Di fatto, la crisi della poesia italiana esplode alla metà degli anni Sessanta
Occorre capire perché la crisi esploda in quegli anni e capire che cosa hanno fatto i più grandi poeti dell’epoca per combattere quella crisi, cioè Montale e Pasolini per trovare una soluzione a quella crisi. È questo il punto, tutto il resto è secondario. Ebbene, la mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un «Grande Progetto».
Breve retrospezione sulla Crisi della poesia italiana del secondo novecento. La Crisi del discorso poetico
Di fatto, la crisi della poesia italiana è già visibile nella metà degli anni sessanta. La mia stigmatizzazione è che i due più grandi poeti dell’epoca, Montale e Pasolini, abbiano scelto di abbandonare l’idea di un «Grande Progetto», abbiano dichiarato che l’invasione della cultura di massa era inarrestabile e ne hanno tratto le conseguenze sul piano del loro impegno poietico e sul piano del linguaggio poetico: hanno confezionato finta poesia, pseudo poesia, anti poesia, chiamatela come volete, con Satura (1971), ancor più con il Diario del 71 e del 72 e con Trasumanar e organizzar (1971).
Qualche anno prima, nel 1968, anno della pubblicazione de La Beltà (1968) di Zanzotto («il signore del significante» come lo aveva definito Montale), si situa la Crisi dello sperimentalismo come visione del mondo e concezione delle procedure artistiche.
Cito Adorno
«Quando la spinta creativa non trova pronto niente di sicuro né in forma né in contenuti, gli artisti produttivi vengono obiettivamente spinti all’esperimento. Intanto il concetto di questo… è interiormente mutato. All’origine esso significava unicamente che la volontà conscia di se stessa fa la prova di procedimenti ignoti o non sanzionati. C’era alla base la credenza latentemente tradizionalistica che poi si sarebbe visto se i risultati avrebbero retto al confronto con i codici stabiliti e se si sarebbero legittimati. Questa concrezione dell’esperimento artistico è divenuta tanto ovvia quanto problematica per la sua fiducia nella continuità. Il gesto sperimentale (…) indica cioè che il soggetto artistico pratica metodi di cui non può prevedere il risultato oggettivo. Anche questa svolta non è completamente nuova. Il concetto di costruzione, che è fra gli elementi basilari dell’arte moderna, ha sempre implicato il primato dei procedimenti costruttivi sull’immaginario».1
In verità, nella poesia italiana di quegli anni si è verificato un «sisma» del diciottesimo grado della scala Mercalli: l’invasione della società di massa, la rivoluzione mediatica e la rivoluzione delle emittenti mediatiche. Davanti a questa rivoluzione in progress che si è svolta in vari stadi temporali e nella quale siamo oggi immersi, la poesia italiana si è rifugiata in discorsi poetici di nicchia, ha tascabilizzato la metafisica, da un titolo di un libro di poesia di Valentino Zeichen (1938 – 2016), Metafisica tascabile (1997), ha scelto di non prendere atto del «sisma» del 18° grado della scala Mercalli che ha investito il mondo, di fare finta che il «sisma» non sia avvenuto, che tutto era e sarà come prima, che si continuerà a fare la poesia di nicchia e di super nicchia, poesia autoreferenziale, chat-poetry.
Un «Grande Progetto»
Qualcuno ha chiesto: «Cosa fare per uscire da questa situazione?».
Ho risposto: Un «Grande Progetto».
Che non è una cosa che può essere convocata in una formuletta valida per tutte le stagioni. Il problema della crisi dei linguaggi post-montaliani del tardo novecento non è una nostra invenzione, è qui, sotto i nostri occhi, chi non è in grado di vederlo probabilmente non lo vedrà mai, non ci sono occhiali di rinforzo per questo tipo di miopia. Il problema è quindi vasto, storico e ontologico. Si diceva una volta di «ontologia estetica».
Rilke alla fine dell’ottocento scrisse che pensava ad una poesia «fur ewig», che fosse «per sempre». Io invece penso a qualcosa di dissimile, ad una poesia che possa durare soltanto per un attimo, per l’istante, mentre ci troviamo in soggiorno, prendiamo il caffè o saliamo sul bus; i secoli a venire sono lontani, non ci riguardano, fare una poesia «fur ewig» non so se sia una nequizia o un improperio, oggi possiamo fare soltanto una poesia kitchen, che venga subito dimenticata dopo averla letta.
Per tutto ciò che ha residenza nei Grandi Musei del contemporaneo e nelle Gallerie d’arte: per il manico di scopa, per il cavaturaccioli, le scatolette di birra, gli stracci ammucchiati, i sacchi di juta per la spazzatura, i bidoni squassati, gli escrementi, le scatole di Simmenthal, i cibi scaduti, gli scarti industriali, i pullover dismessi con etichetta, gli animali impagliati.
Non ci fa difetto la fantasia, che so, possiamo usare il ferro da stiro di Duchamp come oggetto contundente, gettare nella spazzatura i Brillo box di Warhol e sostituirli con la macarena e il rock and roll.
Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria
«Essere nel XXI secolo è una condizione reale, non immaginaria. Non è un fiorellino da mettere nell’occhiello della giacca: è un modo di pensare, di vedere il mondo in cui ci troviamo: un mondo confuso, denso, contraddittorio, illogico. Cercare di dire questo mondo in poesia non può quindi non presupporre un ripensamento critico di tutti gli strumenti della tradizione poetica novecentesca. Uno di questi, ed è uno strumento principe, è la sintassi: che oggi è ancora telefonata, discorsiva, troppo sequenziale, ancora identica a quella che è prevalsa sempre di più fra i poeti verso la fine del secolo scorso, in particolare dopo l’ingloriosa fine degli ultimi sperimentalismi: finiti gli eccessi, la poesia doveva farsi dimessa, discreta, sottotono, diventare l’ancella della prosa.»
Rebus sic stantibus
Che cosa vuol dire: «le cose come stanno»?, e poi: quali cose?, e ancora: dove, in quale luogo «stanno» le cose? – Ecco, non sappiamo nulla delle «cose» che ci stanno intorno, in quale luogo «stanno», andiamo a tentoni nel mondo delle «cose», e allora come possiamo dire intorno alle «cose» se non conosciamo che cosa esse siano. (Steven Grieco Rathgeb, 2018)
«Essere nel XXI secolo è una condizione reale», ma «condizione» qui significa stare con le cose, insieme alle cose… paradossalmente, noi non sappiamo nulla delle «cose», le diamo per scontate, esse ci sono perché sono sempre state lì, ci sono da sempre e sempre (un sempre umano) ci saranno. Noi diamo tutto per scontato, e invece per dipingere un quadro o scrivere una poesia non dobbiamo accettare nulla per scontato, e meno che mai la legge della sintassi, anch’essa fatta di leggi e regole che disciplinano le «cose» e le «parole» che altri ci ha propinato, ma che non vogliamo più riconoscere.
