Domande di Roberto Bertoldo a Giorgio Linguaglossa a proposito dei sedici autori presenti nella antologia Poetry kitchen pubblicata da Progetto Cultura nel 2022, L’elefante sta bene in salotto ma nessuno lo vede, o meglio, tutti fanno finta che non c’è nessun elefante… tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio, siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati

giraffa antropomorfaIbrido kitsch: giraffa antropomorfa femminile

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Caro Giorgio Linguaglossa, avendo letto il tuo saggio L’elefante sta bene in salotto e l’antologia di autori vari Poetry Kitchen, vorrei rivolgerti dei quesiti su alcune problematiche che ti hanno visto fondatore di un movimento che si propone come avanguardia principalmente artistico-poetica.

(Roberto Bertoldo)

Domanda: Prima di iniziare volevo chiederti l’eventuale conferma che la seguente affermazione tratta dal tuo saggio sintetizzi pienamente la tua e vostra posizione circa la “modalità kitchen”: «La riduzione del reale da trauma a spettro e dell’immaginario da riflesso narcisistico e scenario fantasmatico a categoria ontologica è uno dei punti decisivi e più importanti della modalità kitchen e del suo modo di operare» (p. 45).

Risposta: Confermo. Tengo a precisare che la poetry kitchen non è un movimento di «avanguardia» o di «retroguardia», entrambe categorie del lontano novecento che sono un po’ come i cibi scaduti, puzzano di stantio. Viviamo in un mondo in cui ciascuno si comporta come se non ci fosse alcun Elefante nel salotto, tutti agiscono e pensano a secondo di quello che conviene all’inconscio cognitivo di ciascuno, e così tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio. Siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati.

Domanda: Uno dei principi espressi nel vario e complesso saggio L’elefante sta bene in salotto è che la metafisica è finita. Ora io sono contrario a questa asserzione, non credo che sia finita ma che si sia scoperto il suo inganno e che questa scoperta sia a sua volta un inganno, che è un inganno e così via all’infinito. La metafisica è a mio avviso evitabile solo in modo epifanico, da qui il valore del simbolismo in tutte le sue sfumature capaci di cogliere la “fisicità” ovvero l’immanenza delle cose. La tua tesi è chiara ma potresti esporla alla luce di questa posizione dissenziente? Per esempio mediante la tua critica al carattere epifenomenico della poesia occidentale.

Risposta: Qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte. In questi ultimi anni è avvenuto in me un fenomeno strano: qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte pian piano, un ladro si è infiltrato nella mia mente e mi ha trafugato le parole: QUELLE parole della «critica» con le quali si fabbricano le schede-libro delle note di lettura e dei quarti di copertina. Non sono più capace di adoperare: QUELLE parole per redigere le cosiddette «recensioni» o «note di lettura». Sono così rimasto senza parole. Non sono più capace di redigere quegli scritti augurali e procedurali che ammiro con sempre maggior stupore nelle schedine critiche che leggo in giro. Mi sono accorto che il vuoto ha inghiottito tutte QUELLE parole, e di QUELLE parole non è rimasto più nulla. E ne ho preso semplicemente atto.

Per questo sono stato accusato di essere un cavaliere del vuoto, un nullista, un nichilista, un nullificatore o non so che altro. Mi sono accorto che sono diventato incapace di adoperare QUELLE parole della poesia maggioritaria e posiziocentrica che si scrive oggi, quelle poesie corporali, confessionali, augurali, non so come dire, alla Mariangela Gualtieri, alla Vivien Lamarque e, ultimamente, alla Franco Arminio. Sono ormai diventato allergico a QUELLE parole. Le ho perdute. Le ho scacciate. E Penso che una analoga allergia sia stata avvertita anche dagli autori della antologia kitchen.

Fare poesia kitchen implica fare i conti con il nulla, il vuoto, l’insignificanza. Pensare di fare una poiesis dell’originario è una sciocchezza e una ingenuità filosofica, gli enti sono lontanissime tracce dell’Originario, di cui niente sappiamo e che comunque si è dissolto, si è auto tolto.

Scrive Giorgio Agamben:

«Viviamo in società abitate da un Io ipertrofico, gigantesco (corsivo mio), nel quale però nessuno, preso singolarmente, può riconoscersi. Bisognerebbe tornare all’ultimo Foucault, quando rifletteva sulla “cura di sé”, sulla “pratica di sé”. Oggi è rarissimo incontrare persone che sperimentino quella che Benjamin chiamava la droga che prendiamo in solitudine: l’incontro con sé stessi, con le proprie speranze, i propri ricordi e le proprie dimenticanze. In quei momenti si assiste a una sorta di congedo dall’Io, si accede a una forma di esperienza che è l’esatto contrario del solipsismo. Sì, penso che si potrebbe partire proprio da qui per ripensare un’idea diversa del credere: forme di vita, pratica di sé, intimità. Queste sono le parole chiave di una nuova politica».*

Ci sono in giro una molteplicità di «autori di poesia» impegnati nell’opera di auto storicizzazione della propria poesia, non c’è bisogno di altri posiziocentrici. La nuova poesia o possiede un disegno generale della poesia occidentale o, in mancanza di un Grande Progetto, si finisce per scrivere parole sulla sabbia.

Ancora nel 1966, anno dell’intervista a Montale in una trattoria, il poeta italiano poteva affermare tranquillamente che non ascoltava mai la radio e non possedeva la televisione. Io mi limito ad osservare che la nuova poesia, la «nuova ontologia estetica» non potrebbe essere nata senza la piena immersione nella civiltà mediatica. Oggi, se ci si pensa un attimo, non è possibile in alcun modo rifugiarsi in un angolo oscurato della civiltà mediatica, siamo tutti, volenti o nolenti, in qualche misura intaccati ed influenzati dal mondo mediatico. La fine della metafisica di cui qui si parla non è un optional che si può rifiutare e da cui ci si può difendere con una resistenza, una ostruzione, la metafisica è l’essere che si dispiega e che è giunta alla sua fine annunciata. In altre parole, la fine dell’essere è già stata segnata dall’insorgere della civiltà mediatica. Non volerne prendere atto, è, appunto, un atto di cecità oltre che di ingenuità.
La nuova ontologia del poetico e la poetry kitchen è il presente e il futuro della poesia perché implica l’accettazione di dover misurarsi con il mondo mediatico. La maieutica mediatica è un’ottima scuola. Ho avuto pessimi maestri, ed è stata una buona scuola.

* [da una intervista reperibile on line]

Domanda: Ma oltre al mondo ontologico non è metafisico pure il linguaggio verbale? E non lo sono anche il mondo fenomenico e quello che, nell’immaginario, lo trascende? Non è dunque proprio l’epifenomeno, che voi ritenete onnipresente nella poesia occidentale e che condannate, il solo modo in poesia di disattivare la metafisicità della lingua?

Risposta. «Epifenomeno» è una categoria che non ho mai usato, è una parola che rischia di portarci fuori strada. Ritengo «onnipresente» nella poesia occidentale la poesia dell’io plenipotenziario e penitenziario, quello sì, l’io petrarchista dove l’io è un «epifenomeno». Disattivare la lingua dalla servitù ad un significato, questo sì ritengo sia il compito di una nuova ontologia del poetico o poetry kitchen che dir si voglia.

Domanda: Se ho ben capito l’Instant poetry, una sorta di poesia estemporanea senza tema, che può rientrare nell’ambito del surrealismo, e la Kitsch poetry, con le sue consapevoli, volute nefandezze atte a rimuovere la bellezza stantia, compongono la Poetry Kitchen, il tavolo da lavoro per il riutilizzo della materia poetica. Non so se alla Poetry Kitchen ci siate arrivati per gradi o improvvisamente, non conosco la cronistoria se non un accenno del percorso della NOE. Non so per esempio se c’entra il collettivo Malika’s Kitchen di Malika Booker. Comunque la Poetry Kitchen mi pare una forma conchiusa di minimalismo ma con un impegno sociale esplicito e fondato sulla quotidianità e con un linguaggio ordinario, addirittura volutamente corrivo. L’impegno è nobile ma è come prendere una carota e renderla poetica cucinandola. Fare, simbolicamente, di una carota un’opera d’arte significa certamente rivitalizzare gli oggetti e toglierli dal dominio stantio dei salotti, col rischio però di idealizzarli, nonostante sia un modo valido per avere un fondamento concreto. Il rischio è l’«aglio di bassa cucina», come diceva Verlaine, che potrebbe essere il padre antico del progetto poetico di cui state parlando. Il Novecento, in alcuni casi, ha preferito fare di un’opera d’arte un oggetto quotidiano: tuttavia mangiare tutti i giorni Ossi di seppia, Guernica, la Sonata per pianoforte e violino in la maggiore n. 9, op. 47, San Rocco e un donatore o Blumenbilder, pur essendo didatticamente a mio modo di vedere più utile, ha in effetti poco a che fare con la creatività e rientrerebbe nel citazionismo postmoderno. In ogni caso i progetti sono dannosi in poesia, a meno di riuscire a non farsi prendere dalla foga del disegno e osservare non solo la strumentazione e l’azione ma l’ecumene. Certamente a differenza dell’arte postmoderna il vostro non è citazionismo, non è atto di natura parnassiana, di “metarte”, ma rivitalizza la quotidianità e i suoi oggetti. Le vostre opere dunque non mirano primariamente ad un esito estetico, nonostante l’inevitabilità di quest’ultimo, ma a rappresentare la vostra personale attuazione estetica. Mi scuso per gli inevitabili fraintendimenti di questa mia riflessione-quesito tutt’altro che assertiva.

Risposta: Con il «nuovo paradigma»  della nuova ontologia estetica cambia radicalmente la forza gravitazionale della sintassi, il modo di porre l’una di seguito all’altra le «parole», la scacchiera delle parole le quali obbediranno ad un diverso metronomo, non più quello fonetico e sonoro dell’endecasillabo che abbiamo conosciuto nella tradizione metrica italiana, ma ad un metronomo sostanzialmente ametrico, pluriprospettico, pluri spaziale, pluri temporale. Nella poetry kitchen non c’è più un metronomo perché non c’è più una unità metrica, di qui la importanza degli elementi non fonetici della lingua (i punti, le virgole, i punti esclamativi e interrogativi, gli spazi, le interlinee etc.), che influiscono in maniera determinante a modellizzare gli «enunciati» all’interno del nuovo «metro» ametrico. Di qui l’importanza di una sintassi franta, scombiccherata. Ecco spiegato il valore fondamentale che svolge il punto in questo nuovo tipo di poesia, spesso in sostituzione della virgola o dei due punti, o addirittura la mancanza totale della punteggiatura. All’interno di questo nuovo modo di modellizzare le parole all’interno della struttura compositiva si situa l’importanza fondamentale che rivestono le «immagini», l’impiego delle quali nella poetry kitchen è molto diverso da quello della pratica surrealista, nel kitchen i salti temporali e spaziali sono assolutamente indispensabili, il capovolgimento e la peritropè contraddistinguono la pratica kitchen.

Domanda: Leggendo l’antologia Poetry kitchen, al di là della innegabile validità e forza dei testi che la compongono, ho notato in alcuni autori quell’epigonismo che contraddistingue i gruppi letterari e artistici. Questo fatto non è necessariamente negativo, come dimostrò per esempio il futurismo, ma non rischia di etichettare come scolastica tutta l’operazione creativa? E quando parli, con coerenza alla linea di rivitalizzazione degli oggetti, di «compostaggio dei linguaggi deiettati, dismessi e tolti» (p. 51) confermi la natura necessariamente scolastica della nuova poesia?

Risposta: Deriva da una lettura pregiudiziale indicare come «scolastica» la modalità kitchen, «scolastica» è la poesia dell’io plenipotenziario ed ergonomico che si fa in Italia da quaranta anni a questa parte, che vuole essere anfibia e posiziocentrica quando invece è semplicemente banale.

Due autori dalla Antologia Poetry kitchen

Giuseppe Gallo

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Giuseppe Gallo, è nato a San Pietro a Maida (Cz) il 28 luglio 1950 e vive a Roma. È stato docente di Storia e Filosofia nei licei romani. Negli anni ottanta, collabora con il gruppo di ricerca poetica “Fòsfenesi”, di Roma. Delle varie Egofonie,  elaborate dal gruppo, da segnalare Metropolis, dialogo tra la parola e le altre espressioni artistiche, rappresentata al Teatro “L’orologio” di Roma. Sue poesie sono presenti in varie pubblicazioni, tra cui Alla luce di una candela, in riva all’oceano,  a cura di Letizia Leone (2018.); Di fossato in fossato, Roma (1983); Trasiti ca vi cuntu, P.S. Edizioni, Roma, 2016, con la giornalista Rai, Marinaro Manduca Giuseppina, storia e antropologia del paese d’origine. Ha pubblicato Arringheide, Na vota quandu tutti sti paisi…, poema di 32 canti in dialetto calabrese (2018), ha pubblicato il romanzo Vi lowo tutti, (Progetto cultura, Roma, 2021). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. È redattore della rivista di poesia e contemporaneistica “Il Mangiaparole”.

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Da Il silenzio dell’ossidiana (2017-18)

(1) Ai tempi di Internet

COLESTtab 10. Avvertimenti medici.
Nessun io, nemmeno un dio.

È inutile che cerchi divagando
dentro il garage. È partita per Marrakech.

Nel bagagliaio cianfrusaglie e riviste.
La linguaccia di Einstein. Uragani di aguglie.

Gli scarti dei lamenti e delle emicranie
nelle scatole rosse e bianche degli scaffali.

Gli effetti collaterali. I soffocamenti,
la dispersione dei fonemi tra i rossori e i formicolii sulla pelle.

Lilli ha nuovi fantasmi, nuovi inferni nella testa.
Agiografie di martiri, le croci inginocchiate.

Camule sul dorso di draghi
pelurie sradicate sulla guancia di destra e di sinistra.

Ai tempi di Internet
la lastra a raggi x per l’enfisema già antiquata.

LEGALON E
Non escono all’aperto neanche i gatti dei cani

Sui litorali i delfini, gli africani berberi insabbiati.
Deficienza dell’orientamento.

II robot nella sala d’attesa dello psicologo.
Gli schemi, gli ologrammi. Gli angeli spiumati.

(2) T A C t.b.

Alice: l’inverno sta arrivando nel paese delle meraviglie.

Si approssima in segreto tra i cespugli scarniti
e sui vetri annebbiati dei semafori.

… l’annuncio è sceso di prezzo.
Passato e futuro a confronto: Mosca da €159 a/r

Anche se fosse estate o il giorno del rientro
“Dio, che incubo!”

I manifesti scollati entrano a destra e a sinistra del cervello.
E Dio a ripetere. “Gli uomini! Gli uomini sono il mio incubo!”

Inevitabili come i mocassini
e l’acqua alta e lo scioglimento dell’Artico.

Contatta. Riprova. Allunga i tempi. Succhia la speranza.
Ristrutturazione etico-linguistica.

A ripetizione a iosa a penzoloni in piedi
sfiorando l’ombra che ti graffia gli occhi.

Quando scavi trovi sempre e solo superfici
a sghimbescio, laterali, pareti d’altri vuoti.

I social network e il lutto della memoria,
l’immortalità dell’illusione vista mare. Un bonus

Ristrutturazione integrale .T A C t. b.

Santi di pietra a schermare l’occidente di novembre
e gli sciami dei capperi verde vescica sulle mura aureliane.

Alice mail: smarriti ancora dentro un altro rigo.

Da Zona Gaming (2019-2020)

Zona gaming 1
E chi mai si salvò dalla Babele della Torre?

Ogni peccato ha il proprio cielo.
Ogni sintagma il proprio sepolcro.

Dalla Spada della Morte solo tre gocce di fiele
la prima per me, la seconda è tua, la terza a chi vuoi tu.

