Dieci poesie kitchen di Nunzia Binetti, Quello che nella poesia della tradizione è il momento epifanico, ovvero una istantanea reazione emotiva, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in parola, la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar», In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata

Nunzia Binetti

Nunzia Binetti

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Nunzia Binetti nata a Barletta in Puglia, dopo il Liceo Classico e studi in medicina ha intrapreso quelli di Lettere moderne e Beni Culturali , laureandosi presso l’Università degli studi di Foggia con una tesi sulla Poesia Contemporanea femminile in Puglia. È impegnata nel sociale, e in particolare nella promozione delle donne nelle Arti e Affari (già presidente della Fidapa BPW. sezione di Barletta e già membro della task force twinning BPW International).  Cofondatrice del “Comitato della Dante Alighieri Barletta”, è anche membro del Consiglio Direttivo. Ha recensito e prefato raccolte poetiche di autori  e pubblicato articoli letterari su “Vivicentro Notizie Rassegna Stampa” e su “ Versante Ripido”, in web. Sue poesie sono presenti in molte antologie poetiche (Campanotto Editore), (ED.Giulio  Perrone –Roma), ( LietoColle) e nelle antologie: Fil Rouge (CFR editore) e Il ricatto del Pane (CFR Edizioni ). Nel 2010 ha esordito con la prima Silloge completa In Ampia Solitudine (CFR – Editore) e nel 2014 con la Raccolta Di Rovescio (CFR .Editore), tradotta anche in francese nel 2017 da Roberto Cucinato, pubblicata in Francia e regolarmente depositata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.  La rivista serba “Bibliozona” (della Biblioteca Nazionale di Nis) ha pubblicato una sua poesia in lingua serba. È stata recensita nelle Riviste letterarie: Capoverso (Ed. Orizzonti Meridionali), I fiori del male (Ibiskos Ed.) , dal quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”, dalla Gazzetta di Verona” e, in web, nella rivista on line lombra delle Parole.wordpress.com . Nel gennaio 2019 ha pubblicato la sua ultima raccolta poetica Il Tempo del Male (Terra d’ulivi edizioni). Progetta di pubblicare, a breve, una nuova silloge poetica che includa una sezione vicina allo sperimentalismo.

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Commenti

Prosa troppo diligente e lessico ricercato, o anche solo doverosamente appropriato, possono creare difficoltà per chi voglia accomodarsi nella stretta della frammentazione. Il frammento è cura dimagrante, i suoi affetti sul linguaggio sono immediati. Stop and go, interruzione (morte del pensiero e sue parole) sono costanti, e così le riprese (vero e proprio reset). Il fuori-senso, le repentine deviazioni, inseriscono e rendono visibile, anche in lettura, il fattore T-tempo, che è parte costitutiva del pensare originario: il qui e ora, ma del tutto inventato.

(Lucio Mayoor Tosi)

Il virus kitchen nella tradizione saponificata, sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria

Le poesie di Nunzia Binetti sono la riprova di come la contaminazione e la infiltrazione tra un linguaggio poetico ereditato (quello narrativizzato) e quello nuovo della poetry kitchen stia dando ottimi risultati. La Binetti parte dal linguaggio poetico dell’io che si confessa allo specchio di questi ultimi decenni per allontanarsene in direzione di un linguaggio ibrido, meticciato, con inserti kitchen, cioè lateralizzati, spostati dal significato consueto e condiviso e dalla soggettività registrata. Il risultato è probante, l’autrice dimostra che la transizione e la transazione tra un linguaggio noto e conosciuto, addomesticato, e uno nuovo, ignoto e non addomesticato può dare ottimi risultati. E noi non possiamo che incoraggiarla in questa direzione. E non è detto che tra infiltrazione e transazione vi sia inimicizia o contraddittorietà, la prassi kitchen ci dice che nelle modalità kitchen l’infiltrazione del virus kitchen in un corpo «sanificato» e saponificato come quello della tradizione post-lirica italiana può dare ottimi risultati.

