Kazimir Malevič Quadrato nero, 1915, olio su lino, 79.5 x 79.5 cm, Galleria Tret’jakov, Mosca[1]
Slavoj Žižek
da Kazimir Malevič a Marcel Duchamp
«Nell’arte di oggi il Reale NON ritorna anzitutto in guisa di scioccanti e brutali intrusioni di oggetti escrementizi, cadaveri mutilati, merda ecc. Questi oggetti, sono, sicuramente, fuori posto – ma perché possano esserlo, il posto (vuoto) deve essere già là, e questo posto è restituito dall’arte ‘minimalista’ a cominciare da Malevič. In questo risiede la complicità tra le due opposte icone del modernismo più estremo, il Quadrato nero su superficie bianca di Kazimir Malevič e l’esibizione di Marcel Duchamp di oggetti ready-made come di opere d’arte. La nozione che è implicita nell’elevazione da parte di Malevič di un oggetto comune e quotidiano ad opera d’arte afferma che l’essere opera d’arte non è una proprietà inerente ad un oggetto; è invece l’artista stesso che appropriandosi dello (o piuttosto di OGNI) oggetto e sistemandolo in un posto determinato lo rende opera d’arte, ma del “dove”. E quello che la disposizione minimalista di Malevič fa è semplicemente di restituire – di isolare – questo luogo come tale, lo spazio vuoto (o cornice) che ha la proto-magica proprietà di trasformare qualsiasi oggetto che si trovi nel suo raggio in opera d’arte. In breve non esiste Duchamp senza Malevič: solo dopo che l’esercizio dell’arte isola il posto/cornice in quanto tale, svuotato di tutto il suo contenuto, si può indulgere nella procedura ready-made. Prima di Malevič, un originale sarebbe rimasto solo un originale, anche se esibito nella più rinomata galleria.
L’appropriazione di oggetti escrementizi fuori posto è strettamente correlata all’apparizione del posto privo di oggetto, dello spazio vuoto in quanto tale. Di conseguenza, il Reale nell’arte contemporanea ha tre dimensioni, che in qualche modo ripetono la triade di Immaginario-Simbolico-Reale all’interno del Reale. Il Reale è innanzitutto l’anamorfico scolorimento, l’anamorfica distorsione dell’immagine diretta della realtà – come un’immagine distorta, come una pura apparenza che “soggettivizza” la realtà oggettiva. Quindi, il Reale è come lo spazio vuoto, come una struttura, una costruzione che non è mai qui, direttametne esperita, ma che può essere solo retroattivamente costruita e presupposta come tale – il Reale come costruzione simbolica. Infine, il Reale è l’osceno. Quest’ultimo Reale, se isolato, è un mero feticcio la cui presenza affascinante e accattivamnte maschera il Reale strutturale nella stessa maniera in cui, nell’antisemitismo nazista, l’ebreo come l’Oggetto escrementizio è Il Reale che maschera l’insopportabile Reale “strutturale” dell’antagonismo sociale. – Queste tre dimensioni del reale risultano dai tre modi in cui è possibile acquisire una distanza rispettto alla realtà ordinaria: sottomettendo questa realtà alla distorsione anamorfica; introducendovi un oggetto che in essa non trova collocazione; sottraendo/cancellando tutto il contenuto (gli oggetti) della realtà, in modo che tutto ciò che rimane è lo stesso spazio vuoto in cui questi oggetti sono collocati.»1
(S. Žižek, The Matrix, Mimesis, Milano-Udine, 2010 pp. 28-29)

Marcel Duchamp
Slavoj Zizek, Il Trash sublime
«… nell’arte contemporanea il margine che separa lo spazio consacrato del bello sublime dallo spazio escrementizio del trash (i rifiuti), si sta gradualmente assottigliando fino ad arrivare ad una paradossale identità degli opposti: i moderni oggetti artistici sempre più escrementizi, trash (spesso in senso esattamente letterale: feci, corpi in putrefazione, ecc.) non sono forse esibiti per – fatti al fine di, destinati a riempire – il LUOGO Sacro della Cosa? Non è forse questa identità la “verità nascosta” dell’intero movimento? Qualsiasi elemento che reclami di diritto di occupare il Luogo Sacro della Cosa non è forse un oggetto escrementizio per definizione, un rifiuto che non può mai essere “all’altezza del suo compito”? Questa identità della definizione degli opposti (l’elusivo oggetto sublime e/o il rifiuto escrementizio) con la minaccia sempre presente che l’uno sconfinerà nell’altro, che il sublime Graal si rivelerà essere un pezzo di merda, è iscritta proprio nel nocciolo dell’objet petit a lacaniano.
