Poesie scritte in tempo di guerra, Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico, Poesia di Giorgio Linguaglossa, Il misuratore delle ombre, Antonio Sagredo, Poesia mostruosa, Francesco Paolo Intini, Grizzly, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, La macchia, due strutture dissipative, 50×50, 2020, L’arte sopraffina e peculiarissima di Francesco Intini è l’analogo delle contorsioni di una contorsionista maghrebina che una volta vidi al Circo Togni, la signorina si chiudeva dentro una valigetta 24 ore (o quasi) e poi ne usciva indossando dei tacchi a spillo e fumando una sigaretta, Io ero esterrefatta

Marie Laure Colasson Ordo Rerum Struttura dissipativaMarie Laure Colasson, La Macchia, 50×50 cm acrilico, 2020
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La macchia è la «materia-immagine» della disintegrazione, l’idea della de-figurazione stessa del soggetto e dell’oggetto nel testo, tanto che a realizzare opere di de-figurazione attraverso una lingua-corpo è stato anche il già Antonin Artaud, in testi e disegni dove la de-figurazione non è una banale lacerazione sanguinante né un puro e semplice annientamento della figura. Al contrario, essa è la forza di destabilizzazione che intacca la figura, la forza che mette la figura in movimento e le imprime una rotazione vertiginosa, un ilinx, che è la risposta alla percezione che vede germinare sciami di corpuscoli e striature laddove dovrebbe esistere un solo volto, una sola riconoscibile figura. Ci sono in atto delle forze, invisibili alla percezione quotidiana, che minano alle fondamenta la figuralità della immagine e la distorcono in macchia abnorme. Si tratta delle forze storiche della de-figurazione che agiscono nel profondo dell’inconscio del capitalismo cognitivo e dell’inconscio di ogni individuo, esse sono in azione da un bel pezzo, sono le forze della de-valorizzazione e della de-figurazione.

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Marie Laure Colasson Struttura Dissipativa B 2020

[Marie Laure Colasson, La macchia, Struttura dissipativa, acrilico, 50×50, 2020]
Sostiene Lacan che nel campo scopico lo sguardo è all’esterno, io sono guardato, cioè sono quadro, il soggetto non coincide più come voleva Cartesio, con il punto geometrale a partire da cui si prende la prospettiva sulle cose, ma vive l’esperienza spaesante di essere in qualche modo oggettivato da uno sguardo altro, ridotto ad oggetto che “fa macchia” nel quadro: siamo presi dentro il quadro, e la vanitas, che credevamo riguardasse solo ciò che è rappresentato nel quadro, si rivela invece essere già da sempre anche la nostra, “che ci ri-guarda proprio dal punto impossibile, il fuori quadro nel quadro, che è lo sguardo come oggetto a”
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Giorgio Linguaglossa

Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico

Chiunque legga una poesia kitchen si accorge che qualcosa come una violenta mega esplosione è avvenuta all’interno del linguaggio, uno shock di inaudite dimensioni, un trauma gigantesco: Il Collasso dell’ordine simbolico ha trascinato con sé il Collasso dell’ordine del significante. Il che implica che quel soggetto (scabroso) che era il punto principiale e terminale della catena significante, ha fatto fiasco, e con esso fiasco è andato al macero quella antica metafisica che era, tutto sommato, rassicurante, ospitale, che va da Giovanni Pascoli di Miricae (1891) a Franco Fortini di Composita solvantur (1994). L’io del romanzo e del poetico si è trovato, si è scoperto essere nient’altro che un involucro vuoto che attende dei riempitivi per apparire significante di nuovo.
La NOe e la poetry kitchen nascono quando si inizia a distinguere chiaramente questo gigantesco iceberg che sbarra la navigazione ad ogni tipo di enunciato dotato di senso. A quel punto è andato al macero anche la catena del significante e la serie sintagmatica dei significanti che costituiscono gli enunciati dotati di senso e di significato. Con la guerra di aggressione all’Ucraina ciò appare ovvio: quel linguaggio  infarcito di ideologemi e di falsa coscienza, non si può più adottare.
Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico. Il Nome-del-Padre è diventato il Nome-di-Nessuno.

Francesco Paolo Intini

Che dire?
Da quando è iniziata questa guerra leggo quanto posso e ascolto i Tg, i talk show che si susseguono sulle reti, ascolto tutti e tutte. Ci sto mettendo passione per riuscire a capire cos’è che mi spaventa. Per qualche tempo ho pensato ai neutroni trattenuti nelle testate nucleari, costretti a stare buoni e non invadere nessun altro territorio. Devo confessare di aver persino sognato che facessero squadra e si mettessero in sciopero se qualcuno avesse pestato il tasto sbagliato. Ma i neutroni escono volentieri anche dalle mie fantasticherie. Devono berci sopra per non sentirsi schiavi di un impulso di morte. Piccoli kamikaze in picchiata libera sulle portaerei di grossa stazza. Botte a destra e a manca per ricavare una cattivissima reputazione. Che soddisfazione c’è a distruggere quello che capita?
Dopotutto sono solo fantasie mie che non stanno in cielo né in terra. Piuttosto penso a come un linguaggio combatta con un altro che vuol essere di segno opposto. A come l’uno sia incompatibile con l’altro ma provi comunque a vincere. Già, anche alcune parole sembrano votate all’auto distruzione. GUERRA, VINCERE, ARRENDERSI, COMPROMESSO, PACE, RESISTENZA, EROE etc appartengono a vocabolari ormai inservibili come i carri armati sulla via di Kiev. Dovremmo farne a meno o al massimo usarle per un selfie con la famiglia. Siamo in presenza di un tentata fissione della realtà in due parti. Dove l’una è Propaganda e l’altra è Verità. Non vale girare la testa di qua e di là sperando in questo o quello. La partita a ping pong si trasforma facilmente in una di calcio e quindi di rugby con molossi sulle curve, grandi come portaerei a suonarsele di buona ragione.
Non ce n’è nemmeno per gli arbitri. Spesso si finisce impiccati a una traversa solo per aver soffiato nel fischietto sbagliato con su scritto la parola “PACE” e chissà quando un santo verrà a mettere la buona parola.
Fino a quando insomma l’assurdo si travestirà di senso? Ogni guerra è assurda e meriterebbe una trattazione profonda delle ragioni che l’hanno scatenata. Occorrerebbe farne una dimostrazione matematica e insegnarla alla prima elementare con la pallottoliera del due più due. In una atmosfera surriscaldata dal lutto invece ogni frase è sospetta e deve fare un giro di scongiuri e rituali magici, pronunciare parole d’ordine per farsi aprire la porta dell’amico e farsi accettare senza che si sospetti di parteggiare per la parte sbagliata.
In tutto questo quale tipo di attacco può avere l’armata di parole di uno che starebbe solo nelle scarpe di Charlot e il suo grande dittatore?
E certo non è edificante vedere Arlecchino passare alle vie di fatto per convincere la platea che sta agendo e pensando seriamente. La risposta passa per il linguaggio tra panzer in fase di annichilimento reciproco ma anche per quello che c’è di tragico e marcio in un buffone disposto a uccidere migliaia di persone per dimostrare la sua versione di verità: DUE PI§ DUE FA CINQUE.
Nascono raggi gamma che accecano d’odio ma da cui, grazie a Dio, il linguaggio poetico prova a liberarsi con l’arma del ridicolo, dell’ironia, della caricatura e della strombazzatura. Credo che questo avvenga per vocazione allo smascheramento da parte del bambino che addita la nudità di re ed eroi di ogni genere. Un Omero piccolo piccolo che veste Achille con le armi di Fantozzi ed Ettore con quelle di Filini impegnati in una gita di fine agosto intorno a un trullo di Alberobello.