Carlo Michelstaedter (1887-1910) si chiede: «Quale è l’esperienza della realtà?». E cosi si risponde
«S’io ho fame la realtà non mi è che un insieme di cose più o meno mangiabili, s’io ho sete, la realtà è più o meno liquida, è più o meno potabile, s’io ho sonno, è un grande giaciglio più o meno duro. Se non ho fame, se non ho sete, se non ho sonno, se non ho bisogno di alcun’altra cosa determinata, il mondo mi è un grande insieme di cose grigie ch’io non so cosa sono ma che certamente non sono fatte perch’io mi rallegri. ”Ma noi non guardiamo le cose” con l’occhio della fame e della sete, noi le guardiamo oggettivamente (sic), protesterebbe uno scienziato. Anche l’”oggettività” è una bella parola. Veder le cose come stanno, non perché se ne abbia bisogno ma in sé: aver in un punto “il ghiaccio e la rosa, quasi in un punto il gran freddo e il gran caldo,” nella attualità della mia vita tutte le cose, l’”eternità resta raccolta e intera… È questa l’oggettività?…».2
Molto urgenti e centrate queste osservazioni del giovane filosofo goriziano che ci riportano alla nostra questione: Essere del XXI secolo, che significa osservare le »cose» con gli occhi del XXI secolo, che implica la dismissione del modo di guardare alle «cose» che avevamo nel XX secolo; sarebbe ora che cominciassimo questo esercizio mentale, in primo luogo non riconoscendo più le «cose» a cui ci eravamo abituati, (e che altri ci aveva propinato) semplicemente dismettendole, dando loro il benservito e iniziare un nuovo modo di guardare il mondo. La nuova scrittura nascerà da un nuovo modo di guardare le «cose» e dal riconoscerle parte integrante di noi stessi.
lombradelleparole.wordpress.com Lucio Mayoor Tosi Kitchen Haiku (per fan di Matisse): Siamo poeti televisivi. Coi piedi i… twitter.com/i/web/status/1…—
Giorgio Linguaglossa (@glinguaglossa) January 10, 2023
Dopo il novecento
Dopo il deserto di ghiaccio del novecento sperimentale, ciò che resta della riforma moderata del modello poesia sereniano è davvero ben poco, mentre la linea centrale del modernismo italiano è finito in uno «sterminio di oche» come scrisse Montale in tempi non sospetti.
Come sistemare nel secondo Novecento pre-sperimentale un poeta urticante e stilisticamente incontrollabile come Alfredo de Palchi (1926 – 2020) con La buia danza di scorpione (1945-1951), che sarà pubblicato negli Stati Uniti nel 1993 e, in Italia nel volume Paradigma (2001) e della sua opera migliore Sessioni con l’analista (1967)? Diciamo che il compito che la poesia contemporanea ha di fronte è: l’attraversamento del deserto di ghiaccio del secolo dell’experimentum: il pre-sperimentale e il post-sperimentale oggi sono diventate una sorta di terra di mezzo, un linguaggio koinè, una narratologia prendi tre paghi uno; dalla stagione manifatturiera dei «moderni» identificabile, grosso modo, con opere come il Montale di dopo La bufera e altro (1956) si passa alla stagione postindustriale: con Satura del 1971, Montale opterà per lo scetticismo alto-borghese e uno stile narrativo intellettuale alto-borghese,. La poesia italiana vivrà una terza vita ma in un cassetto: derubricata e decorativa.
Breve riepilogo
Se consideriamo due poeti di stampo modernista, Ennio Flaiano (1910–1972) negli anni cinquanta e Angelo Maria Ripellino (1923-1978) negli anni settanta: da Non un giorno ma adesso (1960), all’ultima opera Autunnale barocco (1978), passando per le tre raccolte intermedie apparse con Einaudi: Notizie dal diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976), dovremmo ammettere che la linea centrale del secondo Novecento è costituita dai poeti modernisti. Come negare che opere come Il conte di Kevenhüller (1985) di Giorgio Caproni non abbiano una matrice modernista?, ma è la sua metafisica che oggi è diventata irriconoscibile. La migliore produzione della poesia di Alda Merini (1931 – 2009) la possiamo situare a metà degli anni Cinquanta, con una lunga interruzione che durerà fino alla metà degli anni Settanta: La presenza di Orfeo è del 1953, la seconda raccolta di versi, Paura di Dio, con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce nel 1955, alla quale fa seguito Nozze romane; nel 1976 il suo miglior lavoro, La Terra Santa. Ma qui siamo sulla linea di un modernismo conservativo.
Ragionamento analogo dovremo fare per la poesia di una Amelia Rosselli (1930 – 1996, da Variazioni belliche (1964) fino a La libellula (1985). La poesia di Helle Busacca (1915-1996), con la fulminante trilogia degli anni Settanta si muove nella linea del modernismo rivoluzionario: I quanti del suicidio (1972), I quanti del karma (1974), Niente poesia da Babele (1980), è un’operazione di stampo schiettamente modernista, come schiettamente modernista è la poesia di Anna Ventura con Brillanti di bottiglia (1976) e l’Antologia Tu quoque (2014), di Giorgia Stecher di cui ricordiamo Altre foto per un album (1996, e Tutte le poesie, Progetto Cultura, 2022) e Maria Rosaria Madonna (1940- 2002), con Stige (1992), la cui opera completa appare nel 2018 in un libro curato da chi scrive, Stige. Tutte le poesie (1980-2002), edito da Progetto Cultura di Roma. Il novecento termina con le ultime opere di Mario Lunetta, scomparso nel 2017, che chiude il novecento, lo sigilla con una poesia da opposizione permanente che ha un unico centro di gravità: la sua posizione di marxista militante, avversario del bric à brac poetico maggioritario e della chat poetry, di lui ricordiamo l’Antologia Poesia della contraddizione del 1989 curata insieme a Franco Cavallo, da cui possiamo ricavare una idea diversa della poesia di quegli anni.
«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».3
Le strutture ideologiche post-moderne, dagli anni settanta ai giorni nostri, si nutrono vampirescamente di una narrazione che racconta il mondo come questione «privata» e non più «pubblica». Di conseguenza la questione «verità» viene introiettata e capovolta, diventa soggettiva, si riduce ad un principio, ad una petizione del soggetto. La questione verità così soggettivizzata si trasforma in qualcosa che si può esternare perché abita nelle profondità mitiche del soggetto. È da questo momento che la poesia cessa di essere un genere pubblicistico per diventare un genere privato, anzi privatistico. Questa problematica deve essere chiara, è un punto inequivocabile, che segna una linea da tracciare con la massima precisione.
