pensiero e l’altro, lo spazio dell’intervallo che si configura proprio a partire da quegli spazi vuoti che attendono di essere connessi”. (Linguaglossa)”
…evidenziare le pratiche di montaggio di certa poesia kitchen collocabile nel quadro storico attuale”. (Jenny)
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Le due asserzioni qui sopra per essere convalidate devono assolutamente in qualche maniera combaciare. Significa che nulla deve essere lasciato da parte e escluso dalla pratica della creatività, e quindi montaggio: gli spazi vuoti non sono uno scarto, sono qualcosa che deve far parte dell’opera finita. Bisogna però intendersi in cosa consiste questo ” spazio”. P.e. ricordo che quando componevo versi e mi stancavo arrestavo la composizione, ma continuavo la “creazione” disegnando schizzi su schizzi, e solo molto più tardi mi accorsi che gli schizzi facevano parte del processo di composizione dei versi e dei diversi montaggi: non potevo escludere gli schizzi perché parti connessi direttamente con la creazione poetica, tantìè che pensai di poter pubblicare le poesie finite illustrandole con gli schizzi relativi.E allora cosa è questo spazio?
Uno spazio fisico o di tempo?
Quindi con gli schizzi realizzavo ciò che qui in qualche modo è elencato, che è detto soptto il nome sommario di montaggioe cioè:
“sequenza di vuoti, di spaziature, di amnesie, di lapsus, di interferenze, di rumori di fondo, di non detti, di sfondi laterali latenti che delimitano il susseguirsi degli enunciati e delle icone”.
M non è tutto questo un correlare le varie arti, e creare una sintesi.
La poesia KITCHEN è QUESTO O ALTRO?
E questa sintesi non contiene già il “quadro storico” attuale o no?
Comunico che ho inviato a Stefano Feltri, direttore di “Domani” questa lettera al Direttore.
Sulla vittoria di Elly Schlein
Odio gli indifferenti, i cinici, gli scettici.
Questa fenomenologia dell’indifferenza e della vigliaccheria è un prodotto politico, una vera e propria ideologia, una zona di compromissione che abbraccia tutti gli italiani. Gli italiani sono bravissimi a fare i camerieri, lo spirito del consesso di Pratica di Mare, presieduto dall’allora presidente del consiglio Berlusconi è stato un vergognoso esempio di camerierismo, con tanto di stanze da letto addobbate in stile rococò-erotico per il presidente Putin. Gli italiani, da marinai, santi, navigatori ed eroi si sono tramutati in camerieri.
Una politica estera non è divisibile dalla politica della «interiorità» e dell’«interno». Gli italiani sono passati con disinvoltura dalla ideologia della individualità del «fatti i fatti tuoi» a quella del «non sono affari tuoi»: i disagiati, i migranti, i reietti sono portatori di «sfiga» e vanno silenziati. La società va bene se vanno bene gli affari dei due terzi della popolazione., oggi è importante non cadere nella indigenza di quel terzo di italiani che non hanno prospettiva alcuna che continuare a fare lavoretti precari a quattro euro lordi all’ora e a tirare a campare. Scomparsi Pasolini e Fortini, la politica del «cassetto cultura» di quelli che una volta si chiamavano «intellettuali», si è tramutata in una politica di auto legittimazione delle consorterie più forti. Ad esempio, l’ultimo oppositore di questo malcostume letterario, il poeta Mario Lunetta (1939-2017), è stato rimosso, con plauso generale, dalla storia del cassetto poesia; una grande poetessa, Maria Rosaria Madonna (1940-2002), è come se non fosse mai esistita.