Questa impasse è, nella sua dimensione più radicale, l’impasse che influisce sul processo di sublimazione, non tanto nel senso che la produzione artistica non sia più oggi capace di realizzare oggetti semplicemente “sublimi”, quanto in un senso molto più radicale. Si può affermare, infatti, che lo schema fondamentale della sublimazione – quella del Vuoto centrale, dello Spazio vuoto (“Sacro”) della Cosa esonerata dal circuito dell’economia quotidiana, che viene infine riempito da un oggetto positivo che è “elevato alla dignità della Cosa” (definizione lacaniana della sublimazione) – è sempre più minacciato. Ciò che qui è minacciat è proprio lo scarto tra il Luogo Vuoto e l’elemento (positivo) che lo riempie. Quindi, se il problema dell’arte tradizionale (pre-moderna) era quello di riempire il sublime vuoto della Cosa (il Luogo puro) con un oggetto bello – ossia come riuscire ad elevare efficacemente un oggetto comune alla dignità della Cosa – il problema dell’arte moderna è, in un certo senso, quello opposto (e molto più disperato): non si può più contare sul fatto che il Luogo sacro sia lì, pronto per essere occupato dai manufatti umani; perciò il compito è di sostenere il Luogo come tale, per assicurarci che questo stesso luogo “avrà luogo”. In altre parole, il problema non è più quello dell’horror vacui, riempire il Vuoto, ma piuttosto quello, innanzitutto, di CREARE il Vuoto. Diventa, perciò, cruciale la co-dipendenza tra un luogo vuoto, non occupato, e un oggetto elusivo che si muove rapidamente, un occupante senza un posto?
Il punto è che c’è semplicemente il surplus di un elemento rispetto agli spazi disponibili nella struttura, o il surplus di un posto che non ha alcun elemento che lo occupi; infatti, un posto vuoto nella struttura sostiene la fantasia di un elemento che presto o tarsi lo colmerà, mentre un elemento eccedente senza posto sostiene la fantasia di un luogo ancora sconosciuto che lo attende. Il punto è invece che il posto vuoto nella struttura è in se stesso correlativo all’elemento eccedente che manca al suo posto: essi non sono due entità diverse, ma il diritto e il rovescio di un’identica entità, quell’una e medesima entità che si iscrive nelle due superfici del chiasma di Moebius. In altre parole, il paradosso è che soltanto un elemento che è completamente “fuori luogo” (un escremento, un rifiuto o uno scarto) può reggere il vuoto di un luogo vuoto – cioè la situazione à la Mallarmè, in cui “nulla, tranne il luogo avrà luogo”; nel momento in cui questo elemento eccedente “trovasse il posto giusto”, non ci sarebbe più nessuno Luogo puro distinto dagli elementi che lo riempiono.

m. duchamp bicycle wheel
Ed effettivamente, come suggerisce Gerard Wajcman il grande sforzo dell’arte moderna non è proprio quello di mantenere la struttura minima della sublimazione, uno scarto impercettibile tra il Luogo e l’elemento che lo riempie? Non è questa la ragione per cui il Quadrato nero su Fondo Bianco di Kazimir Malevič riduce il meccanismo artistico alle sue componenti essenziali, alla mera distinzione tra il Vuoto (lo sfondo, la superficie bianca) e l’elemento (la macchia del quadrato)? Dovremmo cioè sempre ricordare che il tempo verbale stesso (il futuro anteriore) del famoso rien n’aura eu lieu que le lieu (“nulla avrà avuto luogo se non il luogo stesso”) chiarifica che abbiamo a che fare con uno stato utopico il quale, per ragioni strutturali a priori, non può realizzarsi nel presente (non ci sarà mai un tempo presente in cui “solo il luogo stesso avrà luogo”). Non è semplicemente che il Luogo conferisca all’oggetto che lo occupa una dignità sublime; è che soltanto la presenza dell’oggetto sostiene il Vuoto del Luogo sacro, ma sarà sempre qualcosa che, retroattivamente, “avrà avuto luogo” dopo esser stato intralciato da un elemento positivo. In altre parole, se sottraiamo dal Vuoto l’elemento positivo, “il piccolo pezzettino di realtà”, la macchia eccedente che disturba l’equilibrio, non otteniamo il puro Vuoto equilibrato come tale; il Vuoto stesso, piuttosto, scompare, non è più lì.
Perciò il motivo per cui gli escrementi sono elevati al rango di opera d’arte, utilizzati per colmare il Vuoto della Cosa, non è semplicemente quello di mostrare come “anything goes – qualsiasi cosa va bene”, come l’oggetto sia, in definitiva, indifferente, dal momento che qualsiasi oggetto può essere elevato ad occupare il Luogo della Cosa: questo ricorrere agli escrementi testimonia, piuttosto, l’ultimo disperato stratagemma di assicurare che il Luogo sacro c’è ancora. Il problema è che oggi, nel duplice movimento della mercificazione progressiva dell’estetica, e dell’estetizzazione delle merci, un oggetto bello (piacevolmente esteticamente) può sostenere sempre meno il Vuoto della Cosa – è come se, paradossalmente, l’unico modo per mantenere il Luogo (Sacro) sia di riempirlo di rifiuti e di escrementi. Gli artisti contemporanei che espongono escrementi come oggetti d’arte, lungi dall’indebolire la logica della sublimazione, in realtà si sforzano disperatamente di salvarla. Le conseguenze di questo collasso dell’elemento nel Vuoto del Luogo sono potenzialmente catastrofiche: infatti, senza uno scarto minimo tra l’elemento e il suo Luogo, non esiste ordine simbolico: cioè, noi dimoriamo dentro l’ordine simbolico solamente in quanto qualsiasi presenza appare contro lo sfondo della sua possibile assenza (questo è ciò a cui Lacan allude con il concetto del significante fallico come significante della castrazione: è un significante “puro”, il significante come tale, nella sua accezione più elementare, in quanto proprio la sua stessa presenza evoca la SUA STESSA possibile assenza/mancanza).
