Le democrazie parlamentari dell’Occidente sono affette da una sindrome che definirei della catastrofe permanente, una Todestrieb che ci sovrasta in quanto dentrificata nella psiche degli umani. Ci troviamo in un mondo sul quale incombe uno stato di catastrofe e di auto catastrofe, il mondo della minaccia nucleare sdoganata a fattore tattico di intimidazione dell’avversario è un mondo nel quale è sempre possibile una deflagrazione atomica, un conflitto senza leggi né regole combattuto per la liquidazione fisica e totale del «nemico».
Paolo Valesio è un intellettuale e poeta a cui deve essere riconosciuta una grande dignità e perseveranza nell’indirizzare la propria ricerca poetica in direzione di una poesia «forte», «autentica», «veritativa» dove la veritatività è la segnatura del suo discorso poetico; con le parole di Valesio, l’autore è colui «che Kierkegaard chiama un “apprendista in cristianesimo”»; questo corposo libro è a mio avviso una testimonianza della drammatica situazione di imminente pericolo nel quale l’Occidente è immerso, già nel titolo vengono richiamate le figure de il «Testimone» e dell’«Idiota» che instaurano un dialogo fitto e intenso, dove la colpa lastrica i «corridoi di occasioni perdute»:
Ogni luogo ogni marchio sul paesaggio
è una condanna per il testimone
corridoi di occasioni perdute
lacune di visite e viste che avrebbero potuto
divenire visioni
ma ogni luogo ogni marca di paesaggio
ogni scorcio (sghembo, angusto, tagliente)
di quello che lui osa sotto voce ancora
chiamare “bellezza”,
è una concessione gloriosa al suo tempo di vita.
Il ritmo inevitabile di questo su-e-giù del cuore
lo lascia stordito
più ancora che stupito.
Nella copertina del libro di Paolo Valesio compare, in un riquadro, l’immagine dell’Angelo della storia di Paul Klee. In proposito, vale la pena di rammentare che nella nona tesi Walter Benjamin richiama l’immagine dell’Angelus novus di Klee, che fissa lo sguardo assorto sulle rovine: «i suoi occhi […] spalancati, la bocca […] aperta, e le ali […] dispiegate»; il passato gli restituisce ciò che «davanti a noi appare una catena di avvenimenti», anche se «egli vede un’unica catastrofe» (Sul concetto di storia 36 e 37). L’Angelo rappresenta per Benjamin l’«angelo della storia» che è capace di scoprire la «segnatura della rovina nel presente». Trascinato verso il vortice del futuro dal progresso, l’angelo guarda con orrore le catastrofi accumulate dalla modernità, le marche da cui spira il disastro della contemporaneità. Per concettualizzare un tipo di «segnatura della rovina» (dizione di Agamben), può essere utile ripercorrere gli ultimi capitoli de L’Uomo senza contenuto, il primo libro di Agamben (1970), in cui, dopo aver considerato la crisi dell’estetica, il filosofo ritorna ad interrogarsi sul destino poetico dell’umanità e sulla possibilità dell’arte come sfera che si apre all’azione per mezzo della capacità di pro-durre e di auto prodursi. Nel finale del libro Agamben accosta due angeli: l’angelo della Melancholia di Albrecht Dürer e l’Angelus novus di Paul Klee, per il tramite dell’interpretazione di Benjamin. Queste due opere suggeriscono ad Agamben due modi di definire la relazione col passato in quanto funzionano come «segnatura» dell’enunciazione. L’angelo di Klee permette a Benjamin di mettere in azione la dimensione profetica: il suo avvertimento tragico pare annunciare Auschwitz e Hiroshima, le due più grandi catastrofi della storia umana, le due rovine più mostruose, conclusione di un’accumulazione di catastrofi che giunge fino al cielo. Agamben cerca di ri-pensare la proposta estetico-politica di Benjamin e scrive un saggio di traduzione vincolando quest’angelo con la stampa dureriana del 1514, che rappresenta una creatura alata seduta, in atto di meditare con lo sguardo assorto davanti a sé; accanto ad essa, giacciono abbandonati al suolo gli utensili della vita attiva: una mola, una pialla, dei chiodi, un martello, una squadra, una tenaglia e una sega. Il bel volto dell’angelo è immerso nell’ombra: solo riflettono la luce le sue lunghe vesti e una sfera immobile davanti ai suoi piedi. Alle spalle si scorgono una clessidra, la cui sabbia sta correndo, una campana e un quadrato magico, e, sul mare che appare sullo sfondo, una cometa che brilla senza splendore. Su tutta la scena è diffusa un’atmosfera crepuscolare, che sembra togliere ad ogni particolare la sua materialità. (L’uomo senza contenuto p. 164)
Luigi Fontanella, Adriano Spatola e Paolo Valesio anni settanta
.
Due personaggi del libro di Paolo Valesio, il «Testimone» e l’«Idiota» che parlano sono in realtà la manifestazione di una unica «Voce», quella della poesia intesa, modernisticamente, come discorso poetico di una individualità erratica ed erranea che si situa in un luogo atopico che si può immaginare come un quadrilatero ai cui vertici dimorano le quattro Entità: il Testimone, l’Idiota, la Fiamminga e la Voce. Davvero, una poesia che marca la propria dissomiglianza, quella di Valesio, rispetto alla poesia di oggi.
Plotino ricorre ad una analogia: come per l’occhio la materia di ogni cosa visibile è l’oscurità, così l’anima, una volta cancellate le qualità delle cose (che sono della stessa sostanza della luce), diventa capace di determinare ciò che rimane. L’anima si fa simile all’occhio quando ci si trova nel buio. L’anima vede veramente soltanto quando c’è l’oscurità.