*

«tutti gli spettri metafisici emergono dagli antagonismi della vita reale». (Slavoj Žižek) 1

(Giorgio Linguaglossa)

1 S. Žižek  op. cit. p. 562

Giorgio Linguaglossa

Il misuratore delle ombre uscì dalla Cadillac nera

I

Il misuratore delle ombre uscì dalla Cadillac nera
parcheggiata sotto gli alberi
Il Mago Woland tirò fuori dal cilindro il Signor Putler in giacca e cravatta
il quale prese a tossire e a friggere
«È libera quella sedia?
Posso sedermi? È da tanto che sono in viaggio.
Ingehaltenheit in das Nicht»,
disse senza colpo ferire, aggiungendo la seguente postilla:
«Se in una poesia appare una bianca geisha,
non resta che contemplarla»

II

È arrivato finalmente il misuratore delle ombre
È entrato nella stanza con un metro pieghevole
Il letto era incassato nella parete
Ha preso le misure del letto, del lampadario, dei comodini, dell’appendiabiti
con le giacche del Signor Linguaglossa
Una torcia elettrica brillava nell’angolo dietro l’armadio
I bagagli erano tutti aperti, c’era della biancheria e delle scatole di medicinali
Il Signor K. si è accomodato sulla sedia dipinta in rosso
proprio di fronte al letto

«Una overdose di Remdesivir la si può prendere ad Abukir»
«Composizione per pantofole e violino»
«Infilare le pallottole nel pallottoliere»
«Spruzzare del borotalco»
«B. è un venditore di pentole, kitsch maleodorante disinfettato col deodorante»
«Sa, Linguaglossa, se in un romanzo compare una pistola, occorre che spari».
disse K.
« Sì, lo so, è incredibile: il Signor Putler e il Signor Salvini una volta erano dei bambini»,
replicai senza convinzione

III

Lafcadio, lo pseudo mulier, prese a tossire
si affacciò alla finestra
Mr. Humble si tolse gli occhiali di tartaruga mentre parlava fitto
Il bicchiere giallo era posato sul tavolo del tinello dipinto in verde
Il vento spazzava via i ricordi.

«È stato testato dal Signor Putler un budino all’isotopo di polonio in grado di abbattere in un sol colpo una intera brigata aviotrasportata della Nato»,
disse lo scrittore Gombrowicz che in quel momento aveva fatto ingresso dalla porta girevole nella hall dell’Hotel Excelsior di Budapest

Mauro Pierno

il sassolino inerte
un good save the king
oppure un Dombass libero
un cortile
e le commari finalmente libere
coccodè
coccodè
arbitri senza campo
uno stadio atipico
ricoperto di fiori
e uova
così come scompaiono
le linee parallele
a correre fragili
senza corsie
come te Nanin.

il sassolino inerte un good save the king
oppure un Dombass libero

un cortile
e le commari finalmente libere

coccodè
coccodè

arbitri senza campo uno stadio atipico
ricoperto di fiori e uova

così come scompaiono
le linee parallele

a correre fragili senza corsie
come te Nanin

*

il sassolino inerte un good save the king
oppure un Dombass libero
un cortile
e le commari finalmente libere
coccodè
coccodè
arbitri senza campo uno stadio atipico
ricoperto di fiori e uova
così come scompaiono
le linee parallele
a correre fragili senza corsie
come te Nanin

Antonio Sagredo
Poesia mostruosa

La gorgiera di un delirio mi mostrò la Via del Calvario Antico
e a un crocicchio la calura fiaccò i miei pensieri che dall’Oriente
devastato in cenere il faro d’Alessandria fu accecato…
Kavafis hanno decapitato dei tuoi sogni le notti egiziane!
Hanno ceduto il passo ai barbari i fedeli inquinando l’Occidente
e il grecoro s’è stonato sui gradini degli anfiteatri…

Miris è davvero morto!

E quella rosa d’inverno come mi ricorda le mie Rose conquistate!
Rose di Praga fra la neve imminente… rose di Keplero e di pietra!
Annamaria è un Vesuvio di rose! Rose di lava vesuviana!
Lingue di lava di rose! Rose che vincono tutte le battaglie!
Dialetto rossolavico di rose rosse e invernali e… non so che dire… altro…
Rose dei crocicchi, dei trivi, rose sfogliate e invogliate, rose – su tutto!

Così cantavano i miei passi… e le orbite volate via!… e su tutti i ponti gli occhi
e le visioni di un’altra creatura che mi tallonava… accanto,
e mi assillavano le sue letanie di voler esistere come un refrain la mia vita
su un arazzo sfilacciato – di Gobelin!

Come è artificiale questo sole che infine si riposerà e modellerà i nostri volti
col gelo – di una maschera!

(Campomarino, 13 luglio 2015)

Francesco Paolo Intini

Grizzly

Da quando inciampò sulla rampa di lancio beve solo perclorati :
e dunque perché non armare le baionette alla massima valenza?