Alla base della poesia di accademia incentrata sulla perorazione di una soggettività in preda di una particolare esantema soggettoalgico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una veicolazione narcisistica di un’istantanea reazione emotiva, invece alla base della poesia della nuova fenomenologia del poetico c’è la convinzione che la forma-poesia debba essere una forma di «incomunicazione» (per riprendere una dizione di Alfredo de Palchi degli anni sessanta), di non-coincidenza permanente tra la parola e la cosa. Come si vede, i conti tornano, anche a distanza di sei, sette decenni dalla poesia depalchiana e dalla neoavanguardia. Ma i conti sono destinati a tornare e a ritornare imbrogliati nella matassa dei nodi di Gordio e dei nodi scorsoi della tradizione saponificata e sanificata e ininterrotta della poesia narrativeggiata a vocazione maggioritaria.
Quello che nella poesia della tradizione saponificata è il momento epifanico, ovvero, una istantanea reazione emotiva che vorrebbe tradursi in una parola epifanica, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in una parola; la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar». L’io ne resta diviso, spiazzato («Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso»), e veniamo proiettati in un’altra dimensione («La musica si interruppe»), e l’avatar prende posizione, prende direttamente la parola, ecco il momento diegetico («l’avatar assunse un tono perentorio,/ sfilò per tutto il corridoio…»); ed ecco il momento mimetico dove parla l’io: («Errore, delitto preterintenzionale!»), interviene l’avatar femminile («No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità»). Subito dopo si cambia fotogramma, ecco che interviene un terzo personaggio “Lady Tristezza” (o forse è ancora l’avatar che parla?). In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata.

Noi sappiamo che la soggettività non è mai «autentica», è sempre impura, contaminata; fin dall’inizio è impregnata di impersonale, perché solo la lingua pubblica (cioè di nessuno, arbitraria e presoggettiva), le offre i dispositivi grammaticali per formare l’“io”, infatti, Lacan ha scritto: «Lalangue sert à de toutes autres choses qu’à la communication». In conformità a questa impostazione, il pre-individuale precede la soggettività, ergo la lingua del pre-individuale è più vera di quella della soggettività, ecco la ragione della modalità kitchen: posizionarsi e direzionarsi verso il pre-individuale del linguaggio poetico è la via prescelta dalla poesia della nuova fenomenologia del linguaggio poetico.

(Giorgio Linguaglossa)

Dieci Poesie inedite di Nunzia Binetti

«Il La è Bemolle». Così si presentò l’avatar.
Pensai a un intralcio, a una devianza di percorso

La musica si interruppe, l’avatar assunse un tono perentorio,
sfilò per tutto il corridoio…

«Errore, delitto preterintenzionale!» replicai.
«No. Il croco, il tuorlo, ci mostrano il giallo che è il retro dell’identità» Ella rispose.

Lady Tristezza emerse da un mare di suoni,
sirena per finta. Frammenti di sughero poi vennero a galla.

**

Elisa amò Beethoven. Non lo confessa.
Oggi non sa più amare.

Tra Schengen e Lampedusa affondò il mare.
Ruth Benedict volse lo sguardo a un crisantemo e ad una spada.
Il crisantemo è divenuto nero.

Ogni Bellezza uccide.
La gara è tra i gerani, sui balconi a farsi cogliere.
Il mito d’Elena ritorna per (s)fiorire.

Nessuna Giustizia è scienza esatta.
La luce della luna echeggia tra le foglie morte.

Notte, sii sempre buona!

**

Il meccanismo del sistema accelerato ha piglio tribale e
ritmo di danza.

I figli uccideranno sempre i padri.

Mendel in tutta fretta mobilitò caratteri alieni dominanti.
I vincitori persero tutto, anche l’onore.

«Siatemi almeno voi fedeli nei miei infiniti modi d’essere».
Così l’ameba parlò alle sorelle ortiche.

Tossine apolidi affiorarono dal mare.
Un seme scivolò nel solco sbagliato

Così nacque un australopiteco super sapiens.

**

«Ho perso l’anello che portavo al dito perché mi sono sposato con la poesia».
Scrisse Dunn, pensando a Puskin, ma la lettera tornò indietro,

non fu recapitata.

Ma qui vivono uomini mezzo-gatti, ad essi tutto è indifferente.
Hanno comportamenti gattici.

Bifore di cattedrali ospitano gabbiani.
La profilassi è solo antibatterica.

E l’Angelus trasalisce per certe maldicenze dei credenti contro i preti.
Inutile agire sui tufi spolpati dagli eventi.