Il caso Mario Lunetta
Questo assunto Mario Lunetta (1934 – 2017) lo aveva ben compreso fin dagli anni settanta. Tutto il suo interventismo letterario nei decenni successivi agli anni settanta può essere letto come il tentativo di fare della forma-poesia «privata» una questione pubblicistica, quindi politica, di contro al mainstream che ne faceva una questione «privata», anzi, privatistica; per contro, quelle strutture privatistiche, de-politicizzate, assumevano il soliloquio dell’io come genere artistico egemone.
La pseudo-lirica privatistica che si è fatta in questi ultimi decenni intercetta la tendenza privatistica delle società a comunicazione globale e ne fa una sorta di pseudo poetica, con tanto di benedizione degli uffici stampa degli editori a maggior diffusione nazionale.
La nuova fenomenologia del poetico
L’estraneazione è l’introduzione dell’Estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi attori nel luogo già conosciuto. Il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig zag sono gli altri strumenti in possesso della nuova poesia. Queste sono le categorie sulle quali la nuova poesia costruisce le sue colonne di icone in movimento. Il verso è spezzato, segmentato, interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo forfettario, è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; i simboli, le icone; i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte, nella vita e nella poesia del novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story lo story telling… si tratta di flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback. Non ci sono più le problematiche privatistiche. È il vuoto però.
Lo stile della NOe (nuova fenomenologia del poetico) è quello delle didascalie dei prodotti commerciali e farmacologici
Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retro pensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali. Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. La NOe scrive alla stregua delle circolari della Agenzia delle Entrate, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi della NOe interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.
Ma tutto questo armamentario retorico
Ma tutto questo armamentario retorico che era già in auge nel lontano novecento, qui, nella nuova fenomenologia del poetico viene archiviato. È questo il significato profondo del distacco della poesia della nuova fenomenologia del poetico dalle fonti novecentesche; quelle fonti si erano da lunghissimo tempo disseccate, producevano polinomi frastici, dumping culturale, elegie mormoranti, chiacchiere da bar dello spot culturale. La tradizione (lirica e antilirica, elegia e anti elegia, neoavanguardie e post-avanguardie) non produceva più nulla che non fosse epigonismo, scritture di maniera.
L’ispirazione
L’ispirazione è rubinetteria di terza mano, utensileria buona per i pronostici del totocalcio, eufemistica della banda bassotti, cretineria della «Pacchia è finita», epifenomeno di un armamentario concettuale in disuso, concetto cafonal-kitsch, concetto da Elettra Lamborghini in topless per poveri di spirito.
Forse sarebbe meglio parlare dell’Elefante
L’Elefante sta bene in salotto, è buona educazione non scomodarlo
L’Elefante si è accomodato in poltrona. Tant’è, si fa finta di non vederlo, così si può sempre dire che non c’è nessun elefante, che i bicchieri sono a posto, le teche di cristallo intatte, le suppellettili pure, che la poiesis gode di buona, anzi, ottima salute, che non c’è niente da cambiare, che la poiesis da Omero ad oggi non è cambiata granché, che da quando il mondo è mondo la poiesis è sempre stata in crisi… come dire che il linguaggio normologato è il nostro riparo, non abbiamo più niente da dire né da fare. Ed è vero: la poesia italiana che si fabbrica in Egitto non ha veramente nulla da dire, evita accuratamente e con tutte le proprie forze di vedere l’Elefante che passeggia in salotto e che con la sua proboscide ha fracassato tutto ciò che c’era di fracassabile. L’Elefante adesso si è accomodato in poltrona. È disoccupato. Il suo posto è stato preso dai corvi.
La NOe
La NOe (nuova fenomenologia del poetico) dà uno scossone formidabile all’immobilismo della poesia italiana degli ultimi decenni, e la rimette in moto. È un risultato entusiasmante che mette in discussione tutto il quadro normativo della poesia italiana.
(Giorgio Linguaglossa)
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1 T.W. Adorno, Teoria estetica, trad. it. Einaudi, 1970, p. 76
2 Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica Joker, 2015 pp. 102-103 (prima edizione, 1913)
3 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017
“Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici”.
A la fin tu es las de ce monde ancien
…
Tu en a assez de vivre dans l’antiquité grecque et romaine
Ici me^me les automobiles ont l’air d’e^tre anciennes
…
Tu lis les prospectus le catalogues les affiches qui chantent tout haut
Voilà la poésie ce matin e pour la prose il y a les journaux
…
Apollinaire, Alcools, Zone.
“La NOe scrive alla stregua delle circolari della Agenzia delle Entrate, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto”.
Aggiungerei la Legge di Bilancio 2023 …
da un romanzo che ho scritto nel 2015 mai pubblicato:
“Mentre si sedeva sulla sedia da lavoro, inserendo nello stesso tempo la parola chiave per accedere alle sue impostazioni, sentì come una specie di barrito, come il suono del treno che decomprime la pressione, come un lamento lungo e profondo di un animale preistorico – almeno come lui, fin da piccolo se l’era sempre immaginato. E mentre pesantemente posava il sedere, già con l’intenzione di rialzarsi, come il ritrarsi di un gesto già compiuto, gli sembrò di percerpir transitare un elefante nell’ufficio, un elefante grande quanto un concetto kantiano (ch’è grande sono perché scritto in tedesco). Di scatto si rialzò e si precipitò verso l’uscio. Effettivamente nei corridoi, per fortuna piuttosto ampi (erano edifici pensati per durare nel tempo quelli fascisti) c’era, effettivamente, un elefante in carne e ossa. O era una sua allucinazione? Che il poco di vino che aveva trangugiato gli stesse rendendo qualche scherzetto?
………………
Ritornato alla sua postazione di lavoro, per prima cosa ricercò nella rete la storia di Hello Kitty a cui aveva accennato Psico. Poi, appena dopo aver appreso le informazioni che già immaginava, aprì la casella della posta elettronica.
Un autore molto colto nelle cose della poesia ha scritto di recente (riferendosi tacitamente a l’Ombra delle Parole), che parlare di «poesia di ricerca» ormai è diventato un luogo comune non più utilizzabile.
Concordo. Tutti fanno «ricerca»: cercano nello sgabuzzino della propria abitazione, nel portabagagli della propria macchina, nel proprio portafogli quello di cui hanno bisogno, tant’è; allora d’ora in poi parlerò di «direzione della poesia», così forse apparirà più chiaro il nostro intendimento e il nostro obiettivo.
Concordo anche io. Magari talvolta ci si può divertire a trovare in esperienze passate qualche elemento o qualche coincidenza con ciò che si è prodotto più di recente. Ma senza acredine accademica … probabilmente ne soffrirebbe la creatività. E questa è ricerca nel passato.