La protesi si è fatta feroce, i denti hanno un sobbalzo nello smalto.
Nessuno cederà un grammo di fluoro e in quanto a carie
avanza nelle gengive fino al Mc Kinley.

C’è un crollo improvviso negli ascolti pari agli intendimenti:
-Signore, il suo aedo prometteva colli ma il polo Nord tarda a rinverdire.

La chiocciola dunque ritira la metafora lasciando bava nell’orecchio.
Dovrà correggere le alte frequenze sennò un missile colpirà la torta dei 100 anni.

È scritto nel destino che il popolo di grizzly reclamerà la patria
Ed io, domatore di pulci, gli renderò giustizia.

Oh luna, stai in guardia da te stessa che qui ce n’è abbastanza!

*

L’arte sopraffina e peculiarissima di Francesco Intini è l’analogo delle contorsioni di una contorsionista maghrebina che una volta vidi al Circo Togni, la signorina si chiudeva dentro una valigetta 24 ore (o quasi) e poi ne usciva indossando dei tacchi a spillo e fumando una sigaretta. Io ero esterrefatta.
L’arte kitchen fa sembrare del tutto normal ciò che normal non è. E’ questo il segreto della poesia kitchen.
Consiglierei di rileggere e meditare le poesie di Palazzeschi.

(Marie Laure Colasson)

Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen e del volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.
Antonio Sagredo è nato a Brindisi il 29 novembre 1945 (pseudonimo Alberto Di Paola) e ha vissuto a Lecce, e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna: Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza; e inoltre in diverse riviste: «Malvis» (n.1) e «Turia» (n.17), 1995, Zaragoza. La Prima Legione (da Legioni, 1989) in Gradiva, ed.Yale Italia Poetry, USA, 2002; e in Il Teatro delle idee, Roma, Cantos del Moncayo, Ediciones Olifante, Zaragoza, 2022,2008, la poesia Omaggio al pittore Turi Sottile. Come articoli o saggi in La Zagaglia: Recensione critica ad un poeta salentino, 1968, Lecce (A. Di Paola); in Rivista di Psicologia Analitica, 1984, (pseud. Baio della Porta): Leone Tolstoj  le memorie di un folle. (una provocazione ai benpensanti di allora, russi e non); in «Il caffè illustrato», n. 11, marzo-aprile 2003: A. M. Ripellino e il Teatro degli Skomorochi, 1971-74. (A. Di Paola) (una carrellata di quella stupenda stagione teatrale). Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi: Il poema: Tumuli di Josef Kostohryz , pubblicato in «L ozio», ed. Amadeus, 1990; trad. A. Di Paola e KateYina Zoufalová; i poemi: Edison (in Lozio,& ., 1987, trad. A. Di Paola), e Il becchino assoluto (in «L ozio», 1988) di Vitzlav Nezval; (trad. A. Di Paola e K. Zoufalová).Traduzioni di poesie scelte di Katerina Rudenkova, di Zbynk Hejda, Ladislav Novák, di JiYí KolaY, e altri in varie riviste italiane e ceche. Recentemente nella rivista «Poesia» (settembre 2013, n. 285), per la prima volta in Italia a un vasto pubblico di lettori: Otokar BYezina- La vittoriosa solitudine del canto (lettera di Ot. Brezina a Antonio Sagredo), trad. A. Di Paola e K. Zoufalová.

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34 risposte a “Poesie scritte in tempo di guerra, Il soggetto postedipico è diventato un soggetto serendipico, Poesia di Giorgio Linguaglossa, Il misuratore delle ombre, Antonio Sagredo, Poesia mostruosa, Francesco Paolo Intini, Grizzly, Mauro Pierno, Marie Laure Colasson, La macchia, due strutture dissipative, 50×50, 2020, L’arte sopraffina e peculiarissima di Francesco Intini è l’analogo delle contorsioni di una contorsionista maghrebina che una volta vidi al Circo Togni, la signorina si chiudeva dentro una valigetta 24 ore (o quasi) e poi ne usciva indossando dei tacchi a spillo e fumando una sigaretta, Io ero esterrefatta

  1. Mimmo Pugliese

    NON SOLO FERRO

    Il ferro da stiro esce da scuola. Collide.
    James Bond è morto. Fuoco
    Bertoldo beve naftalina
    rovi e piastrelle si sfidano a ping pong
    uova di cenere scalano il muro del suono
    la cartilagine del chinotto tossisce
    sbuffano le Termopili
    la colite sconfigge la terrazza
    il nichel offre calabroni
    Mercurio illude il pranzo
    il pettine sviene
    scacco matto al bus
    Godot suda. Nerone importa nitroglicerina
    l’indice di Borsa doppia l’appendiabiti
    Decibel. Piove ancora?
    Vuoto senza uscita

    • Anche i versi di Mimmo Pugliese sono vuoto allo stato puro:

      Il ferro da stiro esce da scuola. Collide.
      James Bond è morto. Fuoco.

      Che poi che cosa sia il vuoto dal punto di vista del linguaggio lascerei volentieri il problema ad un linguista. Il fatto è che siamo arrivati al vuoto provenendo da strade differenti, e ci siamo incontrati lì, in un luogo che non si può neanche transitare e quindi nominare. L’unico modo per nominare il vuoto è la via indiretta, la perifrasi, tanto il linguaggio è sempre eterodiretto. Bene scrive Pugliese: «Vuoto senza uscita». Una volta entrati nel vuoto non possiamo più uscirne. Questo è il lato drammatico della modalità kitchen.
      La instant poetry di Lucio Tosi in fin dei conti è ancora appesa un un senso, per quanto residuale, intermittente, sfuggente, volatile e friabile. Se non altro il senso è nell’istante. Con la poetry kitchen di Mimmo Pugliese e Francesco Paolo Intini il vuoto è fuori dell’istante.
      Trovarsi «fuori dell’istante» significa essere «fuori» dal contesto storico, «fuori» dall’io, «fuori» dal noi, dal voi… nell’indifferenziato, nell’indiscernibile. Compito della residua ermeneutica possibile e accettabile non è affatto quello di «spiegare» come questo o quello accada o sia potuto accadere, come è accaduto questo gesto linguistico (speech act), quanto di come ciò che linguisticamente accade è qualcosa di cui il «soggetto» non è in definitiva responsabile, quanto piuttosto quello di salvare la dignità dell’atto linguistico in quanto mero atto, mero speech act.