Ed ora discorriamo dell’autunno.
«Cosa sai, tu, dei melograni?», mi chiese.

«Intonano canti funebri sulle terrazze di novembre»,
risposi non molto convinta.

**

La memoria va afferrata per capelli,
come un uomo che s’annega.
Ogni fiume vuol mormorare la vittoria.

C’è la pesca delle trote, lungo il Piave,
sta pensando che neppure tra gli ulivi
esiste pace.

Le cicale. Ascoltare quel frinire.
Ci sommerge già un linguaggio, mai
Compreso dalle stoppie.
Discendenza, noi, di Dedalo, il pianeta lo mordiamo,
ma aspiriamo ad infestare l’universo.

Il tempo, scorre a piedi fossi e dirupi
ed il pensiero magico talvolta è stanco.
In molti lo sostenevano come teorema senza alcuna ipotesi.
Ma la certezza è solo un corollario;
bussa alla porta degli angeli che la rifiutano.
Caduta nella Caina perse la ragione d’essere,
divenne follia pura.
Non la curò alcun farmaco.

**

Ai limiti del suono e negli abissi,
il jazz fa musica.

Al vento lenzuola di postriboli, lastricate d’accensioni.
Abiti di sartoria galleggiano scuciti.
Un’acqua che zampilla.

Per forza di potere o per inerzia non sente freddo il merlo.
Sorride a una tempesta gialla di limoni.

**

Non sfila carri il carnevale di Venezia.
Il patrono se ne va in processione tra i fedeli.
Quanti i preti a seguire. E le maschere e nacchere.

Il maestro Skandiski,dipinge un violino, s’appoggia di spalle alla tela
già pensando a un giallo-follia.

Il fuochista si specchia nel fondo del mare e scompare, ammalato di schizofrenia.
Lo psichiatra non riesce a salvarlo.

Hanno detto che la festa è finita, ma Ravel non sa stare in silenzio
per protesa indossa un bolero.

I salotti sono ormai tutti fucsia. Lo sa bene chi ha una vista acutissima.
Solo l’aquila vede.

**

Il Louvre sparge colori blu China.
Culture in vitro, gole in provette, falciate nelle mani dell’ignoto.

Ostaggi/ liberi circolano in fabbricati di cemento armato.
Recitano personaggi in cerca d’untore.

Angeli in caduta libera, immuni agli orizzonti,
non trovano antigeni per Esserci .

La telecamera ha vomitato stracci di una età remota;
il Plasil non funziona.

Sismi senza epicentro sconvolgono dea Gea.
.
**

ARTICOLO

Quel grammo di grammatica legiferante
prova a farti donna.

Tenta un “ la” schioccato… in extremis
dov’è corolla, goduria ad uso dei sensi.
Apologia di forma, stupor oftalmico.

«Strano, Je m’appelle fleur». Sono donna o fiore ?

**
Oh tu, Omero e Saffo e Alceo,
e inoltre tu Archiloco,
siate pure maledetti.
Voi inventaste la poesia.
Dicono tutti che eresia.
Ogni poeta muore da eretico.

18 commenti

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18 risposte a “Dieci poesie kitchen di Nunzia Binetti, Quello che nella poesia della tradizione è il momento epifanico, ovvero una istantanea reazione emotiva, nella poetry kitchen diventa lo spazio vuoto, lo iato di un significante vuoto ed eccedente che prende corpo in parola, la parola incomunicativa, incomprensibile del momento kitchen, come si vede bene nella poesia di Nunzia Binetti, è una parola parlata dall’Estraneo o, come recita la Binetti, da un «avatar», In definitiva, la poesia delle modalità kitchen altro non è che una de-costruzione ininterrotta una volta che il virus kitchen si sia introdotto in una tradizione saponificata e imbalsamata

  1. Leggo Oggi su FB Matteo Marchesini un pensiero che trovo acuto e contro corrente:

    «Bisognerebbe, che so, farsi più spesso quelle domande che richiedono un po’ d’immaginazione al tempo stesso storica ed estetica: chiedersi ad esempio, per prendere gli esponenti di tre poetiche diverse, se un giorno Sereni, Sanguineti o Zanzotto non diventeranno per altri quel che per noi è Carducci; e se quindi ciò che oggi ce li fa vedere ‘più grandi’ del vate della terza Italia non sia solo la falsa prospettiva dovuta a una complicità eccessiva con il loro sistema culturale»

