Dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia positiva dei recenti orientamenti fiolosofici, Una poesia di Montale e Poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Talìa, Giuseppe Gallo, Ewa Tagher, a cura di Giorgio Linguaglossa, Aggiungo una postilla sulla Nuova poesia

La gioconda in bikini

Da Vico ad Heidegger si compie il tragitto che traduce e trasborda le categorie antropologiche del pensiero poetico del filosofo napoletano nelle categorie dell’ontologia del novecento, con Heidegger il pensiero mitico di Vico viene assorbito e tradotto nei termini di una moderna filosofia dell’esistenza intesa come indagine ontologica dell’EsserCi.

Con la parola Heimatlosigkeit (senza patria), Heidegger accenna mnesicamente all’assenza-perdita della «patria» quale «casa», «dimora» per l’uomo dell’Occidente.
«Wir irren heute durch ein Haus der Welt» – «Noi erriamo oggi nella casa del mondo»1, scrive Heidegger, perché ci manca il linguaggio. Senza casa e senza linguaggio, l’uomo vaga alla ricerca di una dimora da abitare e una parola da pronunciare; l’uomo erra nel mondo come uno straniero perché privo di una «patria» rimane privo anche di un «linguaggio», è il tempo della povertà che si annuncia, quella povertà inneggiata da Hölderlin, Quell’antico apoftegma: «il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo», non è più pronunciabile nel mondo moderno, l’uomo del capitalismo cognitivo è costretto ad abitare una casa linguistica non più accessibile e così viene spinto a costruirsi una dimora provvisoria, precaria, instabile, che fluttua all’imperversare degli eventi avversi senza sapere a quale corrimano aggrapparsi e quale maniglia afferrare.

L’ontologia negativa di Heidegger era incentrata sull’assioma: «l’Essere è ciò che non si dice». Da qui il passo successivo è il silenzio come impossibilità di dire ed esperire il silenzio. La grande poesia primo novecentesca di Eliot, La terra desolata (1922) e gli Ossi di seppia di Montale (1925) ne sono la eloquente esemplificazione; il non detto diventa più importante del detto, il non si dice più importante del si dice. Tutta l’impalcatura della colonna sonora della poesia primo novecentesca viene calibrata sul parametro del silenzio, di ciò che non si dice, di ciò che non può essere detto. Tutta l’impalcatura indicativo-ostensiva del linguaggio poetico primo novecentesco più maturo tende a periclitare nello spazio del silenzio quale «altro» indicibile per impossibilità del dicibile. L’intenzionalità significante tesa all’estremo tenderà a sconfinare nel silenzio dell’impossibilità del dire. Montale sarà il maestro indiscusso di questa impossibilità del dire:

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.1.
(Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925)

Il pensiero filosofico e la pratica poetica di questi ultimi decenni è orientata invece verso una ontologia positiva, afferma che l’Essere è ciò che si dice, ciò che non è detto sconfina non più nel silenzio del dire ma nel nulla dell’essere. Ci troviamo davanti ad una rivoluzione copernicana nella sfera del pensiero filosofico e del linguaggio poetico.
Le poesie della nuova ontologia estetica, sono una calzante esemplificazione di questa rivoluzione copernicana. Il dire che si esaurisce nel detto, il detto che si esaurisce nell’esser stato detto, in un passato che non è più. Tutta l’impalcatura fraseologica e la denotazione proposizionale di ogni singolo verso della nuova fenomenologia del poetico indicano una compiuta ostensività della significazione, chiudono la significazione nel detto e non la riaprono che nella proposizione successiva, che si chiude anch’essa nel detto. Così, la poesia diventa composizione di singole tessere, di frammenti, enunciati assiologicamente non-orientati che periclitano verso il nulla della significazione, enunciati che non possono sporgersi oltre nel silenzio dell’essere per la priorità del nulla che percepiscono, per la estrema vicinanza del nulla di cui hanno percetto.

Aggiungo una postilla.

La «nuova poesia» si muove all’interno di un orizzonte del positivo significare, va alla ricerca del significato come di un positivo assoluto, e così facendo, ogni enunciato viene inghiottito nel significato positivo, nel positivo significare: un darsi che è un togliersi, un positivo che si rivela essere un negativo. Le fraseologie restano come appese all’appendiabiti di una sospensione trascendentale, intersoggettiva, sopra l’abisso del nulla dal quale provengono e nel quale torneranno. Paradosso nel paradosso: il positivo significare che periclita nel negativo significare in quanto il discorso poetico si situa proprio sul crinale della differenza tra il così posto e il togliersi del così posto in non-posto. Esemplari in proposito sono queste composizioni:

L’orologio sonnecchia e regredisce a tempi di forchetta
Tutta questa responsabilità in mano agli interrogativi.
I testi risultano incomprensibili
La legge dei puzzle violata come donna nel bottino di guerra.

Persino i punti esclamativi inorridiscono
risalgono le mura a pugnalate e colpiscono oltre i merli.

Bisognerà porre rimedio alla sintassi.
Perché collegarla al logos?

Forse funziona con un pistone in meno
e tagliando i dentifrici.

Dunque niente tubi e se necessario farli saltare
Prima che arrivino ai denti.

La locusta, una delle tre posate in tavola, pronuncia le preghiere a rovescio
Il suo Dio opera a meraviglia senza maschera e divieti.
Promette di preparare l’espresso dalla posa del caffè.

Il bicchiere si fa beffe di chi apre le labbra?

Nel sogno l’autore si cancella volontariamente
– Voglio che un’ape entri nell’incubo 2022 – dice

Almeno una, ma il produttore è schiavo di una voglia incontrollabile
E il sole del risveglio non fa che prendersela con l’ astro del momento
Il parassita che lo rende zombi.

(inedito di Francesco Paolo Intini, 2022)

*
E mettici i resti della sostanza
che avanza. Nelle suppellettili e nelle credenze
Nei cucchiaini
Nei buchi neri, nelle topaie
Nei sotterranei
Nelle tranvie
Nelle metropolitane
In fondo al mare
Per questo avanzano le parole
Negli specchi muti delle sorgenti
E nelle luci più minuscole
Nei corridoi di ceramica
E nelle tazze che sfarfallano

(inedito di Mauro Pierno, 2020)
*

da Un masque rouge fait de pétales de coquelicot

(Una maschera rossa fatta di petali di papavero)

Éviction d’ouvriers en inox
Champignons atomiques pop
Tridents sans dents
Flocons de cendre indifférents
Gelée rouge dans un bol d’acier
Embrouillamini en proue de gondoles
Djinn usagé couleur safran
“Sank you feri much”
Et quoi encore?
l’Aid – el – Kébir
Pour un python en plastique
*
Estromissione di operai inox
Funghi atomici pop
Tridenti senza denti
Fiocchi di cenere indifferenti
Gelatina rossa in una scodella d’acciaio
Immatassamento in prua di gondole
Djinn usato color zafferano
“Zhank you feri much”
E che ancora?
l’Aid – el – Kébir*
Per un pitone in plastica
*festività mussulmana

(inedito di Marie Laure Colasson, 2022)
*

OM
Un pensiero è andato. Non tornerà.
Ne abbiamo già parlato.
Al cinema sonoro. Domenica.