Forse la definizione più concisa della rottura modernista in campo artistico è proprio che, grazie ad essa, la tensione tra l’Oggetto (arte) e lo Spazio che esso occupa è considerata riflessivamente: ciò che fa di un oggetto un’opera d’arte non sono semplicemente le sue caratteristiche materiali, ma il luogo che occupa, il Luogo (sacro) del vuoto della Cosa. In altre parole, con l’arte modernista, si perde per sempre una certa innocenza: non possiamo più fingere di produrre oggetti che, in virtù delle proprie caratteristiche, cioè indipendentemente dallo spazio che occupano, “siano” opere d’arte. Per questa ragione, l’arte moderna si divide, fin dalle sue origini, proprio nei suoi due estremi, Malevič da un lato, Duchamp dall’altro. da una parte, l’enfatizzazione pura del vuoto che separa l’Oggetto dal suo Spazio (il Quadrato nero); dall’altra, l’esposizione di un oggetto quotidiano (una ruota di bicicletta) come opera d’arte, per dimostrare che l’arte non si fonda sulle qualità dell’opera d’arte, ma esclusivamente sullo Spazio che esso occupa, in modo che qualsiasi cosa, anche se è merda, possa “essere” un’opera d’arte se si trova nel Luogo giusto. E qualsiasi cosa venga fatta dopo la rottura modernista, anche se è un ritorno al falso neoclassicismo alla Arno Breker, è già “mediata” da questa rottura. Prendiamo un realista del XX secolo come Edward Hopper: ci sono almeno tre aspetti del suo lavoro che testimoniano questa mediazione. Primo, la ben nota tendenza di Hopper a dipingere paesaggi urbani di notte, soli, in stanze molto illuminate, visti dall’esterno attraverso una finestra (anche quando la finestra non è direttamente percepibile, il quadro è dipinto in modo tale che lo spettatore sia spinto a immaginare una cornice immateriale e invisibile che lo separa dagli oggetti raffigurati). Secondo, il modo in cui sono dipinti i suoi quadri e la sua tecnica iperrealista, producono nello spettatore un effetto di irrealtà, come se si stesse osservando qualcosa di onirico, spettrale, etereo, invece che comuni oggetti materiali (come l’erba bianca nei suoi quadri campestri). Terzo, il fatto che la serie di quadri raffiguranti sua moglie seduta in una stanza solitaria, fortemente soleggiata, mentre guarda attraverso una finestra aperta, sono percepiti come un frammento disarmonico di una scena globale, che necessita di un supplemento, che rimanda ad un invisibile spazio fuori campo, come il fotogramma di una sequenza cinematografica privo del suo contro-campo (e in effetti si può sostenere che questi quadri di Hopper siano già “mediati” dall’esperienza cinematografica).»*
* (S. Zizek, Il Trash sublime, Mimesis minima, Milano, 2013 pp. 33-37)

Marcel Duchamp Duchamp devoted seven years – 1915 to 1923 – to planning and executing one of his two major works, The Bride Stripped Bare by Her Bachelors, Even, …
«Nell’arte di oggi il Reale NON ritorna anzitutto in guisa di scioccanti e brutali intrusioni di oggetti escrementizi, cadaveri mutilati, merda ecc. Questi oggetti, sono, sicuramente, fuori posto – ma perché possano esserlo, il posto (vuoto) deve essere già là, e questo posto è restituito dall’arte ‘minimalista’ a cominciare da Malevič. In questo risiede la complicità tra le due opposte icone del modernismo più estremo, il Quadrato nero su superficie bianca di Malevič e l’esibizione di Marcel Duchamp di oggetti ready-made come di opere d’arte. La nozione che è implicita nell’elevazione da parte di Malevič di un oggetto comune e quotidiano ad opera d’arte afferma che l’essere opera d’arte non è una proprietà inerente ad un oggetto; è invece l’artista stesso che appropriandosi dello (o piuttosto di OGNI) oggetto e sistemandolo in un posto determinato lo rende opera d’arte, ma del “dove”. E quello che la disposizione minimalista di Malevič fa è semplicemente di restituire – di isolare – questo luogo come tale, lo spazio vuoto (o cornice) che ha la proto-magica proprietà di trasformare qualsiasi oggetto che si trovi nel suo raggio in opera d’arte. In breve non esiste Duchamp senza Malevič: solo dopo che l’esercizio dell’arte isola il posto/cornice in quanto tale, svuotato di tutto il suo contenuto, si può indulgere nella procedura ready-made. Prima di Malevič, un originale sarebbe rimasto solo un originale, anche se esibito nella più rinomata galleria.