  2. La poesia di Intini pare interamente scritta con parole vuote. Vuote, così da non portare a nulla. Ce ne vuole per mantenersi in cotanta negazione. Per me, non interpretabile. Puro spettacolo, body art. Trattenere il fiato.

  3. Grande poesia in scena, l’Antonio Sagredo.

    Significati allo sbando, Giorgio Linguaglossa; con atmosfere alla David Lynch.

  4. Le stagioni immense una kermesse.
    Facendo a pugni per corrispondenza.

    L’aviaria la perifrasi un periscopio l’eleganza
    due passi indisturbati.

    Mi hai chiesto di restare? Devo virare andare a votare saltare impedire al vento di soffiare.

    Eppure. Un’ombra senza figura quella felpa che danza senza occhiali senza corpo.

    Un po’ nano un po’ Eredità un po’ sbronza.
    Fammi un po’ di luce con quella torcia!

    Grazie OMBRA.

    (A proposito della poesia di Pugliese -leggendo anche quelle dell’antologia – ha una caratteristica particolare pare risucchiata dall’esterno. Aspirata. Come attraverso un’enorme cannula. Per ricomporsi vuoto.
    Dico meglio le parole hanno una direzione inversa dalla pagina alla bocca. Davvero sorprendente. Vi invito a rileggerle.
    Il “verso” contrario di Pino Pugliese davvero affascinante.)

  5. raffaele ciccarone

    Mixage

    Mix 0
    Dal dirupo il profumo delle zagare, nel bisogno di una presa d’aria l’anidride carbonica necessita di un alibi, Sherlock Holmes disinganna.
    Nella caccia al limone, passati gli archi i portici colorati con i neon di Dan Flavin, dunque, ti prude il naso? Dice Mrs. K.
    Si, sempre sulla Settima di Beethoven un buco nero accende i contorni nel guardare l’Etna tra le colate laviche! – dice Mrs. K.
    Nel monitoraggio degli algoritmi i rami verdi cedono nettare, ultimo ritrovato della cesoia pota e ammira. Il caffellatte nel frigo diventa ruvido se spalmato sulla fetta illustrata.

    Mix 1
    Ostruita la presa d’aria, passati gli archi il profumo disinganna e resta appeso alle colate laviche sotto gli archi dopo attento monitoraggio.
    Sul dirupo Sherlock Holmes spacchetta l’alibi, finita la caccia al limone i rami verdi monitorati da algoritmi brillarono più dei tubi di Dan Flavin.
    L’anidride carbonica guarda i contorni dell’Etna, l’ultimo ritrovato fu, dunque, il buco nero dal quale fluiva la Settima di Beethoven.
    A dire dei portici il caffellatte è uscito dal frigo e per ammirare cesoie in azione su ruvide fette illustrate. Dunque, ti prude il naso? Dice Mrs. K.

    Mix 2
    Dan Flavin illuminati i portici pasticcia con gli archi. I rami verdi accostati al buco nero soffiavano le note della Settima di Beethoven.
    Ultimo ritrovato del frigo permetteva a Sherlock Holmes di derubricare gli algoritmi, lasciando defluire liberi i contorni lavici dell’Etna.
    Fu il caffellatte a sprigionare anidride carbonica, con la cesoia tra i rami verdi impigliati tra i tubi al neon di Dan Flavin. A quel punto il frigo diventa ruvido.
    Dunque, ti prude il naso? – Dice Mrs. K. osservando il dirupo che spacchetta e spalma il limone sulla la leggera fetta illustrata.
    By c.r.

  6. Propongo alcuni tentativi inediti di “dispositivi poetici delle equivalenze”
    Gino Rago

    14- Ready-made 1

    Un oggetto già pronto + una firma – 3 noir + 2 hard boiled + uno spatter punk x 2 cyber punk = un buco nel bilancio della Juventus

    16- La Gioconda
    Baffetti + pizzetto + sorriso ammiccante = Le chaud au cul di Monna Lisà

    22- Ready-made 2
    Marcel Duchamp dice a Slavoj Žižek:
    «Non ha importanza se il signor Mutt abbia o meno fatto
    la fontana con le sue mani. Egli l’ha scelta.
    Ricordarsi di chiudere il gas e di prendere una compressa
    di Zitromax».

    23- Ready-made 3
    Un verso contrario di Mimmo Pugliese + 3 contorsioni di Francesco Paolo Intini = 0,5 instant poetry di Lucio Mayoor Tosi + una bolletta ENI gas & luce non pagata

  7. Giorgio Linguaglossa
    L’elefante sta bene in salotto
    (la Catastrofe,l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch,il Covid, la Moda, la Poetry kitchen)
    Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022, pp. 232

    E’ del gennaio 2021 questa mia conversazione con Giorgio Lnguaglossa.
    E’ uno dei tanti vettori da sommare ad altri, dal salto alla peritropè, dal polittico al capovolgimento, nei tentativi di una nuova poiesis verso nuovi paradigmi, in grado di dare la somma vettoriale di questo nuovo libro di saggistica letteraria, L’elefante sta bene in carrozza, di Giorgio Linguaglossa.
    Gino Rago

    Alcune domande di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa

    Domanda: Che cosa intendi per «riterritorializzazione delle tecniche [poetiche] precedenti»?

    Risposta: «Riterritorializzare» le tecniche precedenti (la rima, il ritmo, il piede, il metro, l’assonanza, la consonanza, il parlato, il dialogato, le voci interne, le voci esterne, il distico, la strofe, il salto, il frammento, la peritropè, la metafora, l’allegoria, la metonimia, la metalepsi etc.) vuol dire averle incorporate in un nuovo modello, in una «nuova poiesis» (che può avere al centro il polittico), qualcosa di radicalmente distinto e diverso dal modello della poesia lirica, post-lirica ed elegiaca della tradizione, tanto per utilizzare le categorie continiane.