Zona gaming.
…il silenzio si inginocchia alle radici…

«Perché hai ucciso il cane?»
«Perché i cani abbaiano!» ( Nick Tosches )

Qualcuno ci ha dato l’infinito
e ha fatto evadere il tempo dalla clessidra.

Zona gaming
…gli omicidi industriali dei desideri.

Il tran tran del treno che traina la metrica
È sempre l’ora della nostra morte!

Giocando l’azzardo d’un sorriso.
Scollando le costole del senso.

Strisciando sul guscio, sbriciolandone il calco.
Oltre i muri il pigolio, l’allucciolio, il bio,

ma il mio, ahimè, è un Voyage privè.

Zona gaming… crea un alert per la verità…

Zona gaming 3

Tutti pronti per il mercato.
Mummie impregnate di silenzi contemporanei.

Il drago sorride prima del fuoco.
Non c’erano respiri sui divani!

Il vuoto a rendere delle conchiglie.
Ah! Se la metafora dileguasse!

Zona gaming
…per me, per te… che parliamo bluffando…

Gli rispose con un ghigno:
-Sono io che faccio le domande!

Anche la tartaruga diventa centometrista.
Anche l’asino vola. Dove tutto è possibile non ci sono.

-Dunque, ti ascolto.
Aveva la voce dei tramonti più brutti.

Zona gaming…“Montale, sono io che faccio le domande.” (G.Izzo)

È il pensiero la radice d’ogni male.
Solo tre gocce di sangue.

La prima per me. La seconda è tua.
La terza per le ferite che ci unirono, ma il lupo non lo sa.

Sull’altra sponda il volo dell’angelo che atterra.

È chiaro che siamo l’eco di noi stessi.
E il tram s’addentrò nell’architettura dei segni.

Zona gaming.. .amnesia va cercando…

Francesco Paolo Intini

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022
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La parte di Lucrezio e quella di Turing

La parte sporca tocca ai neuroni
che hanno visto il Muro e ci stavano bene dietro.

Quando li svuotarono di significato
appesero le divise in armadietti

E si misero a correre in quadri blu di Picasso.

Ci doveva essere un inizio se ripeteva le sinapsi
Un altro Terzo Reich si replicava a dismisura.

Le gambe al mento, gli occhi luna.

Non c’era tempo per la chimica.
Il verso generava spettri di risonanza magnetica.

Cresceva il malcontento. Un tunnel attraversava le fogne
per sbucare nel lavandino di Scrooge Mc Duck.

All’ autogrill una delle Fontane tornò al suo posto
Non più! Non più, come un corvo senza firma sul culo.

Bosch cambiò un quadro di Vermeer
in un’ostrica al ragù.

Tutto si poteva immaginare tranne che trovare Cecilia
In una stazione dell’ Appennino campano.

Ebbero una sincope anche i gratta e vinci.
Voglia di difendersi dalle maniglie.

Alcune autobotti riempirono tazzine di caffè.
Senza zucchero, né aspartame, nafta dalle narici.

Lucrezio declamò l’ultimo libro dalla finestra di un XX piano
A Bari non sapevano come difendersi dagli ologrammi.

Si lasciò cadere la circostanza di un water in eruzione.
Nel frattempo alcune blatte si erano impadronite del circo massimo.

Viaggiarono senza fermarsi, travestiti da souvenir nei freni,
tra le scintille delle rotaie con la fragilità delle ampolle di neve.

Non più gladiatori e nemmeno Piazza Fontana.
Tutti cancellati i voli verso gli anni sessanta-settanta-ottanta.

La fuga è prevista nel tunnel di mezzanotte.
Niente panico. Invertire le lancette dopo il fischio d’inizio.

Le poche gazze si ammucchiavano coperte di escrementi.
Ossa di contadini e pastori nel raccolto di giugno.

Il mondo che ci lasciammo non ammetteva blitz, né storia
Soltanto Jet di microplastica in lotta con l’ anidride carbonica.

Ora i proletari erano tutti agenti di commercio
Odorava di miele la catena di montaggio.

Salutare anche l’alito dei fucili alle porte di Milano.
Manager dell’uranio povero lottavano con bancari.

Polvere pirica si annunciava nel respiro delle viole.
Nessuna Chernobyl fu chiusa per l’occasione.

Alcuni roghi restituirono i libri di Marx-Engels
altri la mordacchia di Giordano Bruno.

Per calmare la sete si mescolavano iceberg a titoli dei TG.
Nel pelo di un ratto l’Eugualemmecidue di Einstein.

Il mazzo veniva mescolato da tre secoli
Nessuna delle dita trovò il coraggio di distribuire le carte.

Enigma resisteva alle metafore.
Una mela amara la soluzione.

Si partì da omega, barra dritta verso Venere
Stella alfa nel berretto del tramonto.

Il mignolo di Wahrol ripulì l’orecchio sinistro.

Reloading Faust

«Dovrei esser morto?». K. fece una piroetta.
«Perché, dovresti essere vivo?», replicò la Figura.

(“Distretto n.88”. di Giorgio Linguaglossa)

Mantenere in ordine i crani, con coerenza
Senza che sbattano però.

Cocci di sale sul lungomare.
Astice che stacca le ali al Jet delle 10,30.

Un megafono versò olio di oliva nelle orecchie
E da lì trovò la via crucis per l’anno zero.

Alcuni concetti erano stati terribili
Si erano concentrati a sobillare la luna.

Faust parlò tristemente a Margherita.
Non si era accorto che Fidel era ancora sul palco.

E qualcosa doveva all’insistenza di Wharol
Gli attacchi seriali alla primavera di Botticelli.

Rimettere i fiori di pesco in bustine
per i giocatori. Campagna acquisti 1959.

Ancora non era chiaro che certe libertà
Finiscono crocifisse sulla via Appia.

Come se la luna spostasse l’ Himalaya nell’Atlantico
e impedisse ai Barbudos di raggiungere l’ Avana.

Concentrare cellule vive sul Che.
Deviare la finanza dal trend di staminali.

Giove nacque che già pallottole imperversavano
Kronos doveva difendersi dalla concorrenza cinese.

Cose che sarebbero accadute nell’anno mille
presero a correre nel 2020.

Chi capisce la termodinamica!

Una notte che si fermò il cuore e più non osava Fb
intervenne Giocasta, con la bobina degli anni in mano.

Non c’è nulla da tagliare, scuotiti dal torpore del vichingo
Mezzanotte è un’invenzione della vicina di casa.

Torna a considerare la pillola dell’efficienza
Conta le bolle nel Graal.

La lavastoviglie reclamò il privilegio dello ius primae noctis
e prese a sistemarsi le forchette nel letto d’acciaio.

In fieri si procede a porte sprangate
Interessi zeri e copertura assicurativa.

Verranno a prenderti le bollette Enel
le rate del mutuo per l’ auto bianca.

La poetica inceppata si mette a seguire
un’ape regina. Rossa, agitata e feroce.

Plath in persona.

Dovevi nascere proprio poeta
o filosofo o chimico o idraulico?

Meglio poltrona telecomandata
in odore di dada e vecchiaia che regredisce.

Che malattia causa la senilità?
L’immortale rifiorisce sul sentiero del ritorno.

Elena recita una poesia di Paride.
Si innamorò della tarantola che ora abita il petto.

“Prima o poi scalderà il cuore”
Credi che non sia lirica abbastanza?

Né quasi né mai né sempre né ora né adesso
Il ritorno di crusca nel grano fu previsto.

Qui si genera segale cornuta
Chi l’ha detto al Dott. Hoffman di fermarsi

Non lo sa che mostrare i documenti
è già dipendenza da LSD.

Il suo curriculum sarà esaminato da Graffiacane
Per il momento potrà volare sulla sua bicicletta

Poi le amputeranno gli arti, le confischeranno i versi.
Un uncino farà il resto nella sua vasca da bagno.

Potrà solo mettere note esplicative alle allucinazioni.
Curare le ferite dell’ incomprensione con punti esclamativi.

Pillola blu o rossa davanti al frigo.
Di sotto una folla di bottiglie gestisce un bar.

Si torna ai cristalli liquidi.
Attendono boschi e problemi di innesto.

Come ghiacciare allo zero kelvin un’ idea
facendo a meno delle ricette sull’ elio.

Un ricostituente si riconosce
dai fichi che si seccano a maggio.

L’omino della discarica lascia impronte di santo.
Il fondo del catrame si agita con un cucchiaio da thè.

Capire come ci si comporta davanti a un becco Bunsen
È lo steso che infiammare Campo dei Fiori.

Perché la distrazione è una tattica
E il mare confonde le idee.

Partorisce schiuma da barba
e buste di cellophan.

Lanci di appestati sulle strade di Bari.
Sargassi di coriandoli nel canale d’Otranto.

Il melo muta le squame del tronco.
Anche il papavero ha i suoi tarli nel rosso.

La punizione per aver spostato l’interesse sul Mare Nostrum
consistette in un discorso di mezzobusto.

Impararlo a memoria e gridarlo in un Park and Ride
mentre a fianco ordinavano ad un olivo di torcersi la bocca.

Sono le idee base che fiaccano i germogli
la misura di una sfera inizia dal centro.

E poi l’ aritmetica compie il suo delitto.
Chi l’ha detto che è promiscua alla rivolta?

Potarli e addestrarli a barboncino
dargli il tempo di alzare una radice.

Non è semplice orinare linfa
e cercare una figura di uomo.

Il secolo ripercorre i suoi passi
Le infezioni spariscono, l’entropia fallisce lo scopo.

La malattia dei cartelloni pubblicitari
Guarisce spontaneamente.

Nessun bidone, però qualcuno
tira fuori la generazione spontanea

e il vaccino non balena a Pasteur.
Muore di rabbia un virus.

A metà strada ci fermammo
Né pieni né vuoti.

In vetta alle classifiche c’è una gazzella che uccide
Un bisonte intanto mira Buffalo Bill.

Cerca il cannone l’obice su Berlino
In risalita anche le bombe di San Giovanni.

Qui si è tutti metafore ma in prospettiva
ci sono leggi da ferrare.

Forse una piantagione di pomodoro
su cui passeggia un drago di Komòdo.

Vietato procedere per esempi vivi
meglio quelli della mente.

Pezzi da Experimental traboccano in cronaca
e dunque nelle lettere al direttore.

Far fesso Faust, che idea! Partire dall’ una di notte
e sbucare con il trucco del cuore fermo.

Convenevoli e infezioni tra diavoli.
Tradimenti nel salone del barbiere.

Mostrargli la chiave di volta, il saggio
di onnipotenza a portata di esperimento.

Stormiscono di tanto in tanto
mani su pruni in sangue.

Placche di colesterolo

Sempre meglio che il fiato del mezzobusto
seduti nel governo della notizia.

La nuvola si discostò dall’ hopperiano
Gonfia di noia come avesse mercurio nelle braghe.

Anche i poeti amano la parola televisiva
Il racconto dell’io portato a misura dello spread.

Legittimità costituzionale affidata ai segnali di stop
Si va a tentoni in certe rotatorie.

Giusto il tempo (nanosecondi) di dire qualcosa sui baffi di Gioconda
l’aria baudelairiana della carcassa di cane.

Si aspettano versi migliori
per il momento c’è il funerale di Ettore.

Una voglia matta di riscrivere l’Iliade
Dargli un taglio meno nefasto. Meno donne trascinate nell’ Attica,

meno guerre del Peloponneso
e strazi di discendenti con un occhio solo.

Per farla breve metterlo nel curriculum di un Nobel
Tra i requisiti minimi per affrontare la regina di Svezia.

Il mezzobusto annuncerà che di questo passo
L’anno prossimo toccherà a Lucrezio. Basta mettergli una cravatta.

Si, il buon Lucrezio a raccontare la peste di Atene
È davvero il più grande di noi. Il primo a spergiurare fuori scena.

La lista si era esaurita. I postumi portano diritti ai masticatori di erba
Il tecnezio non ce la fa ad entrare in gallerie cro-magnon.

Ci sono trofei di guerre neolitiche appesi alle pareti.
Il vecchio Omero non vede i bisonti. Si arresta davanti ai mammut.

Sogna eroi. Non sa della scintigrafia
Si affida all’oracolo di Delfi per cavarsela con le placche.

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen e del volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchenpoesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.
Roberto Bertoldo (Chivasso29 aprile 1957) È autore di raccolte poetiche, romanzi, racconti e saggi filosofici. Dopo la laurea in Lettere si è dedicato all’insegnamento nelle scuole superiori. Dal 1996 ha diretto la rivista internazionale di letteratura «Hebenon».
Negli scritti di filosofia ha teorizzato, sulle tracce di Leopardi e Camus, il nullismo come superamento del nichilismo, e la fenomenognomica come sensuale e titanica proiezione fenomenologica, per virtù della quale l’uomo trova nell’impegno civile la giustificazione filosofica delle sue azioni etiche ed estetiche e per la quale l’arte può finalmente realizzare l’incontro fra purezza e concretezza.

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59 risposte a “Domande di Roberto Bertoldo a Giorgio Linguaglossa a proposito dei sedici autori presenti nella antologia Poetry kitchen pubblicata da Progetto Cultura nel 2022, L’elefante sta bene in salotto ma nessuno lo vede, o meglio, tutti fanno finta che non c’è nessun elefante… tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio, siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati

  1. postscript

    Roberto Mussapi, Biancamaria Frabotta, Antonella Anedda, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Antonio Riccardi e altri epigoni minori adottano pezzi di modernariato in un arredamento linguistico che è diventato totalmente postmoderno, l’effetto complessivo è una riedizione in chiave conservatrice di oggetti linguistici del modernariato, fanno una liturgia del modernariato. Da questo punto di vista il minimalismo di un Magrelli è linguisticamente più avanzato, almeno lui si libera di quegli oggetti liturgici gettando dalla finestra i pezzi di un modernariato ormai implausibili e impresentabili.
    Il fatto è che oggi parlare di «autenticità», di centricità dell’io, di «identità», di «soggetto», di «riconoscibilità», di «originarietà» della scrittura poetica implica un rivolgimento: porre al centro dell’attenzione critica la questione di un’altra «rappresentazione», di un «nuovo paradigma», di una «nuova forma-poesia». Il discorso poetico della poetry kitchen passa necessariamente attraverso la cruna dell’ago della lateralizzazione e del de-centramento dell’io, della presa di distanza dal parametro maggioritario del tardo Novecento incentrato sulla metastasi dell’io egolalico ed elegiaco e su una «forma-poesia riconoscibile». Il capitalismo cognitivo in crisi di identità e di accumulazione genera ovunque normologia e riconoscibilità, quello che occorre è l’«irriconoscibilità», una poiesis che abbia una forma-poesia irriconoscibile, infungibile, intrattabile, refrattaria a qualsiasi utilizzazione normologica.