  2. antonio sagredo

    ————————————
    Infatti il pericolo della poesia KITCHEN è QUELLO DI DIVENTARE QUALCOSA DI NORMALE, dunque non banale che è meno peggio, non appena si avvicina o è una vicina di condominio col resto di quella poesia del novecento e parte di quella dell’inizio di questo nuovo (o già vecchio?) secolo.
    Non ho ancora affilato i miei strumenti critici riguardo la poesia kitchen, ma a lume di naso o altro organo, mi pare che sia sulla buona (spero non nauseabonda) strada… il cammino, come il camino è pieno di fuliggine, e il nero domina se non si oppone il bianco “cucinieero” (nel senso di pulizia estrema dove si mangia!) di questa poesia, che mi pare già da tempo uno spauracchio per altre forme di poesia indigena e non solo.
    E allora plaudo col naso che il piatto kitchen sia pieno colmo di buoni cibi, spero il più possibile originali e facilmente digeribili.
    ——————————————————-

    • Quello che mi accade quando leggo una poesia Kitchen è che non mi viene nausea, come in ogni altro caso della poesia contemporanea dove avverta il sapore dell’io dietro la porta d’ingresso. Stare lì a raccontare di sé è ormai una pratica da cibo marcio, immangiabile, uno spettacolo orrendo da concorrente sprovveduto al masterchef.
      Inutile dire che tranne qualche raro caso che si lascia apprezzare, resta un vuoto enorme, come di deflagrazione per l’interesse nei confronti di quel tipo di poesia. Resta chi osa il grande salto con coraggio come Nunzia che ora ha preso con buona lena la via della poetry Kitchen. E leggo grandi versi:

      “Mendel in tutta fretta mobilitò caratteri alieni dominanti.\I vincitori persero tutto, anche l’onore.”

      “La telecamera ha vomitato stracci di una età remota;\il Plasil non funziona.”

      “Angeli in caduta libera, immuni agli orizzonti,\non trovano antigeni per Esserci .

      E tanti altri che non fanno altrettanta audience nel mondo della comprensibilità a tutti i costi. Comprendo il morso del lupo attorno, di questa nostra comune terra che fa del silenzio gelido la sua arma preferita. La poesia kitchen è una selva di personaggi strani che non capiscono il tempo. Sembrano eterni che smobilitano il passato per fare cose nuove, inventarsi un ruolo, grammatiche mai udite. E dunque nessuno sta al suo posto. Il verso sembra il luogo prediletto della mobilitazione generale delle nuove idee dove niente è scontato. Tutto è trasferito in poche righe, talvolta meno di un distico per esaurirsi e ricominciare subito dopo. Fascino dell’ignoto che sente la spinta propulsiva del plasma attorno a sè.

      Un carissimo saluto e benvenuta
      Franco

  3. Simone Carunchio

    Nelle poesie della Binetti mi ha sorpreso una quasi costante: il mare, l’acqua, i suoi (non) colori e i suoi animali.
    Mari di suoni. Mari che affondano. Mari dai quali affiorano tossine apolidi. Gabbiani. Memorie che annegano nei fiumi. Il jazz ai limiti degli abissi. Acqua che zampilla. Colori blu China.
    La metafora è forte. Si sa: l’acqua …
    In modalità cucina mi pare che la metafora sia al quadrato. Forse è lì uno dei suoi punti di forza. Se il linguaggio è già metaforico, viatico verso la metafisica, allora il linguaggio metaforico è una metafora al quadrato. E così il cerchio si chiude. Ma, appunto, in un circolo, in cui forse non è nemmeno più questione dell’io e di ciò che è prima dell’io, perché forse quel prima è già dopo, o ancor meglio: davanti.
    Ecco quindi anche il sociale emergere, così come scene di interni più personali o riflessioni sulla poesia e il suo farsi. Senza troppi enigmi, ma con tante sorprese.
    In parte condivido. E così condivido anche una mia poesia, la quale mi pare in armonia con il contesto.