    Domanda: Tu hai scritto ( in modo un poco sibillino): «L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica». Esattamente: «Ogni tecnica è il prodotto di una riterritorializzazione delle tecniche precedenti. Con il che intendo dire che fare e leggere una poesia kitchen significa aver operato una riterritorializzazione delle tecniche precedenti, aver cioè imparato a far interagire in modo inatteso e inconsueto le tecniche precedenti in funzione di un nuovo modello di poiesis. L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica. Significa aver imparato il punto in cui una tecnica non può essere ulteriormente sviluppata senza l’ausilio di una riterritorializzazione della medesima tecnica.
    Fu Marx il primo a suggerire che ogni macchina è sempre la riterritorializzazione di precedenti relazioni di potere. Tanto quanto la divisione del lavoro è plasmata dai conflitti sociali e dalla resistenza dei lavoratori, allo stesso modo procede l’evoluzione tecnologica. Le parti del “meccanismo” sociale “aggiustano” se stesse alla composizione tecnica loro contemporanea a seconda del grado di resistenza e conflitto. Le macchine sono forgiate dalle forze sociali ed evolvono in accordo con esse. Pure le macchine informatiche sono la cristallizzazione di tensioni sociali. Se accettiamo questa intuizione politica, che significa guardare alle relazioni sociali e ai conflitti sostituiti dalle macchine informati-che, abbiamo finalmente una metodologia per chiarire le generiche definizioni di “società dell’informazione”, “società della conoscenza”,“società della rete”, etc. Le macchine industriali non erano la sostituzione pura e semplice dei cavalli vapore degli operai, ma corrispondevano ad un intero insieme di relazioni sviluppate nel periodo manifatturiero; così le macchine informatiche vengono a rimpiazzare un insieme di relazioni cognitive già al lavoro ad esempio all’interno della fabbrica industriale del post-fordismo.»

    Risposta: il dispositivo che abbiamo messo a punto in questi anni insieme a tutti gli amici dell’Ombra ha dato luogo ad un genere di poiesis completamente nuovo: la poetry kitchen, quale ultimo stadio della ricerca verso una nuova ontologia estetica.

    Domanda: Vuoi dire che senza la ricerca di una nuova ontologia estetica o fenomenologia del poetico non si dà una «nuova poesia»?

    Risposta: Si può scegliere di restare all’interno del perimetro della poesia della tradizione recente incentrata sulla Maestà dell’Io, ma si farà una poesia tradizionale, che non risponde e corrisponde alle esigenze dei tempi. I tempi chiedono altro.

    Domanda: Un poeta deve guardare al passato o al futuro?

    Risposta: Penso che un poeta debba non soltanto guardare al futuro ma debba inventarsi il futuro. Penso che debba «reinventare il reale», come diceva Baudrillard, ma per far ciò deve reinventare un linguaggio e un nuovo modo di abitare il linguaggio.

    Domanda: Ennio Flaiano diceva: «Faccio progetti soltanto per il passato».

    Risposta: Io faccio progetti soltanto per il futuro.

    Domanda: il salto e la peritropè, il polittico, il capovolgimento sono caratteristiche essenziali della poetry kitchen?

    Risposta: Sì, e ci aggiungerei la «parallasse», cioè il cambiamento del punto di vista e della linea di visione di un soggetto che si sposta lungo lo spazio e il tempo, che permette la raffigurazione di un oggetto mutante, che muta in rapporto con lo spazio e con il tempo, oltreché in rapporto con il soggetto. Ritengo l’impiego della «parallasse» fondamentale per la «nuova poesia», unitamente all’impiego del «polittico».

    Domanda: Insomma, tu dici che si deve inventare un linguaggio che non c’è?

    Risposta: Esatto.

    Domanda: Un compito non del tutto semplice.

    Risposta: Per prima cosa bisogna liberarsi della parola «poesia», troppo inquinata da parolismi e parolieri che l’hanno adulterata, per pensare e per parlare in termini di «polittico». È dal «polittico» che nasce la nuova impostazione della poesia. Finché non si pensa in «polittico» si ritornerà a fare poesia post-elegiaca nel migliore dei casi.

    Domanda: La tua poesia, Stanza n. 57 è stata pensata in termini di «polittico» e di «composizione»?

    Risposta: A mio avviso, finché non si pensa in termini di «polittico» e di «composizione», e quindi di «peritropè», cioè di capovolgimento e di metalepsi non si può parlare di «nuova poesia».

    Domanda: È possibile, quindi, a tuo avviso, abitare un linguaggio inventato?

    Risposta: A mio avviso, non solo è possibile ma è il solo modo per fare poesia.

    Domanda: La tua raccolta poetica ancora inedita su carta, Stanza n. 23, è scritta con un linguaggio inventato?

    Risposta: Di sana pianta. Infatti, ho pubblicato sull’Ombra la Stanza n. 57, uno dei «polittici» che adotta un linguaggio volgare. Satura (1971) di Montale fa da spartiacque, dopo quella raccolta si entra nella stagione del maggioritario, nasce la poesia del consenso maggioritario. La poesia che seguirà risponderà alla esigenza di apparire ed essere maggioritaria, una poesia governativa buona per tutte le stagioni partitiche. Con una dizione che è stata in voga negli anni novanta, appare una poesia adatta al «modello del mini canone». Nasce allora il partito poetico a vocazione maggioritaria.

    *

  8. da Focus del 22 settembre 2022

    Un team di ricercatori dell’Università di Kyoto (Giappone) ha raffreddato degli atomi di itterbio fino a una temperatura quasi pari allo zero assoluto (ovvero -273,15 °C) per capire in che modo si comporta la materia a temperature così basse e studiare le proprietà del magnetismo quantistico. «A meno che qualche civiltà extraterrestre stia eseguendo lo stesso esperimento in questo istante, direi che all’Università di Kyoto stanno fabbricando i fermioni più freddi dell’Universo», commenta Kaden Hazzard, uno degli autori dello studio pubblicato su Nature Physics, riferendosi agli atomi che compongono l’itterbio, un metallo che fa parte delle terre rare.

    Zero assoluto

    Il record della temperatura più fredda mai registrata in laboratorio non è ancora stato battuto: lo detiene l’Università di Brema (Germania), dove un gas magnetizzato lasciato cadere da 120 metri di altezza ha raggiunto una temperatura di 38mila miliardesimi di grado superiore allo zero assoluto. © Casimiro PT | Shutterstock

    «A temperature così basse la fisica della materia cambia, e possiamo osservare nuovi fenomeni», spiega Hazzard. Il comportamento quantistico degli atomi si mostra infatti solo a una temperatura molto vicina allo zero assoluto: gli studiosi di Kyoto l’hanno quasi raggiunta, raffreddando gli atomi con dei fasci laser fino a un miliardesimo di grado sopra lo zero assoluto.»