In un certo senso poetare dell’impensato è qualcosa di analogo al vedere le cose nell’oscurità. Soltanto nell’oscurità si possono vedere le cose in un modo diverso.
Paolo Valesio è un poeta kierkegaardiano che ha attraversato la storia contropelo, che, nell’epoca della fine della metafisica, si è creato una propria metafisica per poter investigare un mondo ormai dissacrato, privo di sacro, che ha relegato il sacro nelle discariche degli oggetti e delle parole a perdere. È di qui che prende inizio il discorso poetico valesiano. La parola diventa testimonianza di una verità che è ogni giorno di più indicibile, impronunciabile, innominabile, ma è proprio questa cesura/censura quello che consente alla poesia valesiana di diventare discorso poetico, voce, parola, dialogo. Un dialogo serrato, metafisico, con un linguaggio posato sui registri alto e medio che prende luogo tra le quattro Entità, sempre sul punto di incalzare la parola «vera», la «verità», che però non può mai essere detta perché essa ha senso soltanto se non viene pronunciata da alcuna parola. In questo paradosso, in questo contrappasso il discorso poetico di Valesio si adempie e consuma le possibilità di costruire un ponte con il lettore, una lingua comune che diventa sempre più problematica e claudicante nella misura in cui l’epoca della scomparsa del sacro celebra i suoi trionfi.
Mentre l’angelo della storia dirige il suo sguardo al passato mentre viene inarrestabilmente trascinato verso il futuro, l’angelo malinconico guarda di fronte e rimane immobile, poiché «La tempesta del progresso che si è impigliata nelle ali dell’angelo della storia si èqui placata» (Benjamin). L’angelo dell’arte appare come se fosse fuori dal tempo, come se qualcosa «avesse fissato la realtà circostante in una sorta di arresto messianico» (Benjamin), al contrario, il passato appare all’angelo di Benjamin in forma di rovina. Anche l’angelo melanconico della poesia valesiana giace estraneo agli elementi della vita attiva che sono divenuti inutili, visto che il passato trova la verità a condizione di negarla e la conoscenza del nuovo è possibile solo nella non-verità del vecchio, ma proprio questo offre al poeta la redenzione citandolo a comparire fuori dal suo contesto reale nell’ultimo giorno del Giudizio estetico, rassegnandosi alla morte o all’impossibilità di morire. La «melanconia» della parola valesiana resta legata all’angelo che è cosciente di essersi rassegnato allo straniamento e di aver così convertito in mondo reale qualcosa che non può possedere. L’arte ha il potere e la missione di recuperare il passato tramite un esercizio negativo, convertendo la non trasmissibilità in una immagine estetica capace di attivare uno spazio fra il passato intrasmissibile ed il futuro impredittibile affinché l’uomo possa fondare la sua azione e la sua conoscenza. Questo spazio poetico si converte nel punto zero dell’azione dell’uomo melanconico moderno, che, annoiato e dissacrato si rende conto che nella verità è presente la negazione della verità. Nell’Angelus novus benjaminiano l’arte si concentra sulla permanenza del passato nel presente ed obbliga a percepire le sue segnature. L’uomo dell’ipermoderno minacciato dall’accumulazione senza senso di un passato estraneo e di cui non può dar di conto, trova nell’arte lo spazio in cui passato e presente si incrociano. In questo punto la dimensione poetica mette in gioco la sopravvivenza della cultura, che, peccaminosa ed estraniata, pare impossibilitata ad unire passato e presente se non grazie alla mediazione di un’altra sfera: Per Agamben, e in guisa personalissima per Valesio, solo l’opera d’arte consente una fantasmagorica sopravvivenza alla cultura accumulata e reificata. L’arte diventa il luogo della «segnatura» della redenzione possibile nell’ambito della storia umana. L’opera poetica è l’ambito in cui, fra il passato ed il futuro, l’umano deve situarsi nel presente. Così avviene che «l’angelo della storia, le cui ali si sono impigliate nella tempesta del progresso, e l’angelo dell’estetica, che fissa in una dimensione atemporale le rovine del passato, sono inseparabili» (Benjamin). Il discorso poetico per Paolo Valesio diventa l’ultimo anello di congiunzione fra l’uomo e il suo passato, fra le rovine del passato e le rovine del presente, la «segnatura» del passaggio dell’uomo sulla terra. Nella misura in cui restano soltanto le rovine del passato, della storia e della tradizione, il luogo dell’opera poetica valesiana diventa lo spazio in cui l’umano può riappropriarsi della veritatività dei suoi enunciati e dei suoi propri presupposti storici in cui l’umano può convertirsi in artefice di azione attraverso cui ritrovare il «fondo», il fondamento di se stesso.
(Giorgio Linguaglossa)
Il sogno del Testimone (Dream Poem)
per Antonio Porta e la sua famiglia
Il Testimone siede su una panchina in Central Park a Manhattan, guardando (vedendo e non vedendo) un piccolo gruppo di ragazzini e ragazzine che hanno improvvisato sul bordo del prato lì davanti una danza molto alla buona, accompagnata da tamburelli. Gli vengono in mente brandelli di una poesia letta chissà dove chissà quando:
A uno dei ragazzi si è slacciato
il nastro rosso, è volato
ai limiti del cerchio
e il ballerino non se n’è avveduto
non lo ha raccolto
perché era tutto raccolto
dentro il giro e il nodo di sé stesso.
Lui si è alzato
[…]
ha colto il fazzoletto lentamente
lo ha tenuto in mano
per tutta la durata della danza.
e quando il ragazzo sudato
si è toccato il polso nudo e, incerto,
si è guardato all’intorno,
gli è andato vicino e glielo ha porto
con la premura calma di una madre1
Quella stessa notte il Testimone ha fatto un sogno.