    LA NOIOSA VOLTA STELLARE

    Un’arpa di fili colorati da cucito

    Spettro stellare o arcobaleno

    Un barbaglio di farfalle
    Mi fece risvegliare
    Sulla superficie setosa del mare

    Affacciai il viso
    Bucando la superficie dell’acqua

    Oltre batterie di posate e batteri
    Nel sommerso vi erano anche
    Sopravvenienze non ancora emerse

    Una parte dei tuoi capelli
    Si tramutò in tentacoli
    Mentre mi osservavi con occhi di polipo

    Sostenute dalle mie sopracciglia
    Le lunghezze delle onde del mare
    Si proposero nei nuovi colori
    Del verdosso e del violu

    Attutito si diffondeva
    comico
    Il ronzio cosmico di fondo

    Per millenni ci saremmo intrattenuti
    Ad ascoltarlo
    Immobili e rilassati
    Affogati
    Come la noiosa volta stellare

    • caro Simone,

      i tuoi versi sono troppo vicini al significato, e quindi si esauriscono nel significato. Se vuoi fare una poesia kitchen devi necessariamente uscire dal significato. Questo è il precetto fondamentale della modalità kitchen. E poi c’è l’io sempiterno e immarcescibile. Anche quello va decostruito, lateralizzato.

      Giustamente Letizia Leone nel suo ultimo commento faceva riferimento alla poesia espressionista di Giovanni Testori, ma per prenderne le distanze:

      « ‘Suite per Francis Bacon II’ stilizza versi di carnale, allucinato, violento espressionismo novecentesco:

      Sanguinante nel nulla,
      sacro lino
      teso da falangi,
      unghie sfatte,
      divorate.
      Ronza l’aria
      D’insetti planetari.
      Lino di demenza,
      trama inappagata,
      cresce la bestemmia
      sul tuo sangue;
      Ultima saliva,
      disperazione vana,
      filigrana,
      aria.»

      Così conclude Letizia Leone commentando il libro di Giuseppe Gallo Quattro mollette blu made in Cina (2023, Progetto Cultura) :

      «Le apparenti vicende minimaliste, vocate all’astrattismo, galleggiano in «un sistema altamente instabile e infiammabile»

      Ecco: devi rendere instabile e infiammabile il discorso poetico.

      Il nuovo «paradigma ortolinguistico», la legalità morfologica del discorso poetico è la sua garanzia di legalità e di legittimazione, in un testo sketch kitchen la cerimonialità celebrativa del testo richiede che vi siano degli attori che pronunciano enunciati o pongano in essere azioni e circostanze palesemente incongrue e ultronee che non corrispondono più ad alcun paradigma ricettivo del lettore ma che invece lo indirizzano verso un nuovo paradigma di ricezione .

      • Simone Carunchio

        Ciao Giorgio,
        In effetti la poesia che ho postato, in parte non è Kitchen, né aveva la pretesa di esserlo. Mi era sembrata una buona conclusione per il piccolo intervento sulla poesia della Binetti. Tuttavia mi pare anche che, nella stessa poesia che ho postato, una serie di consonanze con la nuova poesia ci siano. In particolare ciò che mi aveva spinto a pubblicarla in quel contesto relativo all’opera di Binetti è mi aveva interessato il discorso iniziale sull’avatar e sulla controfigura.
        In relazione al significato, sì, sono in accordo, quello che scrivo non è limitato al significante, d’altronde trovo che sia centrale il significativo, e proprio in relazione alla comunicazione di una percezione ‘altra’.