    • Jacopo Ricciardi

      Il mio ultimo libro “Dei sempre vivi” è uscito con Stampa2009 diretta da Cucchi. Il libro non è né avvicinabile alla Poetry Kitchen (anche se si dirige verso quei lidi) né parente della poesia minimale dell’io e dell’esperienza di cui Cucchi è certamente l’esponente più autorevole.
      Si distanziano da questa posizione io-centrica tutto quel gruppo di poeti simili a Marco Giovenale che escludono l’io in favore di una oggettualità del mondo.
      Già tra questi due gruppi non c’è alcuna comunicazione, posti come sono sulle due facce della stessa medaglia. Un passaggio però esiste, e riguarda l’utilizzo è la considerazione (la lettura) da parte del secondo gruppo di tutta una serie di testi che per esempio vengono dall’arte contemporanea (Emilio Villa in testa) e questo dal mio punto di vista fa loro onore. Mentre parlavamo del libro da pubblicare Cucchi era avverso al Lucio Fontana dei tagli mentre esaltava il sempre eccezionale Lucio Fontana delle ceramiche figurative, o pseudo figurative. Dal mio punto di vista l’inclusione è sempre migliore dell’esclusione.
      Ora se uno volesse una poesia che lavorasse sull’esperienza e sull’io ridimensionandone la portata da una diversa angolazione, si potrebbe benissimo parlare dei due premi Nobel Szymborska e Transtromer, molto diversi ma “rigenerativi”. Che il minimalismo italiano sia invece “conservatore”, paragonandolo a due Nobel, mi pare lampante.
      Soprattutto Transtromer nella poesia “Silenzio” mostra come il contesto o il collante, o il linguaggio, debba essere compreso o ricompreso, perché il testo ne stabilisce un nuovo ordine: le immagini in successione sostituiscono il dettato, il parlato, quindi il poeta non utilizza le proprie parole ma delle immagini che si sostituiscono al suo parlare e al suo apparire nel mondo. Quindi le frasi di immagini si autoindagano e sprofondano in un abisso del linguaggio rinominando il “silenzio”, rinominandolo in “Silenzio”.
      Quando in Poetry Kitchen si citano i versi di questa poesia “Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami / giù nel profondo dove l’Atlantico è nero” si isolano questi versi dal proprio contesto e così isolati sembrano già una poesia Kitchen. In PK si passa dall’immagine sola di Transtromer che tramanda l’abisso dell’essere come cosa della Natura, al distacco elementare di due parti del linguaggio che fa sbuffare su di noi il vuoto.
      Io colgo in queste tre fasi una direzione di progressiva liberazione dall’io del testo poetico, e la Szymborska e ancor più Transtromer ne segnano il vettore. Quindi rifiutare questo fatto è pericoloso per la contemporaneità del proprio scrivere.

  2. Jacopo Ricciardi

    Da un punto di vista decentrato rispetto alla posizione centrica di Linguaglossa e di altri come Intini o la Colasson ecc., io mi trovo a guardare in lontananza ciò che accade in quel centro teorico e pratico, che vuole o vorrebbe, battendo sempre sul medesimo punto, mostrare uno spazio privo di metafisica, quindi senza l’illusione della rappresentazione. Quindi il processo della lettura nella Poetry Kitchen vuole o vorrebbe disarcionare tutta l’abitudine narrativa o lineare dell’osservazione e della comprensione tradizionali, fondati sul riconoscimento delle cose del mondo. Quindi si ottiene un percorso spezzato che dà su una realtà che è appunto quel vuoto o nulla scoperti in un improvviso altrove che non ha più rapporto coi frammenti che l’hanno suscitato, un vuoto che genera quei frammenti galleggianti sul vuoto. Frammenti che non sono però il vuoto, ma che per frammentazione fanno scorgere oltre di loro il perfetto il vuoto. Ora se questo vuoto sta anche all’interno dei frammenti, le parole operano come forme e racconti metafisici, con una metafisica tradita che però è sempre metafisica. Una metafisica dal volto disilluso come dice Bertoldo. Il piacere della lettura è appunto questo perdersi nella parte metafisica, tradente sé medesima, dei frammenti e nei fantasmi delle cose, più che con l’incontro con il vero vuoto che è fisso, identico, tra i frammenti di un solo poeta, e di poeti diversi, uguale, solo momento, a dire il vero inafferrabile, e non trattenibile. Quindi io credo che il vuoto esterno ai frammenti non sia un appiglio per la mente, e che si riveli alla mente come attimo comunque mascherante se stesso, nel suo essere veritiero, e che i veri appigli siano nei frammenti dalla linearità cortissima o abortita, che trattengono in sé una metafisica ripetutamente e variegatamente ripiegata nel proprio tradimento. Uscire veramente dalla metafisica vorrebbe dire teorizzare il comportamento di una mente senza corpo e priva di mondo, e del tutto senza pensiero, in un tempo vasto senza tempo.
    La Poetry Kitchen produce lo shock del vero vuoto? Forse.

    • caro Jacopo,

      è che il vuoto ce l’abbiamo di fronte a noi ed è dentro di noi, dentro gli oggetti, è nel soggetto e nell’oggetto, specularmente. E allora, quale sguardo impostare?, quale esperienza?, quale lin-guaggio? Il problema di ogni giudizio o rappresentazione derivate da una posizione frontale, è che si è sempre di fronte a se stessi, che non si può sfuggire da se stessi e che si tratta sempre di un giudizio nei confronti di se stessi, che sarà sicuramente narcisistico, specularmente autoriferito, ombelicale ovunque poi cada, se nella storia o nella storialità, nell’ipoverità o nella iperverità o nella perversione. È che non resta che una educazione alla lateralità, alla disfunzionalità del linguaggio e del soggetto che lo agisce e del soggetto che viene agito, alla formazione di un’altra ottica che sdipani i fili di quel che si è costruito ponendo attenzione alla dis-attenzione, a quel che, di volta in volta, è andato smarrito, cetrifugato. Il «cogito ergo sum» di cartesiana memoria è stato rovesciato da Lacan nel monito «penso dove non sono, dunque sono dove non penso»: il diffondersi di questa concettualizzazione non-lineare della rappresentazione del soggetto non ha avuto seguito nella produzione poetica del novecento italiano, la rivoluzione copernicana iniziata da Freud deve essere portata a compimento anche nel cassetto della poesia italiana. Il linguaggio non è la sede del trauma, il trauma buca il linguaggio, ma il trauma del linguaggio obbliga il soggetto a perdere la cosa e a entrare nella rappresentazione. Questo è il passaggio fondamentale e strutturale: il momento in cui si struttura la soggettività per la rappresentazione è il medesimo momento in cui si struttura il linguaggio. Da questo momento in poi quando entriamo nel linguaggio perdiamo la Cosa e trattiamo con i suoi sostituti: le «parole» delle «cose», le «parole» delle merci, così le «parole» acquistano legittimazione giuridica e vengono convogliate attraverso i canali della comunicazione. Le parole vengono degradate ad utilitarietà e convogliate nella comunicazione. E così perdono peso, senso, significato.
      Pensare che vi sia una uscita gratuita dalla fine della metafisica è errato. C’è sempre un dazio da pagare.

      https://www.academia.edu/37583578/PK_9_Soggettivazioni_Segni_scarti_sintomi_Subjectivations_Signs_wastes_symptoms?email_work_card=title

      • Jacopo Ricciardi

        L’ipoverità e la disfunzionalità del linguaggio anche se possono essere messi in un discorso come distinti fattori, potrebbero a un atto pratico di verifica – analisi testuale – sovrapporsi ed essere addirittura la stessa cosa. Ossia, come posso sapere se il vuoto vero non è un’ipoverità del vuoto ovvero una sua immagine. Non ho difficoltà a vedere il vuoto, a “sentirlo” addirittura, nelle cose – coglierlo nella struttura della società contemporanea -, a formare di vuoto il soggetto, a rendermi conto della non aderenza tra frontalità e pratica disfunzionale del linguaggio come lateralità, ma penso che essere certi alla lettura che quel dato frammento o parola non mantenga un’aura metafisica che si confonda col desiderio di sogno e di racconto, ancorché negato, non è certo.
        Nel mio caso poetico uno spazio e un tempo si dilatano in un modo che trova un luogo fatto di fuori spazio e fuori tempo, eppure resta una forma di spazio e di tempo, anche se nell’esperienza – alla lettura – molto diverso. Nei testi della Colasson trovo personaggi e loro gesti e situazioni ridotte e frammentate che mi danno godimento per essere dei fantasmi la cui aura mi fa sognare, nel vuoto diciamo, però sognato. Può essere un mio errore, il godimento. Però la lettura richiede soddisfazione di un godimento, altrimenti non ci sarebbe lettura. Intesti di Linguaglossa mi piacciono perché il luogo dove avviene una serie di fatti idiosincratici è un vuoto che nonostante tutto si riempie, di vuoto forse, ma che è sempre qualcosa. Così seguo la pallottola di Gino Rago, perché fa dipanare una storia che non si svolge, il filo della pallottola è fatto di vuoto ma pure passa come un filo continuo attaccato ad un ago che attraversa e lega distanze e tra loro il vuoto. Se Rago non mantenesse in vita la storia quale piacere proverebbe il lettore. Lucio Tosi seziona la realtà e la isola in maniera tale che la disgrega, ma pure la mantiene viva in pochissimi pezzi e quasi incomunicabile; perché ogni poesia comunica, e lo stare davanti a un testo così stringato che non si stringe può affascinare il lettore. Intini forse è l’unico che concede al lettore meno spazio, e che si trova al centro di un centro. Il testo di Intini si trova nel centro del centro della teoria di Linguaglossa, ma il lettore – dalla mia personale esperienza di lettura – vede il suo desiderio insieme al proprio sogno bruciati via.
        Ora questo margine degli autori dal centro del centro – per esempio di Linguaglossa poeta rispetto al Linguaglossa critico – della Poetry Kitchen meno Intini, offrendo uno spazio meno stringato del linguaggio, dove ancora spiffera il desiderio e il sogno del lettore, a me pare necessario; evitandolo nella direzione di Intini – oltre di lui -, che pure non ne è esente, si farebbe del testo un esercizio filosofico anziché restare nel letterario, vivrebbe insomma nel presente della teoria anziché nel futuro della pratica.

        • “Così seguo la pallottola di Gino Rago, perché fa dipanare una storia che non si svolge, il filo della pallottola è fatto di vuoto ma pure passa come un filo continuo attaccato ad un ago che attraversa e lega distanze e tra loro il vuoto.
          Se Rago non mantenesse in vita la storia quale piacere proverebbe il lettore.”

          E’ una riflessione che sparge letizia intorno e sopra la mia ricerca di poesia in stile kitchen codesta che, leggendomi, riesce a fare Jacopo Ricciardi.

          E che dire, dopo queste parole di meraviglia della nipotina che
          che Francesco Paolo Intini mette a sigillo sulla mia poetry kitchen:

          “Soltanto davanti alla gallina Nanin, fresca di uffici postali e di scatolone aperto in giornata ha avuto un sorriso, chiaro e netto di gradimento assoluto. Ha intuito che c’è qualcosa di buono e piacevole nella nostra antologia. Avrebbe letto con la boccuccia, assaggiato il nuovo della poesia se non le avessi fatto capire che si trattava di carta e non di materiale succulento per le sue gengive. Un giorno la leggerà in modo corretto. Di certo l’ innocenza nei suoi occhi curiosi e avidi di conoscenza, si intravede il gusto verso il nuovo e l’originale. C’è da fidarsi.”

          Ed è quel “soltanto” che mi fa sobbalzare sulla sedia, ma che rafforza in me l’idea che mi ha sempre sostenuto nella mia scrittura: guai all’artista della parola e della non parola che operi a catturare il gradimento dei suoi contemporanei, la nipotina di Francesco Paolo Intini è il futuro.
          E, per dirla con Brodskij, i poeti, o in carne e ossa, o in forma di carta, sempre ritornano, tanto più se non dimentichiamo di essere in pieno nell’Antropocene.

          “Le uniche cose tangibili qui sono l’alcol, la nostalgia
          e le corse dei cavalli.
          Nient’altro, ve lo assicuro!
          Signora Nanin, ma non l’avete ancora capito?
          Siamo nello spettacolo,
          l’immagine è la forma finale della reificazione!”

  3. Giorgio Linguaglossa (a cura di)
    AA. VV. Poetry Kitchen Antologia di Poesia contemporanea
    Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2022, pp.277, 18 euro

    Nel postscriptum della risposta a una domanda di Roberto Bertoldo sulla natura della Poetry kitchen, a proposito della recentissima Antologia di poesia contemporanea, Giorgio Linguaglossa nel suo post scriptum scrive:
    «Il fatto è che oggi parlare di «autenticità», di centricità dell’io, di «identità», di «soggetto», di «riconoscibilità» della scrittura poetica implica porre al centro dell’attenzione critica la questione di un’altra «rappresentazione», di un «nuovo paradigma». Il discorso poetico della poetry kitchen passa necessariamente attraverso la cruna dell’ago della lateralizzazione dell’io, della presa di distanza dal parametro maggioritario del tardo Novecento incentrato sulla metastasi dell’io egolalico e su una «forma-poesia riconoscibile». Il capitalismo cognitivo in crisi di identità e di accumulazione genera ovunque normologia e riconoscibilità, quello che occorre è l’«irriconoscibilità», una poiesis che abbia una forma-poesia irriconoscibile, infungibile, intrattabile, refrattaria a qualsiasi utilizzazione normologica». In poche righe vengono condensate le ragioni tematico-stilistiche, legate agli antefatti ontologico-estetici che vengono da lontano e precisamente dal lungo percorso della Nuova Ontologia Estetica, che hanno avuto un approdo provvisorio nell’Antologia Poetry kitchen, curata dallo stesso Linguaglossa per le Edizioni Progetto Cultura di Roma, 2022).
    Sedici i poeti antologizzati (Alfonso Cataldi, Raffaele Ciccarone, Marie Laure Colasson, Guido, Galdini, Giuseppe Gallo, Francesco Paolo Intini, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Vincenzo Petronelli, Mauro Pierno, Mimmo Pugliese, Gino Rago, Jacopo Ricciardi, ewa Tagher, Giuseppe Talìa, Lucio Mayoor Tosi), ciascuno con il proprio temperamento linguistico, con la propria sensibilità espressiva, ma tutti aderenti alle comuni esigenze del superamento della ipertrofia dell’ego; dell’adozione della metafora cinetica tranströmeriana a partire da questi versi
    Le posate d’argento sopravvivono in grandi sciami / giù nel profondo/ dove l’Atlantico è nero
    che hanno sconvolto le sorti della poesia preesistente; dell’andare oltre la metafora tridimensionale (Mandel’stam) con la metafora polidimensionale; dell’impiego nei testi di poetry kitchen del parlato, o se si vuole del dialogato; dell’entanglement; della interferenza linguistica; della procedura serendipica (per cui si cerca una cosa e se ne trova un’altra ancora più preziosa di quella cercata); del montaggio, legato a una sorta di ready-made per cui tutto è poesia, basta riconoscerla e allungare la mano per prenderla; della peritropè e degli sbalzi spazio-temporali;
    della cura della relazione immagine-parola, nel loro strettissimo rapporto creditorio-debitorio (Andra Emo); del citazionismo; dell’ibridismo; del bricolage; del collage; del sostituire la parola
    «poesia» con l’espressione «dispositivo poetico»; del ripudio del «significato» e della sua ricerca a tutti i costi.
    Nella stagnazione etica ed estetica della poesia contemporanea, non soltanto italiana, questa Antologia Poetry kitchen curata da Giorgio Linguaglossa è una novità che non ha nessun precedente
    e i sedici autori antologizzati (…..) propongono dispositivi poetici a «struttura rizomatica» in cui ogni verso può essere letto sia procedendo nella lettura in modo tradizionale e sequenziale, sia partendo da qualunque strofa di ciascun dispositivo poetico. Anche per la rizomaticità delle strutture poetiche il lettore è chiamato a svolgere un ruolo decisivo mettendosi sullo stesso piano dei poeti della Potery kitchen.

    (Gino Rago)
    1 ottobre 2022

    Nota dalla Treccani
    riżòma s. m. [der. di riz(o)-, col suff. -oma] (pl. -i). – In botanica, fusto sotterraneo, a sviluppo più o meno orizzontale, simile a una radice, dalla quale differisce per la sua struttura anatomica, la presenza di gemme e catafilli e la mancanza della cuffia; può fungere da organo di riserva e essere ingrossato.