Improvvido,
il braccio nudo di Gesù improvviso. Punta dove? È un’indicazione
o una bene-male-dizione? Assorto dal bruno della pelle, dall’atletica scarnità
gli sembra vedere una fila di anelli di rame,
semplici cerchi spogli eppure magici – quella piccola
magia selvaggia che era nelle spoglie del Battista: pellli
e denti d’osso in asole di cuoio; e il legno polito,
fino alla traslucenza del suo bastone, e la ciotola
dove il miele è oramai tutto leccato.
Anelli che agganciano sottili in spire
anche i Samaritani, i Siro-Fenici, quelli delle frontiere, gli idolatri
i tantissimi che lasciano negli occhi altrui
la perplessità dello sguardo – anelli che abbracciano
con amore-corrosione
consumatrice di ogni distinzione fino alla non differenza.
Ma il braccio di Gesù rimane nudo, e quegli anelli debbono esser stati
illusione dell’aria: granulata e rutilante
cortina di perline tintinnabulante
in canti “clang” silenziosi
che si travedono come
gioiell8i-essudazioni del calore
(New Haven-New York)
1 Da Le ore vuote del Figlio dell’Uomo, nel mio volume di poesie Avventure dell’Uomo e del Figlio, Caramanica Editore, 1996.
In una stanza
L’Idiota nella stanza sola
rovescia la testa all’indietro:
“Kiss my mouth,” dice a occhi chiusi,
“Kiss my mouth.”
Lui lo sa bene, a chi sta parlando:
né a La Fiamminga né a Dio.
Sta invocando un angelo, anche se sente
che il bacio di un angelo
può succhiargli via la vita.
Bodies of water
L’acqua è buon conduttore delle parole-suoni
ma non di parole-pensieri.
eppure il testimone vuole che la Fiamminga lo intenda
attraverso le acque senza che lui le parli:
– ‘Ciao anzi addio.
Io ho vissuto troppo, in proporzione
a quel che poi
sono riuscito a fare; tu hai vissuto meglio.
Sento che se noi due mai ci vedremo faccia contro faccia
ricominceranno fra noi l’amicizia e la inimicazione
(come fra troppo strette
mura di città). Allora
parlare attraverso le acque
sarà il modo migliore
di risolvere e dissolvere
la nostra compagnia di sentimenti
prima che si confini nell’obbligo’
La piccola Orestiade
Il Testimone quando si sente svenire
lotta-contro, sospinto dalla sottocorrente paura che questo
sia preludio del suo svanire.
Così i suoi occhi grandi-aperti
per via delle sue notti troppo bianche, e i suoi capelli rizzati
trasmettono agli estranei e agli scarsi amici –
quando gli amici sentono scarsezza
tendono a divenire trasparenti
e questo li stranisce e li dirada –
l’apparenza ingannevole di un forte, di un vitale.
Ma il pavor nocturnus et diurnus
che si annida nel fondo del suo occhio
(e che si trova
anche in alcune foto di suo padre)
lo marca fuggitivo, inseguito da un muto furore
e da una muta di furie soltanto a lui visibili.
Ricordi 1
L’Idiota sorride ai ricordi:
un largo, con denti danneggiati,
sorriso accoglitore e semi-felice
per il semplice fatto crudo e nudo che sono esistiti e che lui
è ancora lì a camminarli.
Gli appaiono, a tratti e balenii,
come i surrogati
della Resurrezione.
Ricordi 2
Il Testimone, quando un ricordo lo colpisce diretto, geme
(breve lamento, e subito
si volta in giro per verificare che non l’abbiano udito):
è il fisico dolore,
quello dello stomaco;
per l’occasione perduta, l’instante non pienamente vissuto
dunque offeso, sacrificato
nel suo potere di essere
(ma il gemito è forse riscattato come seme di pentimento).
Madrigale
Eterna giovinezza fin che dura dell’Idiota:
alle volte c’è il tormento, alle volte non c’è più.
Quandunque il tormento
per un poco scompaia di sollievo
e la svolta buona fiorisca, l’Idiota ci ricasca e si illude
che la sua vita sia ridivenuta nuova. Misericordiosamente
non saprà forse mai
se questa è l’illusione che sfocia
nel triste viso (o addirittura ghigno) dell’ultimo congedo
oppure sia l’unica forma
di immortalità per lui possibile.
Solus nec tamen solus
L’Idiota sopra il letto fluttua
(e sotto il piumino di maggio)
lungo composto come il cadavere di un miles:
lento momento equanime – o meglio
non si sa se sufficit a sé stesso
o si trovi dentro un pacato e suasorio
costante ma non visibile colloquio.
Paolo Valesio è nato nel 1939 a Bologna, Professor Emeritus all’Università di Columbia a New York[1], dove ha occupato la cattedra “Giuseppe Ungaretti” di Letteratura italiana dal 2005. Dopo una formazione da linguista presso la cattedra di Glottologia di Luigi Heilmann a Bologna, che culminò con la collaborazione alla decima edizione del Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli[2], dagli anni Settanta Valesio ha insegnato letteratura italiana alle università di Harvard, New York, Yale prima di concludere la carriera alla Columbia[3]. Ha dedicato gran parte della sua ricerca allo studio della retorica e della sua realizzazione in scrittura, anche nella dimensione spirituale, ad esempio a Gabriele d’Annunzio e al futurismo, organizzando il convegno per il centennale Beyond Futurism: Filippo Tommaso Marinetti, Writer (For the Centennial Anniversary of the Italian Avant-Garde) tenutosi alla Columbia nel 2009[4] e curando, assieme a Patrizio Ceccagnoli, la pubblicazione di Venezianella e Studentaccio di Filippo Tommaso Marinetti[5].