(inedito di Lucio Mayoor Tosi, 2022)

*

Dispaccio

I Frisi e i Cauci, rinvigoriti dall’Unione muovono
verso il sud del Reno, sotto la spinta degli Usipeti.

Roma, intanto, sprofonda nei video virali all’arma bianca.
Due Cesari siedono sul trono di Stige.

Gli Urali stringono la cintura.

Tè al polonio,
mutande Novichok,
profumi urticanti,
ricina che non lascia tracce,
si producono nelle miniere paleozoiche del Mar di Kara.

Ovidio stesso in Crimea ne mescola alcuni nella neve.
Esenin invece li usa per il congedo all’Angleterre.

(inedito di Giuseppe Talìa, 2022)

*

Tre faglie rosse e intorno
300 grammi di pianto sostenibile.

In Via Roberto Tremelloni
un bilocale dalle pareti ardenti.

Raccontò il pellegrino
che l’alba era un tramonto integrale.

Nel mondo che gli girava in testa
Lilly strattonava i coccodrilli che non avevano lacrime.

-Uomo-fringuello a due zampe; uomo-formica a sei;
-uomo-elefante a quattro; uomo a tre.

Poeta: due gambe e una radice.
Due ali e un culo.

(inedito di Giuseppe Gallo, 2022)

*

Ewa ha urgente bisogno di parlare a se stessa:
in un bar di fine ottocento a Villa Ada alta.
“Sei in ritardo. il tre verticale mi fa tremare”.
Maschile Femminile
non Maschile non Femminile
ognuno prende posto nel quadrato del senso.
Ewa gira l’angolo e lascia a terra i propri stracci.

(inedito di Ewa Tagher da “Scena 46”, 2021)

«Ecco perché non si può assolutamente dire che l’orizzonte della positività costituisce il presupposto a partire dal quale, solamente, qualcosa come una differenza può essere posto; infatti, non c’è “essere” se non nel darsi di una differenza – essendo proprio quest’ultima, ciò che ‘fa essere’. Nessuna distinzione, dunque, tra il differire ontico ed il differire ontologico – come avrebbe invece voluto Heidegger: non essendo in alcun modo pensabile un essere, se non come essere dell’essente. Di cos’altro possiamo dire che ‘è’, infatti, se non di questo o quel determinato? Nessun’altra esperienza dell’essere si dà mai all’uomo – stante che lo stesso essere in quanto essere si dà al pensiero sempre come “così e così determinato”; cioè come diverso dall’albero e dalla casa. Per cui, anche dire, dell’essere, “che è”, è dire l’essere di un determinato».2

La nuova ontologia estetica ha il vivissimo percetto della oppositività di tutte le parole, della belligeranza universale e del contraddittorio universale di tutte le parole in quanto provenienti da quella oppositività originaria che le rende «tutte possibili proprio in forza della sua specialissima natura – costituendosi essa, per l’appunto, come opposizione tra essere e nulla. Ossia, come opposizione tra l’esser positivo del positivo (la positività) e l’esser negativo del negativo (la negatività)».3

1 M. Heidegger, «Lettera sull’umanesimo», in Segnavia, trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 312.
2 M. Donà, L’aporia del fondamento, Mimesis, Milano, 2008, p. 32.
3 Ibidem p. 33.

28 commenti

Archiviato in poetry kitchen

28 risposte a “Dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia positiva dei recenti orientamenti fiolosofici, Una poesia di Montale e Poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Talìa, Giuseppe Gallo, Ewa Tagher, a cura di Giorgio Linguaglossa, Aggiungo una postilla sulla Nuova poesia

  1. giorgio linguaglossa
    1 novembre 2022 alle 17:14

    La risposta da dare alla categoria della Verwindung

    Ogni poesia narra un «mondo» di significati. Oggi probabilmente la poesia non può che prendere ad oggetto la fine dell’epoca della metafisica sotto il vessillo categoriale della Verwindung (un termine da prendere con le molle, non nel senso di una accettazione remissiva della laicizzazione di ogni forma di vita e di esistenza sotto il regno del capitalismo globale, ma come un rimettersi alla rinegoziazione della produzione di un mondo; rinegoziazione produzione di significanti, di mondità, di possibilità, produzione di Faktizität). Il problema è il pensare una poiesis di oggi e del prossimo futuro in termini di abbandono (Gelassenheit) della rimemorazione, An-denken, e quindi abbandono della tradizione.
    Che cosa significa e implica una poiesis della rinegoziazione della tradizione? C’è ragione di ritenere che il problema del rapporto con la tradizione sia la chiave della poiesis del prossimo venturo, incerto futuro. Allora bisogna attrezzarsi per un lungo viaggio, calzare degli scarponi adatti alla traversata del campo minato della tradizione e dei suoi significati non più stabili, accettare il fatto che l’arte non ci pone più in contatto con un orizzonte di significati stabili ma con nuovi scenari instabili.
    È molto probabile che la poiesis del prossimo incerto futuro si giocherà la sua partita doppia proprio su questo punto: sulla risposta da dare alla categoria della Verwindung, non più accettazione remissiva di un Gestell ma rinegoziazione, riabilitazione attiva della «fantasmagoria» delle merci (dizione di Adorno), riabilitazione rinegoziazione del «sortilegio» delle merci (Adorno), del quale la nostra soggettività è parte, rinegoziazione del post-moderno nella nuova epoca del Dopo il Moderno con al centro la problematica della disfunzione del valore del «nuovo» e l’avvento della innovazione continua come espressione normale della soppressione del significante; il «nuovo» è la riabilitazione del significante e il «ritorno del sempre eguale», ovvero, il significato. Problematiche tutte che pongono e porranno la poiesis del presente e del prossimo incerto futuro dinanzi a questioni scottanti, non eludibili: in particolare, come coniugare il decesso del «nuovo» con la necessità di apportare di continuo una riabilitazione e ri-territorializzazione dei procedimenti che conducono alla produzione del «sempre uguale» sub specie della ideologia della soppressione del «nuovo»? Non si nasconde qui una antinomia nel cerchio magico della «totalità ermeneutica» nella quale la questione dell’EsserCi e della poiesis si gioca e si giocherà le sue scarne possibilità di sopravvivenza nel prossimo futuro venturo?

    attanasio cavalli
    1 novembre 2022 alle 19:15

    Poesia della Menzogna equivale a Menzogna della Poesia ?
    ———————————————————————
    Andrej Dmitrievič Sacharov riteneva che non fosse possibile realizzare una società libera attraverso la menzogna.
    —————————————————————-
    Se identifichiamo la Società Libera con la Poesia
    e la Menzogna come il suo contrario, cosa si realizza?
    ————————————————————
    Nelle Società oppresse nascono le grandi Poesie della Storia.
    Nelle Società libere non nascono grandi Poesie.
    ——————————————————————–
    La Poesia ha sempre combattuto il Potere e le varie machere della Menzogna.
    Ma davvero che nelle Società libere non vi è Menzogna?