    Commento

    Fare poesia kitchen implica qualcosa di analogo, occorre essersi avvicinati ad una temperatura quasi pari allo zero assoluto (ovvero -273,15 °C).
    Ovviamente, qui stiamo parlando della temperatura mentale (e qui chiamo in aiuto Jacopo Ricciardi, vero esperto di temperature mentali).
    Per temperatura mentale intendo aver raggiunto una considerevole minima distanza dal soggetto e dall’oggetto, a questo punto, e solo a questo punto può scoccare il frasario kitchen, che è un parolaio che può essere attinto quando si è raggiunta una distanza minimissima dallo zero assoluto.

    • Jacopo Ricciardi

      Ciò che mi colpisce nell’articolo è appunto l’affermare (mi pare di capire correttamente) che approssimandosi senza mai raggiungere lo zero assoluto accadrebbero eventi quantistici. Allora, nella mia esperienza, in effetti, il tentativo di riduzione estrema ed estremizzante della materia significante produce qualcosa che ribolle e in quelle bolle riappare qualcosa di quel vecchio significato in una manifestazione del tutto diversa. Ho notato, rileggendo delle poesie inedite “sul gatto” (simili a quelle dell’antologia) che ciò che accade è una linearità che torna su se stessa, ma non che va all’indietro ciò che andava avanti, come il riavvolgimento di un filo, piuttosto è un trascinare oltre dietro le spalle del senso, e forzare la mano, insistere, per lacune, facendo perdere il testo in bolle di bolle di testo – questi brani di testo si perderebbero accanto allo zero assoluto poetico. In quelle poesie c’è un palesarsi di cose ma già in un altrove, nel vuoto?, forse, in un orizzonte del vuoto, in uno strano equilibrismo del pensiero assente (che diventa spettatore!), fatto da microsfaccettature disperse, rinominanti, ipotetiche tracce di immagini.
      Mi pare che il vuoto sia la causa o la condizione degli eventi quantistici (ma non ne sono certo, lo suppongo da rade letture), e se questo dipende per esempio da un’estrema vicinanza allo zero assoluto, vuol dire che c’è un margine di temperature entro cui gli eventi quantistici accadono, vivono; ecco, se questo è vero, ciò che mi interessa è scoprire ogni frazione di quel lasso di temperatura, o di quel lasso poetico del linguaggio. Di questo si occupa il mio prossimo libro. E se c’è un lasso c’è una domanda, e se c’è una domanda c’è una risposta da qualche parte. Questo è il mio interesse, esattamente colto nel suo nocciolo da Linguaglossa.

  9. milaure colasson

    Bravissimi tutti i poeti pubblicati in questo post, tutti, in maniera personale, hanno attinto dal vuoto a piene mani.
    Il vuoto è serendipico e si nutre di disinformatzia.
    Il capitalismo afferma un filosofo di oggi (Fisch)è diabolico perché in grado di convertire anche la critica più feroce in merce, in questo modo la debella e la asservisce. Fine.

  10. antonio sagredo

    sul Vuoto, il Nulla, ecc.
    (e abbiate la pazienza di leggere questi versi)

    ———————————–
    Amo
    il silenzio d’ardesia
    il legno che sigilla nel vuoto la domanda
    il ventre piombato degli angeli.

    1972
    —————-
    Và, sta lontana, gioia greca,
    come un applauso, un’anfora, un palinsesto!
    Giochiamo agli atomi con sonori dadi:
    non mi fanno paura il Vuoto, Dio e la Rivolta

    1981
    ————————————
    (dalla IV Legione)

    Turgidi lumi, ottave, flussi, calce e zolfo, e l’opera
    è gonfia ancora d’assalti, di scale, di sigilli,
    dove il gesto più vuoto è gioco, epifania a squame
    nude, a soffi, e celebrare una finzione è malìa
    libertina, rovina di cristalli, morso idolatrato
    dalla tua lingua!
    Quale sete di prodigi mi hai lasciato,
    di vaghezze?
    Fuori un supplizio crepita di nocche,
    di selci, concede alla gola diaspri, smalti,
    e lancia al vuoto un trafitto nulla.
    Demoni, siate Madri!

    1989
    —–
    Trionfi: medaglie di sventure,
    capestri insensati ovunque…
    perché il Mistero è il contrario del Vuoto,
    ma il Nulla si sa, è pieno di zoccoli duri,
    untuosi inchini, malìe, numeri sinistri!
    I dèmoni, ora, amano luminosi convegni,
    la larva l’oscuro insetto che protegge.

    1999
    ——————————–
    E il Vuoto dei Trionfi, dovete sapere,
    quant’è MORTALE

    2004
    ———————————–

  11. antonio sagredo

    ATTUALITà di Osip Mandel’ štam
    (contro Stal-in e Put-in)
    ———————————————-

    Statua del poeta

    È sbigottito il fronte! Flaccida, imbelle è la Lubjanka, ma di granito
    è l’occhio del poeta che insolente tracima credito e condoni.
    Rumore del Tempo il conteggio che torture muta in fiori di linguaggio,
    delazioni in cantici, ceppi sonori in ferri da stiro, violini di Stradivari!

    Rosario di pianti e di lamenti, catastrofi di scarpe e di carne consumata!
    Tutto era lagrime: numeri telefonici, infanzia, versi, amici, città in singhiozzi…
    Capricci di neve tormentano patiboli di ghiaccio per distese stivalate senza fine
    da uno ieri balsamico, da un rancore leggendario prigioniero d’assonanze.