Durante la sua permanenza a Yale, Valesio creò il “Yale Poetry Group”, riunione bisettimanale di letture e conversazioni poetiche (1993-2003). Nel 1997 fondò la rivista Yale Italian Poetry (YIP), che dal 2006 ha mutato il titolo in Italian Poetry Review (IPR), collocandosi in sedi internazionali (New York, Bologna e Firenze[6]). Oltre a una vasta produzione di saggi su riviste scientifiche, Valesio collabora con la stampa periodica italiana[7]. Dal 2013 è presidente del Centro Studi Sara Valesio, situato presso la Fondazione Genus Bononiae – Musei nella città, a Bologna[8].
Oltre la sua attività accademica, Valesio ha esordito come narratore nel 1978, con L’ospedale di Manhattan per Editori Riuniti (la sua produzione continua con una serie di diari romanzati o “romanzi quotidiani” che formano una Tetralogia tuttora inedita[9]). L’anno successivo, pubblica la sua prima raccolta di versi, Prose in poesia, per Guanda, con una postfazione di Stefano Agosti, a cui sono seguite quasi una ventina di raccolte poetiche. Sulla sua opera hanno scritto intellettuali come Antonio Porta, Guido Guglielmi, Harold Bloom, Maurizio Cucchi, John Hollander[10][11]. Con Analogia del mondo vince il Premio S. Vito (1991) e con il Servo rosso vince il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Camaiore (2017[12]). La “Tetralogia” saggistico-narrativa di Valesio è ancora per la maggior parte inedita, ma varie pagine di questi quattro “romanzi quotidiani” sono apparse in rivista, in modo particolare nella rivista di poesia “Steve” (1998-2008[13]) e, continuando a tutt’oggi, sulla rivista di architettura e arte “Anfione e Zeto” (2010-[14]).
Opere principali
Saggi
- Strutture dell’allitterazione: Grammatica, retorica e folklore verbale, Bologna, Zanichelli, 1968.
- Novantiqua: Rhetorics as a Contemporary Theory, Bloomington, Indiana University Press, 1980.
- Ascoltare il silenzio: La retorica come teoria, Bologna, Il Mulino, 1986.
- Gabriele d’Annunzio: The Dark Flame, New Haven/London, Yale University Press, 1992.
Poesia
- Prose in poesia, Milano, Società di poesia per iniziativa dell’editore Guanda, 1979.
- La rosa verde, Padova, Editoriale Clessidra, 1987.
- Dialogo del falco e dell’avvoltoio, Milano, Editrice Nuovi Autori, 1987.
- Le isole del lago, Venezia, Le Edizioni del Leone, 1990.
- La campagna dell’Ottantasette, Milano, Scheiwiller, 1990.
- Analogia del mondo, Udine, Campanotto Editore, 1992.
- Nightchant: Selected Poems (trad. Inglese di Graziella Sidoli e Vanna Tessier), Edmonton, Snowapple Press, 1995.
- Sonetos Profanos y Sacros (Taller de Traducción Literaria de la Universidad de La Laguna), Tenerife, Ediciones Canarias, 1996.
- Avventure dell’Uomo e del Figlio: Poesie, Marina di Minturno, Caramanica Editore, 1996.
- Anniversari (Dodici poesie, e una prosa in due movimenti), Galatina, I Quaderni del Bardo, 1999.
- Piazza delle preghiere massacrate, Modena, Edizioni del Laboratorio, 1999.
- Dardi, Faenza, I Quaderni del Circolo degli Artisti, 2000.
- Every Afternoon Can Make The World Stand Still (Thirty Sonnets 1987-2000) (trad. Inglese di Michael Palma), Stony Brook, New York, Gradiva Publications, 2002 (ried. 2005 ).
- Volano in cento (trad. inglese di Graziella Sidoli e trad. spagnola di José Oliveras), Faenza, I Quaderni del Circolo degli Artisti, 2002.
- Il cuore del girasole, Milano, Marietti, 2006.
- Il volto quasi umano (Poesie-dardi, 2003-2005), Bologna, Lombar Key, 2009.
- La mezzanotte di Spoleto, Rimini, Raffaelli, 2013.
- Storie del Testimone e dell’Idiota (poesie inedite), Casette d’Ete di Sant’Elpidio a Mare, Associazione Culturale “La Luna”, 2015.
- Il servo rosso/ The Red Servant: poesie scelte 1979-2002, a cura di Graziella Sidoli (trad. inglese di Michael Palma e Graziella Sidoli), Pasturana, Puntoacapo editrice, 2016.
- Midnight in Spoleto (trad. inglese di Todd Portnowitz), Burlington, Vermon (USA), Fomite Press, 2018.
- Esploratrici solitarie: poesie 1990-2017, Rimini, Raffaelli, 2018 (Premio Nazionale Rhegium Julii Poesia)[15]
- Servo rosso 2017
- Il Testimone e l’Idiota 2022
Romanzi
- L’ospedale di Manhattan, Roma, Editori Riuniti, 1978.
- Il regno doloroso, Milano, Spirali, 1983.
Raccolte di racconti e altri scritti
- S’incontrano gli amanti: Tre storie interoceaniche, Roma, Edizioni Empirìa, 1993.
- Tradimenti, Bologna, Quaderni del Masaorita, 1994.
- Dialogo coi volanti, Napoli, Edizioni Cronopio, 1997.
I CIRRI
I cirri hanno fame
erano assenti alla seduta spiritica.