    Giuseppe Talìa
    1 novembre 2022 alle 23:01

    Non so se sia un bene per la poesia che un poeta sia sempre fedele a una linea immutabile dove struttura, linguaggio e contenuto sono pressoché costanti. Forse fa bene al poeta avere una confort zone dove i livelli di ansia sono abbassati, i motivi di stress sono ridotti e anche la paura o le paure rimangono entro i confini del conosciuto.

  2. Antonio Sagredo

    ho la vaga – ma non troppo-  idea che Intini e Pierno vogliono un po’
    imitarmi

    as

    Il 02/11/2022 08:21, L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria
    Internaziona

    • Caro Antonio Sagredo, prima di scrivere sull’Ombra ho cercato di imitare Majakovskij, ma anche un po’ Esenin e Lorca, Eliot e Pound e Transtromer e da quando la mia frequentazione su questo giornale è diventata costante, chiunque mi sia capitato a tiro compreso Linguaglossa e tutti gli amici che sai e che fanno a meno di raccontarsi a partire dal proprio io. Perciò è difficile stabilire cosa di realmente mio sia rimasto.
      Penso a una specie di deflagrazione dei linguaggi come se tutti questi poeti avessero incontrato sotto i loro piedi una mina colma di tritolo ed al sottoscritto toccasse di ricomporli seguendo i contorni di un puzzle assurdo. Tentativo goffo e destinato a perdersi o ad essere irriso da chi cercasse nell’ opera qualcosa di somigliante alla completezza e alla logica.

      Confesso però che c’è un certo piacere nel ricomporli alla luce di qualche stacchetto pubblicitario e al mondo perfetto della cucina. Provo perciò a barcamenarmi in questo Stige e a portare a riva qualche verso pellegrino. Ma come ben sai mica è facile l’entrata nella città di Dite. Angeli delle tenebre stanno lì a guardia, pronti ad arpionarli e rigettarli al largo. Molti sono i peccati da pagare e anche qui ci vuole intelligenza, grazia e molta pazienza per andare avanti.
      Ciao

      ASSALTO AL CALENDARIO

      Ad Agosto è già deciso che non ci saranno soggetti
      ma correnti nell’Atlantico che porteranno la media stagionale
      a trionfare sul freddo dei Balcani.

      Ce n’è per novembre e poi chi l’ha detto che siano consequenziali?
      Questa fissazione di ordinare i mesi davanti al milite ignoto
      Il presidenzialismo e il presenzialismo
      Come a mietere il grano da un campo di zucche

      Ah doversi riparare dagli strali di gennaio
      Le effemeridi combinate con il combattimento tra galli.
      Dove metteremo il bottino di stragi
      e le pistolettate da TV a cuscino sul divano?

      Tra un crocifisso e l’orologio le metastasi Vietcong
      col fosforo in testa e l’immortalità di Lewis.

      La stechiometria viene fuori da bombolette spray
      L’una che spara contro l’altra veranda.

      Sta a marzo decidere l’ora dei porcini.
      Una specie di amarena sconosciuta ai barattoli.
      Ne spalmeremo sugli alberi
      poi il miracolo di vederne resuscitare qualcuna.

      -Dai addosso alla tazza che si nasconde dietro il bidet.
      Uguagliare reagenti a prodotti?

      Ci si incontra tra le contraddizioni di maggio
      -Cominci il bilancio da Portella, prego.
      E si ricordi di avere una responsabilità di ministro
      O di sottosegretario o qualcosa simile a una verruca
      prima d’inoltrare la pratica a Gibilterra

      Rimarrà poco tempo ma come sempre prima di Giugno
      Sistemeremo il tappo su Bologna con un preappello.

      (F.P.Intini)

      • Antonio Sagredo

        Caro Intini, ho telefonato subito dopo aver scritto a Giorgio,
        dicendogli che spero capiscono Intini e Pierno che era una ingenua
        provocazione, meglio uno scherzo.

        Giorgio mi ha assicurato che certanìmente avrebbero compreso, poi che tu
        hai spirito gioioso e consapevole: coscienza del dire, del fare e dello
        scrivere così come del parlare,

        senza offendere affatto. grazie  antonio sagredo

        Il 02/11/2022 13:04, L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria
        Internaziona

  3. Maria Pia Latorre

    Coerente la linea teorica con la scrittura.
    Ciò che mi chiedo è se l’estrema cerebralità dei testi sia in linea con lo slancio poetico presente in chiunque si accosti a tale genere letterario.
    Sto elaborando l’importanza di questo filone poetico, che ritengo fondamentale per novità e aderenza alla realtà attuale.
    Grazie per l’importante esperienza.

  4. copio e incollo una email con la mia risposta :

    Marina D. Martino
    11:10 (1 ora fa)
    a me

    Gentilissimo Giorgio Linguaglossa,

    Le scrivo da parte di Asymptote, un giornale di letteratura internazionale che ha pubblicato nuovi lavori firmati da autori del calibro di J.M. Coetzee, Lydia Davis, e Haruki Murakami, e da molte altre voci provenienti da più di cento paesi e lingue.

    La nostra missione è introdurre i nostri lettori ai grandi lavori della letteratura nel numero di lingue più ampio possibile, con particolare attenzione ai linguaggi sottorappresentati nell’editoria globale, o in pericolo di scomparire. È per questo che stiamo ora esplorando la poesia in dialetto napoletano. Dato il suo brillante commento alla raccolta Si vuo’ ‘o ciardino di Anna Maria De Pietro sulla rivista letteraria internazionale L’Ombra delle Parole, mi chiedevo se volesse darci un suo input. In particolare, ci chiedevamo se fosse in contatto con autori in dialetto napoletano, o traduttori dal napoletano all’inglese. Se si, sareste disponibili a indicarci come contattarli, o a metterci in contatto? Ci piacerebbe invitarli a contribuire con una traduzione inedita al nostro giornale.

    Nel caso voglia saperne di più prima di prendere una decisione, la invitiamo a dare un’occhiata al nostro giornale. Nel 2015, Asymptote ha ricevuto l’International Literary Translation Initiative Award della London Book Fair ed è diventato membro fondatore del Books Network del The Guardian con “Translation Tuesdays,” una vetrina digitale di nuove traduzioni letta da un giornale che conta 5 milioni di followers. Non c’è la possibilità di un compenso remunerativo per il nostro team e i nostri collaboratori, ma questo non ha mai scoraggiato i migliori autori, traduttori, e artisti dal partecipare alla nostra causa.