La ricerca del nuovo è qualcosa di forse diverso. E si sa quanto è difficile il discorso sul nuovo.
Di seguito due poesie che hanno a che fare con il nuovo.
Come noterai, in questi casi il rapporto con la lirica è poco sussistente. Probabilmente rimane qualche rapporto con il romanticismo (ma certe passioni, per quanto fanno male, a volte non si riescono a evitare)
GLI SFACCENDATI A CASA
Il brivido del labirinto
Procura la vertigine dell’abisso
Tra le maglie della rete s’impigliano le cose
Il mare le navi i porti le strade
i piloni le automobili le case
le montagne
Il paesaggio
Distrattamente alcune cosce
Dalla materia estrarre il materiale
Più si dà forma all’esistenza e più la si ideologizza
E più ognuno tende a spersonalizzarsi
Nascita e morte
Ciò che non si ripete
Ciò che non si ripete
Non può essere usato come esperienza
Sconcertato
In un lago di sangue
Lascia il nominare lo stato d’animo
Che si allontana all’infinito
Più squillanti al crepuscolo della crapula
I rintocchi tintinnati delle campanelle dello spleen
Il tempo si seziona allora in un continuum
Di catastrofi dallo stile libero o barocco
Alla luce delle nostre sofferenze incartapecorite
O cartolarizzate
Ci raccontiamo le ultime novità
E trionfiamo sui morti e i non ancora nati
Abbigliati all’ultima moda dal tessuto felpato
Delle cosce e dei cuscini tra cui si adagia il sole
Per tentare di ottenere un vantaggio sociale
Profusi nelle allegorie
Contemporanei a tutti
Ci immortaliamo con un selfie
Nel riuscito tentativo di armonizzare con stile
L’eterno conflitto
Tra l’eterno ritorno e il nuovo
Nell’eterno ritorno del nuovo
Guardandoci ci trasciniamo nei sogni
Polvere di ferro
Magnetismo
I mobili si attraggono a vicenda
I mobili sognano
i mobili
Sono comodi
Le arti divengono utile artigianato
La poesia prosa
La natura morta è stata relegata
In cucina così come i paesaggi
Laddove si aprono nuove prospettive
gastronomiche
L’astratto dell’anima
In soggiorno
Laddove c’è anche la TV
Il figurativo si trova spesso
Al cesso o in camera da letto
Laddove si spegne e rinasce
Singolarmente
L’esistenza
Laddove si arresta il destino col godere
L’arte è una galassia di merce di astri fissi
Per individui annoiati e sensibili
Che non si sono arresi all’essenza
Varcandone il confine verso l’esistenza
“Se il lavoro è prostituzione
La prostituzione è lavoro”
“Di sfruttamento della natura si può parlare
Fintantoché il lavoro è organizzato
Come sfruttamento dell’essere umano”
“L’unica sarebbe organizzare il lavoro
Come un gioco infantile: si spalancherebbe la bocca
di una nuova prospettiva”
“Ciò è possibile
A patto, però, di escludere la lotta e la concorrenza come possibilità
E a condizione di mettere in opera
Forze produttive altamente sviluppate”
(“Provate, per credere anche voi!!”)
Perle perle perle perle perle
Ionico ionico ionico ionico
Il cactus sta per catturare la sua preda
Allo spirare del gatto
Ci si radono le sopracciglia
È tradizione
“Il guscio è un concetto estinto?”
“La civiltà dei sensi si concretizza
Quando si realizza lo iato tra
Godimento sessuale e intimità domestica”
Ancora poco
E alla luce dell’ultima ora
Ci riscalderemo i cuori
Attendendo il bacio della buonanotte
Del tramonto
NOVELLE
Raccontare con parole nuove
Stagno d’Alcontres di Valentina Sessa
Con D’Ayala Valva e Tettamanzi
I bisogni che si fanno necessità
E viceversa
Mandrioli inquieti
Essendo sempre figli
(di Dio, dell’Uomo, dei Fiori – poco cambia)
Eccheppalle!!
Un filare di lampioni accesi
Moltiplica a raggiera
Le ombre degli oggetti
Le cose sono accompagnate per mano
Da un serpente piumato
Timeo Danaos e Dona Ferentes
Si danno la mano
Ma forse non ci si capisce più niente
Alle vendite all’incanto
Dopo ciascuna offerta
Fiducia riposta nel tempo
Si accende una candelina vergine
Che duri un minuto circa
E poi un’altra e poi un’altra
Alla fine della via
C’è sempre un cupolone
Un palazzo o un palato
Pieno di stelle pensieri e sapori
Edifici antisismici a consumi contenuti
Da lontano una torre o un impennaggio
I denti cariati delle rovine
Ninfe e satiri
Parche e
Filamenti di vita
Parchi
Ombrelloni ripiegati grondanti
Bimbe in bici con gli impermeabili
Signore della pioggia
Attraversando pozzanghere
Posano le nuvole in cielo
Il disco è sole è luna
Il caffè è au lait ovvero olé
Hola heil hello halo
Ehilà
Il marchingegno marchigiano
Funziona all’ora
Incredulo
Come indica il mio biglietto
Un tipo teneva al guinzaglio un aerogetto
Subsonico da trasporto passeggeri
Prima del grande lancio
I propulsori già ruggivano nelle loro gondole
Suona la fisarmonica dei tempi andati
Le note di ricordi indelebili
Il dopo dell’assunzione di Maria
E dell’ascensione di Gesù Cristo
La Gloria
Che chiude la finestra
Posta tra rumore e silenzio
Tra il prezel tedesco
E il messicano teschio
Ci sono due facce della stessa medaglia
O di quella stessa finestra
Da cui mi Kahlo in fuga
E quando l’angelo ti abbandona
E il dito è mozzato
Amare è al buio
Misteri e muscoli
Eclisse totale
Dalla brace alla padella
Il rimorso di non aver potuto scegliere
Né il corretto né l’errore
Devono aver nascosto nel bagno
Un elefante che barrisce a ogni curva
Un walzer ci accompagna sontuoso
E russo
caro Simone,
permettimi di fare alcune variazioni sulla tua lunga composizione.
ecco, io ti suggerirei di accorciare, tagliare la composizione. Ad esempio io l’ho spezzata in tre brevi poesie, togliendo tutto il resto.
Che ne pensi?
Che ne pensa Lucio Mayoor Tosi, il vessillifero della forma breve?