L’appropriazione di oggetti escrementizi fuori posto è strettamente correlata all’apparizione del posto privo di oggetto, dello spazio vuoto in quanto tale. Di conseguenza, il Reale nell’arte contemporanea ha tre dimensioni, che in qualche modo ripetono la triade di Immaginario-Simbolico-Reale all’interno del Reale. Il Reale è innanzitutto l’anamorfico scolorimento, l’anamorfica distorsione dell’immagine diretta della realtà – come un’immagine distorta, come una pura apparenza che “soggettivizza” la realtà oggettiva. Quindi, il Reale è come lo spazio vuoto, come una struttura, una costruzione che non è mai qui, direttamente esperita, ma che può essere solo retroattivamente costruita e presupposta come tale – il Reale come costruzione simbolica. Infine, il Reale è l’osceno. Quest’ultimo Reale, se isolato, è un mero feticcio la cui presenza affascinante e accattivamnte maschera il Reale strutturale nella stessa maniera in cui, nell’antisemitismo nazista, l’ebreo come l’Oggetto escrementizio è Il Reale che maschera l’insopportabile Reale “strutturale” dell’antagonismo sociale. – Queste tre dimensioni del reale risultano dai tre modi in cui è possibile acquisire una distanza rispettto alla realtà ordinaria: sottomettendo questa realtà alla distorsione anamorfica; introducendovi un oggetto che in essa non trova collocazione; sottraendo/cancellando tutto il contenuto (gli oggetti) della realtà, in modo che tutto ciò che rimane è lo stesso spazio vuoto in cui questi oggetti sono collocati.»**
** (S. Zizek, The Matrix, Mimesis, Milano-Udine, 2010 pp. 28-29)
Sul concetto di parallasse
The common definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational position that provides a new line of sight. The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply ‘subjective,’ due to the fact that the same object which exists ‘out there’ is seen from two different stations, or points of view. It is rather that […] an ‘epistemological’ shift in the subject’s point of view always reflects an ‘ontological’ shift in the object itself. Or, to put it in Lacanese, the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its ‘blind spot,’ that which is ‘in the object more than object itself,’ the point from which the object itself returns the gaze *
La definizione comune di parallasse è: lo spostamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto a uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di osservazione che fornisce una nuova linea di visione. La svolta filosofica da aggiungere, ovviamente, è che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, a causa del fatto che lo stesso oggetto che esiste “là fuori” è visto da due diverse stazioni o punti di vista. È piuttosto che […] uno spostamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre uno spostamento “ontologico” nell’oggetto stesso. O, per dirla in Lacanese, lo sguardo del soggetto è sempre-già inscritto nell’oggetto stesso percepito, nelle vesti del suo ‘punto cieco’, quello che è ‘nell’oggetto più che nell’oggetto stesso’, il punto da cui il oggetto stesso restituisce lo sguardo
* Zizek, S. (2006) The Parallax View, MIT Press, Cambridge, 2006, p. 17.
Il Reale parallattico
«Il “Reale” non è la disposizione effettiva, ma il nucleo traumatico di un antagonismo sociale che deforma la percezione dei membri della tribù della disposizione attuale delle case nel loro villaggio. Il reale è la X rimossa in base alla quale la nostra visione della realtà viene distorta anamorficamente, è al tempo stesso la Cosa a cui non si può accedere direttamente e l’ostacolo che impedisce questo accesso diretto, la Cosa che elude la nostra comprensione e lo schermo deformante che ci impedisce di cogliere la Cosa. Il definitiva, il reale è lo spostamento di prospettiva dal primo punto di osservazione al secondo. Pensiamo alla celebre frase di Adorno del carattere antagonista del concetto di società (quella individualista-nominalista anglosassone e quella organicista di Durkheim della società come totalità che preesiste agli individui) appare irriducibile e sembra di avere a che fare con una vera antinomia kantiana che non può essere risolta tramite una “sintesi dialettica superiore e che eleva la società a una Cosa-in sé inaccessibile. Ad un secondo approccio, però, bisognerebbe notare come questa antinomia radicale che sembra precludere ogni accesso alla Cosa sia già la Cosa stessa: la caratteristica fondamentale della società di oggi è l’antagonismo inconciliabile tra il Tutto e l’individuo. Ciò significa che in fondo lo statuto del Reale è puramente parallattico e, in quanto tale, non sostanziale: non ha densità sostanziale di per sé, è solo uno scarto tra due punti prospettici, percepibile solo nello spostamento da un punto all’altro. Il Reale parallattico si contrappone così alla tradizionale nozione (lacaniana) del Reale come ciò che “ritorna sempre al suo posto”, come ciò che in tutti gli universi (simbolici) possibili rimane costante: il Reale parallattico è piuttosto ciò che rende conto della moltitudine di manifestazioni della stesso Reale sottostante».*