  4. antonio sagredo

    “quel che per noi è Carducci;” cosa vuol dire?
    Per quanto mi riguarda il Carducci non ha alcun significato per me. Già è tanto che accetto un pochino il Pascoli.
    “più grandi’ del vate della terza Italia”… che siano più grandi quei tre ( Sereni, Sanguineti o Zanzotto ) é ovvio.
    Ma anche se non era il “vate” lo sarebbero stati lo stesso più grandi. E che l’essere “vate” ha peggiorato il suo essere poeta, e poi “vate” è una barzelletta che non fa ridere affatto.
    Già il D’Annunzio lo era più grande di Carducci, perché non si considerava “vate”; si considerava altro di più diverso e distinto e più alto. Certo è che Campna li ha cancellati tutti!
    Il Carducci era soltanto un ottimo professore di liceo, ed è stato uno dei tanti Nobel assegnati per “abbaglio”, non per sbaglio, come lo furono dopo di lui Montale e Quasimodo. (decine poi furono i Nobel stranieri per abbaglio…. Tutti questi Nobel “abbaglianti” furono poeti “divanisti”, nel senso che non alzarono mai il loro deretano dalla loro privata poltrona, e allora anche poltron, o poltronieri!
    ——————————–
    “la falsa prospettiva dovuta a una complicità eccessiva con il loro sistema culturale»”…
    perché considerarla falsa questa prospettiva? e poi “complicità eccessiva”? –
    Se si tratta di Sereni, Sanguineti o Zanzotto sono il primo loro complice senza che io sia falso in questa prospettiva…
    Di quale “sistema culturale”?
    Quando componevo non pensavo a nessun sistema culturale essendo fuori da ogni sistema culturale, non mi ponevo alcuna domanda….
    facevo versi, soltanto versi, e i versi erano me ed io loro!

    • Simone Carunchio

      Sì, anche a mio parere tra quelli spendibili c’è D’Annunzio e, ancor di più, Campana. Anche Ungaretti non lo metterei ai saldi

  5. Leggo su L’Espresso di oggi:

    «Aborto, in cinque ospedali della Lombardia i medici obiettori sono il cento per cento»

    La modalità kitchen prende spunto dal mondo di oggi. Viviamo tutti in un sistema culturale normologato, non c’è via di uscita. Per quanto riguarda la poiesis non c’è scampo se non saltare la triade Sereni, Sanguineti, Montale per ritrovarci FUORI da quel sistema culturale la cui petizione centrale è la normologia della scrittura poetica. Diventare obiettori come fa la Poetry kitchen non significa stabilire una equivalenza tra la scrittura poetica e i medici obiettori della Lombardia che arrivano al 100% del totale, quella lì non è obiezione ma obiettoalgia dei fatti propri. Quando in un Paese tutti gli abitanti si si fanno i fatti propri a discapito dei bisogni degli altri, è finita, è finita per i diritti degli altri, tutti si normologano alla normologia dominante, per quel Paese è finita, non c’è più niente da fare.

    La poetry kitchen avverte l’esigenza di uscire FUORI da questa normologia dominante: tutti scrivono e pensano allo stesso modo. È incredibile che si arrivasse a tal punto in Italia, ma è il fallimento della Seconda Repubblica. La Terza Repubblica è avvolta nella nebbia, in una cortina fumogena.

    La «mobilitazione delle parole» di cui parla Francesco Intini è una necessità, un bisogno della mente, le nostre parole hanno l’obbligo etico (prima che estetico) di ribellarsi alla ostruente posizione normologata cui la scrittura della soggettoalgia generale si adegua e viene allevata e custodita come reliquia della normologazione generale.
    Un poeta deve sentire dentro di sé una voce interna, il richiamo etico alla «mobilitazione generale delle parole», altrimenti non è un poeta ma uno scribacchino.

  6. Vorrei dire della metafora, quella rimanenza che ancora si intravede nella poesia di Nunzia Binetti, ma sono giorni questi in cui non riesco a scrivere. In breve: la metafora nella poesia kitchen è quasi del tutto assente, è stata sostituita dal fuori senso… Dobbiamo a Tomas Tranströmer se la metafora ha perso ogni contatto con la similitudine. Tranströmer ha liberato la metafora dall’obbligo di significare; peccato, si dirà, perché la metafora era la stampella grazie alla quale tanti poeti riuscivano ad avvicinarsi all’epifania. Ma era diventata un’usanza.
    Grazie al poeta svedese, ora proviamo nuovi accostamenti. Nel linguaggio odierno, pubblicitario e cibernetico, la metafora è una complicanza, che, in scrittura, produce rallentamento. Antonio Sagredo non sarà d’accordo, ma a parer mio è proprio in questa partita che si gioca il cambiamento. Nelle poesie che qui leggo, di Nunzia Binetti, la metafora sta per trasformarsi, ne leggo i segnali – parafrasi, deboli e un po’ telefonate – in modi-di-dire. La forma modo-di-dire, subito comprensibile, si presta a nuove invenzioni. Ma, sottilmente, andrebbe meglio indagata.
    Giochi a quiz televisivi, oggigiorno sono da considerarsi vere e proprie banche di immagini…

    • Simone Carunchio

      “è in questa partita che si gioca il cambiamento”
      Sì. Concordo.