I pellicani hanno acceso il fuoco
per il caffè d’orzo è già domani
Hanno suonato tre volte sul naso
gli auricolari ripassano la lezione di storia
Il citofono della guerra impreca
dalle astronavi scendono granchi
Il corvo compra detersivo per pavimenti
c’è bisogno di gomme usate per distrarre i polmoni
I gamberi ricordano gli alunni che erano
brindano con succo di calendula
Da tempo non si riciclano le ascisse
i denti si affidano alle pallottole
Il rossetto colleziona penne a sfera
il manubrio importuna la serranda del ministero
Sbucano ginocchia da ogni parte
è il compleanno dell’esofago
Nessuno ha avvisato Mago Zurlì
il colore delle mele è una trappola
Gli occhiali risalgono la tempesta
i poliziotti arrestano castagne
Ho scritto stamane commentando una tela di Jacopo Ricciardi su FB:
«Si può commentare così: la chiarezza della situazione dopo il Fall out di una bomba atomica sporca (Cosiddetta)».
Ecco, penso che la poesia succitata di Mimmo Pugliese sia stata anch’essa partorita come dopo una esplosione di una bomba nucleare sporca, i significati antichi sono stati sporcificati e dissolti in una miriadi di equipollenze insignificanti… la vera differenza tra la poesia Dada e la poetry kitchen è la consapevolezza che i poeti kitchen hanno di essere insignificanti e di annunciare con i loro testi la venuta di un’età di coimplicazioni e di insignificanze gravemente negative per le conseguenze che queste caratteristiche possono avere sull’intera umanità.
Dal punto di vista della bomba il linguaggio poetico appare come saltato in aria dissolto in entità corpuscolari estreme… dal punto di vista della bomba il linguaggio umano e quello poetico hanno poco o nessuno senso, dal nostro punto di vista invece: ANCHE, le cose del mondo di oggi hanno poco senso o significato, ma di tutto questo sarebbe risibile e privo di senso accusare la poesia di esser diventata quello che è, la poesia è quello che è, punto e basta, non c’è una ragione oltre la ragione di essa.
Paolo Valesio cerca anche lui ancora disperatamente e kirkegaardianamente di dare un senso alle parole umane, è un tentativo che va sempre fatto prima di rinunciare del tutto e magari buttarsi al mare o andare a farsi un bagno nell’acqua marina tiepida e quasi primaverile di oggi….
E’ un tentativo di decoupage e di montage in stile Kitchen
di immagini dialettiche
Gino Rago
Una bombola di propano esplode a Piazza Vittorio
in Roma Esquilino
muoiono sul colpo un cyber-flâneur, un barbone,
una passeggiatrice
al Commissariato di Stazione Termini interrogano la ciclista,
il giocatore di Via Marsala, il collezionista del Testaccio
Misteriose indagini portano ad una scatoletta di carne Simmenthal
Non sei andato all’Auditorium ad ascoltare la lectio magistralis di Noam Chomsky?
Vieni con me in Tunisia
E’ un tentativo di decupage e di montage in stile Kitchen
di immagini dialettiche
Questo tentativo di ” montaggio” prevede un duplice procedimento:
– uno smontaggio (decupage), una de-contestualizzazione delle immagini che vengono scelte,
– un ri-montaggio (montage), una ri-contestualizzazione che permette nuove associazioni in un altro contesto categoriale
Gino Rago
IIa versione
Vieni con me in Tunisia?
una bombola di propano esplode a Piazza Vittorio
in Roma Esquilino
non sei andato all’Auditorium ad ascoltare la lectio magistralis di Noam Chomsky?
muoiono sul colpo un cyber-flâneur, un barbone,
una passeggiatrice
al Commissariato di Stazione Termini interrogano la ciclista,
il giocatore di Via Marsala, il collezionista del Testaccio
misteriose indagini portano ad una scatoletta di carne Simmenthal
Nell’epoca contrassegnata dalla fine della metafisica la poesia viene respinta verso l’Esterno, la periferia dei linguaggi… Da quello che ho letto della poesia valesiana e altro (la poesia di Mimmo Pugliese)… i linguaggi in stato di relittualità perdono le caratteristiche, diciamo, comunitarie, sociali per assolvere le funzioni proprie degli idioletti, i poeti infatti sono spinti e respinti verso le propaggini dei linguaggi e tendono a non essere più comunicativi… non comunicano più, e, in specie questo accade per i linguaggi poetici…
Non so se Paolo Valesio sia d’acordo con questa tesi della fine della metafisica, ma non è qui forse l’aspetto di maggiore evenienza per la poesia di Valesio, quello che mi colpisce è la parola «forte» che il poeta vuole perseguire, una parola ancora «tonante», legiferante… apprezzo molto il ritorno del «dialogo» nella poesia valesiana, questo sì un elemento molto importante di rinnovamento della sua poesia.
Scrive Paolo Valesio : ‘ i tantissimi che lasciano negli occhi altrui/ la perplessità dello sguardo ‘ e ‘ quando gli amici sentono scarsezza / tendono a divenire trasparenti / e questo li stranisce e li dirada’.
Parole potenti, ritratto dell’oggi da cui, fortunatamente, non è assente la compassione.
Diciamo che Valesio ha una bella scrittura, contagiosa. La prima poesia, del ’96 è molto generosa. Poi si chiude, diventa diaristica dell’evoluzione, del tempo che passa, una testimonianza. Però io queste cose non le capisco più. Teniamo insieme discorsi che portano a sé, e lì si infrangono.
Una poesia, penso, comprensibile:
Oggi con me stesso. Abbiamo parlato a lungo.
Come non dovessimo morire. Parole vere e virtuali.
Abbiamo anche cantato. Lui, ma solo per un momento.
Noi del trasportato centro-mentale non abbiamo voce.
Lui ha una bocca. Quando si mette a cantare
capisco gli usignoli, e perché li stiamo a sentire.
LMT
C’è un refuso: al quarto verso “Noi del trasporto centro-mentale…” non del trasportato.
L’Ombra delle Parole è nato nel 2013.