    Rimango in attesa di una sua gentile risposta.
    Cordialmente,

    Marina Dora Martino
    Assistant Managing Editor, Asymptote

    Our Fall 2022 issue is here! New work from 32 countries and 19 languages confront life as it shouldn’t be: stunted, degraded, perversely foreshortened—in short, half-lived. Highlights include an exclusive interview with Emma Ramadan, a harrowing dispatch from Ukraine, our first work from Mozambique, and new translations of Kyung-Sook Shin, 2012 Man Asia Literary Prizewinner, and of Aram Pachyan, 2021 EU Literature Prize winner in our Armenian Literature Feature. Sign up for our free newsletters, submit work to our next issue, follow us on our Facebook, Twitter, Instagram, and at our daily blog. This holiday season, give the gift that keeps on giving every month—an Asymptote Book Club subscription! For a limited time only, we are throwing in a bonus gift of a 2023 digital calendar to reward new masthead or sustaining members who pledge at least one year’s support. Don’t wait: Join the Asymptote family today!

    Giorgio Linguaglossa
    Allegati
    12:57 (0 minuti fa)
    a Marina

    Gentilissima Marina Dora Martino,

    ho dato un’occhiata alla rivista Asymptote e mi congratulo con lei e i suoi collaboratori perché fate un lavoro di grande livello e utilità, purtroppo io mi occupo solo episodicamente di poesia in dialetto, però con alcuni poeti italiani abbiamo formulato una proposta (ormai è da alcuni anni) di una «nuova poesia» denominata Poetry kitchen. Allego di seguito il link della rivista on line lombradelleparole.wordpress.com è un lavoro di ricerca che in Italia, paese notoriamente retrogrado in fatto di arti e cultura, si scontra con una grande resistenza. Mi faccia sapere se posso essere utile a fare da collegamento con il lavoro della Vostra rivista. Allego delle cover e il Manifesto di un unico articolo della poetry kitchen.

    Dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia positiva dei recenti orientamenti fiolosofici, Una poesia di Montale e Poetry kitchen di Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, Lucio Mayoor Tosi, Giuseppe Talìa, Giuseppe Gallo, Ewa Tagher, a cura di Giorgio Linguaglossa, Aggiungo una postilla sulla Nuova poesia

    Cordiali saluti
    giorgio linguaglossa

  5. antonio sagredo

    “Ciò che mi chiedo è se l’estrema cerebralità dei testi sia in linea con lo slancio poetico presente in chiunque si accosti a tale genere letterario.” …”filone poetico , che ritengo fondamentale per novità e aderenza alla realtà attuale” …….
    ……………………………………….ma anche a quella di 100 anni fa.

    Gentile Maria Pia Latorre,
    quel che Lei si chiede già se lo chiesero i critici formalisti russi poco più di ca. 105 anni fa, a cominciare da un celeberrimo linguista, Roman Jakobson (che ebbi la fortuna di incontrarlo a Roma nei primissimi anni ’70).
    E’ sulla strada buona se si fa queste domande, ma per farLe risparmiare il tempo, se non lo spazio, dovrebbe leggersi i saggi dello stesso Jakobson e di un suo amico Viktor Sklovskij (che pure lui incontrai a Roma) e di qualche altro celeberrimo studioso russo ( una qualche decina e tutti di ottimo livello). Nel 1929 Il “Circolo linguistico di Praga” affrontò lo stesso problema con l’apporto di altri studiosi europei di fama internazionale.

    Grazie per l’attenzione
    a. s.

    • Una proposta per l’editore Limiti e per il Mangiaparole.
      Antonio Sagredo dovrebbe avere uno spazio in rivista, tutto suo:
      “Gli incontri di Sagredo” (letterari, personali, storici).
      Si potrebbe pensare anche un titolo più accattivante. Lo penso davvero.
      Una sorta di reportage letterario. Bisognerebbe proprio.
      Un abbraccione Antonio.

  6. da una intervista a Massimo Cacciari reperibile in rete:

    Fai clic per accedere a 1985-Pensare-il-tragico-Intervista-con-massimo-Cacciari.pdf

    Cacciari: Mi sono accorto che il dire della crisi, ma in fondo ogni dire, tradisce qualcosa di insondabile e indicibile. Esaminiamo la sua sorte nell’ambito della crisi: non può più predeterminarsi come onnisignificare, cioè cessa di pretendere di poter esaurire il significato; l’esperienza del dire diventa un continuo arrischio, manifesta una struttura di rimando e in questo rimando l’altro non si dà mai come perfettamente significato-significabile: tutto ciò mostra che il dire si proietta su uno sfondo indicibile, che ogni dire in quanto tale ha a che fare, nella sua stessa struttura, con l’indicibile e non si può mai concepire come un comprendere esaustivo. L’indicibile è dentro la struttura stessa del dire. Ciò significa, come esperienza del quotidiano, che il mio altro non è mai riducibile ad un mio significato, che ciò che mi riguarda non sarà mai mia proprietà, che ciò che amo mi mancherà sempre.

    Commento: Parola e simbolo, la Cosa e il nome, il linguaggio e la cosa sono custoditi nel geroglifico, che altro non è che immagine, e l’immagine altro non è che Enigma che si sottrae alla ermeneutica, che non risponde alla interrogazione se non per aenigmata… La poesia è dunque Enigma

  7. raffaele ciccarone

    SUCCEDE NELL’INTERMEZZO

    A causa dei porcini i gatti si leccano la coda,
    che ne sarà delle castagne?
    Se non si aprono maturi confronti
    i pesci scivoleranno sul bagnato.

    Il comando attiva muoni senza batter ciglio,
    quindi, la fragranza che miete il grano
    nel pollaio può trovare sassi che non sopportano gli ismi
    effimeri piantoni di wc sempre lindo.

    La questione delle fanfare, nel brulichio di note gravitazionali dei soliti cantori che approda a cinema,
    è un carico sotto pressione, si sa che le galline
    senza becchime non fanno le uova.

    Il frigo lo sa bene e unge il mal di testa con ritrovati a tempo
    sfruttando gelate notturne e i soliti colpi emozionali,
    confezioni ben fatte per sfruttare tutte le potenzialità del marketing.

    By c.r.

  8. antonio sagredo

    CATASTROFE SALENTINA DOPO IL RISVEGLIO

    Dopo l’alba sarò – qui, non so –
    nudo da secoli nella pigra ossidiana?
    -non so, qui – se dopo un profeta dirà:
    non ci fu futuro, domani!

    Circumnavigare liquido degli occhi.