    (Gino Rago)

  4. PIETRO EREMITA

    fuori tema
    —————————
    Se ci fosse una persona italiana capace di fondare il “partito dei non-votanti”… noi sappiampo di certo che sarebbe il primo partito italiano in assoluto… le cose cambierebbero poi che i non-votanti butterebbetro all’aria i partiti, gli uonini politici per instaurare una sorte di ordine più giusto….
    ————————————–
    come allo stesso modo in Russia: se ci fosse una persona russa capace di organizzare e armare tutti quelli che non vogliono la guerra, compresi le migliaia di carcerati liberati al solo scopo di combattere gli ucraini, le cose cambierebbero…
    tutti quelli che fuggono ritorneranno in Russia per una Russia ( è una vecchia storia che i codidetti volontari vengono reclutati dai luoghi più lontani di Mosca)… infine liberata dai Servizi Segreti, che timorosi non sgancerebbero alcuna bomba atomica, ma… siccome ai Servizi non resta che morire (non certo per la Russia, ma per la loro Russia poliziesca) e morire per morire sarebbero capaci di farlo…
    i Servizi Segreti sono geniali quando agiscono all’ e nell’ombra, ma ora che si sono svelati realizzano e realizzeranno qualsiasi cosa pur di uscirne vivi possibilmente, ma la loro sorte è segnata: l’orologio a cominciato a battere e non può essere invertito, quantunque il Cremlino e la piazza della Lubjanja contoinui ad esse sanguinolenta…

  5. Saltate tutte le categorie spazio temporali in piena equazione relativistica mi preme sottolineare il luogo dove l’enunciato poetico
    Kitchen avviene. Essa, personalissima visione, si manifesta, da più di due anni, direttamente sul foglio elettronico.
    Su questa rivista insomma.

    Chiedo allora, dove nasce la vostra poesia? In quale luogo?

    Non esiste più il tramite cartaceo ma una continua scrittura in divenire in completa sintonia con i partecipanti. È una social poetry.

    Kitchen è una sorta di Social Post Litteram!

    – Per me poi sfociata nei “compostaggi”, una sorta di visione poetica univoca.-.

    Grazie OMBRA

  6. Franco Intini da Facebook dl 29 settembre 2022

    SPYKE DI FINE SETTEMBRE

    Accadde all’inizio che un gatto sognò Tex Willer
    E mangiò un topo.
    Il nulla sopravvisse nelle scatolette di tonno.
    Gnam!
    La parola passò di bocca in bocca ed infine diventò poltrona e sofà:
    -Che c’è di buono in France?
    Il parrucchiere di Gay-Lussac trasmette la notizia al dentista di Biden:
    -Qui i secoli non hanno vita facile, spesso perdono la testa e si avvitano allo zero assoluto.
    Ma poi rinascono smaglianti nella bocca di un novantenne.
    Il potere si conserva in bottiglie di pelati.
    Dal sorriso riconosci il botox.
    Putin nei lifting massivi
    Labbra e denti della Pennsylvania.
    Ma se vuoi un Andreotti saporito
    Devi cucinarti un rospo all’ amatriciana.
    -Io non sono Antigone -ripete un ragno sul muro
    Ho lunghe bollette nel cassetto. Un mutuo per ogni angolo del soffitto
    E stasera si mangia un sushi di vespa orientalis.
    La giuria lanciò i suoi dadi
    lati che facevano linguacce
    versi che mostravano le fiche
    L’endecasillabo stravinse dappertutto
    Mentre la rima divenne primo ministro.

    Questa poesia è la prova comprovata che il kitchen sorge insieme all’ insorgere di un colpo apoplettico che colpisce il linguaggio riducendolo a zattere in-significanti e inoperose

  7. PIETRO EREMITA

    ANCORA FUORI TEMA:
    ————————————–
    è stato pubblicato un editoriale sul FINANCIAL TIMES del giornalista TIMOTY GARTON ASH, ieri oppure oggi stesso non ricordo)… dopo diverse riflessioni il giornalista conclude la sua disamina cone l’affermazione che “bisogna guardare a Mosca e non a Roma” circa il fascismo che potrebbe ri-venire in Italia (che è cosa stupida e da ignoranti).
    Ma di “fascismo rosso” già si diceva fin dagli anni ’30! nella stessa Russia, quindi la scoperta dell’acqua calda del giornalista sta tutta qui.
    I metodi costrittivi e criminali dei Servizi Segreti russi prendono esempio dalle maniere del fascismo italiano: quei Servizi hanno
    reso più raffinati e sottili quelle maniere tanto da emanciparsi subito da queste con la copertura di una ideologia comunistica ma che col comunismo filosfico ideologico non aveva nulla a che fare!- le centinaia di morti di poeti e scrittori e artisti di vario genere nonche le centinaia s enon milioni di vite umane…
    ecc.

  8. Un mio lavoro in preparazione per un prossimo numero del trimestrale Il Mangiaparole

    La plastica può diventare poesia?
    Sì, se Raymond Queneau viene tradotto da Italo Calvino il quale si avvale della consulenza di Primo Levo, scrittore-chimico.
    Ecco, amici e amiche de L’Ombra delle Parole, alcune strofe de
    La canzone del polistirene
    Gino Rago
    *
    La canzone del polistirene

    Tempo, ferma la forma! Canta il tuo carme, plastica!
    Chi sei? Di te rivelami Lari, penati, fasti!
    Di che sei fatta? Spiegami le rare tue virtù!
    Dal prodotto finito risaliamo su su
    Ai primordi remoti, rivivendo in un lampo
    Le tue gesta gloriose! In principio, lo stampo.
    Vi sta racchiusa l’anima; del lor grembo in balìa
    Nascerà il recipiente, o altro oggetto che sia.
    Ma lo stampo a sua volta lo racchiude una pressa
    Da cui viene la pasta iniettata e compressa,
    Metodo che su ogni altro ha il vantaggio innegabile
    Di produrre l’oggetto finito e commerciabile.
    Lo stampo costa caro; questo è un inconveniente,
    Ma lo si può affittare, anche da un concorrente.
    Altro sistema in uso permette di formare
    Oggetti sotto vuoto, per cui basta aspirare.

    Già prima il materiale, tiepido, pronto all’uso
    Viene compresso contro una filiera: “estruso”,
    Ossia spinto all’ugello per forza di pistone;
    Lo scalderà il cilindro al punto di fusione.
    E’ lì che fa il suo ingresso nel bollente crogiolo
    Il rapido, il vivace, il bel polistirolo.

    “Polimerizzazione” designa, già lo sai,
    il modo d’ottenere più elevati che mai
    Pesi molecolari; non hai che far girare
    Un reattore idoneo: mi sembra elementare
    […]
    Occasioni che s’offrono di vedere e imparare.
    E’ il plancton la matrice dei nostri idrocarburi?
    […]

    Raymond Queneau (traduzione di Italo Calvino)

    • Chimica organica industriale, Cinema e poesia
      Per un cortometraggio di Alain Resnais, film de la Pléiade
      ( a cura di Gino Rago)
      *
      Raymond Queneau

      Le Chant du Styrène
      (1957)

      O temps, suspends ton bol, ô matière plastique
      D’où viens-tu ? Qui es-tu ? et qu’est-ce qui explique
      Tes rares qualités ? De quoi donc es-tu fait ?
      D’où donc es-tu parti? Remontons de l’objet
      À ses aïeux lointains ! Qu’à l’envers se déroule
      Son histoire exemplaire. Eu premier lieu, le moule.
      Incluant la matrice, être mystérieux,
      Il engendre le bol ou bien tout ce qu’on veut.
      Mais le moule est lui-même inclus dans une presse
      Qui injecte la pâte et conforme la pièce,
      Ce qu présente donc le très grand avantage
      D’avoir l’objet fini sans autre façonnage.
      Le moule coûte cher; c’est un inconvénient.
      On le loue il est vrai, même à ses concurrents.
      Le formage sous vide est une autre façon
      D’obtenir des objets : par simple aspiration.
      À l’étape antérieure, soigneusement rangé,
      Le matériau tiédi est en plaque extrudé.
      Pour entrer dans la buse il fallait un piston
      Et le manchon chauffant – ou le chauffant manchon
      Auquel on fournissait – Quoi ? Le polystyrène
      Vivace et turbulent qui se hâte et s’égrène.
      Et l’essaim granulé sur le tamis vibrant
      Fourmillait tout heureux d’un si beau colorant.
      Avant d’être granule on avait été jonc,
      Joncs de toutes couleurs, teintes, nuances, tons.
      Ces joncs avaient été, suivant une filière,
      Un boudin que sans fin une vis agglomère.
      Et ce qui donnait lieu à l’agglutination ?
      Des perles colorées de toutes les façons.
      Et colorées comment ? Là, devint homogène
      Le pigment qu’on mélange à du polystyrène.
      Mais avant il fallut que le produit séchât
      Et, rotativement, le produit trébucha.
      À peine était-il né, notre polystyrène.
      Polymère produit du plus simple styrène.
      Polymérisation : ce mot, chacun le sait,
      Désigne l’obtention d’un complexe élevé
      De poids moléculaire. Et dans un réacteur,
      Machine élémentaire oeuvre d’un ingénieur,
      Les molécules donc s’accrochant et se liant
      En perles se formaient. Oui, mais – auparavant ?
      Le styrène n’était qu’un liquide incolore
      Quelque peu explosif, et non pas inodore.
      Et regardez-le bien; c’est la seule occasion
      Pour vous d’apercevoir ce qui est en question.
      Le styrène est produit en grande quantité
      À partir de l’éthyl-benzène surchauffé,
      Le styrène autrefois s’extrayait du benjoin,
      Provenant du styrax, arbuste indonésien.
      De tuyau en tuyau ainsi nous remontons,
      À travers le désert des canalisations,
      Vers les produits premiers, vers la matière abstraite
      Qui circulait sans fin, effective et secrète.
      On lave et on distille et puis on redistille
      Et ce ne sont pu là exercices de style :
      L’éthylbenzène peut – et doit même éclater
      Si la température atteint certain degré.
      Quant à l’éthylbenzène, il provient, c’est limpide,
      De la combinaison du benzène liquide
      Avecque l’éthylène, une simple vapeur.
      Ethylène et benzène ont pour générateurs
      Soit charbon, soit pétrole, ou pétrole ou charbon.
      Pour faire l’autre et l’un l’un et l’autre sont bons.
      On pourrait repartir sur ces nouvelles pistes
      Et rechercher pourquoi et l’autre et l’un existent.
      Le pétrole vient-il de masses de poissons ?
      On ne le sait pas trop ni d’où vient le charbon.
      Le pétrole vient-il du plancton en gésine ?
      Question controversée… obscures origines…
      Et pétrole et charbon s’en allaient en fumée
      Quand le chimiste vint qui eut l’heureuse idée
      De rendre ces nuées solides et d’en faire
      D’innombrables objets au but utilitaire.
      En matériaux nouveaux ces obscurs résidus
      Sont ainsi transformés. Il en est d’inconnus
      Qui attendent encor la mutation chimique
      Pour mériter enfin la vente à prix unique.

      *

  9. milaure colasson

    Il dialogo e i successivi commenti mettono in evidenza una serie di questioni, tra cui quella dell’uscita dalla metafisica… ma il fatto è che, come ha scritto e riscritto Heidegger in vari saggi dal 1950 in poi, dalla metafisica non è possibile uscire, non possiamo uscire dalla porta di servizio ma dobbiamo convivere con la nostra epoca che, comunque, un lato positivo ce l’ha: che ha cancellato il sacro e lo ha deterritorializzato. La poesia kitchen inoltre si avvale anche di avatar, di sosia, di doppi, di terzioni,,, figure e figuralità di spuria provenienza, cosa che il gruppo di Giovenale non fa e non potrebbe fare… loro seguono una linea laterale e post-sperimentale del novecento capitanata da Emilio Villa… ma, così si resta appunto dentro il campo del post-sperimentalismo novecentesco.
    La modalità kitchen ha il merito di rendere fattibile la libera investigazione di ogni autore, non è una scuola ma una bottega, un’officina dove si lavora…

  10. Giuseppe Talia

    Quando parlo della Poetry Kitchen mi vengono in mente due movimenti principali dello scorso Novecento, il Futurismo e il Surrealismo, comparati con l’attuale situazione mondiale, dalla lotta al Covid19, alla lotta(?) alle disuguaglianze, alla guerra in Ucraina, alla crisi energetica e alla minaccia nucleare. Le assonanze con i due movimenti sono parecchie ma con i dovuti distinguo e con la dovuta consapevolezza che lo spazio aperto della nuova poesia riconosce la base della propria epitrope.

    La domanda di Giorgio Linguaglossa sulla fine della Metafisica, forse a mio avviso andrebbe chiarita, penso che Giorgio non intenda la fine tout court della Metafisica, piuttosto un ricambio metafisico, così come è stato da sempre, essendo la metafisica connaturata all’uomo, ed è la metafisica che ci fa comprendere ciò che altrimenti non comprenderemmo. Non si prescinde dalla metafisica, quale che essa sia. Mi sembra che la definizione di metafisica disillusa di Roberto Bertoldo calzi bene nel contesto, in effetti, la poetry kitchen ha il merito di porre alcune domande fondamentali che non sono quelle maggioritarie che si attestano su posizioni personalistiche e che hanno esaurito la loro accidia nichilista.

    La velocità, che era un caposaldo del movimento Futurista, è rinvenibile nei componimenti Kitchen, l’oggettuale rapporto con i media attraverso i dispositivi tattili, l’esautorarsi della diffusione e condivisione di miriadi di dati privi apparentemente di un senso globale, la nascita e la morte subitanea di ogni notizia a cui si sommano le notizie false e le notizie non notizie, sono tutti sintomi, diremmo conclamazioni della riduzione del Reale da trauma a spettro. (Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, pag 45).

    A differenza del Futurismo, i poeti Kitchen non sono interventisti, e al pari dei Surrealisti ripudiano la guerra come anche l’idea stessa di conflitto per il potere.

    Le immagini in movimento, il tono canzonatorio, la disillusione, le onomatopee, la personificazione, la più moderna dislocazione in luogo della semplice velocità, il traslato nella Poetry Kitchen è sostanzialmente ubiquo, la catena degli eventi si mescolano agli oggetti e alle emozioni con differenti combinazioni di immagini, pescati alla rinfusa tra la miriade di immagini e discorsi a cui siamo costantemente sottoposti.

    La Poetry Kitchen non è una corrente mi si dice, piuttosto un ricambio d’aria, di quelli che si rendono necessari di questi tempi per la prevenzione della propagazione del virus. La nuova aria si sintetizza in questa affermazione: la poetry kitchen adotta la fantasy dell’immaginario come supporto dell’ordine pubblico; ma questo è solo una finzione, un capovolgimento, in realtà la prassi kitchen agisce in vista del disordine pubblico. (Ibidem, Pag. 47).
    In che termini però si parla di disordine pubblico? Lungi dall’essere rivoluzionaria e anarchica, nella più aderenza dei termini, la Poetry Kitchen non sembra avere nessun impegno politico, nessun motore pulsionale verso l’identificazione in uno schieramento politico piuttosto che in un altro, semmai si limita a registrare con critica totale ed integrale, questo sì, la fine, la chiusura dell’impegno, come lo si conosceva nel recente passato, per il suo fallimento su tutta la linea. La conseguenza di ciò è che le categorie dell’illusione e dell’abbaglio prendono il posto della certezza e della verità.

    La particolarità rivoluzionaria della Poetry Kitchen, se proprio vogliamo rilevarla, risiede piuttosto nell’età media dei poeti che la compongono nella compagine attuale. È rilevante come la svolta, il turn over non sia partito dai giovani poeti ma da un nucleo fondativo che va oltre i settant’anni di età.

    Il Surrealismo in Italia non ha avuto il seguito e la risonanza che altrove. Nella Nuova Ontologia Estetica se ne rinviene più di un barbaglio, anzi la sovversione dell’ordine pubblico investe anche il privato, nel privato sono custodite le chiavi di ciò che siamo, e se siamo ciò che comunichiamo, nel profondo del nostro luogo, “dove non si è e non si dice”, in quel vuoto si situa il rimedio della poetry kitchen.