(da The Parallax View, 2006, trad. it. La visione di parallasse, il melangolo, 2013, pp. 41-42)
Žižek, Slavoj. – Filosofo e psicoanalista sloveno (n. Lubiana 1949). Tra i più importanti e incisivi pensatori contemporanei, docente di Filosofia e psicoanalisi all’European graduate school (Svizzera) e visiting professor presso numerosi atenei europei e statunitensi, muovendosi dalle teorie lacaniane ha sottoposto a una serrata revisione critica conflitti e contraddizioni della contemporaneità per come essi emergono dai modelli culturali proposti dalla letteratura popolare e dal cinema; di quest’ultimo ha indagato il gioco di sguardi incrociati tra autore, spettatore e oggetti in Gaze and voice as love objects (2004; trad. it. Dello sguardo e altri oggetti. Saggi su cinema e psicoanalisi, 2004), analizzandone il ruolo di strumento di formazione del desiderio e dedicando approfonditi saggi al lavoro di singoli registi – quali In his bold gaze my ruin is writ large (1992; trad. it. L’universo di Hitchcock, 2008), The fright of real tears, Kieslowski and the future (2001; trad. it. Paura delle lacrime vere. Krzysztof Kieslowski fra teoria e post-teoria, 2010), The art of the ridiculous sublime. On David Lynch’s lost highway (2000; trad. it. Lynch. Il ridicolo sublime, 2011). Pensatore a tutto campo, in anni più recenti Z. ha esteso la sua analisi a temi politici e sociali quali la guerra in Iraq (Iraq. The borrowed kettle, 2004; trad. it. 2004), la crisi del marxismo (First as tragedy, then as farce, 2009; trad. it. 2010), e dei modelli di sviluppo contemporanei (Living in the end times, 2010; trad. it. 2011). Autore estremamente prolifico, tra i suoi saggi più recenti occorre citare almento Less than nothing. Hegel and the shadow of dialectical materialism (2012; trad. it. 2013); The year of dreaming dangerously (2012; trad. it. 2013); Žižek’s jokes (Did you hear the one about Hegel and negation?) (2014; trad. it. 107 storielle di Žižek (La sai quella su Hegel e la negazione?), 2014); Islam and modernity. Some blasphemic reflexions (2015; trad. it. 2015); entrambi nel 2017, The courage of hopelessness: chronicles of a year of acting dangerously (trad. it. 2017) e Disparities (trad. it. 2017); Like a thief in broad daylight (2018; trad. it. 2019); nel 2020 la raccolta di articoli Virus, catastrofe e solidarietà e Pandemic! Covid-19 shakes the world; Hegel in a wired brain (2020; trad. it. Hegel e il cervello postumano, 2021); Heaven in disorder (2022; trad. it. Guida perversa alla politica globale, 2022). Nel 2017 il filosofo è stato insignito del Premio Hemingway per “l’avventura del pensiero”. (Treccani)
Bertolt Brecht
(10 febbraio 1898, Augusta, Germania – 14 agosto 1956, Berlino Est)
Generale
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
Bellissima anche giusta per i giorni nostri… diversa dalle altre lette. Bravo
complimenti
Mosca, chi sei?
Incanti o sei incantata?
Scateni libertà,
o sei incatenata?
Quale pensiero corruga la tua fronte,
cospiratrice mondiale?
Sei forse una chiara finestra,
che dà su altri tempi,
o piuttosto una gatta esperta…
1921-22
(trad. di A. M.Ripellino)
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Rifiuto
Per me è molto più gradevole
fissare le stelle
che condannare a morte.
Per me è molto più gradevole
Sentire la voce dei fiori,
che dicono sottovoce «È lui»
Piegando la testolina,
Quando pestano il giardino,
Che guardare i fucili nerastri delle sentinelle
E fucilare quelli
Che vogliono fucilare me.
Per questo io non sarò mai,
mai, un Governante!
1921
(trad. A. Sagredo)
Dovete scusarmi:
le due poesie qui sopra tradotte in italiano sono del poeta russo Velemir Chlebnikov.
Party Olimpico
..
forzate le sicure a furia di sfrenati cingolati
la scia di pesci dietro l’ancora arrugginita
il volo a bassa quota di sbandati droni
il cimento di una AI Artificiale Intelligenza a quadrare
un cerchio di maltrattati angoli di poligono perduto
allorché la tavola imbandita imbrattando
posate e bicchieri declamava chef di valore
non programmato per il bouillon e sformato di carciofi
nel Party Olimpico d’occasione
by r.c.
Le preziose riflessioni contenute in questo articolo pongono però un problema. Se ‘ il Reale non è sostanziale, non ha densità sostanziale di per sé , è solo uno scarto tra due punti prospettici ‘ e se ‘ il Reale parallattico rende conto della moltitudine di manifestazioni dello stesso reale sottostante’ sarà pur vero che alcune manifestazioni del reale sono state deformate ad arte. Avviene per svariati motivi, nella nostra società spesso in nome del dio profitto. Allora torniamo al linguaggio, quello critico, che solo può decostruire e ricostruire per rendere conto di come il linguaggio stesso possa essere manipolativo nel creare manifestazioni del reale. Alla fine ‘ l’antagonismo tra il Tutto e l’individuo ‘ è la storia umana, di persone che lottano per non soccombere alle manifestazioni del Reale create dal Potere.