In Italia negli ultimi cinquanta anni ci sono state svariate politiche estetiche (non belligeranti, anzi cooperanti) prodotto di singole Istituzioni (Case editrici, Università, riviste di cultura, gruppi di potere politico e istituzionale etc.) che si sono mosse nella logica di estendere quanto più possibile la propria egemonia, o comunque estendere la propria influenza sui target della scrittura letteraria. Così si è solidificata una scrittura narrativa e poetica truffaldina a vocazione maggioritaria interessata a silenziare qualsiasi poiesis diversa, nuova o non allineata. È ovvio che in questa situazione il risultato è che si è verificata una stagnazione prolungata e diffusa della ricerca narrativa e poetica con penalizzazione della ricerca del «nuovo» e delle generazioni che si sono succedute dagli anni settanta ad oggi.
Non basta dire come fa un poeta del novecento, Cesare Viviani, che «la poesia è finita», se poi non si indica quale «poesia» e quali autori sono «finiti» che magari continuano a scrivere e a pubblicare nel «cassetto poesia» inquinando quel «cassetto» e rendendolo irrespirabile; così ci si acconcia su una «falsa coscienza», quella falsa coscienza che è diventato un «costume» tutto italiano e tutto impolitico. «Odio gli indifferenti» scriveva un grande italiano, Antonio Gramsci; uno dei più grandi romanzi italiani del 900 ha per titolo Gli Indifferenti (1929) di Alberto Moravia. Fatto sta che siamo diventati tutti indifferenti, cinici, scettici e anche il cassetto della produzione letteraria non fa eccezione, è speculare alla indifferenza della vita quotidiana che spartisce democraticamente le responsabilità tra l’«aggressore» e l’«aggredito», entrambi colpevoli ed entrambi responsabili, soprattutto gli «aggrediti» che hanno osato difendersi; così è per i reietti, colpevoli di non sapersi rialzare dalla loro condizione servile. Questa fenomenologia dell’indifferenza e della vigliaccheria è un prodotto politico, una vera e propria ideologia, una zona di compromissione che abbraccia tutti gli italiani, tutti «indifferenti», tutti cinici, tutti pàtici seguaci dell’unica fede che li accomuna, la fede del «fatti i fatti tuoi» e della filosofia del «successo».
La vittoria di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico è un segnale di riscossa a questa situazione di compromissione in cui si trovano gli italiani. La nuova fenomenologia del poetico e la poetry kitchen (anche se interessano una esigua minoranza) sono segnali di una «rottura» radicale con questa zona di compromissione culturale, contro questa «indifferenza» generalizzata, verso questo «costume», impresa non facile perché ci troviamo e ci troveremo sempre più a dover fare i conti con una manifesta ostilità, sordità, indifferenza e cinismo prodotto di tutte quelle istituzioni, individualità, lobby e gruppi di interesse che si sono sedimentati in questi ultimi decenni in Italia e che hanno determinato questa lunghissima stagnazione della vita quotidiana e civile dei cittadini italiani.
(Giorgio Linguaglossa)
La democrazia è una questione che è irrisolta: la democrazia sparisce nell’indifferenza, la democrazia fa la differenza. O era la poetry kitchen? Forse la problematica da sciogliere risiede nel partito, nell’intermediario.
Due testi Kitchen
IL PROTOCOLLO
Il paziente aveva firmato il lenzuolo n. 14,
la notte legarono una vena al lavabo.
Anche alla vegetariana imposero la camicia di forza
infermieri e carcerieri giocavano a poker con i vitelli.
I testimoni sempre off line, ma provvisti di consenso informato.
MANUALE IN 5 PUNTI
Bere un filo d’erba per gli omega tre
fare un riassunto dei globuli rossi e cestinarli
corpo a corpo con il primo sgarbo ai glutei.
Infilzare due volte al giorno le papille gustative
consolare il chilo e l’etto per complesso d’inferiorità.