    Il Palazzo estorce grida di granito! I Tribunali non amano occhi equini.
    Come la donna è privazione, memoria del manoscritto ignifugo, punta
    affilata della tua compassione, ghiaccio che genera miraggi interdetti:
    certificati classici del tuo eterno scorrere, concreto, contro il fuoco!

    antonio sagredo

    Vermicino, 06 – 09 -20 marzo 2001

  12. di Lucio Tosi ripubblico qui una sua poesia del 2017 dove l’autore si avvicina alla distanza minima dallo zero assoluto, (ovvero -273,15 °Celsius)

    Lui e Lei avevano due simil gatti:
    Andersen e l’altro Eckersberg. Entrambi maschi.
    E castrati.
    Andersen amava le camicie bianche
    Eckersberg il contatto con la nudità.
    “Fetente ma raffinato”, così recitava
    la pubblicità.
    Ma Lei aveva a cuore Andersen.
    Se lo teneva in braccio o sulle spalle,
    anche stando in piedi mentre cucinava:
    sapori dell’India per loro e bianchi
    ma finti spaghetti per Gatto Eckersberg
    il nudista.
    Lei stava morendo. Lo faceva ogni giorno.
    Lui se non aveva da leggere svitava
    e avvitava qualsiasi cosa.
    John Lennon, Miles Davis, Natasha Thomas.
    Lei quei pontili sospesi sul lago. Ma senza nebbia
    e nemmeno dragoni. Solo cose per Andersen.
    (Se la noia non vi assale, penso io
    vuol dire che siete fumatori).
    – Tutta l’Europa del sud è un canile.
    A cominciare da Courbet. Non è vero, Eckersberg?
    Quell’Origine del mondo, appena concepito
    con furore. Quel leccarsi le dita…
    Lei non rispondeva (stava morendo).
    Contemplava le forme molli di un cubo
    le bollicine dell’axterol, le lancette
    dell’orologio sull’ora e i secondi.
    – Probabilmente il sole. Disse Lei.
    E non tornarono sull’argomento.
    Tranne un giovedì, allorché Lei disse:
    – Credo che ad Andersen farebbe bene
    un piatto di trippa ogni tanto.
    Il cargo dei viveri Okinawa era in ritardo
    ormai di tre settimane (sei mesi terrestri).
    Salgari sarebbe già partito in missione
    con a bordo almeno tre robot ambasciatori
    di marca tedesca.
    Ma era stagione di polveri.
    Difficile poter comunicare, inutile sprecare
    Metafore. Si sarebbero perse nel vuoto
    tra le lune. Quindi Lui e Lei si misero d’accordo
    per spedire un messaggio criptato
    al sovrintendente dei beni umani,
    Ork il maligno; in realtà un povero cristo
    circondato da macchine, alcune a vapore
    (per via della pelle che nella stagione delle polveri
    gli si seccava. Puntualmente e orribilmente).
    “Aghi OrK”, così iniziava il messaggio
    “Le bdhko di lk snmlir8jk! Andersen bd in vgeytz!
    Si dia una mossa”.
    La risposta non si fece attendere:
    “Mi sono informato: niente trippa sul cargo Okinawa.
    Ma posso mettervi da parte dei pomodori irlandesi”.
    E in un secondo messaggio aggiunse:
    “Per il gatto ho un Mickey Mouse del ’63.
    Il mio l’ha già letto. Lo so, non è divertente”.
    Le quattro linee del tramonto si stavano fondendo
    nel sogno turco di Moon light.
    Lui si tolse le spalline di cristallo, si strofinò gli occhi
    e senza dire una parola volle intrattenersi ancora un po’
    con Lei, che nel frattempo aveva terminato
    di raddrizzare, così diceva, tutti i rametti del prezzemolo.
    Fecero programmi. Il letto scandinavo ondeggiava
    rumorosamente.
    Vista dal giardino lenticolare, la casa sembrava
    un traforo di merletti. Ork il maligno, come al solito
    stava trasmettendo pensieri sconclusionati.
    Lo chiamava Ozio dei poveri. Oppure
    a seconda del momento, solo ‘Zio.
    (Lucio Mayoor Tosi)

    Il giornalista Maurizio Molinari su Repubblica afferma che il voto di oggi si avvicina in modo impressionante allo «spartiacque» tra un prima e un poi, identificando nella presumibile vittoria della Destra-Destra una linea di non-ritorno, una sorta di zero assoluto.

    Nomadismo dell’elaborazione in salsa kitchen: cosa sono questi versi se non quel deterritorializzare e riterritorializzare frasari, immagini, parole consunte, definire nuove direzioni di flussi e interruzioni di flussi, interpretare ed aprire accessi a nuovi campi di forze, ad una idea dello spazio poetico inteso come campo di forze disgiuntive e disgiunte che cooperano in modo belligerante, l’erranza degli enunciati come tagli nel caos dei linguaggi che ci attraversano in ogni istante dell’esistenza. Di qui l’idea tutta tosiana di fare di conto sugli istanti e sui tagli istantanei.

  13. Ci vuole una bella fantasia, oltre a l’intelligenza malefica di mago Woland, per accostare Maurizio Molinari (servo delle istituzioni) a una mia vecchia poesia extra terrena. E fare propaganda a un partito che fino a trent’anni fa rappresentava le speranze di cambiamento di poveri emarginati e sfruttati, ma oggi, in agonia, sfracellate le menti nel far di conto e tentare alleanze si è dimenticato di tutti. E poi dirsi marxisti, pacifisti e allo stesso tempo guerrafondai.

  14. EFFETTO LITTLE BIGHORN

    Gli uomini veloci obbediscono solo a Planck
    E diventano onnipotenti a temperatura ambiente

    Gli altri si raffreddano facilmente e diventano ombre
    talvolta lievitano su gusci di pop corn.

    Leggi a pois spiegano la posizione dei piedi
    la postura delle orecchie tra le natiche.

    Quando sanguina il naso è perché
    Una ventiquattrore è diventata minorenne.

    Una sedia a rotelle diventa più veloce di un jet
    E tra nuvole ci si uccide per un elettrone positivo.

    Le leggi del peso regolano i mercati finanziari:
    Talvolta a Bari circola il sindaco di Hong Kong.

    Una bistecca diventa blu a due kelvin
    E il sapore dell’arrosto eccita le bottinare.

    Ci fu una battaglia a Little Bighorn
    In cui il Generale Custer espulse il suo campo magnetico.

    Nel circuitare a tempo indefinito
    un numero rilevante di Sioux si ritrovò nel 2022.

    Anno quantistico in cui dal Sole si estrasse
    elio liquido. Per mantenere l’odio sempre acceso.

    Una contraddizione dicono ma il Master Chef
    è del pollo alla diavola cotto in ghiacciaia.

    Pu

    L’assemblea cominciò con la genesi del superbonus
    ma tra le varie ed eventuali si finì a sette sigilli.