TUTTA LA NOTTE AVEVI SPERATO
Per tutta la notte avevi sperato che arrivasse la nave
senza badare allo xilofono che avvelenava il vino
e il cane diventare fumo della pipa di Maigret
Dalle cicorie evapora il cambusiere dei rettilinei
che si aggrappa alla coda delle cicogne
radunate sulle stalagmiti alla fine di un tie-break
Nei dintorni della neve sbattono le porte
il tuo cappello è una smorfia del clown
che si rannicchia sulle vibrisse del silicone
Al mazzo di carte hanno rubato i cuori
è stata la volpe magari il fondotinta oppure il sale
in tutta fretta sul tavolo dell’aviere si trucca una ferita
Corre voce che le sentinelle si siano arrese
davanti ai camici con il codice a barre delle tabacchiere
dopo una lunga trattativa con il distributore
I muri hanno le labbra sulla nuca
e si allontanano sottobraccio alla polenta
per te è tempo di diventare segno zodiacale
Gentili lettori,
anche la Poesia (senza sua colpa o meglio nulla sa del pensiero critico) soggiace agli errori della parallassi, e questo dipende dalle caratteristiche del lettore, dalla sua assenza e dalla sua mancanza di punti di vista angolari.
Se dovessi leggere Dante perchè costretto da un contratto di pubblicazione di un mio articolo o saggio. questa mia lettura (degli stessi versi) sarebbe totalemnte o parzialmente diversa da una mia lettura per diletto o piacere.
La Poesia perciò sottostà agli umori del lettore comune o semplice amatore e peggio di un critico letterario sottopagato o utilitaristico o di modesta levatura critica.
Il problema diviene acuto e quasi insolvibile se il critico è di livello superiore, di alta capacità critica, poiché il suo giudizio di lettura permane nella storiografia critica (di un poeta) per molto tempo fino a che un altro critico di ancor più elevata visione critica subentra con altri e raffinati strumenti critici, a correggere a sua volta, e così è’ dunque un continuo correggere questi errori parallattici, ed è senza fine.
E questo è positivo perchè ci si avvicina, con questo eliminare gli errori critici, ad un conoscenza più ravvicinata e precisa di un testo (qui poetico) e a una conoscenza del mondo del pèoeta.
Grazie
La dichiarazione di Berlusconi ieri all’ingresso di un casello elettorale:
“Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare il Donbass”
Sono 30 anni che il Cavaliere manda in onda la sua narrazione capovolta del Paese e del mondo, ovviamente secondo i suoi interessi personali ma non solo il Cavaliere ha puntato da sempre a indebolire la coscienza civile del Paese, a fiaccarne la compagine morale, il telos politico. Sono stati 30 anni di pioggia martellante di frasari terribili (ad esempio: noi non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani!) su un popolo ridotto allo stremo, incapace di una reazione morale (e quindi politica) con una sinistra timida e cauta incapace di fare le riforme MINIME che collocassero la vita civile del Paese a un livello minimo di dignità. Berlusconi candidamente dice che gli ucraini si devono arrendere (depporre le armi significa questo) e consegnarsi al menico sanguinario e che il responsabile di tanta distruzione non è Putin e la sua cricca criminale di stato terrorista, ma un presidente democraticamente eletto da un popolo che lo ha votato per entrare in Europa (scegliendo l’Europa democratica piuttosto che l’autocrazia zarista del FSB), ma non solo, Berlusconi nei suoi vaneggiamenti filorussi si permette anche di dire, consigliare al Presidente Biden che deve imporre la «pax» dei vinti agli ucraini abbandonandoli al loro destino e non inviando loro più armi per difendersi e respingere l’esercito di un tiranno orientale.
Devo dire che in quanto italiano mi sento profondamente umiliato da queste esternazioni irresponsabili, un mix micidiale di cinismo e di amoralità.
Dopo queste frasi, un governo dell’Europa occidentale dovrebbe come minimo rassegnare le proprie dimissioni o semplicemente cacciare Forza Italia dalla maggioranza.
di Slavoj Žižek
«Ci sentiamo liberi perché ci manca il linguaggio necessario per articolare la nostra mancanza di libertà.»
«Benvenuti in tempi interessanti»
Per capire il mondo attuale non abbiamo più bisogno della poiesis.
L’arte che si fa oggi in Europa è simile al dolcificante che si mette nel veleno.
I piccoli poeti pensano al dolcificante in dosi omeopatiche.
I grandi poeti pensano al dolcificante in dosi macropatiche.
Dopo le Avanguardie non ci saranno più né avanguardie, né retroguardie, le rivoluzioni artistiche e non, non si faranno né in marsina né in canottiera. Non si faranno affatto.