I mobili si attraggono a vicenda
I mobili sognano
i mobili
Sono comodi
Le arti diventano utile artigianato
La poesia diventa prosa
La natura morta è stata relegata in cucina così come i paesaggi
Laddove si aprono nuove prospettive gastronomiche
L’astratto dell’anima è il concreto del cuore
In soggiorno c’è la TV
Il figurativo si trova spesso al cesso o in camera da letto
*
Devono aver nascosto nel bagno un elefante che barrisce a ogni curva
Un walzer ci accompagna
La Gloria
Chiude la finestra posta tra rumore e silenzio
Timeo Danaos e Dona Ferentes
*
Il mare le navi i porti le strade
I piloni le automobili le case
Le montagne
Il paesaggio
Distrattamente alcune cose diventano altre cose
Tra le maglie della rete s’impigliano le cose
Dalla materia estrarre il materiale
Più si dà forma all’esistenza e più la si ideologizza
E più ognuno tende a spersonalizzarsi
Caro Giorgio,
Hai sicuramente carpito delle parti e degli snodi centrali delle poesie di cui sopra. E le tue varianti mi piacciono molto.
per esempio:
“La Gloria
Chiude la finestra posta tra rumore e silenzio”.
Ma anche quanto rimane di contorno non mi spiace.
In quanto lettore mi garba indugiare ancor più quando posso trascorrere del tempo con il mio autore: e quindi cerco di fare lo stesso con i miei (potenziali) di lettori. In questo senso incastonare del significato immediato in una ricostruzione del fracasso del reale è qualcosa che (mi) attira sia come lettore che come autore.
Per esempio, nella prima poesia si tratta del dialogo sul lavoro e sullo sfruttamento; nella seconda poesia delle descrizioni del parco e dell’aeroporto. In questo montaggio mi pare che il lettore resti straniato, poiché è nella medesima poesia che ritrova i due piani dell’indistinto pre- e del successivo distinto (se è possibile una fenomenologia della dinamica della creazione). Si tratta, a mio avviso, di lasciarsi tentare dalla mimesis ontologica del reale. Di quel reale incoglibile in cui ci è già tutto … Ci vorrebbe la memoria di un elefante!
Spiace a me soltanto, a questo punto, che nel “Breve riepilogo” dell’introduzione di Linguaglossa non sia menzionata Anna Maria De Pietro, scomparsa due anni fa: per me rappresenta la punta di diamante della poesia feminile.Poesia complessa e poco letta e studiata: credo che scriverò qualcosa come dalla Dickinson passando per la Cvetaeva fino alla De Pietro.
Walter Benjamin in una famosa lettera inviata Martin Buber nel 1916, parla di una «cristallina eliminazione dell’indicibile nellinguaggio», intendendo con ciò la ricerca di una parola liberata dal fondamento negativo e mistico della metafisica occidentale.
In questa direzione la ricerca che stiamo facendo di una parola denotativa, di una impostazione dichiarativa degli enunciati è volta a contenere e annullare la presenza dell’indicibile dal linguaggio poetico e, con esso, annullare il venire alla presenza del linguaggio poetico occidentale minato dalla risonanza e dalla connotazione, cioè dal negativo che la risonanza e la connotazione presuppongono e detengono. Questo progetto implica la riduzione al minimo della presenza dei verbi i quali riflettono una azione e quindi un collegamento tra una entità, l’io e un altro ente, l’oggetto.
In linea di massima la supremazia dei verbi è bene che venga limitata al massimo. Tanto vale anche per l’aggettivo, in esso la risonanza infatti assume un grandissimo ruolo…
Condivido il lavoro di riduzione fatto da Giorgio della poesia di Simone Carunchio. Le forbici sono uno strumento indispensabile, molto più della colla.
L’inizio di Giorgio è semplice ma di grande audacia:
“Ho risposto: Un «Grande Progetto».
Che non è una cosa che può essere convocata in una formuletta valida per tutte le stagioni. Il problema della crisi dei linguaggi post-montaliani del tardo novecento non è una nostra invenzione, è qui, sotto i nostri occhi, chi non è in grado di vederlo probabilmente non lo vedrà mai, non ci sono occhiali di rinforzo per questo tipo di miopia. Il problema è quindi vasto, storico e ontologico. Si diceva una volta di «ontologia estetica»”.
La poetry kitchen è un Grande Progetto che richiede ingenti risorse creative e intellettuali.
più sopra èscritto:
….. “parlare di «poesia di ricerca» ormai è diventato un luogo comune non più utilizzabile.”
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ALLORA se scrivo e dichiaro:
parlare di “ricerca della poesia” ormai è diventato un luogo non comune più utilizzabile”
…..ricercare la poesia dove non c’è anticipa e precede il concetto di “poesia di ricerca”.
Maurizio Gasparri, parlamentare da una vita, ha accumulato tre grandi cavolate in appena 10 secondi nel suo intervento in Senato di pochi giorni addietro. discorso.
Ecco la premessa di Gasparri:
“Senza fare una lezione di storia – non ho questa presunzione, come altri -, però qualche libro è bene leggerlo, ogni tanto”.
Non fosse stato per questa premessa, forse, l’errore di Maurizio Gasparri nell’aula del Senato sarebbe stato giudicato più benevolmente o archiviato come una comprensibile confusione sulle date (in fondo parliamo di fatti avvenuti quasi 170 anni fa).
Invece, la dichiarazione preventiva del politico di professione, ora in Forza Italia, ha reso senza pietà le critiche per la gaffe infilata nell’aula di Palazzo Madama, nel corso della discussione per la cessione di armi all’Ucraina.
Gasparri si è imbucato in una rievocazione della Guerra di Crimea con la partecipazione del Corpo dei Bersaglieri, ma facendo uno strafalcione multiplo.
Ha scandito il senatore di FI:
“Il caso più recente che tutti ricordiamo, la Guerra di Crimea che, nel 1861-63 vide impegnato il Regno di Piemonte, non c’era ancora l’Italia unita, e Cavour mandò i Bersaglieri, che già esistevano, a una guerra per inserire il Regno di Piemonte nel contesto internazionale per avere l’appoggio per il processo di unificazione che era in corso con le guerre del Risorgimento”.
Gli errori infilati in questi pochi secondi di discorso sono stati i seguenti:
1. la Guerra di Crimea fu combattuta dall’ottobre 1853 al febbraio 1856;
2. il Regno era di Sardegna, mentre quello del Piemonte era “solo” un Principato;
3. il Regno d’Italia fu proclamato il 17 marzo 1861, e dunque nel pieno delle date indicate da Gasparri per la presunta Guerra di Crimea.
Il triplo sbaglio gasparriano non merita nessun commento, parla da sé, e la dice lunga sulle “qualità” di chi ci rappresenta nella massime Istituzioni democratiche…
Levi-Strauss, con il suo concetto di «significante fluttuante o vuoto», lo aveva definito come «eccesso della significazione sulla denotazione», cioè come non corrispondenza tra il denotatum, il significato e il significante, questa divaricazione mantiene in vita una parte del significante, il «significante fluttuante» che in quanto «libero» può andare alla ricerca di un altro denotatum su cui aderire (senza peraltro mai giungere ad una adesione completa che arresterebbe il processo della costante fluttuazione del significante).