    Penso che siano tanti i punti di denuncia e i rilievi che la poetry kitchen rivela e pone nel quadro della “zona -catastrofe” che sta investendo l’Occidente. L’angoscia che ne deriva annichilisce i presupposti una volta caduti i prefissi, post-moderno, post-contemporaneo, post-human, che non facevano altro che rimandare nel tempo, spostare il punto un’asticella più in là piuttosto che dibatterlo. Dopo la posteriorità non rimane che la negazione, l’annullamento: “il non-desiderio che produce la non-angoscia.”

    La non-poesia produce l’effetto catarifrangente della dispersione dell’io poetico in un non-io poetico, mascherato, ovviamente, falso e consapevole dell’irreparabilità dell’Ente che non ha più una casa certa nel non-luogo.

    Il peso relativo del vuoto e dell’insignificanza vanno di pari passo con il risultato della loro somma la quale dipende dall’abbondanza isotopica, vale a dire dalla differenza di massa. Ogni autore dell’Antologia Poetry Kitchen ha un proprio peso specifico nella ricerca dell’isotopo con cui provare a riempire lo spazio vuoto, affinché si creino i movimenti, gli scambi, le collusioni, l’entanglement, i cortocircuiti narrativi e i doni dell’ubiquità compresi. Alla luce di quanto detto, “prendere una carota e renderla poetica cucinandola, mi sembra un impegno da non sottovalutare se si guarda alla poesia italiana contemporanea maggioritaria dove si prende un cetriolo e si cerca di renderlo poetico facendolo passare per un crumble alle mele. Ad ogno modo, comprendo totalmente il dettato della metafora di Roberto Bertoldo.

    Penso di capire l’affermazione sul minimalismo impegnato sul sociale e fondato sulla quotidianità che Bertoldo rileva nella poetry kitchen, in effetti mancano nel kitchen tutte le categorie estetiche “alte” preferendo alle note alte altre note, i discorsi si muovono su piani bassi, la cloche della barra di comando è posizionata sul sorvolare invece che sull’impennarsi, non tanto per soprassedere quanto per fotografare reale e irreale, ne viene che le immagini catturate non combaciano del tutto, perché la velocità con cui il Reale-reale e quello supposto cambiano, rende quasi impossibile far combaciano i tasselli, l’immagine risulta sgranata e dai contorni non ben definiti. L’uso del distico, in questo caso, agevola la parallasse e incita l’epitrope a tendere continui agguati, a superare l’accidia nichilista. Spostare i foni del bel canto in una scacchiera sostanzialmente a-metrica, produce il disallineamento degli accenti che si posizionano non più in una funzione suasoria ma distopica.

    Giuseppe Talia

  11. Se l’aria stagnante diventa l’occhio del ciclone tutto comincia a prendere direzioni diverse dal prevedibile. Alla linearità della brezza si sostituisce una curva distruttiva che deforma gli oggetti fino a smembrarle. Emergono serendipicità, interferenze, entanglement, assurdità e reversibilità degli eventi, che stanno al posto della “sregolatezza dei sensi” di cui parlava Rimbaud.
    L’io plenipotenziario è stato abbandonato sull’isola di Pitcairn e lì non ha importanza se sia morto o vivo . Tutto intorno si muovono i frammenti, i cocci di vetro che si uniscono agli alberi su rotte sconosciute, i post-it delle cose da comprare nei negozi di squali. Emergono combinazioni fantasma e nuove possibilità di cui non si conosce il nome né il senso. Il fatto di essere state viste in un lampo creativo, non significa che siano state comprese.
    E dunque è più importante la visione che la comprensione. La cucina stessa si trasforma in biblioteca. Il sapore si è impadronito della veridicità. L’impressione tattile non ha bisogno di logica. Quest’ultima è altrove, sta lavorando per suo conto a fabbricare nuova merce che sostituirà quella attuale o nel migliore degli impieghi, a creare nuove conoscenze e previsioni.
    Il risultato è sotto gli occhi di tutti con i cellulari che si comportano come cellule nervose e le sinapsi che accendono i televisori, le lavatrici, le aspirapolveri, le bombe atomiche. L’aria è trafitta da onde elettromagnetiche che danno vita ad una medusa dai lunghi tentacoli velenosi, ingovernabile e alla deriva.
    La poesia Io-centrica con le sue narrazioni dense di significato, con la metrica preordinata a uno scopo di godimento, con la favola dell’uomo buono che infine trionfa sul male e la sua eccezionalità nell’universo, non fa che alimentare la sensazione di nausea che rende illeggibile il testo poetico.
    Strano come in tutto questo il sottoscritto stesso abbia perso di vista la metafora e sia caduto nella realtà che si incontra appena metti il piede per terra o esci di casa e interagisci con il traffico!
    La poesia kitchen si tocca dunque con mano prima ancora di essere teorizzata e compresa.
    Succede che l’autore prende tra le mani l’unico potere che ha cioè quello di nullificare sé stesso intento ad un lavoro ordinato e lo sostituisce con una equivalente quantità di calore in cui scatena le follie del linguaggio poetico, a “zattere insignificanti ed inoperose” (G.Linguaglossa) come se bruciando un diamante brillassero nella fiamma le notizie del telegiornale.
    Nel pieno rispetto delle leggi fisiche.

    NEGATIVO DUE

    Doveva essercene una tra le crepe del cervello
    Una condotta in cui balzare di tanto in tanto.

    Ma era un sogno catodico in cui l’io colpiva l’anodo
    E dietro lo schermo una chiazza luminosa carica di mistero
    alla mercè di studenti oziosi.

    Il libro si sfogliò perché era arrivato l’autunno
    E dovevano cadere le metafore. Seguire la fuga del capriolo
    fu diagnosi crudele, al limite delle forze.

    Le vette chiuse, prive di valichi.
    Gli Dei sazi.

    (F.P.Intini)

  12. raffaele ciccarone

    Dopo la fuga di gas da inerti tubi Mr. K. invia alcuni avatar in modalità Kitchen.
    Riparata la falla i tubi vengono a galla, il Laboratorio Spaziale analizza presunti campioni.
    Un’emittente TV aliena su twitta che sedicenti avatar del Movimento Kitchen riparato il guasto dirigono la nuvola verso lo spazio iperuranico.
    Un lama sulle Ande informa su TV locale che un elefante con la trivella cerca acqua gasata in cucina, nel frigo trova solo acqua naturale.
    By C.R.

  13. Domande di Roberto Bertoldo a Giorgio Linguaglossa a proposito dei sedici autori presenti nella antologia Poetry kitchen pubblicata da Progetto Cultura nel 2022, L’elefante sta bene in salotto ma nessuno lo vede, o meglio, tutti fanno finta che non c’è nessun elefante… tutti pensano di essere originali quando invece sono semplicemente maggioritari, si vive nel maggioritario, si cerca il securitario, si riconosce il compromissorio, siamo tutti diventati sostanzialmente ibridi e ibridatizzati


    Pubblico qui, su richiesta dell’autore, la poesia di apertura della raccolta Cantos del Moncayo di Antonio Sagredo uscita in Spagna nel 2022 con la traduzione di Manuel Martinéz Forega

    C’è una ferita nell’acqua: è l’ala di una colomba
    nella cisterna vuota e bianca la sua ferita,
    come bianca è la colomba del Moncayo.
    Nel deserto non batte più l’ala cava sull’acqua,
    la serpe albina deforma roventi trasparenze.

    Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
    s’è distesa come il Cristo del Mantegna!

    E la colomba è nera – clausura!
    Ossario di bandiere!
    Sudario di colombe oscene!
    Pietra: acqua crespata del deserto!

    Cisterne di occhi equini, placidi
    come i defunti nella Notte delle Ceneri!
    Ecate, i ventri-volti sono vessilli di fuochi lacustri!
    Per il vino dei Borgia non si scordano i veleni!

    Strillano galli ferrosi i tradimenti,
    come banderuole!
    Sulle torri anche le lacrime hanno ossa eretiche!

    Dietro le quinte e sui palchi sono violati i sipari.
    Sono di viola soltanto le tue ali – labbra!
    Per gli arazzi sugli altari e sulle croci:
    la settimana santa è impazzita!

    Ah, notte d’Aragona!

    Pietra del sorriso! Corpo impunito e folle!
    Mai una Madonna fu vergine due volte!
    Conobbe il meretricio dell’estasi gratuita… cuore del tuo sesso
    è sesso di colomba!
    Sono quattro ali le tue labbra!
    Muore o non muore questa colomba!?
    Non muore.
    Oh, è morta!
    Ah, notte d’Aragona!

    É risorta!
    No, non è risorta!

  14. SPIN-OFF antologia
    POETRY kitchen

    1
    Il basilico dei vicini la sera si finge morto
    di fronte alle nostre serie TV

    Una Olivetti 32 vuole riscrivere la storia
    dice di averla tutta nei tasti

    Einstein pipa in bocca violino sotto il mento
    suona la relatività in quattro dimensioni

    I cavalieri stanno aspettando
    che la partenza sia per sempre rimandata

    Per rifiorire sull’altro versante.
    Prima o poi. Domani. O forse…

    2
    Ora i proletari erano tutti agenti di commercio
    Odorava di miele la catena di montaggio

    La pagina quindici oscillò di sette secoli
    Il fantasma entrò dalla porta blindata

    Il secondo altissimo e magrissimo
    indossava occhiali di tartaruga rossicci e mocassini neri in vernice

    la carrozza di mezzogiorno, lungo il viale dello Steccato,
    accompagna il cambio della guardia nella torre d’avvistamento.

    3
    Le mani rumorosamente sfregarono il gel disinfettante.
    Lo sciacquone derubricato mondò i peccati.

    Seduto sul divano uno spartito
    sparpaglia tutt’intorno carte napoletane
    l’utente è impegnato in un’altra conversazione

    Daniil Charms sente nell’aria come un sibilo,
    a distanza di chilometri non dà peso al fatto.
    Pensa:
    “Sarà stato il miagolio di un gatto
    O uno starnuto dal Cremlino”.

    Intorno sta un paesaggio deforme.

    4
    Due uomini non si capiscono ma conversano –
    Molti altri umani si uniscono a loro.

    “Avevi promesso di scrivere.”
    “Ho preso appunti. Ma li ho mangiati.”

    Un faro illumina un peschereccio che ondeggia.
    Qualcuno paga con il bancomat.

    Le dico, dattero. Non ho altre parole.
    Toh, sei cavalli.

    “Guerre, guerre e ancora guerre…basta, non studio più.”
    Sofia lancia il libro dalla parte opposta della cameretta.

    5
    Alice non trova l’uscita dal Paese delle meraviglie,
    Arianna gli offre la soluzione in cambio del cappello a fiori

    Una squadriglia d’uccelli in alto nel cielo
    nelle vesti di poliziotti sospettosi armati di binocoli ispezionano le migrazioni

    i cieli inferociti sul mare
    non si rassegnano a diventare uno sfondo

    Strisciando sul guscio, sbriciolandone il calco.
    Oltre i muri il pigolio, l’allucciolio, il bio

    Monoliti contro un cielo blu-nero. Ghetti verticali.

    6
    Non c’era tempo per la chimica.
    Il verso generava spettri di risonanza magnetica.

    Gli schiamazzi della Performance si sentirono
    Fino al terzo secolo avanti Cristo.

    In un bastone da passeggio con il manico di avorio,
    in un ombrello tricolore, in un fazzoletto profumato.

    Molly è tornata ad innaffiare i gerani questa mattina: il professore dice
    che Urano è nella costellazione del Leone e che l’oltre non avrà dominio.

    7
    Poi dagli psicanalisti coi lettini a due piazze
    Un uomo una donna una donna un uomo un uomo una donna

    Briglia
    Conchiglia
    Ciglia
    Somiglia
    Poltiglia
    Biglia
    Siviglia

    Dice:
    “ho un’altra missione, non posso arrestare la mia corsa”.

    8
    Ancora all’ombra un paesaggio
    che non verrà mai interpretato.

    Dalla regia fanno notare che l’ultimo piano sequenza
    ha portato la produzione sull’orlo del fallimento.

    Comunque, nel dubbio, i fedeli hanno acceso alcune candele
    sotto l’albero e l’industria dei gadget è già in opera.

    Pellicani inghiottono pellicani che inghiottono pellicani.

    Invece di nulla. Dire vento al vento.
    O parole di seguito.

    9
    Halloween non è mai presente quando serve
    e non risponde al telefono.

    Alla prima mondiale Art Prize Roma
    pari merito tra Artemisia Gentileschi e Cornelia madre dei Gracchi

    Il tutto il niente il sopra il sotto
    si confondono e si suicidano

    un angelo tiene appoggiata alla guancia
    la mano di Cristo
    che pende inerme dal polsi

    10
    I gladiatori in un groviglio di braccia
    tentano l’elusione e l’abbraccio della violenza
    in un soffitto argutamente basso

    Ogni peccato ha il proprio cielo.
    Ogni sintagma il proprio sepolcro.

    Zampilla sangue dal terreno.
    Ricaveremo combustibile per accendere Tebe.

    Tito Andronico inizia a respirare:
    “Il rosso sgorga. Le spade sognano”

    Agli stagni Patriarsci.

    11
    Lo stregone del Burkina Faso
    vende i sui beni di famiglia: portachiavi cranici
    bambine imbalsamate cucchiai orbitali:
    gli strumenti per il Gulasch

    Abbiamo guanti di velluto, di cotone di gomma
    Abbiamo morti di fame e di tragedia

    A un metro dall’inverno
    La ruota panoramica butta via la lanugine
    e risale la corrente tra l’Africa e l’America

    La pallottola fuoriesce dalla spalla, va in giro per un po’
    e lascia la stanza.

    12
    Nessuna parte della distesa vede l’altra.
    Ogni cosa porta a tutto.

    D. “Cosa ha provato nel momento della sua dipartita?”
    R. “Qualche turbolenza. Poi un atterraggio perfetto.

    Immediatamente la cia, la cei, il cicap
    Hanno rilasciato tutti un’agenzia.

    Non mi sto riducendo lo stipendio,
    faccio istant poetry. 7 in una saccarina.

    -Preferisci una mano a ramino o i tarocchi?
    -Che mi smonti la plafoniera nell’androne.

    13
    Napoleone aiutato dagli Youtubers
    Cerca la rivincita ad Austerlitz, Creeper permettendo

    L’astrofisico osserva al telescopio i colori delle ombre
    Si gratta il cranio a ritmo cadenzato a secondo delle ore

    La mano destra si stacca
    dal piano della tavola

    Gli scarti dei lamenti e delle emicranie
    nelle scatole rosse e bianche degli scaffali.

    Sempre meglio che il fiato del mezzobusto
    seduti nel governo della notizia

    14
    Nei cassetti i fatti già avvenuti
    sono piegati tra i calzini

    non riesco proprio a dare un nome a ciò che vedo…
    È come stare appesi ad un ramo di albero
    che oscilla…

    sul pavimento, tratte di aforismi da “the tell-Tale heart”,
    testi di canzoni di Billie Eilish, nella luce fioca del led.

    Desta o sinistra quale cercavi?
    Un papillon di seta blu.

    15
    Sembra la luna crescente
    la cicatrice sul lago
    quando si chiudono gli ombrelloni

    ma non è questo quello che volevo raccontare,
    era un’altra storia, che però ho dimenticato…

    siede sul ceppo appena caduto
    e la domanda circonda un paesaggio.

    Poi piega con cura il sudario e lo abbandona
    sui binari del tram Casaletto

    il mio specchio è un retrovisore.

    16
    Una speculazione arbitraria. Una defluenza. Una infrazione.
    Qualcosa o qualcuno si è introdotto.

    – E dunque, mio caro animale, ognuno ha la voce che si merita.
    Io, poi, sarei la morta di una giocatrice di tennis. Mai scritto una poesia.

    L’incipit è disdicevole, si vocifera nei portierati, più dello strapiombo reale
    tra il leggio e le parole in decantazione.