    Dopo l’alba – pietas, Maria!
    Lacrimosa nel pentagramma muliebre,
    ambivalente nella semenza – un oroscopo!
    Non c’è bisogno di emblemi: quattro
    è più di una morte trasparente.

    Dopo la notte sarò – qui, non so –
    pietre spazi sorgenti
    – se, palma, ti ho dato, è un dono la –
    catastrofe!
    e nel ronzio – miele!

    Dopo la notte – cruda, Maria! – sterile
    il discernimento erutta come antrace,
    e non so qui se l’unità trascina il tutto,
    né se la linea fissa il punto
    o il risopianto implume di una civetta.

    antonio sagredo

    Roma, 4-6 maggio 1991

  9. Un Unno e un crociato in una tenda sulla riva destra della Senna. Un Franco e la moglie di un Gallo sulla riva sinistra.
    I Normanni bevono calvados in città.
    Il condor parla con l’effetto serra,
    dice che non farà più credenza né ai mangiatori di ceci
    né alle polacche.

    (Gino Rago, inedito)

  10. Propongo un estratto della mia risposta al quesito posto da un lettore sulla poetry kitchen, e sul perché si è arrivati alla p.k.,
    sulla rubrica la Post@de Il Mangiaparole

    […]Lo hanno dimostrato le antologie Il pubblico della poesia, curata nel 1971 da Berardinelli e Cordelli, La parola innamorata pubblicata nel 1978 da Pontiggia e da Di Mauro, Poesia italiana degli anni Settanta, a cura di Porta, uscita nel 1979, Lo sparviero sul pugno di Lanuzza del 1987: in molti dei testi pubblicati si nota la presa di distanza dallo sperimentalismo per approdare a quelle Poesie scritte col lapis dell’allora giovane Moretti (alle quali si aggiunse “da cancellare con la gomma”). Altro che neo-romantici, questi col vero romanticismo nulla hanno a che fare, ribellione e dolore, sofferenze e ansie, pessimismo e ossessioni non le troviamo proprio, sono state sostituite da una placida accettazione dell’esistente.
    E allora?
    E allora, filosofia del frammento, immagini dialettiche, interruzioni del continuum storico, passages, atlante Mnemosyne, memoria intrisa d’oblio, cioè, poetry kitchen e “montaggio”, sia secondo l’idea di Benjamin, sia secondo la visione di Aby Warburg (1866-1929) il quale indicò nella «sopravvivenza» il motivo centrale del suo approccio antropologico all’arte occidentale, sopravvivenza studiata nella sua logica, nelle sue fonti, nelle sue risonanze filosofiche, che, come dice una nota di un anonimo studioso di Warburg, “vanno dalla storicità secondo Burckhardt all’inconscio secondo Freud, passando per l’eterno ritorno secondo Nietzsche, la memoria biologica secondo Darwin, la morfologia secondo Goethe”.
    Una molteplicità di approcci come unico mezzo per descrivere la “vita” delle immagini e i paradossi costitutivi dell’immagine stessa, ovvero:
    – la sua natura di “fantasma”;
    – il suo potere di trasmettere il pathos;
    – la sua struttura di “sintomo”;
    – la sua natura di teatro dei tempi.

    Senza queste premesse è impossibile cogliere nella sua pienezza
    il concetto “montaggio” che poi è, per me, la parola-chiave della Nuova Ontologia Estetica, in generale, e della Poetry kitchen in particolare.

    (Gino Rago)
    4 novembre 2022

  11. copio e incollo da FB di oggi:

    di Matteo Marchesini:

    Vignette egemoni: a destra – ma un po’ dovunque – il vanzinismo sterilizzato dei meme di Osho, a sinistra il veltronismo compassionevole di Biani. Oggi anche una rivista come “Cuore” sarebbe impensabile: provocherebbe cento editoriali vittimistici o khomeinisti al giorno, e dovrebbe chiudere dopo una settimana per esaurimento nervoso dei redattori. Abbiamo un problema con l’umorismo, e perfino col più elementare senso del comico, con l’ironia ‘istintiva’. Mi si ribatterà: ma no, ma che dici, ma non li vedi tutti questi giovani e meno giovani ipnotizzati da raffinatissimi e oltranzistici stand-up, da autori di coltissimo situazionismo? Li vedo, li vedo; e anch’io apprezzo alcuni di quei prodotti. Però noto che hanno spesso qualcosa di coatto e di prolisso, e che non di rado sono concepiti per un pubblico ristretto e professionale, quasi di studiosi, o di nerd: per qualcuno, insomma, che dedica all’oltranzismo comico e umoristico due o tre ore al giorno un po’ come le si dedica alla ginnastica o all’inglese, e che l’analizza poi in commenti vertiginosamente mimetico-capziosi in cui si sente in dovere di giustificare il proprio riso. E’ gente per cui l’ironia è un triste tic, un’ansia performativa, una difesa dalla vulnerabilità dell’esistenza; come lo è il suo contrario, la seriosità. Spento il video, chiuso il libro, gli stessi trenta-quarantenni aprono magari un tomo di Toni Negri, un pamphlet di Preciado, un tonitruante romanzo di Moresco o la raccolta di qualche autonominatosi “poeta di ricerca”, e non si accorgono minimamente della straordinaria dose di comicità involontaria che emanano. A chi glielo facesse notare, risponderebbero piccati che si tratta di reazioni “impressionistiche”; sospetterebbero subito una mancanza d’istruzione universitaria (identificata con la cultura tout court); faticherebbero a concepire che si possono benissimo capire quelle pagine, e appunto per questo trovare che sono ridicole, enfatiche, bovaristiche, tanto più gergalmente kitsch quanto più si vorrebbero rivoluzionarie e sperimentali. Del resto, negli ultimi decenni, l’‘istruzione’ ci ha regalato filosofi e letterati secondo i quali l’umorismo sarebbe oggi “reazionario”: definizione che è un modo fulmineo per ridurre a idiozia la sterminata, ambigua, sottile e dialetticissima letteratura al riguardo. Io, per me, credo sia quasi impossibile comprendere qualcosa della storia del pensiero, della poesia o del romanzo senza coltivare il senso dell’umorismo, senza avere un po’ d’intuito psicologico demistificatorio, e senza saper relativizzare radicalmente le verità non solo nel contenuto ma nello stile. Aveva ragione Garboli: ci manca un provocatore della statura di Molière – uno capace di ricordarci che la cultura non è di per sé un valore, e che un imbecille erudito è più imbecille di un imbecille analfabeta. Non che la sua mancanza non abbia anche una ragione storica. Viviamo in un mondo in cui a qualunque linguaggio si mettono e tolgono di continuo le virgolette, e in cui quindi l’atto di assumere una posizione comica o satirica, non potendo fondarsi su un punto di vista ‘esterno’, rischia subito di risultare cringe, come nello spazio di un mattino è capitato alla stessa parola “cringe”. Lo hanno capito bene alcuni dei migliori e inevitabilmente dei più ascetici umoristi, ad esempio Lundini: bisogna tirare il sasso senza mostrare mai la mano, sfruttare le minime intercapedini tra i linguaggi e le virgolette – di qui il ‘situazionismo’, che altrove si esprime in memismo ipersofisticato. Resta il fatto che senza un’attitudine più larga, più quotidiana a un umorismo al tempo stesso popolare e colto, resteremo indifesi di fronte alle peggiori truffe: quelle culturali come quelle politiche.