A rigore, la poesia perfetta sarà quella abitata unicamente da «significanti fluttuanti» che sorvolano, per così dire, e atterrano di continuo su denotati mutanti e sempre diversi.
Ad esempio, in questi versi di Simone Carunchio:
I mobili si attraggono a vicenda
I mobili sognano
i mobili
Sono comodi
c’è ed è evidentissimo che il denotatum (I mobili) non viene mai completamente raggiunto, non viene mai esplicitato e compiuto, e quindi la significazione si pone in un continuo «fluttuare» in un «vuoto» significazionale dove l’«eccedente» è esplicitato dai verbi (si attraggono, sognano, sono comodi), cioè da particolari inessenziali e provvisori che non potranno mai esaurire i significati de «I mobili».
In questa sospensione del «significante eccedente» riposa la migliore poesia kitchen o della nuova fenomenologia del poetico (noto che ancora oggi pochissimi tra di noi hanno intuito questo fatto), ma la difficoltà sta nel saper mantenere questa sospensione in un componimento, difficoltà che aumenta a dismisura ogni volta che il componimento si allunga eccessivamente.
La pratica kitchen si presenta come una pura e comunissima «potenza» del dire, capace di un uso libero, spregiudicato e gratuito del tempo, dello spazio, delle persone e del mondo. Si tratta di un abitare un luogo inoperoso, gratuito in cui le cose ci sono ma per tutti, dove viene estromessa la proprietà privata delle cose e delle persone mediante la estromissione deelle regole sintattiche che presiedono all’uso linguistico soggetto a rapporti di potenza e di dominio. La prassi kitchen apre degli spazi di libertà e di gratuità, non deve render conto a nessuno della propria libertà totale, e nel far questo mostra intuitivamente la illibertà dei discorsi normologizzati.
Giorgio Agamben ne Il Regno e la Gloria (2007) chiarisce il concetto di paradigma della disattivazione come marca del punto in cui la lingua «riposa in se stessa, contempla la sua potenza di dire e si apre, in questo modo, a un nuovo, possibile uso – dove il soggetto poetico diventa quel soggetto che si produce nel punto in cui la lingua è stata resa inoperosa, è, cioè, divenuta, in lui e per lui, puramente dicibile» (pp. 274-275).
I poeti, afferma Agamben, «devono innanzitutto abbandonare le convenzioni e l’uso comune e rendersi, per così dire, straniera la lingua che devono dominare, iscrivendola in un sistema di regole arbitrarie quanto inesorabili – straniera a tal punto, che secondo una tenace tradizione, non sono essi a parlare, ma un principio divino (la musa) che proferisce il poema a cui il poeta si limita a prestare la voce. L’appropriazione della lingua che essi perseguono è, cioè, nella stessa misura una espropriazione, in modo che l’atto poetico si presenta come un gesto bipolare, che si rende ogni voltaestraneo ciò che deve essere puntualmente appropriato. (Agamben, L’uso dei corpi, Neri Pozza, 2014 pp. 122).
Poesia è soprattutto tempo di riflessione per chi scrive e chi legge. Nel XXI° secolo, nell’era della tecnica e della società liquida, la disponibilità del tempo per la riflessione è notevolmente cambiata e la poesia ne paga lo scotto. Solo, qualche volta, la musica, con il suo piacere nella ripetitività, riesce a dare senso alle parole poetiche.
Affatto in accordo. A me pare, invece, che proprio le condizioni di base (liquidità e tecnologia) possono rendere la poesia estremamente duttile: leggere una poesia, prende da 50 secondi a, al massimo, 2 minuti: più fruibile di così!
Il problema è invece, come spesso viene detto sulle pagine di questa rivista, che la poesia che circola maggiormente è poesia che non induce alla riflessione né a niente. Non ha significatività in sé …
Cito da Paul Valéry, «L’arte nel mercato universale è più ottusa e meno libera»
«L’Arte, considerata come attività svolta nell’epoca attuale, si è dovuta sottomettere alle condizioni della vita sociale di questi nostri tempi. Ha preso posto nell’economia universale. La produzione e il consumo delle opere d’Arte non sono più indipendenti l’una dall’altro. Tendono ad organizzarsi. La carriera dell’artista ridiventa quella che fu all’epoca in cui egli era considerato un professionista: cioè un mestiere riconosciuto. Lo Stato, in molti Paesi, cerca di amministrare le arti; procura di conservarne le opere, le «sostiene» come può. Sotto certi regimi politici, tenta di associarle alla sua azione di persuasione, imitando quel che fu praticato in ogni tempo da ogni religione. L’Arte ha ricevuto dai legislatori uno statuto che definisce la proprietà delle opere e le condizioni di esercizio, e che consacra il paradosso di una durata limitata assegnata a un diritto ben più fondato di quelli che le leggi rendono eterni. L’Arte ha la sua stampa, la sua politica interna ed estera, le sue scuole, i suoi mercati e le sue borse-valori; ha persino le sue grandi banche, dove vengono progressivamente ad accumularsi gli enormi capitali che hanno prodotto, di secolo in secolo, gli sforzi della «sensibilità creatrice»: musei, biblioteche, eccetera…
L’Arte si pone così a lato dell’Industria. D’altra parte, le numerose e stupefacenti modifiche della tecnica, che rendono impossibile ogni ordine di previsione, devono necessariamente influire sull’Arte stessa, creando mezzi del tutto inediti di esercizio della sensibilità. Già le invenzioni della Fotografia e del Cinematografo trasformano la nostra nozione delle arti plastiche. Non è del tutto impossibile che l’analisi estremamente sottile delle sensazioni che certi modi di osservazione o di registrazione \ fanno prevedere conduca a immaginare dei procedimenti di azione sui sensi accanto ai quali la musica stessa, quella delle «onde», apparirà complicata nel suo meccanismo e superata nei suoi obiettivi. \. Diversi indizi, tuttavia, possono far temere che l’accrescimento di intensità e di precisione, così come lo stato di disordine permanente nelle percezioni e nelle riflessioni generate dalle grandi novità che hanno trasformato la vita dell’uomo, rendano la sua sensibilità sempre più ottusa e la sua intelligenza meno libera di quanto essa non sia stata.»