Tiziana Antonilli
Qui non c’è un tema e neanche delle tematiche, non c’è un filo che tenga insieme le digressioni e le diversificazioni; c’è una visione dall’alto e dal di dentro, una visione insieme aerea e interna alle cose; non c’è neanche nessuna idea di che cosa debba essere la «poesia», tanto meno c’è l’idea di un linguaggio esclusivo e assolutorio; la poesia è fatta di linguaggi e di polinomi frastici manipolabili; e in effetti la poesia non sembra fatta di un linguaggio identitario ma di «cose» linguistiche, disparate, diversissime, identificate e identificabili mediante delle carte di identità ben fasulle eppure verosimili. La composizione (è meglio chiamarla così piuttosto che chiamarla poesia), è un ininterrotto approssimarsi alle «cose» con la piena libertà di non volerle mai racchiudere dentro alcuna gabbia concettuale; il kitchen segue di preferenza la via metonimica di approssimazione alle cose, una approssimazione che non può mai esaurirsi, e infatti la composizione kitchen propriamente non finisce, potrebbe non finire mai in quanto non c’è un limite interno delle cose ma solo un limite esterno che dipende dai punti di vista da cui le guardiamo. C’è ancora, ben identificato e identificabile, un punto di vista panoramico (anche se non panottico) che guarda alle cose non da un punto ma da una linea volubile e volatile, un nastro di Moebius, che ci consente di vedere le cose in modo nuovo e imprevisto, parallattico. Le cose ci sono, e tanto basta, le cose vanno suggerite ma non racchiuse dentro la nominazione come se essa fosse una gabbia o una armatura, perché le parole non esauriscono (né mai lo potrebbero) le cose, semmai le suggeriscono, le indicano ammiccando.
C’è, è ben visibile in queste composizioni di Tiziana Antonilli, questo problema: che le «cose» non corrispondono più alle parole, che tendono a liberarsi delle parole, che le parole sono insufficienti e carenti. Ma questo è un problema che la poesia non può risolvere in quanto problema macro storico, che però la poesia può, anzi, deve indicare.
Forse io preferirei mettere un punto alla fine di ogni enunciato, proprio per sottolinearne il carattere di finitudine e di infinità.
Lo spazio di cui opportunamente parlano Giorgio Linguaglossa e Antonio Sagredo è lo spazio in cui, a mio avviso, avviene una sorta di deflagrazione, è il momento in cui chi legge schizza via, per la sua strada e nessuno può sapere dove vada.
I testi dei quattro autori sono ottimi esempi della forza di tale spazio esplosivo.
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“La composizione (è meglio chiamarla così piuttosto che chiamarla poesia), è un ininterrotto approssimarsi alle «cose» con la piena libertà di non volerle mai racchiudere dentro alcuna gabbia concettuale… le parole non esauriscono (né mai lo potrebbero) le cose, semmai le suggeriscono, le indicano ammiccando”. (Linguaglossa)
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E’ da quando cominciai a scrivere versi che chiamai il processo di sistemazione delle parole: composizione… poi magari a lavoro finito venne fuori il termine poesia. Ed era un lavoro razionale che era preceduto da forze irrazionali e incontrollabili, e queste forze cercavano e trovavano una loro collocazione quando l’oggetto, la cosa insomma, era la medesma identità, ma non sempre era così, anzi col tempo diveniva più evidente la discrasia tra parole e cose, così che mi trovai in una impasse irresolvibile, a cui i formalisti russi dettero il nome di “tratti distintivi dislocati” dove le caratteristiche che formavano le parole e quelli che costituivano le cose erano inconciliabili e sfasati, insomma non avevano in comune alcun luogo da spartire.
E nel verso nemmeno la identica musicalità li riusciva ad unire. Quindi oramai irreversibili, come dire che le parole e le cose non sarebbero mai più tornati sui loro passi, si allontanarono un con l’altro e nemmeno in un sistema parallelo, e divennero tangenzialmente opposti. Che il termine con combacia più con la cosa che dovrebbe invece definirla è tema o problema già dell’antichissima poesia sino ai nostri giorni. Nella composizione kitchen capita spesso, o forse è la sostanza principale della stessa, che invece di una forchetta noi usiamo un cucchiaio, se non addirittura un coltello e non ci accorgiamo che non siamo assolutamente in sintonia con ciò che abbiamo intenzione di fare; non sappiamo più usare gli utensili, come dire non sappiamo più comporre.