All’inizio era un blog che cercava la propria strada di uscita dal novecento epigonico e agonico, la compagnia era la più varia… nel frattempo alcuni si dileguarono per motivi personalistici e posiziocentrici, ciascuno era più interessato al proprio narcisismo che alla costruzione di una poetica con uno zoccolo di pensiero… ma, come si sa, senza una poetica non si va da nessuna altra parte, io lo avevo scritto e ripetuto ma, si sa, il narcisismo è una droga più forte di qualsiasi ragione. Nel 2014 iniziai, insieme ad alcuni di voi, a parlare di «Grande Progetto», e lì qualcuno si allarmò e si dileguò. Negli anni seguenti la rivista si impegnò a creare le coordinate teoriche della NOe (la nuova ontologia estetica) in modo sempre più radicale e convinto (infatti altri partecipanti si allontanarono), nel frattempo altre persone si erano avvicinate vedendo invece nella nostra direzione di ricerca qualcosa di degno di essere approfondito: qualcosa di nuovo stava nascendo. Nel frattempo, negli anni che vanno dal 2018 ad oggi, la poetry kitchen si è configurata come l’espressione più innovativa della poesia italiana e una novità anche in Europa, che io sappia, ad eccezione della nuova poesia ceca che aveva iniziato con 20 anni di anticipo rispetto a noi.
Che dire? Dobbiamo dare continuità al nostro progetto, continuità negli anni con una antologia ogni anno. E magari anche con una Agenda per la quale rinnovo l’invito a chi no abbia ancora mandato le poesie e inviarle.
Comunico che ho inviato una copia della antologia Poetry kitchen e del mio saggio anche ad Andrea Cortellessa, ad Alfonso Berardinelli e alla rivista sotto indicata:
Philosophy Kitchen
Università degli Studi di Torino
Via Sant’Ottavio, 20 – 10124 Torino
tel: +39 011/6708236 cell: +39 348/4081498
e-mail: redazione@philosophykitchen.com
Web: http://www.philosophykitchen.com
prof Giovanni Leghissa
Carissimo Giorgio,
il lavoro svolto in questi anni dall’Ombra delle Parole ed in generale dal collettivo della Noe è sicuramente un patrimonio di straordinario valore poetico e culturale tout-court, che colloca ormai la nostra realtà tra le più interessanti nel panorama della poesia europea e, per quanto ne sappia, unica nella sua impostazione.
Le defezioni che si sono succedute negli anni sono state senz’altro degli strappi dolorosi, come sempre lo sono gli allontanamenti nella vita, ma d’altra parte hanno contribuito a definire meglio la traiettoria della nostra orbita.
Naturalmente vanno riconosciuti in questa ricostruzione i tuoi meriti per l’intuizione assolutamente geniale ed avanzata dell’evoluzione e della collocazione della poesia nel panorama culturale della nostra epoca.
Stiamo finalmente raccogliendo dei riscontri che riconoscono ed avvalorano la bontà del lavoro che stiamo portando avanti e sono anch’io dell’avviso che sia giusto dare continuità alla nostra opera e progetti come l’antologia, l’agenda o varie iniziative collettive che possano ampliare la visibilità del nostro percorso sono sicuramente da sostenere con entusiasmo.
Andiamo avanti così perché siamo indubbiamente avviati nella giusta direzione.
Un caro saluto a tutti gli amici dell’Ombra.
Al Grande progetto, quando nacque, mancava la comprensione di essere nella virtualità. Anche adesso facciamo confusione, pensiamo ancora alla metafisica, al pensiero nobile che si sta sgretolando; quindi il giudizio di spazzatura, di rimanenze da cucire e accostare per ricavarne vagiti, cose senza regolamento che la scrittura lasciata libera riordina a modo suo. Anche se la novità è resa evidente, bisogna, secondo me, fare un ulteriore passo in avanti: l’essere virtuale, nella sua dimensione non fisica, sta cercando momenti di incontro produttivi, sempre occasionali ma rivelatori del mondo che pensavamo di conoscere a memoria. Invece la memoria era fallace, per sua natura incontenibile, quanto a offrire stabilità, insufficiente. Ce ne siamo sbarazzati, siamo entrati mani e piedi nella coscienza virtuale, che non è solo tecnologia.
Un nodo filosofico ancora da districare, l’inquietudine. Ieri, pensandoci per l’ennesima volta, mi sono reso conto che potrebbe derivare dal senso di colpa, di provenienza religiosa. Al mondo ne siamo tutti contagiati. Pensiamo, ne siamo certi, che in ciascuno esista qualcosa di sbagliato.
Il colonnello Giorgio Stirpe risponde circa la guerra simmetrica e ibrida sul fronte ucraino.
L’OROLOGIO SONNECCHIA E REGREDISCE A TEMPI DI FORCHETTA
Tutta questa responsabilità in mano agli interrogativi.
I testi risultano incomprensibili
La legge dei puzzle violata come donne nel bottino di guerra.
Persino i punti esclamativi inorridiscono
risalgono le mura a pugnalate e colpiscono oltre i merli.
Bisognerà porre rimedio alla sintassi.
Perché collegarla al logos?
Forse funziona con un pistone in meno
e tagliando i dentifrici.
Dunque niente tubi e se necessario farli saltare
Prima che arrivino ai denti.
La locusta, una delle tre posate in tavola, pronuncia le preghiere a rovescio
Il suo Dio opera a meraviglia senza maschera e divieti.
Promette di preparare l’espresso dalla posa del caffè.
Il bicchiere si fa beffe di chi apre le labbra?
Nel sogno l’autore si cancella volontariamente
-Voglio che un’ ape entri nell’incubo 2022-dice
Almeno una, ma il produttore è schiavo di una voglia incontrollabile
E il sole del risveglio non fa che prendersela con l’ astro del momento
Il parassita che lo rende zombi.