    Commento di Giorgio Linguaglossa:

    Il situazionismo posiziocentrico è una costante dei ceti culturalizzati e istituzionalizzati in Italia, il risultato è questa filosofia dello stand by e dello strap on che si traduce in politica nella mancanza di umorismo e nella abolizione delle virgolette.
    La parola diretta e brutale, l’insulto, la mancanza di sfumature sono equivocati come franchezza e sincerità.

  12. antonio sagredo

    “Aveva ragione Garboli: ci manca un provocatore della statura di Molière – uno capace di ricordarci che la cultura non è di per sé un valore, e che un imbecille erudito è più imbecille di un imbecille analfabeta.” (da intervento preedente)
    ———————————————————————

    Il teologo-idiota e Giuseppe Desa

    Il colto idiota dal pulpito raccontava bellamente
    che la carità è lo stato naturale dell’uomo,
    torcendosi sulla philautía, come morso da una serpe!
    Giuseppe lo guardava schifato e con occhio asinesco.

    Lui, succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti,
    con preghiere, rosari e ceri accesi sugli altari, attendeva
    a un’assenza di teofania, come se la sua ignoranza nota
    al mondo fosse sparsa ovunque, come un peccato da imitare.

    Per eccesso di carità lui volava così in alto che gli uccelli
    chiesero aiuto a quell’idiota, perché una colta istanza al Principe
    dei Martiri almeno un terrore generasse in quel cuore semplice
    e mai turbato… ma era caro a tutti gli umili perché le sue mani

    erano sporche di sterco di maiale: una fatica devastante
    diffondere il verbo alle bestie di cortile! Il teologo è spaventato:
    conosce la propria colpa, non la carnalità che combatte bellamente.
    Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa – Santa Teresa!

    Antonio Sagredo

    Bardonecchia, 27 dicembre 2007
    (crepuscolo)

  13. Segnalo la pubblicazione in data odierna qui:

    La poesia e lo spirito
    Intervista di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa sul suo ultimo libro saggistico sulla «nuova poesia»

    https://www.lapoesiaelospirito.it/2022/11/04/intervista-di-gino-rago-a-giorgio-linguaglossa-sul-suo-ultimo-libro-saggistico-sulla-nuova-poesia/

  14. Monostici:

    La meditazione artificiale.

    Le immediate vicinanze.

    Il molto bello.

    LMT

  15. È cosa nota la determinazione heideggeriana dell’essenza della metafisica come oblio della differenza di essere ed essente, nonché la contrapposizione del pensiero metafisico ad un pensiero più originario che che viene individuato da Heidegger nei detti dei pensatori aurorali presocratici. Si presenta così un contrasto: un’immagine della storia dell’essere che comincia con il pensiero autentico aurorale per poi cadere nell’oblio della differenza con l’avvento di Platone di contro ad un’immagine che pone la stessa storia dell’essere come storia dell’oblio – togliendo, allora, ogni compiuto riferimento autentico all’essenza dell’essere.
    Come va, allora, intesa la differenza, se si vuole negare che Heidegger sia incappato in una così evidente contraddizione? Come intendere, poi, la Seinsvergessenheit – l’oblio dell’essenza dell’essere?
    Come questo medesimo Wesen? È qui in questione l’inizio della Metafisica – la quale resta pur sempre il pensiero dell’oblio.

    Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1976) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira e si dirada. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva», «ostensiva», alla parola performativa che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto. Nella situazione attuale della storia ridotta a storialità e della fine della metafisica ridotta a fuori-della-metafisica, la parola così deiettata ridiventa «piena», priva di sfumature semantiche. Ci troviamo nell’epoca della comunicazione universale che deprime ogni sfumatura di senso e preferisce la differenza bianco/nero dove il chiaroscuro viene tendenzialmente cancellato e rimosso e il Grande Altro tende a occupare e sostituire il piccolo altro… ed ecco la parola che rimbalza come una pallina di gomma…

  16. milaure colasson

    Scrive Linguaglossa :

    Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria.

    Il Logos chiama il Nomos, potremmo dire, la parola ha perso se stessa, vaga in una zona di compromissione nella quale a latitare è il significato, il referente, l’oggetto e che nulla lo giustifica, né il soggetto egolalico né l’oggetto posizionato… la parola liberata apre al discorso libero e liberato… così nel mondo storializzato (privo di storia) la poesia del novecento si allontana alla velocità della luce…

    Così scopriamo che il partito a vocazione maggioritaria, quello poetico che fa della poetologia è rimasto privo di giustificazione, scopriamo che è arbitrario, né più e né meno come il disegno di decreto legge messo giù dal ministro Piantedosi dove ti accorgi che la norma manca di oggetto, davvero! l’oggetto è scomparso, si parla di “raduni” di 50+1 persone… Non si era mai vista prima d’ora una formulazione di tal fatta, è il mondo storializzato dove tutto è possibile perché tutto è arbitrario. Così una norma che commina fino a 6 anni di carcere in realtà è senza oggetto, si parla di “raduno”, e il cittadino diligente d’ora in avanti dovrà prima fare il conteggio di quante persone ci siano in un “raduno”, se sono 49 potrà partecipare ma se sono 50, NO, perché a 51 scatta la sanzione penale fino a 6 anni di carcere. E’ talmente grossolana questa norma con la filosofia che la sottende è – Ecco: le parole finalmente liberate si rivelano arbitrarie. La filosofia che sostiene e sottende quelle parole si rivela essere ancora più grossolana, rozza, inquisitoria, totalitaria. Evidentemente Piantedosi è andato a scuola di normazione da Putin!