E’ un guaio oppure una nuova dimensione dello “usare” gli strumenti… e giungo a ciò che afferma la Antonilli che dunque : ” avviene una sorta di deflagrazione, è il momento in cui chi legge schizza via, per la sua strada e nessuno può sapere dove vada”, ed è ciò che più sopra ho definito “dislocazione”.
Ed io ritorno al concetto di “DUENDE” come qualcosa che di continuo dissocia e allontana il poeta dalla la poesia, dalle cose e dalle parole!
Ma Linguaglossa aggiunge quasi sconfortato che è questo un problema ”che però la poesia può, anzi, deve indicare” poiché “questo è un problema che la poesia non può risolvere”.
Ma quale la poesia che non può risolvere ma deve indicare?!
Linguaglossa (si) risolve così:” Forse io preferirei mettere un punto alla fine di ogni enunciato, proprio per sottolinearne il carattere di finitudine e di infinità”.
Ma così si ritorna entro uno spazio di cui non conosceremo mai i limiti e gli inizi e le fini e che da sempre denota la natura stessa della POIESIS, per cui Leopardi nel suo “infinito” per non essere a sua volta dislocato dalla poesia stessa preferì naufragare in quello spazio compreso tra il non finito e il finito, o meglio in quello spazio che gli dava la certezza almeno di essere seppure totalmente frammentato, atomizzato, ma esistente in una dolcezza che lo cullasse eternamente. E non prese affatto in considerazione che la stessa eternità è una perdita di tempo!
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E dunque termino con un mio verso:
“Non esiste un Nulla che mi conforti, il resto è Delirio!”
caro Antonio Sagredo,
Oggi abbiamo a disposizione la musica ovunque: non solo nelle sale concerto, ma, nei teatri, nei cinema, nelle sale d’aspetto dei dentisti, nei negozi di alimentari, nei supermarket… come la musica anche le parole, siamo invasi da parole di tutti i conii, da quelle bicefale a quelle alto allocate, parole insulse, prive di significato, parole vuoto a perdere… così non solo negli aeroporti ma anche in spiaggia e finanche nel mare a bordo dei pedalò siamo assediati dalle musichette orripilanti e dalle parole dei bagnini… tutto questo ha cambiato il nostro rapporto con la musica e con le parole, innanzitutto dobbiamo liquidare una volta per tutte l’ideologema mitico della «voce narrante», come se ci fosse una mitica «voce» nella mitica «interiorità» in grado di affiorare in superficie (con tanto di duende) e di irrorare di bellezza composita il foglio bianco del poeta. Tutto ciò è un mito! In realtà, non c’è nessuna «voce» originaria e tantomeno «narrante» e quindi non c’è nessuna «duende» originaria, non c’è nessuna «autenticità» da liberare nella voce dispiegata. Tutti miti di un bel tempo che fu. E con la scomparsa della «voce» originaria del poeta abbiamo i suoi sostituti delle «voci» multilaterali che provengono da ogni dove…
“E con la scomparsa della «voce» originaria del poeta abbiamo i suoi sostituti delle «voci» multilaterali che provengono da ogni dove…” (Linguaglossa)
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Le avanguardie di tutte le arti risorgono soltanto nei ritorni
E i loro traguardi sono le armonie dopo le fratture e i conflitti
Che sono il sangue dell’evoluzione… come i litigi
Fra due amanti che evocano una fine che mai ci sarà
E incontri che come novelle storie raccontano amplessi
Senza fine, contorcimenti di due corpi, calchi delle loro
Deformazioni testimonianze di amori senza limiti…
E ricordai i miei versi che su Saturno trovarono un rifugio… amato!,
E mi insegnarono loro di non mirare più la Terra,
Di scordare la sua Storia che da tempo non era più la mia,
Di scordare infine – e qui io piansi – la mia progenie
Padre mio! Madre mia!
a. s.