(F.P. Intini)
Mi scrive Marco Tabellione, redattore de Il Segnale:
Ciao Giorgio,
sono ancora Tabellione. Ho avuto un’idea da proporti, un articolo che ricostruisca, citando Vico, Heidegger, Vigotskij e altri che mi verranno in mente, i due percorsi che la poesia mi sembra abbia da sempre tenuto. Quella che vuole la poesia etimologicamente come poiesis cioè arte e creazione, e quella che invece la fa iniziare da una sorta di ispirazione interiore, penso ad Heidegger e alla sua idea di dichtung, cioè poesia come dettato interiore. Che ne pensi? Mi piacerebbe lavorarci.
Un caro saluto. Marco
Risposta di Giorgio Linguaglossa
07:38 (0 minuti fa) a Marco
caro Marco,
è un progetto interessanissimo ci vorrebbe un libro intero, fare una critica del modernismo europeo e americano e una indagine sul pre-modernismo, il modernismo e poi il post-moderno, nonché gli ultimissimi esiti della poesia europea. È un progetto di enorme portata per il quale dovrei avere trenta anni in meno… quello che posso fare, molto volentieri, è riprendere alcuni spunti delle mie indagini da Heidegger in poi e fare una critica del modernismo evidenziando la forbice tra una poesia del foro interiore e una materialisticamente intesa del foro esteriore. Te lo sottoporrò, se non dovesse andare bene, nulla quaestio, lo pubblicherò poi per mio conto su lombradelleparole.wordpress.com e sulla rivista Il Mangiaparole.
Ti manderò presto un primo segmento del lavoro.
Buon lavoro a te e a tutta la redazione della rivista.
Saluti cordiali
giorgio linguaglossa
X PAOLO VALESIO
——————————————————-
Non voglio mai leggere nulla.
Libri?
Che sono i libri?
Io un tempo pensavo
i libri si fanno così:
arriva il poeta,
lievemente disserra le labbra
e d’improvviso si mette (è messo – sott.) a cantare il sempliciotto ispirato.
Prego!
Ma risulta che prima
che cominci a cantarsi,
camminano (i poeti, sott.) a lungo incalliti dal vagabondare,
e dolcemente sguazza nella melma del cuore
la stupida tinca dell’immaginazione.
Mentre sbolliscono, strimpellando rime,
una brodaglia di amori e di usignoli,
la via si contorce priva di lingua:
non ha con che discorrere e gridare.
—————————
Non voglio mai leggere nulla.
Libri?
Che sono i libri?
Io un tempo pensavo
i libri si fanno così:
arriva il poeta,
lievemente disserra le labbra
e d’improvviso si mette (è messo – sott.) a cantare il sempliciotto ispirato.
Prego!
Ma risulta che prima
che cominci a cantarsi,
camminano (i poeti, sott.) a lungo incalliti dal vagabondare,
e dolcemente sguazza nella melma del cuore
la stupida tinca dell’immaginazione.
Mentre sbolliscono, strimpellando rime,
una brodaglia di amori e di usignoli,
la via si contorce priva di lingua:
non ha con che discorrere e gridare.
V. MAJAKOVSKIJ
1916
ho ripescato questa poesia di Mauro Pierno
31 gennaio 2020 alle 10:27
25
E mettici i resti della sostanza
che avanza. Nelle suppellettili e nelle credenze
Nei cucchiaini
Nei buchi neri, nelle topaie
Nei sotterranei
Nelle tranvie
Nelle metropolitane
In fondo al mare
Per questo avanzano le parole
Negli specchi muti delle sorgenti
E nelle luci più minuscole
Nei corridoi di ceramica
E nelle tazze che sfarfallano
Wow! Complimenti a Mauro Pierno.
Bella la poesia di Mauro Pierno, molto originale.
Quanto alla poesia di Paolo Valesio è scritta in un modo molto particolare, e poi la struttura del dialogo tra figure che sembrano tautologiche è particolarmente riuscita. Potremmo dire, in modo kitchen, che Valesio parla attraverso i suoi quattro Avatar o Figure tautologiche… anche nella sua poesia è rintracciabile il de-posizionamento dell’io, anzi, la de-localizzazione dell’io.
Una mia poesia inedita da
Un masque rouge fait de pétales de coquelicot
(Una maschera rossa fatta di petali di papavero)
Éviction d’ouvriers en inox
Champignons atomiques pop
Tridents sans dents
Flocons de cendre indifférents
Gelée rouge dans un bol d’acier
Embrouillamini en proue de gondoles
Djinn usagé couleur safran
“Sank you feri much”
Et quoi encore?
l’Aid – el – Kébir
Pour un python en plastique
*
Estromissione di operai inox
Funghi atomici pop
Tridenti senza denti
Fiocchi di cenere indifferenti
Gelatina rossa in una scodella d’acciaio
Immatassamento in prua di gondole
Djinn usato color zafferano
“Zhank you feri much”
E che ancora?
l’Aid – el – Kébir*
Per un pitone in plastica
*festività mussulmana
Scompare l’articolo. Non è cosa da poco, specie se abbiamo già dismesso verbi e la gran parte degli aggettivi. La scrittura si raffredda ulteriormente. Questo condizionerà le parole, che dovranno adattarsi al verso; il quale – è la sua funzione – dovrà cercarsi proprie forme strutturate, non per forza minimali o minimaliste. Ma serve a stabilizzare il vuoto che intesse la poesia kitchen.
Impareremo presto a convivere con l’afasia;)
OM
Un pensiero è andato. Non tornerà.
Ne abbiamo già parlato.
Al cinema sonoro. Domenica.