  17. Caro Fabrizio Centofanti,

    Con il Covid19 noi viviamo una condizione di smobilitazione degli assoluti, come accade nell’«ontologia della guerra» di Lévinas, laddove questa si propone di rendere «irrilevanti» le categorie della morale mediante il richiamo alla disillusione operata dalla guerra, al fine di consentire la più profonda e radicale disambiguazione degli interessi degli uomini proprio della ratio dell’Homo sapiens.
    Con la distanziazione sociale viviamo in uno stato di disambiguazione prossimo allo stato vegetativo. Il controllo della coscienza è stato interrotto, e così gli affetti familiari e interpersonali. Lo «stato d’eccezione» profetizzato da Agamben è diventato, paradossalmente, uno stato di necessità, una condizione normale di vita. Qui non è in gioco la volontà dittatoriale di un singolo come sostengono i leghisti e i fascisti, ma per una situazione di oggettiva necessità determinata dalla enorme diffusione del virus. Viviamo nello stato di disambiguazione che ci ha rivelato il virus, e ci scopriamo totalmente irretiti nella falsa coscienza, nella «zona grigia» dell’esistenza e del linguaggio.
    Anche in altre epoche storiche il virus della peste ha determinato uno sconvolgimento delle relazioni sociali e un distanziamento sociale degli individui. Ma, da solo, a mio avviso, il virus non produce Evento. Evento è invece la ripercussione nell’economia del virus, la stagnazione e la conseguente depressione economica con conseguente disoccupazione per decine di milioni e, forse, centinaia di milioni di persone nel mondo.
    Voglio dire che l’Evento virus Covid19 ha prodotto spavento di massa. Ma, appena il virus diminuirà la sua visibilità, riapparirà il conformismo di massa in un assetto sociale indebolito dalla crisi economica e impoverito. La disambiguazione delle coscienze verrà alla luce. Lo spavento di massa si tramuterà in rabbia sociale e, di qui il passo ad un totalitarismo di un cialtrone che reclama «pieni poteri» sarà breve.
    Il Covid19 è, paradossalmente, un Evento che non è un Evento. Mi spiego. Per essere visibile un Evento non deve essere visibile, ma invisibile. Quando scoppia, l’Evento diventa visibile, ma già da tempo erano in essere le condizioni perché l’Evento si verificasse, ma gli uomini non avevano fatto caso alle tracce dell’evento prossimo venturo che si stava preparando.
    Quando il Covid19 sarà sconfitto, gli uomini continueranno a vivere come prima, peggio di prima. I ricchi continueranno ad arricchirsi e i poveri ad impoverirsi. Il problema è il modello di sviluppo del capitalismo. È quel modello che ha determinato l’insorgenza del virus e della pandemia che occorrerà modificare. E il primo passo da fare è che i ricchi paghino più dei poveri, questo mi sembra ovvio. Mi sembra ovvio che occorrerà che le forze democratiche rivendichino la necessità di una tassa sulla ricchezza per riequilibrare le diseguaglianze introdotte dalla crisi economica.
    Io non penso all’evento come ad uno «stato meditativo» come tu dici. Questo significherebbe privatizzare e soggettivizzare la nozione di Evento. L’evento è ben di più di una questione del soggetto, è una questione epocale che però gli uomini del presente non vedono, non riescono a scorgere.
    Noi abbiamo fatto il nome di una poetessa, Maria Rosaria Madonna, che ha presagito con le sue poesie la «perturbazione», l’Evento. Nelle sue poesie si percepisce, oggi più di ieri, l’approssimarsi di un qualcosa di oscuro che si sta abbattendo sugli uomini. Ma Madonna è stata una Cassandra, ed è rimasta inascoltata.
    (Giorgio Linguaglossa)

    Maria Rosaria Madonna Cover OmbraMaria Rosaria Madonna Stige 1992
    Poesie di Maria Rosaria Madonna (1940-2002)

    da Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo, Progetto Cultura, Roma, 2017 pp.332 € 18.00

    Sono arrivati i barbari

    «Sono arrivati i barbari, Imperatore! – dice un messaggero
    che è giunto da luoghi lontani – sono già
    alle porte della città!».
    «Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
    «Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
    e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
    «Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi
    né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
    essi sconoscono…».
    E che farà adesso l’Imperatore che i barbari sono alle porte?
    Che farà il gran sacerdote di Osiride?
    Che faranno i senatori che discutono in Senato
    con la bianca tunica e le dande di porpora?
    Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli?
    Chiedono salvezza?
    Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
    «Quanto oro c’è nelle casse?»
    chiede l’Imperatore al funzionario dell’erario
    «E qual è la richiesta dei barbari?».
    «Quanto grano c’è nelle giare?»
    chiede l’Imperatore al funzionario annonario
    «E qual è la richiesta dei barbari?».
    «Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
    risponde l’araldo con le insegne inastate.
    «E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
    si chiedono meravigliati i senatori.
    «Chiedono che si aprano le porte della città
    senza opporre resistenza»
    risponde l’araldo con le insegne inastate.
    «Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
    e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
    Che vengano allora questi barbari, che vengano…
    Forse è questa la soluzione che attendevamo.
    Forse è questa».

  18. Una strenua lotta al significato contraddistingue tutta la poesia della nuova ontologia estetica, è una lotta incessante perché il «significato» permea il linguaggio comunicazionale impedendo di scorgere ciò che è al di là di esso, il significato è la cadaverizzazione del linguaggio… e la Musa muore anch’essa soffocata dai truismi e dai convenzionalismi.

    Domanda: «il non-senso sfugge alle leggi che governano il sistema capitalistico»?

    Risposta: Io penso di no, penso che il sistema capitalistico è il regno del non-senso complessivo perché è fondato sulla legge del plusvalore, del significante e della accumulazione del capitale che in sé è un non significato in quanto atto di fede. Nient’altro.
    Il capitalismo è una religione e, come tutte le religioni, è basato su un atto di credenza, cioè di fede, si ha fede nella crescita del capitale e nella bontà di questa crescita come il credente ha fede in Dio e nella bontà delle sue azioni. Se cessasse la credenza nella bontà della accumulazione del capitale cesserebbe di colpo anche il capitalismo. Entrambe le fedi: in Dio e nel Capitale sono legate insieme in un modo misterioso…

  19. antonio sagredo

    La poesia e lo sprito

    Potrà questa bellezza rovesciare il mondo ?

    ———————————————————————————

    Ho fatto presente al direttore della rivista “La poesia e lo spirito” che la frase ” Potrà questa bellezza rovesciare il mondo ?”

    e, si, di Dostoevskij, ma non si riferisce alla BELLEZZA in sè; e che “rovesciare” non deve equivalere a “salvare” il mondo:

    espressione che Dostoevskij usa in altro contesto (“La bellezza salverà il mondo”)

    Dunque quel rovesciare è inteso così come lo intende il personaggio Adelajda parlando col principe Myskin in “L’Idiota”:
    quando gli dice ammirata che :”è talmente bello e puro quest’uomo (l’Idiota) che la sua bellezza può rovesciare il mondo”.

    La frase in russo è questa da:(Idiot, parte prima, cap. VII)

    “…………..Tакая красота — сила, — горячо сказала Аделаида, — с этакою красотой можно мир перевернуть!”;

    che in traduzione fa:

    “Tutto in voi è perfezione… anche la magrezza e il pallore… non vi si potrebbe desiderarvi diverso da quello che siete………………… Una bellezza simile è una forza. Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo!”.

    e sono le parole di Adelaida Ivanovna nel colloquio col principe Myskin.