    Le ali della mongolfiera nella loro cecità sono senza timone direzionale.

    17
    Un gatto voluttuoso si infila un vestito indiano a pois
    e discute con decisione con i fertilizzanti del compostaggio

    il pavone non ha nessuna voglia
    di esibire la ruota

    solo un catino acrilico d’inchiostro a sciogliere
    il cherosene espressionista

    Non più gladiatori e nemmeno Piazza Fontana
    Tutti cancellati i voli verso gli anni sessanta-settanta-ottanta

    Le terzine dantesche nella playlist
    Dell’immenso Deposito Amazon

    18
    “La giraffa non è figlia dello scimpanzé
    Ma neanche lo scimpanzé è il padre della giraffa”

    “ragazzo mio tu non conosci l’esametro dattilico: non combinerai mai nulla nella vita”.

    Abbiamo echi, susine, ciliegie.
    Abbiamo forni, lividi, strappi, supposte.
    Abbiamo guerre.

    Evade un vento poliedrico
    Gianna aveva un coccodrillo ed un dottore
    Tacciono gamberi ed ortiche

    19
    Torino. Agosto. 1950
    La pallottola rompe i vetri di una camera dell’albergo “Roma”.
    “È tardi, troppo tardi…”
    Il poeta è già morto.

    Lì a fianco una fisarmonica che suona
    dilatandosi e comprimendosi tra le mani
    di un neonato scomparso

    vai su Impostazioni > Privacy > GPS e Bluetooth.
    “Annulla ogni previsione di futuro”
    L’inferno-out. Il paradiso-in

    20
    Tuffo in piscina. Tonalità del silenzio.
    Nessuna pubblicità.

    Un accumulo di ordini e contrordini
    arrestò il malessere

    Minosse è adirato per il suo drone sparito.

    Eredia trattiene un raggio di luna nella mano
    L’universo esplode con la 5ta sinfonia di Beethoven

    di attraversare tutto il mondo a occhi chiusi
    per rinunciare al fasto dell’apparenza

    (La sequenza dei distici appartengono agli autori di seguito indicati;
    1) AC – RC –MLC – GUG –GIG
    2) FPI – LL – GL – VP
    3) MAP – MIP – GR – JR
    4) JR – ET – GT – LMT – AC
    5) RC – MLC – GUG – GIG
    6) FPI – LL – GL – VP
    7) MAP – MIP – MIP –GR
    8) JR – ET – GT – LMT – LMT
    9) AC – RC – MLC – GUG
    10) GUG – GIG – FPI – LL – GL
    11) VP – MAP – MIP – GR
    12) JR – ET – GT – LMT – AC
    13) RC – MLC – GUG – GIG – FPI
    14) LL – GL – VP – MAP
    15) MIP – GR – JR – ET – GT
    16) GT – LMT – AC – RC
    17) MLC – GUG – GIG – FPI – LL
    18) GL – VP – MAP – MIP
    19) GR – JR – ET – GT
    20) LMT – AC – RC – MLC – GUG)

    GRAZIE OMBRA

    • Sì va bene, complimenti, Mauro. Ma la difficoltà sta nel generare parole, nel raccoglierle non so. Leggendo l’antologia (mica ho finito) ho notato che tanti inizi si potrebbero togliere perché la poesia comincia ad essere quando meno te lo aspetti. Tempo dopo te ne accorgi, cose più brevi ma che non lasciano tempo per sistemarsi sulla sedia.
      In questi giorni ho avuto modo di presentare l’antologia, qui dove vivo, e devo dire, cosa che ho recepito anche a ROma, che l’elemento innovativo si avverte fortemente. Specialmente, non per stimarmi, le instant poetry, forse perché appare più evidente la mancanza di discorso (figurarsi la mancanza del poetichese!). Ciao, poi magari dirò in merito all’intervista. Grazie.

  15. Si va per telline o per funghi.

    È impressionante la materia poetica che luccica
    nell’antologia Lucio caro.
    Contraddiciamo il concetto di storia con il presente. Rimpastando e/o sminuzzando. L’istante è la nostra maggiore consapevolezza! E la metafisica perduta sono telline o funghi appunto.

    Anche il caro Sagredo compie il suo atto poetico innovativo, rispetto alla sua esperienza, se condivide la lettura di queste pagine.
    Inevitabilmente ne esce coinvolto.
    “Questa colomba sbiadita e biancastra del Moncayo
    s’è distesa come il Cristo del Mantegna!”

    Nasciamo già antologizzati?
    Nel senso che facciamo già parte di una storia già scritta questo il dilemma che sollevi?

    Per me raccolgo cocci di telline e le incastro
    ad una storia che reggerà se tiene.

    • A me sembra di essere stato chiaro: uno passa ore della sua giornata a tentare di scrivere poesia, poi ne arriva un altro che su quei versi ci ricama una coperta. Ripeto, non so, a me sembra un’operazione a sfondo goliardico. Ma può essere che mi sfugga qualcosa. Rivendico solo il lavoro, il lavoro, il resto a me sembra idealismo.

      • … Se però tu utilizzassi versi altrui per ricavarne la sceneggiatura di un film, una bizzarra soap televisiva, un’opera teatrale, perfino dei cartelli stradali, allora… Poesia viene in evidenza, ancor più se calata nell’impoetico. Ad esempio nell’articolo di un giornalista, un verso scritto senza corsivo, può bastare ad alleviare il peso della giornata. Almeno per me. (Epperò quel verso se lo deve comprare! Per la persona, dico. Logico che la poesia è come l’acqua, l’aria, ecc. Ma allora anche i pescatori dovrebbero lavorare gratis.

      • caro Mauro Pierno,

        le perplessità formulate da Lucio sono condivisibili, il compostaggio di versi altrui è una buona idea, può essere una tecnica, il pericolo è quello di scivolare, insensibilmente, nel goliardico, e allora il risultato poetico viene ad essere dimidiato. Forse il compostaggio per riuscire deve essere mixato con versi propri, insomma ci devono essere delle congiunzioni. Insomma occorre circoscrivere il goliardico…

  16. L’andatura apoplettica della «nuova poesia» kitchen

    L’andatura apoplettica della «nuova poesia» kitchen è fitta di vacillamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro, di un passo in avanti e due all’indietro; si va per passi laterali e per retrovie, per tentativi, per scorciatoie, per smottamenti laterali, ribaltamenti e aperture parentetiche, per ri-tracciamenti, per sentieri che si rivelano Umwege e ri-tracciamenti all’indietro, di lato… È che non essendoci più una fondazione sulla quale posare il discorso poetico, anch’esso se ne va a ramengo, senza un mittente e senza un destinatario, privo di identità, contando unicamente sulla destinazione senza destinatario; si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà nulla a nessuno, in quanto la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline. Il «polittico» e il «kitchen» sono ragguagliabili ad una sommatoria sussultoria di frasari, di fraseggi, di cartoline, di invii, di ri-invii, di post-it, di scripta che non manent, di voci interrotte. Si va per la via della complessificazione della forma-poesia. Si tratta di un meccanismo di ri-invii e di ri-tracciamenti destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta; il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà, e quest’ultimo retro agisce sul primo riproducendo il circuito chiuso di un meccanismo invernale. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale libidico del piacere non ottenuto mediante la riproduzione del piacere libidico in piacere sublimato, piacere tras-posto, tras-ferito.
    Se la metafisica – secondo Agamben – non è che l’oblio della differenza originaria tra significante e significato, la fine della metafisica ci pone il problema di pensare una parola che dismetta quella frattura, la lasci cadere nel pozzo senza fondo della differenza e della disambiguazione.
    La poesia kitchen è l’inquilino sfrattato dal fondamento che è costretto dagli eventi ad abitare un diverso statuto della parola poetica, una parola a-denotativa, uno speech act gratuito e invalido, un’esperienza della parola che apra lo spazio della gratuità, della invalidità e del kitsch, che non presupponga alcuno scambio di equivalenti, le parole non sono mai degli equivalenti, semmai se scambio v’è nella poetry kitchen v’è scambio di non-equivalenti.

  17. PIETRO EREMITA

    FINALMNETE UNA INTERVISTA SERIA CHE CHIARISCE MOLTI DEI PUNTI RITENUTI OSCURI SU PUTIN E SU QUASI TUTTO CIO’ CHE GLI E’ GIRATO INTORNO E GLI GIRA INTORNO ANCORA OGGIGIORNO, E CHE INVECE SONO CHIARI E SPIEGABILI A CHI GLI FU VICINO DISINTERESSATAMENTE (P.E. COME ABBAS GALLJAMOV, DA TEMPO IN “ESILIO”) E ALCUNI DI QUESTI PUNTI SONO STATI GIA’ INTUITI O PIU’ O MENO SPIEGATI OGGETTIVAMENTE DAI NUMEROSI INTERVENTI SU QUESTO BLOG DALLO SLAVISTA ANTONIO SAGREDO, IL QUALE, COME OGNI SLAVISTA SERIO CONOSCE LA RUSSIA E LA STORIA DELLA RUSSIA. E ALLORA SUPPORTATO DALLE CONOSCENZE STORICHE-LETTERARIE DI GRANDI STORICI E DI GRANDI SLAVISTI ITALIANI E NON HA POTUTO TRARNE CHE LE CONSEGUENZE DOVUTE E GIUNGERE AD ALCUNE CONCLUSIONI CHE IN PARTE COINCIDONO CON CIO’ CHE AFFERMA NELLA INTERVISTA ABBAS GALLJAMOV.
    E SIAMO PERCIO’ VICINO AD UNA SVOLTA CHE SPERIAMO INDOLORE PER IL MONDO INTERO, E CHE DI CERTO NON SARA’ INDOLORE PER CHI HA CAUSATO DECINE DI MIGLIAIA DI MORTI, PER LO PIU’ GIOVANI SOLDATI RUSSI INCOLPEVOLI – COSTRETTI A FAR LA GUERRA PER GLI INTERESSI DELLA CRICCA SPIEATA DEI SERVIZI SEGRETI RUSSI CAPITANATI DA PUTIN (IL DISTRUTTORE TAUMATURGO!)— E A QUESTE MORTI DA AGGIUNGERE LE MIGLIAIA DI MORTI UCRAINI: SOLDATI, CIVILI FRA CUI CENTINAIA DI BAMBINI!
    DALLA INTERVISTA IL LETTORE SI TROVERA’ DI FRONTE L’UOMO PUTIN MESSO A NUDO, PROVVISTO DI FALSI E ANTICHI RANCORI PERSONALI VERSO L’OCCIDENTE (STORICAMENTE DEFORMATI E PRONTI PER L’USO CRIMINALE) E FALSI RANCORI DI GENERE NAZIONALISTICO, ANCHE ESSI EFORMATI.
    lA RUSSIA HA AVUTO SEMPRE BISOGNO DEL S UPPORTO DI DECINE E DECINE DI PERSONE “OCCIDENTALI” DI GRANDE TALENTO IN OGNI CAMPO DELLE ATTIVITA’ UMANE. UN ESEMPIO UNICO E ESEMPLARE: L’ARCHITETTURA DI TREZZINI E RASTRELLI E ROSSI ECC.
    CHE FURONO CHAMATI DA PIETRO IL GRANDE ( IL COSTRUTTORE TAUMATURGO) E DA CATERINA II E ALTRI ZAR E IMPERATRICI. SE GRANDE E’ LA RUSSIA LO E’ PER MERITO ANCHE DELL’OCCIDENTE! SENZA NULLA TOGLIERE AL GENIO RUSSO A CUI HA ATTINTO L’OCCIDENTE :UNA RECIPROCA E FECONDA OSMOSI).
    OVVIAMENTE. PUTIN HA AZZERATO DECINE E DECINE DI ANNI DI RAPPORTI CULTURALI: NE FA FEDE IL RISPETTO E L’AMORE PER LA CULTURA RUSSA DEI GRANDI STUDIOSI OCCIDENTALI, IN PFRIMIS GLI SLAVISTI EUROPEI HANNO DATO UN CONTRIBUTO SOSTANZIALE ALLA CONOSCENZA DELLA CULTURA RUSSA IN TUTTI I SUOI ASPETTI FRUTTUOSI.
    E DEGLI STUDIOSI CITO SOLTANTO IL NOME DI ETTORE LO GATTO (E RACCOMANDO DI LòEGGERE I SUOI PREZIOSISSIMI TESTI) VERO E PROPRIO PIONERE, A CUI SPERO LA NUOVA RUSSIA (DOPO PUTIN) AVRA’ IL CORAGGIO DI ERIGERGLI UNA STATUA, COME UNA STATUA MERITEREBBE PURE IL SUO ALLIEVO PREDILETTO: ANGELO MARIA RIPELLINO (E DA PRAGA LA SI ASPETTA DA 40 ANNI!).
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    Un po’ di riconoscenza ci vorrebbe, come noi occidentali la abbiamo avuta per i grandi russi, e qui si dice nel campo di tutte le arti e della cultura. e per ora mi fermo.

    pietro eremita

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    MOSCA – Abbas Galljamov ha scritto i discorsi del presidente russo per anni, quando Vladimir Putin era appena arrivato al Cremlino e durante la sua parentesi da premier. Sull’orazione di venerdì sull’annessione di quattro regioni ucraine è spietato. “Propaganda al 99 per cento”, dice al telefono con Repubblica da Tel Aviv dove vive in esilio. Oggi consulente politico indipendente, definisce Putin “inadeguato”, “in guerra con la realtà” e “senza strategia”. Così “debole” da poter ricorrere all’arma nucleare come extrema ratio col rischio però di provocare un golpe.
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    Che cosa pensa delle invettive di Putin contro Usa e Occidente?

    “Il 99 per cento di quello che ha detto era solo propaganda. Emozione. Quasi nulla che avesse conseguenze reali. L’unica cosa degna di nota è stata la sua dichiarazione di essere pronto ad andare al tavolo delle trattative, ma allo stesso tempo di non voler discutere del futuro dei territori annessi. Tutto il resto era pura ideologia. E in questa ideologia non c’era nulla di inedito. Quasi tutto quello che ha detto venerdì lo avevamo già sentito prima. La retorica anti-colonialista è stata però molto prepotente. In passato ne aveva usato soltanto frammenti. Stavolta sembrava di ascoltare non tanto il presidente della Russia, ma il leader di un Paese africano del Terzo Mondo del secolo scorso che aveva appena ottenuto l’indipendenza”.
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    Gli analisti Usa: “Putin seguirà la strada dell’escalation”
    dal nostro corrispondente Paolo Mastrolilli01 Ottobre 2022
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    Il discorso com’è stato recepito dal pubblico russo?

    “Non ha causato che delusione. Sia l’élite che la popolazione hanno capito che Putin non ha più nulla di nuovo da dire. Il che significa anche che le cose continueranno ad andare allo stesso modo. Putin non ha mostrato di avere nessun asso nella manica per invertire la tendenza. E la tendenza è negativa. Gli ucraini stanno vincendo sul campo, l’economia russa sta morendo e il malcontento popolare sta crescendo. Avrebbe dovuto presentare un nuovo approccio. E invece niente”.

    Putin ha cercato di proiettare un’immagine di forza nel suo momento di massima debolezza. È slegato dalla realtà?

    “Proprio così. Putin non è in guerra con l’Ucraina, né con la Nato. È in guerra con la realtà. Dice di voler negoziare e allo stesso tempo di non voler discutere il nodo principale. Puoi mettere condizioni se stai vincendo, ma non ora che gli ucraini avanzano. Hanno conquistato Lyman. È solo questione di tempo prima che rioccupino tutti i territori annessi. Come puoi aspettarti di negoziare e non essere pronto a discutere lo status di questi territori mentre li stai perdendo militarmente? È il comportamento di una persona inadeguata”.

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    Da Teheran a Mosca, è il momento delle rivoluzioni delle donne
    di Bret Stephens01 Ottobre 2022
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    Annettendo nuovi territori e rifiutandosi di negoziare su di essi, Putin non si è lasciato molte vie d’uscita. Quali opzioni gli restano?