La risposta da dare alla categoria della Verwindung
Ogni poesia narra un «mondo» di significati. Oggi probabilmente la poesia non può che prendere ad oggetto la fine dell’epoca della metafisica sotto il vessillo categoriale della Verwindung (un termine da prendere con le molle, non nel senso di una accettazione remissiva della laicizzazione di ogni forma di vita e di esistenza sotto il regno del capitalismo globale, ma come un rimettersi alla rinegoziazione della produzione di un mondo; rinegoziazione produzione di significanti, di mondità, di possibilità, produzione di Faktizität). Il problema è il pensare una poiesis di oggi e del prossimo futuro in termini di abbandono (Gelassenheit) della rimemorazione, An-denken, e quindi abbandono della tradizione.
Che cosa significa e implica una poiesis della rinegoziazione della tradizione? C’è ragione di ritenere che il problema del rapporto con la tradizione sia la chiave della poiesis del prossimo venturo, incerto futuro. Allora bisogna attrezzarsi per un lungo viaggio, calzare degli scarponi adatti alla traversata del campo minato della tradizione e dei suoi significati non più stabili, accettare il fatto che l’arte non ci pone più in contatto con un orizzonte di significati stabili ma con nuovi scenari instabili.
È molto probabile che la poiesis del prossimo incerto futuro si giocherà la sua partita doppia proprio su questo punto: sulla risposta da dare alla categoria della Verwindung, non più accettazione remissiva di un Gestell ma rinegoziazione, riabilitazione attiva della «fantasmagoria» delle merci (dizione di Adorno), riabilitazione rinegoziazione del «sortilegio» delle merci (Adorno), del quale la nostra soggettività è parte, rinegoziazione del post-moderno nella nuova epoca del Dopo il Moderno con al centro la problematica della disfunzione del valore del «nuovo» e l’avvento della innovazione continua come espressione normale della soppressione del significante; il «nuovo» è la riabilitazione del significante e il «ritorno del sempre eguale», ovvero, il significato. Problematiche tutte che pongono e porranno la poiesis del presente e del prossimo incerto futuro dinanzi a questioni scottanti, non eludibili: in particolare, come coniugare il decesso del «nuovo» con la necessità di apportare di continuo una riabilitazione e ri-territorializzazione dei procedimenti che conducono alla produzione del «sempre uguale» sub specie della ideologia della soppressione del «nuovo»? Non si nasconde qui una antinomia nel cerchio magico della «totalità ermeneutica» nella quale la questione dell’EsserCi e della poiesis si gioca e si giocherà le sue scarne possibilità di sopravvivenza nel prossimo futuro venturo?
Poesia della Menzogna equivale a Menzogna della Poesia ?
———————————————————————
Andrej Dmitrievič Sacharov riteneva che non fosse possibile realizzare una società libera attraverso la menzogna.
—————————————————————-
Se identifichiamo la Società Libera con la Poesia
e la Menzogna come il suo contrario, cosa si realizza?
————————————————————
Nelle Società oppresse nascono le grandi Poesie della Storia.
Nelle Società libere non nascono grandi Poesie.
——————————————————————–
La Poesia ha sempre combattuto il Potere e le varie machere della Menzogna.
Ma davvero che nelle Società libere non vi è Menzogna?
Non so se sia un bene per la poesia che un poeta sia sempre fedele a una linea immutabile dove struttura, linguaggio e contenuto sono pressoché costanti. Forse fa bene al poeta avere una confort zone dove i livelli di ansia sono abbassati, i motivi di stress sono ridotti e anche la paura o le paure rimangono entro i confini del conosciuto.
Oggi in via del Campo Boario 4/A, alle ore 18.00, Roma, ci sarà la presentazione del libro di Paolo Valesio, nell’occasione riporto la nota di lettura che ne ha fatto Marie Laure Colasson.
Paolo Valesio, Il Ttestimone e l’Idiota, La nave di Teseo, 2022 pp. 278 € 20 .
In una sua nota di lettura Giorgio Linguaglossa parla di «poeta kirkeegaardiano che ha attraversato la storia contropelo, che, nell’epoca della fine della metafisica, si è creato una propria metafisica per poter investigare un mondo ormai dissacrato, privo di sacro, che ha relegato il sacro nelle discariche degli oggetti e delle parole a perdere. È di qui che prende inizio il discorso poetico valesiano. La parola diventa testimonianza di una verità che è ogni giorno di più indicibile, impronunciabile, innominabile». Ben detto, io però vorrei parlare di un poeta ad un tempo cosmopolita e provinciale, globale e glocale, che abbraccia le due facce del linguaggio e dell’essere nel mondo. In Valesio la parola diventa «testimonianza» in virtù del semplice appalesarsi della parola poetica in un discorso tutto interno, internalizzato e, quindi, proprio per questo, pubblico, per pudicizia e per rigore. Davvero un libro singolare, dissimile dai libri che si pubblicano oggi, che cerca con tutte le proprie forze di aprire un varco nel linguaggio sordo degli uomini del suo tempo, che parla un linguaggio non classificabile entro le categorie ermeneutiche della critica letteraria. E questa sua «inclassificabilità» è il miglior argomento in pro del lato pubblico di esso, del suo volgersi verso i pubblicani, coloro che commerciano con le cose pubbliche di beni privati che, per loro natura, si sottraggono alla impudicizia della pubblicità. Tutto sospeso tra la grazia e la colpa, tra la richiesta del perdono e la impossibilità di concederlo, il discorso poetico valesiano si comporta come l’«Idiota» (uno dei suoi quattro personaggi del libro: il Testimone, l’Idiota, la Fiamminga, la Voce), che ripete sempre la stessa parola fino alla nausea e allo stordimento.
(Marie Laure Colasson)