Umwelt fait en 2004, durée 1 h et 6 mn coreografie Maguy Marin
musique Denis Mariotte pour le Festival Equilibrio 2022
Panneaux miroir et six personnages
son musical assourdissant répétitif
infernal le souffle du vent entre les panneaux
Fragments du tourbillon de la vie
une pomme croquée à pleines dents
un sandwich dévoré
une serpillière esclave de la propreté
une defécation de 3 pantalons abaissés
des lampes électriques qui fouillent le sol
des fesses de femmes éclairées à cru
de dos 3 chadors orangés
des bretelles de salopettes que l’on replace
des sacs poubelle
les couronnes du pouvoir
des chapeaux pour toutes saisons
des robes insolentes unisexes rouges jaunes blanches
des disputes des viols
des actes amoureux sexuels
des déchets jetés sur scene
Le tout le peu le rien
les mâchoires grincent
Pannelli a specchio e sei personaggi
suono musicale assordante ripetitivo
infernale il soffio del vento fra i pannelli
Frammenti del tourbillon della vita
una mela morsicata a trentadue denti
un sandwich divorato
uno strofinaccio schiavo della pulizia
una defecazione di 3 pantaloni abbassati
delle lampade elettriche che frugano il suolo
delle chiappe di donne illuminate a crudo
di schiena 3 chador color arancia
delle bretelle di salopette che si aggiustano
dei sacchi di immondizia
le corone del potere
dei cappelli per tutte le stagioni
dei vestiti insolenti unisex rossi gialli bianchi
delle dispute degli stupri
degli atti amorosi sessuali
dei rifiuti gettati sulla scena
Il tutto il poco il niente
le mascelle digrignano
Gasparri?
ovvero come la stragrande maggioranza degli italiani: non stupisce che siano al governo; ma quando c’era la sinistra al governo non è che era poi tanto diverso.
Non è un fatto di natura politica, ma culurale e tale resta ed è presente da tempi immemori…
il futuro: non cambierà niente.
La filandese che è tornata in Finlandia ha il mio plauso.
Ma è un plauso a denti amari e stretti.
Totalmente d’accordo, come già detto in altra sede.
Miscellanea
Della miscellanea dorata gli zoccoli delle alture,
solo lo sposalizio tra elettroni garantisce
l’emicrania del mazzo di fiori.
Algoritmo del profumo in affanno di acuto piedistallo
senza burro non c’è felicità per il risotto.
La pioggia di clorofilla rigenera missili opachi
nel purè di patate inattesi i rilievi glicemici
pur dalla cottura dei cavoli verdi nei piani cartesiani.
Riparate le congiunture, le mappe di Pick liberano farfalle
che sfuggono da ogni dove
al momento l’esibizione dei cuscini porta alle suite migliori.
Ci risiamo col motore per la formula uno
generato da slalom di successi dovuti
a pannelli solari sotto spinta fotonica, ma solo per ora!
By r.c.
CUCCHIAI
Un fascio di cucchiai misura
la distanza tra un tampone ed il cratere di una bomba
Sotto un cielo di ontani
strambano soldati e streghe
Cigni neri ingoiano la strada
in un congelatore sagome conservano bruchi
Ideogrammi entrano ed escono dal muro
origami di carne prosciugano il faro
Una piuma sospende gli ordini del giorno
basta un secchio di vernice per impiccare i tulipani
Hai composto il numero sbagliato
le ante degli stivali seducono sedativi
Arrivi in tempo per assistere al sole
che inciampa su una pertica e si suicida
MA QUALE ESPERIMENTO? LA POESIA È REVERSIBILE
La scorribanda è stata micidiale.
Tutto un susseguirsi di corvi e passeri feroci
Difficile competere con Lucifero
Sul fronte Ovest.
Le bordate di droni alla ricerca di cosa salvare
e missili che fanno zig zag sulla nutella.
Da qui si vede un azzurro appena accennato su un visetto d’ elefante
Poi inizia l’ignoto, re dei clandestini.
Perché uscirsene con un collasso?
Non è più nero l’arresto del miocardio?
Bisogna prendere una pompa di benzina
E farle sputare gli anni di piombo.
In un angolo blindato c’è Obama, di fronte l’ipotenusa
Ma è possibile, o porco di un cane, che non abiti Pitagora?
Interroghi un cateto ti risponde il Sole
Con una barzelletta sul pigreco.
Qui nel cuore dei teoremi manca Mike.
E picchi martellano l’intonaco.
Ripareremo la sua coronaria destra con bostik
poi aizzeremo i pirati contro i boat people
tra spruzzi di vodka e il mar di coca cola
Nessuno è mai fuggito da Kabul
Senza portarsi dietro uno stent, anche piccolo.
Arriveremo al Don con un bypass.
Il gatto nero sistemò i cuscini sul motore
Le lune di Marte si eclissarono all’ Air Force
E un filo d’erba strozzò il do di petto nella culla.
(F.P.Intini)
Negli ultimi venti anni il salario medio di un europeo è cresciuto del 20%, invece in Italia il salario medio è cresciuto solo del 3%, questo ci dice molto sulla stagnazione economica e sociale degli italiani e la decadenza economica, politica e sociale del Bel Paese.
La poesia, il romanzo, le arti in genere in Italia hanno risentito della stagnazione in misura forse ancora maggiore. Siamo arrivati a un ristagno vero e proprio, lo si può vedere da molti segnali, in particolare dalle pubblicazioni delle principali case editrici nelle quali l’indice di qualità è quasi scomparso e le nicchie pseudo culturali si sono moltiplicate e rafforzate. Il Paese è caduto nelle mani di un governo di destra-centro come mai avvenuto nella storia della Repubblica e, cosa più grave, i partiti del centro sinistra sono divisi da conflittualità insormontabili e dalla mancanza di progettualità riformistiche, La poetry kitchen va collocata perciò in questo quadro storico, è nata, in un certo senso, proprio per reazione a questa lunghissima stagnazione del Paese.
Ogni interpretazione è già una auto interpretazione
Il principio di «malevolenza» dei segni, elaborata da Foucault, obbedisce al principio di auto interpretazione, ovvero, una ermeneutica è quell’atto di intellezione che costruisce una superficie lungo la quale dispone i segni secondo la dimensione della profondità. Interpretare significa perlustrare la profondità. Questo non implica affatto l’avvicinamento a una interiorità dal momento che la profondità non comporta alcuna «interiorità», al contrario, essa è «esteriorità», ovvero, un gioco del piano dove non si ha il più un interiore, il più intimo rispetto al vero. Foucault giunge alla «scoperta che la profondità era solo una piega della superficie»1. Attraversando questo spazio e i segni che lo popolano, l’interprete non incontrerà mai un termine definitivo, né un inizio assoluto, si tratta di mere illusioni: prima e dopo ci sono ancora e soltanto dei segni. La conseguenza sta nel fatto che «se l’interpretazione non può mai concludersi vuol dire semplicemente che non c’è nulla da interpretare. E non c’è niente di assolutamente primario da interpretare perché, in fondo, tutto è già interpretazione»2. Il segno non è altro che un’interpretazione precedente che tuttavia si nasconde, esso è «malevolo» (Foucault): chi interpreta non «si impadronisce di una verità addormentata per proferirla» ma «pronuncia l’interpretazione che ogni verità ha la funzione di ricoprire»3. In questo processo l’interpretazione finisce per ripiegarsi su sé stessa e per interrogarsi. È questo il dovere sommo dell’interprete. In sé egli scopre le numerose stratificazioni che lo identificano, scopre così un essere che è sempre già un interpretato. Nel processo di queste infinite stratificazioni di senso, l’interprete non giunge alla fine al proprio nucleo solido di verità, ma al contrario si avvicina al rischio più grande: quest’arretramento conduce nella regione dove l’interpretazione medesima si inabissa, «portando forse con sé la scomparsa dello stesso interprete»4. Nel linguaggio, l’ermeneutica scopre la legge stessa della anonimia del parlare, che è anche la medesima legge in cui operano i segni.