    “Putin non ha nessuna strategia. Non è lui il leader. Non è lui a guidare, viene guidato. È in balia degli eventi e delle persone. Non ha più il controllo. Ognuno agisce autonomamente perseguendo i propri obiettivi. È quello che succede quando sei debole e stai perdendo. Putin non voleva annettere nuovi territori in questo momento. Due settimane fa il Cremlino aveva detto che la questione dei referendum e dell’annessione era sospesa, che prima bisognava vincere sul piano militare e poi si poteva passare alla fase politica. Dopo pochi giorni le Camere pubbliche delle regioni ucraine separatiste hanno detto di voler entrare immediatamente a far parte della Russia. Questo perché i leader separatisti hanno agito in maniera autonoma. Dopo il ritiro delle truppe russe da Kharkiv hanno capito di non poter più contare sul Cremlino e di doversi salvare da soli. Hanno forzato la mano e Putin non si è potuto tirare indietro. Non poteva dire di “no” a quello che dice essere il suo stesso popolo che soffre sotto il regime nazista ucraino. Ma in realtà non voleva l’annessione adesso. Aveva bisogno di mani libere per negoziare. Ecco perché, all’indomani dell’annuncio dei referendum, ha rilasciato i prigionieri di Azov. Voleva rendere questa pillola amara un po’ più dolce. Mostrare a Kiev un segno di buona volontà. Putin vuole negoziare. Con ieri lo ha detto già tre volte nelle ultime settimane”.

    Lei ha sostenuto che la forza è l’unica fonte di legittimazione per Putin. Ha perso entrambe?

    “Decisamente. Sta perdendo forza e legittimazione. Gli umori di protesta crescono. I consensi calano. È una tendenza che probabilmente non riuscirà a fermare. L’unica questione è quanto velocemente si svilupperà”.
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    Palco e maxischermi, la Piazza Rossa festeggia l’annessione di Putin: “La Nato vuole il massacro”
    dalla nostra inviata Rosalba Castelletti29 Settembre 2022
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    Il sistema politico su cui Puin si è retto per 20 anni non è più solido?

    “Ci sono profonde crepe. I leader separatisti, ad esempio, hanno forzato i referendum di concerto con Andrej Turchak, segretario del Consiglio generale del partito Russia Unita, agendo contro Sergej Kirienko incaricato di controllare i territori annessi. Dipenderà tutto da che cosa succederà sul campo di battaglia. Se continueranno le sconfitte, il sistema diventerà sempre più debole e Putin perderà il controllo del Paese finché il regime non crollerà. Ma se riuscirà a stabilizzare il fronte, o ad avanzare, il regime in una certa misura si consoliderà. Non tornerà mai più a essere forte come era prima del conflitto, ma guadagnerà stabilità. Dipende tutto dall’esercito ucraino”.
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    Putin ha detto di essere pronto a difendere i nuovi territori “con ogni mezzo possibile”. Quant’è realistica la minaccia nucleare?
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    “Finora, ogni volta che si è sentito minacciato politicamente, Putin ha scelto l’escalation. Se perdesse l’offensiva in Ucraina, perderebbe anche il potere. E per lui vorrebbe dire il carcere. Se non gli restasse altra via d’uscita, non è escluso perciò che Putin possa decidere di sferrare un attacco nucleare contro l’Ucraina. Certo, non lo vuole. Si tratterebbe dell’extrema ratio. Ma la domanda è se l’esercito gli obbedirà. Perché, se mai Putin decidesse di sferrare un attacco nucleare, vorrebbe dire che è stato totalmente sconfitto sul piano delle armi convenzionali e che ha perso ogni legittimazione agli occhi degli ufficiali dell’esercito. Che a questo punto potrebbero rifiutarsi di eseguire i suoi comandi. E il rifiuto sarebbe un golpe”.

    • Grazie, anche se il maiuscolo offende l’udito. Ne tenga conto per favore. E poi, che c’entra Putin con l’intervista di Bertoldo? Lei… ma finiamola, caro e rispettabilissimo Antonio, davvero credi che noi non si abbia un’idea su quanto sta accadendo? Non ne avessimo alcuna, quantomeno sappiamo che il prezzo di questa guerra lo stiamo pagando caro con l’inflazione a stento trattenuta (sempre se le bollette le paghi tu personalmente, o fai la spesa ogni giorno). Ci sta bene? Ok, lo disse anche Draghi: volete l’aria condizionata? E comunque non abbiamo scelta, queste cose vengono decise in alto. Qui ci limitiamo a far ribollire le parole.

      • E aggiungo, qui da noi, come nel resto d’Europa, la disputa è tra INTERVENTISTI e chi vorrebbe la pace, o quanto meno vorrebbe una obiettiva valutazione sulle reciproche responsabilità. L’esito delle ultime elezioni fa capire che gli italiani non vogliono la guerra. Ma che si DEVE fare.

    • Grazie al corrispondente esterno ktchen! Pietro Eremita

  18. milaure colasson

    Il dissidente russo Gavalny che sta scontando 9 anni di detenzione residua ha detto pochi giorni fa che per guarire dalla malattia endemica dell’autocrazia, una volta caduto Putin e il suo inner circle, la Russia dovrebbe transitare alla forma della repubblica parlamentare. Noi qui in Italia si parla di far transitare la repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, come si vede le cose sono molto confuse.
    La poetry kitchen ha una carica sismica così forte che, a mio avviso, una volta che si scrive in modo kitchen poi non si può più tornare indietro…

  19. antonio sagredo

    La poesia è reversibile e irreversibile e questo dipende dalla grandezza del taumaturgo che la crea, renderla o l’una o l’altra cosa.
    un poeta urla: farò una poesia reversibile
    un secondo poeta dice: meglio se irreversibile
    un terzo…. ecc.
    infine succede che la poesia farà a meno del poeta e non “tornerà più indietro”… nasce una poesia acefala poichè scopre che la poesia…

    • Jacopo Ricciardi

      Gentile Milaure, ma se ogni poeta Poetry Kitchen ha la “sua” poesia, e questa architettura o impalcatura dipende da quel poeta, allora c’è una riduzione dell’intervento del poeta sulla propria poesia, ma non un’assenza definitiva. Mi pare una forzatura concettuale a posteriori (ossia dopo la scrittura). Perché è lì il punto, nel vuoto probabilmente mascherato ancora, nella metafisica non eliminata del tutto, nella lettura del testo che deve aggrapparsi pur a qualcosa, che non può essere un piacere dissolto nella teorizzazione a posteriori. Il procedere della lettura si appoggia su qualcosa che sta Nel testo.

      • L’aspetto bizzarro o schizomorfo di alcuni testi kitchen

        L’aspetto bizzarro o schizomorfo di alcuni testi kitchen (penso in particolare a quelli di Francesco Paolo Intini e alcuni miei) hanno a che fare con l’imperativo psichico della forclusione e con quello della rimozione di un contenuto ideativo che non può essere detto per come si presenta e che si traduce in sintomo. Il testo diventa così sintomatico, cioè una serie di sintomi che si susseguono e si accalcano senza ordo rerumordo idearum, ma c’è pur sempre un ordo sottostante che l’io della coscienza non conosce e non può riconoscere.

        La forclusione

        La forclusione è il meccanismo particolare che struttura la psicosi. La forclusione opera sul significante che permette l’accesso al simbolico, e forcludendolo, impedisce che la «Cosa» acceda al simbolico, la «Cosa» infatti retroagisce e ritorna nel Reale, fatto eloquente nelle allucinazioni o nei deliri degli psicotici. Accade qualcosa di analogo quando siamo colti da ebbrezza: senza orientamento nel tempo, nello spazio e siamo privi di memoria. In questo stato di dispersione cognitiva siamo costretti a rintracciare i sostituti della «Cosa» nei nomi delle «cose», ciò che ci consente l’orientamento temporo-spaziale. L’ ebbrezza totale è priva di memoria e priva di una grammatica.

        Lo statuto di secondarietà della parola

        Nella poetry kitchen lo statuto di secondarietà della parola, la sua funzione meramente strumentale-funzionale alla fedele restituzione del ready language assume il ruolo guida. È il linguaggio impersonale che detiene la posizione di originarietà rispetto alla secondarietà della parola. Il linguaggio impersonale diviene la guida della poiesis. La casualità del percorso linguistico e l’arbitrarietà dei compostaggi dei linguaggi impersonali della pubblicità e del mondo dei media, assumono un ruolo primario rispetto ai quali l’autore può condividere la prospettiva meravigliata del lettore, di chi assiste alla rivelazione nella scrittura dell’imprevisto, dell’impensato e dell’abnorme.

        La superficie-superficie del linguaggio

        Immaginiamo di camminare sul nastro di Mœbius, dovunque noi ci troviamo ci accorgiamo che allontanandoci in una direzione dopo un cammino che può essere anche molto lungo (la «traversata del fantasma» di cui parla Miller) si torna sempre al punto di partenza. Scopriamo così che non esiste un punto di partenza e che siamo sempre stati nello stesso posto. Scopriamo che tutto è a portata di mano, lì in vista, che non c’è alcun segreto, alcun altrove perché ci troviamo su un tappeto volante; nel magico nastro di Mœbius l’interiore diventa senza soluzione di continuità esteriore, e viceversa. Quindi non c’è né interiorità né esteriorità, né interno né esterno, c’è un corpo-superficie, la superficie-superficie del linguaggio, che è unidimensionale ma che può aprirci alla multidimensionalità. Il mondo, disertato dal reale, si scopre popolato di sembianti, di apparenze, di avatar. Il «fantasma» è un sembiante che agisce di per sé, buca il simbolico e accede direttamente al reale per il tramite dell’immaginario. In tal senso il «fantasma» attraversa il trittico lacaniano (Simbolico, Reale, Immaginario) restando se stesso, restando «fantasma», restando sempre nel fuori-senso.

        • Jacopo Ricciardi

          Una di poesia di Intini qua sopra inizia con “La parte sporca tocca ai neuroni” e finisce con “Il mignolo di Wahrol ripulì l’orecchio sinistro.”. L’ultimo verso è addirittura plausibile, e non ha alcuna frammentazione se proprio non si vuole prendere alla lettera “mignolo” come un intero che non può stare per “unghia del mignolo”, cosa che mi risulta una forzatura a monte, cioè che richiede una lettura secondo un codice prestabilito: una parola che vale per sé sola e non per altre ad essa legate. Ma questo verso impone davvero questa immutabile lettura piuttosto che l’altra? Non mi pare. Allora si deve leggere giustificando a priori la lettura? Cioè, prima che la lettura accada, si deve sapere per qualche motivo che si deve leggere in un certo modo. Allora il codice del testo si impone dall’esterno, da una posizione costruita, costruita similarmente al codice basato “originariamente” sul significato.
          Allora posso pensare che il primo verso possa dare in qualche modo questo input (sapendo bene che questo creerebbe una gerarchia tra i versi che negherebbe la mancanza di linearità della Poetry Kitchen). Ma il primo verso è per di più ambiguo, “la parte sporca” può essere intesa in modo letterale ma il verbo “tocca” le dà subito una lettura legata al comportamento. Che poi i neuroni sono proprio l’origine meccanica di un comportamento, quindi potrebbero essere la causa di una linearità che fa fare a un comportamento una “parte sporca”. Ancora una volta sarebbe più vicino alla PK il senso letterale, cioè che qualcosa di sporco tocca i neuroni. Ma mi pare maldestro perché il verbo “tocca” che segue “la parte sporca” porta in automatico la lettura dall’altra parte, verso una linearità. L’ambiguità non giova a questo verso, e lo fa impallidire alla lettura.
          Trovo le specifiche che Linguaglossa enuncia qua sopra per descrivere la poesia di Intini condivisibili, ma la lunghezza di queste poesie che reitano (o vorrebbero reiterare!) lo stesso procedimento rendono quella meraviglia per lo spaesamento ripetuto e ripetuto assai “pesante” proprio alla lettura, anche ripetuta.
          Insomma mi chiedo se questo accumulo che è comunque un accumulo di cose e frammenti, generi veramente una freschezza rinnovata di quella meraviglia di cui parla Linguaglossa.
          Aggiungo che lo stato di sconnessione della mente che a volte accade anche da sobri e quello spaesamento profondissimo e senza turbamenti nel momento preciso del fatto, di cui l’ubriacatura è una parvenza indotta, è davvero ciò che accade in condizione di alta vigilanza durante una lettura, seppure priva di significato? Lo sgomento di una tale condizione appare proprio quando si stanno riacquistando i sensi, e nasce dal contrasto. Durante la lettura c’è davvero l’accadimento di un momento completamente sconnesso, privo di gradazioni?

          • Francesco Intini è per me un gran poeta. Contrariamente a quanto viene detto della sua poesia, per il non senso accelerato dei suoi versi, traspare anche un pensiero guida che mi sento di riassumere così:
            basta riflettere sulla sua formazione scientifica. È come dicesse: la natura precorre qualsiasi politica, qualsiasi convincimento, personale, filosofico, ecc. L’universo con le sue leggi, la materia… chimica e fisica dove un tempo era il regno di dio. Non siate ridicoli!

            • Strano rapporto tra non-senso e vuoto: il primo è dovuto a tecnica di scrittura, per l’appunto kitchen, mentre il vuoto fa riferimento a ciò che non è verbalizzato. È questione esistentiva, ontologica. Fare affidamento alla sola tecnica comporta, a mio avviso, il rischio di sopravvalutare la validità dei “messaggi” inconsci; i quali, oggi, ci vengono dati orizzontalmente da fuori.

            • La mia nipotina ha avuto un attimo di esitazione davanti ai libri di chimica: scienza delle trasformazioni. Cosa vorrà dire? Chissà se le piacerà la stechiometria e se qualcuno le insegnerà com’è fatto un atomo e ciò che sta dietro a tutto ciò che tocca e vede. Imparerà che il metodo è ciò che rende potente la specie a cui appartiene?
              Poi ha sbuffato, forse intuendo certe cose che succedono nel mondo mentre passa dal latte materno alle prime pappe di semolino e frutta tritata. Neanche i libri di fisica le sono piaciuti tanto. Ha persino urlato davanti agli scaffali su cui uno dietro l’altro si susseguono i maggiori poeti della storia.
              Soltanto davanti alla gallina Nanin, fresca di uffici postali e di scatolone aperto in giornata ha avuto un sorriso, chiaro e netto di gradimento assoluto. Ha intuito che c’è qualcosa di buono e piacevole nella nostra antologia. Avrebbe letto con la boccuccia, assaggiato il nuovo della poesia se non le avessi fatto capire che si trattava di carta e non di materiale succulento per le sue gengive. Un giorno la leggerà in modo corretto. Di certo l’ innocenza nei suoi occhi curiosi e avidi di conoscenza, si intravede il gusto verso il nuovo e l’originale. C’è da fidarsi.
              Ciao

  20. Tenuto conto della concorrenza mediatica, del tutto-gratis in internet, un libro di poesie dovrebbe costare minimo 30 auro. 80 per una antologia. Si possono studiare pacchetti e abbonamenti adatti ai mezzi odierni di comunicazione, e del caro vita (guerra del c…!). Il mio primo libro costerà 40 euro, è già deciso.

  21. Senza pretese, ma tra Edward Hopper e l’inevitabile scelta di Tomas Tranströmer di salutarci con degli haiku:

    *
    Seduto in camera tua, nudo, le gambe accavallate.
    Abbiamo speso troppe parole questo mese.

    Alberi alla finestra.

    LMT

    • Poesia essenziale che sa di Tranströmer e di poetry kitchen e con uno spritz di haiku alla tua maniera caro Lucio, come nessun altro poeta italiano scrive oggi.
      I compostaggi di Mauro Pierno mi convincono in pieno… a volte Mauro gigioneggia un po’ troppo, e allora rischia di cadere nella poesia giocosa, ma è un rischio calcolato, un rischio che alberga anche in alcune mie poesie kitchen e in alcune di Gino Rago e della Colasson. Un rischio che però va accettato.