      La metafora come figura retorica (e non come caratteristica essenziale della lingua), secondo quello che leggo della nuova poesia, mi pare che oscilli, nella nuova poesia, dal tentativo della sua completa assenza dal testo al tentativo di una pervasità totale del testo.

      Poi certo: gli estremi si toccano …

      Ma forse, infine, non si può che sopravvivere tra i due estremi.
      C’è chi è più estremista di altri.

      Al testo, comunque, sfugge sempre qualcosa, nonostante le (buone) intenzioni dell’autore…

  7. L’ontologia del poetico, è nient’altro che la relazione che si stabilisce tra il linguaggio e la soggettività.
    La (nuova) fenomenologia del poetico è la relazione (nuova) che si stabilisce tra il linguaggio e la (nuova) soggettività.

  8. antonio sagredo

    “Un poeta deve sentire dentro di sé una voce interna, il richiamo etico alla «mobilitazione generale delle parole», altrimenti non è un poeta ma uno scribacchino.” …
    …. e come si dice hai sacrosanta ragione, ma più che santa e sacra la ragione è maledetta, perchè non è capace di distruggre tutti i mali che derivano da Nord. Nord? Ma la maggior parte è formata oramai da decenni da fuoriusciti del Sud… gente mediocre allora come adesso che pensava di diventare più civile trasferndosi al Nord, e che di questo ha assorbito tutto il negativo possibile credendo fosse l’avanguardia civica e civile ed è invece feccia più feccia, che ritrasferita al Sud ancora una volta è mille volte più feccia: analfabetismo culturale allo stato puro, e tutto questo baillamme indifferenziato, come la spazzatura, è preda del primo
    avventuriero di turno. soltanto barbarie.. basta asoltare certi schifosi programmi di intrattenimento per comprendere il loro linguaggio becero parlato con tale disinvoltura che pensano e credono un italiano perfetto e moderno: ne l’uno e ne l’altro: è
    soltanto e puramente barbarie… tra l’altro prevista senza essere vatio profeti!
    Se dunque la poesia cuciniera della KITCHEN ha come finalità la distrruzione totale di tutto ciò che in cucina è marcio mi candido per e che dunque questa poesia sia “mostruosa2 come lo è stta la mia poesia migliore!
    —————————————————
    Evviva la poesia KITCHEN
    ———————————————
    “La poetry kitchen avverte l’esigenza di uscire FUORI da questa normologia dominante: tutti scrivono e pensano allo stesso modo” (Linguaglossa)

    Già sono fuori dai primissimi istanti della mia vita: fuoridi e da tutto, e il suo copntrario!

  9. Simone Carunchio

    ““Un poeta deve sentire dentro di sé una voce interna, il richiamo etico alla «mobilitazione generale delle parole», altrimenti non è un poeta ma uno scribacchino.” …

    …. e come si dice hai sacrosanta ragione”

    Ricordo che l’amico Enomis mi ha spesso detto che la poesia è tale quando si concretizza nella proposta di una nuova forma di oralità…

  10. Concetta Violante

    Occorre molta concentrazione per comprendere la poesia di Nunzia Binetti anche per chi è abbastanza colto. A mio parere la poesia deve poter essere usufruito anche dai non-colti.
    È vero che la contemporaneità è ormai destrutturata e liquida, per usare un termine caro a Zygmunt Bauman, ma non è forse compito dei poeti e degli intellettuali non solo interpretarla ma anche di farne un discorso affinché tutti gli altri possano essere messi in grado di comprenderla?
    Se così non fosse allora la poesia sarebbe morta.

    • ariannuccia1

      Poesia kitchen di Tiziana Antonilli

      LIBERO

      A mani giunte Rachele ti ha sfilato dall’orecchio il vento
      perché ti eri intubato
      vino rosso nelle gambe.
      Un cuchillo sonoro
      per la mater dolorosa.
      In aereo si fluttua
      se saltano i bulloni della bara.
      L’hostess ha cantato per te
      fratello d’Italia.

  11. tiziana antonilli

    Belle le poesie di Nunzia Binetti !
    Tiziana Antonilli

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