M. Foucault, Nietzsche, Freud, Marx, in Archivio Foucault I, a cura di Judith Revel, trad.it. di G. Costa, Feltrinelli, Milano, 1996, pp. 137-146, p. 139.
1 Ivi , p. 141.
2 Ivi , p. 143.
3 Ivi , p. 145.
4Ivi , p. 142
L’approccio di demistificazione delle poesie kitchen dei quattro autori che hanno postato le proprie poesie implica la consapevolezza di una poiesis effetto di demistificazione in quanto il linguaggio viene impegnato in una contesa con il senso chiaro e distinto della poiesis del novecento, quella del soggetto cartesiano. Non si dà né maschera né menzogna né verità perché non c’è alcuna pretesa di verità, si ha semmai un effetto di verità che non può mai valere per il soggetto in quanto esso è stato già espropriato a monte della propria soggettità in quanto il soggetto è già da sempre decentrato e lateralizzato, nasce già come effetto di linguaggio, effetto di significanti. Essendo infatti il soggetto nient’altro che un effetto del linguaggio.
La sinistra si è suicid(i))ata da sola. per cui non c’è stata nessuna vittoria della destra, che aspettava il frutto stramaturo cadesse da solo. ed è caduto!
Difficilissimo che risalga la sinistra: non sarà più come prima. D’altronde il suo ciclo storico è finito. Era lì la sinistra come un qualcosa di appiccicato a un nodo scorsoio: la colla è finita.
La destra, spina dorsale nerastrisciante dell’Italia, accomodaticcia e fuori della realtà pseudopatriottica si è accollata al potere senza sforzi apprezzabili, ma costanti: un regalo tutto sommato.
I quattro criminali di una volta – responsabili morali di un omicidio – brindano: colletti bianconeri hanno ciascuno, tranne uno, posti di potere: traguardo che si erano prefissato 5o anni fa…
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Le forbici sono necessarie se giustificate da un taglio appriopiato.
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La poesia KITCHEN ha i suoi antenati nella poesia settecentesca russa: suona strano a chi (la stragrande maggioranza) nn ha cultura slava.
da una intervista al poeta di Praga Petr Stengl (1960) che verrà pubblicata domani:
La poesia ceca era addormentata, come la povera Rosaspina, e con lei l’intero regno poetico. Era venuto il momento di raggiungerla, facendosi strada tra il roveto, e risvegliarla. Provi ad andare in una qualsiasi libreria e, nel reparto (sempre più piccolo) dedicato alla poesia, provi a scegliere, ad esempio, cinque raccolte a caso e dia una scorsa alle diverse poesie. In questo modo ho trovato la risposta alla sua domanda.
Penso che la poesia nella quale credo funzioni in maniera universale e quindi anche altrove mantenga la stessa valenza. L’importante, come sempre, è cosa il lettore si aspetta dalla poesia e se sia davvero il compito della poesia quello di soddisfare delle aspettative. La poesia ha forse un significato diverso per il poeta e per il lettore? E c’è qualcosa che differenzi il lettore dal poeta? Io non riesco a vedere nessuna differenza.
Domanda: Considera la scena poetica ceca fortemente frammentaria o piuttosto uniforme?
La scena poetica ceca è diffusamente sparpagliata. È segmentata in gruppetti affini o antagonisti, che comunicano tra di loro sporadicamente oppure si incontrano solo casualmente. Ogni rivista ha la sua cerchia di simpatizzanti e sostenitori, così come ogni sito internet, club o circolo letterario. Non c’è nulla che li unisca. Non cercano (tranne rare eccezioni) di comunicare o collaborare tra di loro. Da un certo punto di vista, ciò è un bene, in quanto, così facendo, l’arena poetica si sottrae, almeno limitatamente, ad una certa uniformità; d’altro canto, però, è una cosa abbastanza triste, in quanto i gruppi contrapposti non riescono ad instaurare una discussione comune. In parole povere, è un po’ la filosofia del “chi non la pensa come noi è contro di noi”. E il nemico, naturalmente, bisogna zittirlo e sotterrarlo.
E qui ci sono tre me risposte a tre domande postemi da Floriana Porta
https://lecetredeipoeti.blogspot.com/2023/01/il-peso-del-linguaggio.html?sc=1673854906919#c713582104316155490
di Marco Zulberti
https://www.academia.edu/95038202/Metafora_ed_espressione_La_poesia_e_il_continuo_fluttuare_del_sentimento
La poesia moderna dopo l’abbandono degli artifici retorici della rima, del verso, della forma e dello stile, oggi si affida quasi esclusivamente a questa“meraviglia” dovuta al riconoscimento nella metafora, o come nell’ermetismo più spinto, nellaforma più ridotta della singola parola, in cui sono assenti ulteriori processi di ricerca o di rielaborazione del testo poetico. La poesia ha rigettato il “laboratorio”, l’accademia, la lente d’ingrandimento del filologo si affida ingenuamente e romanticamente alla pura, e spesso assente, genialità artistica, quasi sempre frutto della struttura automatica della langue, un’ispirazione che detta in base ad un dizionario linguistico preesistente sulla scia di un sentimentale personale che ne schiaccia casualmente i tasti. Si sono persi i riferimenti ad un senso e un gusto comune, per affidarsi ad una condivisione casuale delle proprie passioni, della propria verità. La poesia moderna è una poesia “individuale”, destinata molto spesso alla contemplazione in solitudine e a quei poeti individui che salgono sulpalco in cerca di comprensione, in cerca di soluzioni alla propria carenza formativa, alla propria vicissitudine. La tradizione retorica classica invece si affidava anche alla ricercatezza, allarielaborazione, alla cura e scelta dello stile, anzi rivendicava questa accuratezza, questa heideggeriana “cura”. L’”esserci” del proprio senso all’interno di un universo condiviso, la possibilità di raggiungere vertici formali a cui non giunge la poesia libera