Siamo all’interno di un gioco di specchi. Ciò che vediamo sono le illusorie metastasi del Reale che noi percepiamo come realtà. «Joker ammazza Batman finalmente» (F.P. Intini)
da Faust chiama Mefistofele per una metastasi (2018), dal titolo eloquente del libro di Francesco Paolo Intini.
anticipo qui un brano di una riflessione sulla poesia di oggi che fa seguito alle acquisizioni delle teorie di Zizek:
Miseria del Simbolico
Eliminato il Padre, eliminato il Figlio, eliminato Edipo, eliminato l’Autore, eliminato il Lettore, eliminato Creonte, eliminata Antigone, abolito il Plot, abolita la Forma-poesia, abolita la Parola significante, pontificante, eliminata la Legge del Finale e dell’Inizio sono rimaste le parole nude, quelle gratuite, smargiasse, ipoveritative, idiolettiche, quelle con la blefarite negli occhi e con gli aculei, quelle professionali della catena del valore; resta la Miseria del Simbolico del privatismo riduzionista dei fatti gli affari tuoi, resta la jouissance (rimossa, indecente, onanista: le parole baldracche) la quale, in nome dell’Io (l’Autore) e dell’Anima bella ha iniziato a proliferare in modo incontrollabile e dissennato sotto gli archi della post-storia. La storialità si nutre della Miseria del Simbolico.
Per quanto concerne lo scadimento della dimensione del plot (filmico, narrativo, poetico e narrazionale), si legga il famoso romanzo a puntate che Salman Rushdie sta facendo al computer chiedendo la collaborazione dei lettori della rete per quanto concerne verianti e colpi di scena da inserire nella trama. Tutto ciò è un fatto di enorme importanza, il fatto che un computer sia in grado di scrivere un romanzo anche senza l’apporto guida di un Autore in quanto l’Autore non c’è più, è scomparso. Occorre pensare una teoria plausibile per questa inedita modalità del récit e delle sue ripercussioni sul sociale che sono già in atto da tempo. Nella poesia kitchen ad esempio è già possibile fare una mappatura dei caratteri e delle maschere in nacchere che la forna-narrativa e la forma-poesia hanno ereditato dall’avvento dello storytelling privatistico oggi divenuto quintessenza della poiesis comunicazionale. Il fatto che la narrazione si è dissolta «in der Luft» (nell’aria) «evaporata» e «dissolta», la spia di ciò sta in un’ossessiva attenzione alle «parole» gratuite (eufoniche o cacofoniche fa lo stesso) anche a discapito del significato, infatti, nella forma-poesia di Antonio Sagredo e nelle poesie in modalità kitchen il senso è estroiettato dalla logica narrazionale della forma-poesia del novecento. Il senso del testo è un fuori-senso, un non-senso ultroneo che non dipende più dalla trama in sé (come nella forma-romanzo del novecento), né dalla successione e dalla combinazione degli eventi linguistici (come nella forma-poesia del novecento). Nella poesia che promana dalla Miseria del Simbolico non si può pensare se non in termini di locutore e di locuzione, di grammatizzazioni, di idioletti e non più di successione dei significati e/o di ragionamenti dell’Io empirico (come nella poesia dell’ottocento e del novecento, si pensi alla poesia-ragionamento di Leopardi); in Sagredo e nella poesia in modalità kitchen è la mancanza stessa del Finale e dell’Inizio, la mancanza del Padre e del Figlio, di Edipo e di Creonte che agisce retroattivamente inficiando la grammatizzazione, il logos narrazionale, la forma-poesia che conoscevamo. Forse Sagredo e il Kitchen hanno preso in parola le parole di Heidegger: «Das Nicht nichtet» (Il Nulla nientifica), e operano di conseguenza.
(Marie Laure Colasson, Giorgio Linguaglossa)
Malevič ha dato inizio al minimalismo, poi degradato a simulacro della modernità, ma il principio era e resta quello di togliere, togliere togliere, così da poter osservare “la cosa” (il Re nudo) che in poesia è più grido che verso. E qui distinguere tra influenze surrealiste, e altre di linguaggio funzionale e cibernetico…
Il “luogo” di cui parla Zizek è, nella prassi pubblicitaria, destinazione (target), ed è prefigurabile, anche se ai tempi di Duchamp avvenne come per caso, data l’epoca di intensa attività critica (e mercantile).
La poesia di Mimmo Pugliese ‘ Tutta la notte avevi sperato ‘ mi sembra particolarmente ben riuscita, sia nella scelta delle immagini , sia nel montaggio effettuato. L’ho letta diverse volte e la trovo un eccellente esempio di kitchen.
Tiziana Antonilli
Einstein disse: “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado spiegarlo con parole semplici a tua nonna…”
Ho provato a spiegare le teorie di David Bohme con un disegno geometrico basato sull’occhio umano. Bohm, facendo un parallelo sul fatto che l’osservatore e l’ossrvato si fondono in un’unica entità meccanico-quantistica, arrivò a capire che la natura quantistica della realtà coinvolge sia la mente che la materia, e quindi che l’atto dell’osservare coincide con l’atto del pensare, ma affinché l’atto di osservare sia fatto correttamente è necessario assicurarsi che l’osservatore sia fuso (entangled) con l’oggetto osservato.