      L’Ombra delle Parole è nato nel 2013. All’inizio era un blog che cercava la propria strada di uscita dal novecento epigonico e agonico, la compagnia era la più varia… nel frattempo alcuni si dileguarono per motivi personalistici e posiziocentrici, ciascuno era più interessato al proprio narcisismo che alla costruzione di una poetica… ma senza una poetica non si va da nessuna altra parte, io lo avevo scritto e ripetuto ma, si sa, il narcisismo è una droga più forte di qualsiasi ragione. Nel 2014 iniziai, insieme a voi, a parlare di «Grande Progetto», e lì qualcuno si allarmò e si dileguò. Negli anni seguenti la rivista si impegnò a creare le coordinate teoriche della NOe (la nuova ontologia estetica) in modo sempre più radicale e convinto (infatti altri partecipanti si allontanarono), nel frattempo altre persone si erano avvicinate vedendo nella nostra direzione qualcosa di degno di essere approfondito: qualcosa di nuovo che stava nascendo. Nel frattempo, negli anni che vanno dal 2018 ad oggi, la poetry kitchen si è configurata come l’espressione più innovativa della poesia italiana e una novità anche in Europa, che io sappia, ad eccezione della nuova poesia ceca che aveva iniziato con 20 anni di anticipo rispetto a noi.
      Che dire? Dobbiamo dare continuità al nostro progetto, continuità negli anni con una antologia ogni anno. E magari anche con una Agenda per la quale rinnovo l’invito a chi no abbia ancora mandato le poesie e inviarle.

      Comunico che ho inviato una copia della antologia Poetry kitchen e del mio saggio alla rivista sotto indicata:
      Philosophy Kitchen
      Università degli Studi di Torino
      Via Sant’Ottavio, 20 – 10124 Torino
      tel: +39 011/6708236 cell: +39 348/4081498
      e-mail: redazione@philosophykitchen.com
      Web: http://www.philosophykitchen.com
      prof Giovanni Leghissa

  22. antonio sagredo

    inauguro un TOTOPUTIN,

    A CHI INDOVINERA’ VINCERA’

    UN LIBRO

    • Caro Antonio, il mondo di adesso è diviso tra un presidente americano afflitto da demenza senile, e un criminale che si rifiuta di sentirsi tale. Entrambi convinti di vivere negli anni ’50. Vedi tu…

  23. Kitsch poetry

    Dopo essersi ingollato una boccia di marmellata all’albicocca di proprietà del poeta Mario Lunetta che abitava nella capitale in via Accademia Platonica n. 37, il pappagallo Gazprom aprì la porta d’ingresso della abitazione del critico Linguaglossa il quale stava golosamente consumando un uovo alla coque.

    Sulla soglia dimorava il poeta Gino Rago con sotto il braccio destro una torta ai mirtilli, lamponi, shrapnel al fosforo bianco e una fotocopia della gallina Nanin opera di Lucio Mayoor Tosi.

    Il pappagallo Gazprom aveva appena volato dall’appendiabiti al tavolo da cucina dove finì di ingurgitare i residui della torta e anche una confezione di gorgonzola che giaceva incustodita scolandosi sopra anche una bottiglia di Bourbon, si guardò soddisfatto allo specchio e proclamò con voce stentorea:
    «Il vincitore della battaglia di Jena e lo sconfitto di Waterloo sono la stessa persona, sono io!».
    Accadde un forte bagliore. Il critico Linguaglossa si stava lavando i denti con il dentifricio Pepsodent plus antiplacca allorché una lampadina con il filo in tungsteno incandescente andò a mal partito.

    Quella mattina il poeta Gino Rago stava prendendo un caffè al bar di Trebisacce, correggeva le bozze del suo libro “Storie di una pallottola e della gallina Nanin”.
    Sempre a Roma, seduta ad un caffè della Circonvallazione Clodia n. 21 Marie Laure Colasson redige il verbale degli acchiappafarfalle, ci mette dentro tutti i poeti della Poetry kitchen.
    Ewa Tagher stava aggiustando la redingote al pappagallo Proust quand’ecco che il poeta Lucio Tosi è diventato un bambino, la mamma gli sta aggiustando il grembiule di scuola e lo rimprovera, gli grida: «stai attento, maleducato!», «ne combini una dopo l’altra!», «sei sempre il solito!».
    Francesco Intini ha appena acquistato un revolver a tamburo da 6 colpi calibro 7.65, spara un colpo in aria, dice che Faust ha chiamato al telefono Belzebù per una metastasi mattutina.
    Un ippopotamo bianco sta fumando un sigaro cubano in compagnia di Mauro Pierno al bar sito proprio davanti al Colosseo, quand’ecco che interviene il poeta-chimico Vincenzo Petronelli che dice: «it will not be easy to handle, il plutonio è un isotopo del favonio e il leone è la marca del water che ho in bagno. Il Colosseo è una dentiera e la groviera è un dentifricio per cani, il che è già un ottimo argomento per l’enthymema».
    Proprio in quel momento a Lubjana il critico marxista Tatarkiewick litigava con il filosofo Žižek circa il concetto di «vuoto» nella pittura di Rothko
    A Londra il cagnolino della regina Elisabetta prende ad abbaiare in tedesco rivolto allo Zar del Cremlino che le si avvicinava. «I cani hanno un istinto interessante, non trova?», ha commentato la regnante rivolgendosi al ministro degli esteri…

    • Giorgio, ma L’ombra delle parole ce l’ha un anniversario? 2013/2023, ma non sono sicuro. Un convinto lungo applauso, come minimo, ti è dovuto.

      • milaure colasson

        L’anno prossimo, per festeggiare il decennale dell’Ombra delle Parole ognuno di noi acquisterà dai cinesi qui a Roma per Giorgio Linguaglossa un paio di occhiali per presbiopia di 3,5 gradi, costo cadauno 1 Euro.
        Il pezzo di Mimmo dimostra che lui ha capito perfettamente l’operazione che stiamo facendo. Sarei curiosa di conoscere il suo nome.

    • Jacopo Ricciardi

      La prosa dà il tempo al lettore di sostare dove vuole e proseguire. La poesia è l’opposto. Forse qui tocchiamo di più le mie corde. Mi piace molto il tempo sovrapposto e supposto degli eventi, un tempo che ha il suo luogo. Gli eventi si montano mentre si smontano. Mi piace ancora di più l’utilizzo dei vari poeti della PK come fantasmi reali, ossia inesistenti proprio perché esistono, proprio perché operano nella lingua della PK che li rende fantasmi. Quindi un reale si mostra aggregato di inconsistenze, eppure pieno di vicende. Diciamo che qui i tempi si scambiano o si incrociano o si sovrappongono, e sono proprio i tempi a galleggiare come frammenti sul vuoto contenendo vicende inglobate nei tempi. Sono bolle di tempi. Ottimo.

  24. antonio sagredo

    il mondo non è diviso : è unito nella divisione

  25. Seguito delle vicende del pappagallo Gazprom

    Dicevamo che il pappagallo Gazprom atterrato sul tavolo di cucina ha aperto il frigo ed ha ingurgitato anche la porzione di camembert al peperoncino destinata al poeta Linguaglossa che il poeta Mario Lunetta di via Accademia Platonica 37 aveva portato dall’aldilà in una valigetta frigorifero.

    A quel punto il pappagallo prese a dirne di cotte e di crude sul poeta Montale e sulla linea lombarda mentre il critico Linguaglossa si lavava i denti col dentifricio Pepsodent plus antiplacca il quale non fece di meglio che perorare:
    «Ça va, ça va, e se non va, ça va bien…»
    Ma ecco che dal plico postale inviato dal poeta Mario Lunetta sortisce una nuvola rosa, una persiana tinta in verde, una stilografica dorata Dupont “Napoleon”

    «Xi Jinping ha letto “Il mondo come volontà e rappresentazione”, e ne è rimasto fulminato», pronunciò il redivivo poeta della «scrittura materialistica» Mario Lunetta.
    «This is the best product in the world!», strillò Marie Laure Colasson alludendo al camembert trafugato dal pappagallo Gazprom.

    • Jacopo Ricciardi

      Tra il “Dicevamo” iniziale e l'”aldilà” finale del primo paragrafo colgo addirittura una torsione negante dei tempi che generano la scena, e questo fa bene alla lettura poiché il lettore si giova d una disseminazione non solo casuale ma distorta dei luoghi. In più la presenza reale è appunto del luogo indicato da quel “dicevamo”, che è fuori dal luogo mostrato della casa e del tavolo, ma essi pur apparsi dipendono da quell’assenza reale, che è per di più temporale. Questo aggrovigliarsi e dipanarsi senza soluzione offre delle ampie evoluzioni aeree alla lettura che dispone il tutto in un respiro assai calmo del vuoto. Nell’ultimo paragrafo l’evento che sta nelle parole dette da Lunetta non differisce dalla natura dell’evento che mostra Lunetta che parla (dalle parole due reali), cosicché i due luoghi trascorrono l’uno nell’altro, senza poter sapere quale è che occupa e quale è l’occupato.

  26. mimmo

    Dis-oggettivare il tempo e la forma ritengo sia tratto saliente della PK. Allontanarsi un pò di più dalla metafisica e muoversi nell’interregno del rovescio della medaglia. Rincorrere sembianze di realtà e contaminarle di altra sostanza.
    Ultrasurrealismo che si esplica nella frammentazione che sonda il vuoto e nello stesso lo determina. Esattamente questo incastro provoca un movimento tellurico nel quale, per esempio, ” la pallottola” e la “gallina Nanin”, per quanto assolutamente inconciliabili nella realtà, esprimono significazione.
    Ultrasurrealismo che ri-forma l’espressività conducendo non verso “magnifiche sorti e progressive” ma che si insinua nelle intercapedini e nelle contraddizioni di un evo che ha sembianze di gambero. Può essere che produca neppure un solletico ma, tuttavia, aziona la connessione esistente tra quanto diuturnamente è e l’altrove di ciascuno.
    L’ego sostituito dall’es è l’altrove di ognuno che, galleggiando nel vuoto, accomuna “bianche geishe” e “pistacchi del commissario”, “zar di Russia” e “misuratore delle ombre” o, ancora ” sassolino inerte” e ” cane scemo”.
    La spoliazione del senso significativo è il carattere distintivo della PK, libera-mente in libero-corpo, che solo apparentemente viaggia senza meta.

    • milaure colasson

      gentile Mimmo,

      lei ha trovato la definizione giusta, “ultrasurrealismo” è la dizione esatta, un surrealismo elevato al quadrato, che fa vuoto mediante delle scatole vuote che sono le parole che noi usiamo tutti i giorni, che fa vuoto con altro vuoto a rendere… quel vuoto, prodotto di combustione e di movimenti tellurici è l’unico modo che ci è dato di fare qualcosa di espressivo che non significa niente di immediatamente riconoscibile.

  27. e e e e e e e e
    e e e e e e e e e e e e

    e e e
    e e e e e e e e

    Fuori da “goliardia”
    è giunto il tempo si salutarci.
    A presto OMBRA. Grazie.

    • Eccomi qui, caro Mauro, ai tuoi piedi, già rimproverato.
      Se unisco due pezze, e bene le accosto, creo una terza narrazione: è questo che intendevi dire? Probabilmente no, ne creo una soltanto, di tutti e con la stessa voce: kitchen. Ma, secondo te, non è per collaborazione se dico che non sono d’accordo?

  28. Giuseppe Talia

    – we-we, si dice a Napoli
    – sei stato a Napoli?
    – non di recente
    – l’antiquario ha fatto la proposta
    – conviene?
    – sì, il 35% deve rimanere originale, il resto si può citare
    – vero, a San Basile hai ricordato le poesie Frankenstein
    – devi tener conto dell’abilità dei punti di sutura

  29. gent.mo Mimmo

    a riflettere per bene sulle tesi di Zizek (leggi il post appena di qualche settimana fa su lombradelleparole.wordpress.com), la poiesis di oggi in realtà ha fatto pieno ingresso nel WC. Le parole-feci, le parole da gabinetto vengono immediatamente inghiottite nel vano dello spurgo, anzi, sono propriamente invisibili, non devono più affiorare alla superficie dello spurgo, perché innominabili, immonde, in quanto rifiuto non più riutilizzabile.
    L’arte che ammicca alla sublimazione e alla seduzione in realtà precipita d’un subito nella abiezione. La poiesis kitchen abita la reiezione e la deiezione. Per la legge dei vasi comunicanti i voti di Salvini se li prende la Meloni, quelli del PD se le prenono i 5Stelle, così le parole-feci, le parole-immondizia finiscono, invisibili, nel termovalorizzatore, e di là spariscono, finiscono in fumo. La poetry kitchen fa questo servizio: rende di nuovo visibili le parole invisibili, rende di nuovo abitabili le parole dis-abitate.

  30. antonio sagredo

    Carissimi,
    il termine “ultrasurrealismo”è stato usato e quindi storicizzato già dagli anni ’60’, quando a Praga si stava esaurendo il “secondo” surrealismo.
    ——
    I protagonisti (ultrà) di quel secondo surrealismo sono tutti morti, qualcuno suicida.
    —-
    Dopo di che un poeta-pittore Vladimir Boudnik fondò la corrente dell’ “explosianismo”, che come dice questo termine pose fine al secondo surrealismo con una serie di poesie e quadri e che a esplosione avvenuta frantumarono definitivamente il tutto, ma frammenti ancora andavano in giro tant’è che ancora oggi si intravedono tracce, soltanto tracce, il resto è estinto e non resta nulla.
    ——–
    Scrivevo nella mia tesi sul poeta Otokar Březina(1974\75) a proposito:
    “Ma l’opera di Vladimír Boudník, piu o meno dalla metà degli anni ‘50 fino alla fine degli anni’60, metterà in gravissima crisi tutta la grafica ceca a lui precedente, poiché lavora sul materiale stesso dell’arte grafica modificandolo… e modificato sarà l’uso e la fruizione in un conflitto che vedrà gli attori: il creatore (che non cede affatto alle immaginarie chimere degli autori passati) e il destinatario (chi e dove e quando?!) dell’opera… distanziatissimi. L’innovazione (certamente!) e la distruzione (forse non totale!) della forma e del contenuto… la ri-strutturazione della grafica stessa (che insisteva sul figurativo) dichiara una guerra anche all’arte della fotografia conducendo l’artista a un metodo detto dell’ explosionalismo, che sarà situato, a voler essere storicisti, tra l’avanguardia (nuova?!) e l’underground. La sua condizione di lavorare in un stato di repressione politica è anche motivo che lo condurrà ad estremizzare la sua arte fino ad una radicale re-visione della sua stessa vita-pensiero. Dunque, a causa di questo artista e della sua opera, io credo, che non si possa più illustrare, coi vecchi metodi, i testi di alcun poeta e artista (cechi.)”.

  31. Roberto Bertoldo:
    “la Poetry Kitchen mi pare una forma conchiusa di minimalismo ma con un impegno sociale esplicito e fondato sulla quotidianità e con un linguaggio ordinario, addirittura volutamente corrivo. L’impegno è nobile ma è come prendere una carota e renderla poetica cucinandola”.

    Una carota… cos’è una carota?
    Non si danno risposte, solo ripetizioni di quanto si è scritto in questi anni di ricerca. In altre parole: non so più esprimermi con voce meccanica. Mi sono kafkianamente trasformato in libellula. Kichen di giornata.

    L’inconscio non ha nulla di divino, lì stanno le parole al pascolo. Un lieve riordino, ed ecco il titolo per un giornale. Forse per questo Giorgio ha tanto insistito sul fatto che la poesia kitchen è composta da spazzatura.

    LMT

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