    Insomma è il candore, innocenza, ingenuità del principe che può rovesciare il mondo.
    —————————————————————————-
    Il direttore del blog non ha voluto intendere, non le mie ragioni, ma le ragioni obiettive.
    E poiche è un sacerdote cattolico non c’è ulla da fare. Ognuno ha il suo mondo e se lo tiene stretto.

    al.
    —————————————————
    ps. – in un primo messaggio inviatogli avevo invertito – senza avvedermene, e cioè avevo riferito la bellezza alla donna, invece si tale bellezza all’uomo.

    Ma il risultato non cambia.

  20. caro Antonio Sagredo,

    mi dispiace dover contraddire Dostojevskij, ma io non so proprio di cosa egli parla, non so quale concetto egli aveva della «bellezza», e poi il suo concetto di «bellezza» è senz’altro diverso dal concetto che ne ho io nel 2022, e il mio concetto della «bellezza» di oggi probabilmetne non coinciderà con il concetto di «bellezza» che avrò tra un giorno o tra un anno… non esiste un concetto di «bellezza» sovra temporale, tutto è storico, cioè instabile, precario, aleatorio, condizionato dalla posizione-nel-mondo del soggetto… e poi il concetto di «rovesciare il mondo» come lo intendeva il personaggio dostoevskiano non coincide affatto con il concetto che posso avere io o Mayoor Tosi o Mimmo Pugliese etc. sulla stessa parola… è come parlare al vento delle parole… non ci capiremo mai, non ci incontreremo mai.. parleremo sempre di cose diverse…

  21. Scrivevo nel 2020 su un quadro della Colasson :
    [Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, acrilico 19×28,50, 2020]

    «L’accadere della verità dell’opera d’arte è nient’altro che l’evento del suo accadere. L’accadimento è esso stesso verità, non come adeguazione e conformità di parola e cosa, ma come indice della difformità permanente che si insinua tra la parola e la cosa. l’arte come accadere della verità significa preannuncio dell’aprirsi di orizzonti storico-destinali.
    L’arte è allora quell’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche.
    Le opere d’arte sono origine di esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito dei significati consolidati dalla vita di relazione. L’ovvietà del mondo diventa non-ovvietà. Nuove forme storico-sociali di vita sono di solito introdotte da opere d’arte che le hanno preannunciate. Le opere d’arte dell’ipermoderno si configurano quindi come produzione di significati in condizioni di spaesamento permanente, di sfondamento rispetto a sistemi stabiliti dei significati ossidati. Le opere d’arte oggi hanno senso soltanto se «aprono», se preannunciano nuove mondità, nuovi possibili modi di vita e forme di esistenza, altrimenti deperiscono a cosità.»

    Oggi ho corretto quel mio concetto di «apertura»:
    penso invece che le opere d’arte (oggi preferisco parlare di poiesis) hanno senso soltanto se «chiudono», se preannunciano la «chiusura» delle mondità, se «chiudono» i modi di vita e le forme di esistenza del presente e del passato, altrimenti deperiscono a cosità.

  22. antonio sagredo

    Caro Giorgio,

    non hai compreso bene il mio messaggio.
    Qui non è la BELLEZZA in se che viene giudicata, ed è quello di cui Tu scrivi e che in parte accettabile.
    ———————————————————————–
    La bellezza nel mio intervento su quel blog è riferita alla bellezza interiore dell’Idiota di Dostoevskij. Il perso0naggio femminile, di Adelaida si riferisce al candore e alla ingenuità e all’innocenza che viene dal principe suo amico, e che non ha niente a che fare con la BELLEZZA di cui Tu scrivi e che srive il “religioso”.
    ————————————————————————-
    La BELLEZZA in se “salva” il mondo secondo Dostoevskij.
    ———————————————————————–
    E ripeto in altro contesto ed espressione la bellezza del principe
    (il candore e alla ingenuità e all’innocenza) “rovescia”il mondo,
    e questa è una bellezza distinta da quella.

    ma va bene come volete
    as

  23. milaure colasson

    La poesia è un abitare il linguaggio che non c’è. In questo paradosso, in questa impossibilità sta la verità (se di verità si può parlare)

  24. antonio sagredo

    (La poesia è un abitare il linguaggio che non c’è.)(Colasson)
    —–
    Bene!
    UNa carrellata: abbiate la pazienza di leggere – grazie
    as
    ——————————-
    Io che sono al di fuori d’ogni linguaggio,
    restituitemi le labbra e la mia bocca!

    1994
    ————————————————-
    Il poeta
    sfascia la parola
    con le trame dei versi.
    Crisi del tuo linguaggio
    il tuo calvario.
    1971
    —————————–
    Io vado verso qualcosa mai esistita
    che supera il Tempo e il Linguaggio,
    il semplice lamento dello Spazio,
    il vero freddo che riscalda…
    essere il Nulla nei Trionfi della Morte!.

    1973
    ————————————
    a Chlebnikov

    Ascoltavo dietro cancelli azzurri
    un non so che
    come il dolce linguaggio dei pazzi,
    una dolce divina afasia.
    I corvi Pierrot salmodiare
    un canto di gemme ametiste,
    nel vento latino sussurrare
    le stelle alle stelle
    un dolore d’argento,
    un inno alla gioia
    da distruggere un cuore!

    1976
    ——————————————————
    mondo etrusco

    Saggezza inconsueta tra le querce.
    Coppe-colline… ma i sarcofaghi
    gettano sul tempo un linguaggio strano:
    un errore il loro cuore tra di noi!

    1977
    —————————————–
    I piedi trafitti da sottili pensieri
    verso la soglia dell’antica casa
    assolveranno le palizzate delle coronarie:
    il mio linguaggio infame in mezzo ai porci!

    1980
    ———————————————
    Dietro la soglia tu ascolti sibili invernali
    e i neri umori di linguaggi occulti.

    1985
    ————————————-
    (ah, se Tu potessi tornare tra di noi
    con la lingua intatta!)

    1986
    ——————————-
    E sono ratti
    comparse spettri, viscido sudario
    sotto i tori di ciechi simulacri,
    ruggiti di rame contro i nostri morti,
    giocatori d’azzardo, astragali di vermi quando la notte,
    chiusa al canto, notifica con lingua mercuriale
    il malgoverno e il tuo sguardo simili a monete
    di menzogna.

    dalla prima Legione
    – 1989
    ——————————————–
    La mia mente ha dita palmate,
    lecco il tuo sudario rosa,
    ma l’occhio è gravido di ratti.
    Crepa, cenere!
    Squamati, lingua!

    1990
    ————————————
    MIO DIO, SULLA TUA LINGUA C’È LA MIA VISIONE !
    1991
    ——————————————————
    xcè dell’altro, ma basta così

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.