Non c’è dubbio chela connessione tra l’osservatore e l’oggetto osservato avvenga nel punto zero all’interno dell’occhio umano. Quello è il punto adimensionale, ma non è un vero zero perché contiene le informazioni necessarie per capire cosa si sta osservando. Contiene sia il mondo fisico (fotoni) che le istruzioni necessarie per spiegare che cosa osserviamo (la mente).
Quel punto zero contiene mente e materia intrecciate insieme.
Non c’è modo migliore di Minkovsky per spiegare il meccanismo dell’ordine implicato e il potenziale quantistico suggeriti da Bohm che sembrano controllare gli eventi del mondo reale.
L’osservatore dell’evento futuro si trovano nel punto zero, nel presente tra il cono del passato e il cono del futuro.
Dal punto di vista della meccanica quantistica, il passato è andato ed è diventato la Storia dell’evento futuro che avverrà, cioè l’ordine implicato che controllerà l’evento futuro, il passato dell’evento è il punto zero situato nel presente.
Per quanto riguarda il futuro dell’evento, è lo stesso punto zero, perché l’evento non si è ancora concretizzato, così come il futuro non si è ancora verificato (non è ancora diventato presente).
Quindi quel punto zero contiene le istruzioni necessarie per verificare l’evento. L’ordine implicato è il radar che dirigerà l’evento nel futuro, il potenziale quantico che dovrebbe funzionare secondo le leggi della fisica.
di Massimo Melli Academia.edu
“Eliminato il Padre, eliminato il Figlio, eliminato Edipo, eliminato l’Autore……,” “scrivere un romanzo anche senza l’apporto guida di un Autore in quanto l’Autore non c’è più, è scomparso”. (Linguaglossa)….
“…….e allora dobbiamo farcene una ragione: è così e non può essere altrimenti!
Che la Poesia mi abbia estromesso fin dall’inizio ne ero cosciente, la Poesia addirittura mi nega e a riprese mi dice :”Cosa vuoi? Chi ti conosce?” Non hai ancora compreso che la Poesia è fatta di una sostanza ed essenza diverse da quelle del Poeta? Va via! non mi disturbare più!”
(dalle mie “Memorie” di A. S.)
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“Per quanto riguarda il futuro dell’evento, è lo stesso punto zero, perché l’evento non si è ancora concretizzato, così come il futuro non si è ancora verificato (non è ancora diventato presente)”.
(Linguaglossa)
Evoluzione (termine che ricorre solo 7 volte nei miei versi), e poi la strana coincidenza per il punto zero comune, l’estromissione dell’autore, il Tempo, e il Nulla che non accetta l’Uomo, ecc.
“Il Nulla azzera i giudizi sui patiboli, e il resto di un delirio è nello specchio.
E dov’era vissuto il mio corpo quando offriva sangue alla sua ombra?
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Voglio centrare l’angoscia
al punto zero
della mia evoluzione
come l’ultimo demente.
Strappo alle carni le mani incagliate
e una grazia:
la parola è una pietra che si doma
spettrale
con vermi e vampiri!
(1969)
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Un ritorno
per domandarci: cosa nel presente?
Se per essere più soli
scendiamo le scale dell’evoluzione,
e le nostre insegne
come tratti umani
sono cariatidi scabrose.
(1970)
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Proprio noi
coi nostri occhi
per quali strane leggi
amavano intrecciarsi in binari azzurri e neri
nell’angolo zero della nostra evoluzione
siamo svolazzi di gradi che si amano e
io m’illudevo
del tuo frullare sogni di gazzella.
(1971)
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Amo
La parola di pietra del Silenzio,
le dischiuse labbra di maiolica nel vento
nella sera mostruosa di viola
più rauco il canto di Bruna…
la bianca bara urlando l’odio scabroso di anni 22
la mia
la sua prima evoluzione di poeta.
(1972)
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Fissava il suo udito contorcersi per accuse vere,
i suoi occhi ascoltare una sentenza disumana.
Le dita pensavano chi sa quali altezze inaccessibili,
le narici, gonfie, soffiavano sul motore dell’evoluzione.
(1999)
Ma quali i suoi pensieri, in un attimo, nel suo cervello arcaico
dopo tre milioni di anni tutti vissuti nel secolo trascorso?
O erano soltanto gli ultimi lamenti di rancidi tramonti,
o gli amori pagani dell’ippocampo esplosi
con gioia irripetibile in emozioni da leggenda inavvertita,
prima che il dolore della cognizione generasse muraglie
di coscienze e di credenze per fermare una evoluzione?
(2009)
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Le avanguardie di tutte le arti risorgono soltanto nei ritorni
E i loro traguardi sono le armonie dopo le fratture e i conflitti
Che sono il sangue dell’evoluzione… come i litigi
Fra due amanti che evocano una fine che mai ci sarà
E incontri che come novelle storie raccontano amplessi
Senza fine, contorcimenti di due corpi, calchi delle loro
Deformazioni testimonianze di amori senza limiti…
Come a Pompei le soglie e i cardini applaudono
Trionfi di indistinti corpi!
(2015)
“Non esiste un Nulla che mi conforti, il resto è Delirio!”
(2003)
(versi di A. S.)