    Pu-tin invece fu concepito dalla lavatrice di Eva
    E da un fertilizzante al fosforo bianco

    Nessuna mela, soltanto un errore di ammorbidente
    corrose il cestello.

    Corre voce che il simbolo ha lasciato la casa
    bruciato da una molotov di cartapesta
    ma non lo dite in giro, potrebbe risvegliarsi Jan
    e riavvolgere cinquantaquattro primavere.

    Cosa sarebbe allora la storia?
    Un tira e molla di chewing gum.

    Un buco tra i canini minaccia i molari
    presto si prenderà il palato se non sarà versato un miliardo.

    Il cro-magnon pigola perché ha sbagliato madre e penne
    un’altra volta che nasce sceglierà Pitcairn al posto dell’Africa.

    Augh grande Occidente dal viso pallido
    a noi inghiottire il Sole l’ha insegnato l’aspide.

    Così procede il racconto dei tempi:
    Il leone è una varietà di bacche
    e dal plutonio nasce il carbonio.

    F.P.Intini

  15. antonio sagredo

    Leningrad

    Sono tornato nella mia città, nota sino alle lacrime,
    sino alle nervature, sino alle glandole gonfie dell’infanzia.

    Tu sei tornato qui – dunque inghiotti al più presto
    l’olio di pesce dei fanali del fiume di Leningrado!

    Riconosci al più presto il giorno di dicembre,
    dove il sinistro catrame è mescolato al giallo d’uovo.

    Pietroburgo, io non voglio ancora morire:
    tu hai i numeri dei miei telefoni.

    Pietroburgo! Io posseggo ancora gli indirizzi,
    dove troverò la voce dei morti.

    Io vivo su una scala nera, e sulla tempia
    mi batte un campanello strappato con la carne.

    E tutta la notte io aspetto ospiti cari,
    squassando i ceppi delle catenelle della porta.

    dicembre 1930. Leningrado
    ————————————————————-
    Comincio con questi versi del poeta Mandel’stam – ma potrei citare decinee decine di poeti russi – per far capire al lettore le atmosfere che vive adesso ogni russo dopo che Putin ha promosso la loro mobilitazione forzata per costringerli a fare la guerra (errore clamoroso! perchè la guerra è entrata in ogni casa russa – prima la si percepiva lontana)…
    i russi non vogliono morire per questa guerra che non sentono come una loro guerra perchè non è guerra patriottica (come quella al tempo di Stalin)!
    Ma Putin vuole costringere ogni russo a pensare che lo è.
    —————————–
    -Un altro poeta, Maks Vološin, scrive nel 1921:

    Ogni giorno più selvaggio
    e più sorda la notte cadaverica intorpidisce.
    Un fetido vento spegne le vite come candele.
    Non si può gridare, né chiamare, né aiutare.

    —————-
    Voglio dire che quel che provarono i poeti russi allora, oggi ogni russo lo prova e lo comprende, e comprende finalmente quanta ragione avevano quei poeti.

  16. PIETRO EREMITA

    riflessioni utopistiche, ma non tanto, odierne per il futuro
    ——
    Utopia?
    la fine di Putin che sarà dolorosa per chi gli sopravviverà porterà la Russia verso una democrazia: ed è una occasione irripetibile per i russi di buona volontà, cioè di quelli che troveranno a milioni la forza per abbattere questo potere totale e assoluto,ed è tale perchè è in mano ai Servizi Segreti: prima volta che non devono ubbidire a una persona per agire criminalmente indisturbati. La fine di Putin significa la fine del KGB.
    ————–
    Fin dall’inizio di questa guerra ho scritto che sarà una donna a far fuori l’autocrate, e di donne che lo hanno attaccato invano e poi sono state uccise ve ne sono state a decine.
    ————–
    Nessun russo sensato che non sia stato manipolato – ma la manipolazione non è più necessaria perchè il russo da pochi giorni è costretto ad essere insensato e violato – crede chel’Occidente voglia distruggere la Russia: tutte le menzogne e tutti i ricatti possibili dìsaranno realizzati : questi dei Servizi Segreti non mollano per nulla il potere: conoscono già il loro destino… che prima o dopo lo alsceranno soltanto da morti.
    ……………………………………….
    Putin ha sguinzagliato migliaia dei suoi uomi per il mondo dal primo giorno della sua presidenza. La sua criminale finzione calcolata (è prevista dal metodo del KGB) in giro tutto il mondo politico e non e in specie il debole Occidente, ma già questo bisognava capirlo subito dagli eventi ceceni, reagendo senza esistazione.
    ————————————————
    Se per caso un (militare) cinese sarà ucciso dagli agenti di Putin
    questi è finito: sarà subito fatto fuori in accordo con l’Occidente.
    In questo senso vi sono già degli accordi.
    …………………………………………………
    Putin recluta tutte le forze negative presenti in Russia a cominciare dai rifiuti della società russa: gli alcolisti, criminali comuni e non, ladri, forse la mafia russa (ma questa è complice e finchè dura il credito va bene, ma sarà la prima entità a tradirlo), assassini seriali, malati mentali facilida manipolare, ecc.
    ——————————————
    Putin prenderà misure sempre più repressive, tanto più repressive tanto più vicino l’epilogo da tregenda : lìesercito collasserà prima della fine di questo anno.
    I militari costretti a farla guerra dalla mobilitazione forzata una volta al fronte passeranno dalla parte degli ucraini, e allora?
    ———————————————————

    p. e.

  17. La politica kitchen di Enrico Letta risulta incomprensibile agli elettori. Ma il vuoto è solo all’inizio.

  18. A Roma, in via del Collegio Capranica e pochi passi dal Senato e Montecitorio, è stato tolto il murales che ritraeva la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ed il Segretario della Lega Matteo Salvini mentre si baciavano e tenevano contemporaneamente dei coltelli dietro alla schiena. Dietro di loro, un Berlusconi sorridente. L’opera di Tv Boy è stata poi cancellata da degli operatori.

    Considero questo atto della giunta Gualtieri indicativo di una carenza di visione culturale dei diritti pubblici, si tratta di un vero e proprio atto di stupida censura analogo all’atto censorio di cui si fregiò la ex sindaca raggi quanto fece cancellare il famoso murales che rappresentava il bacio tra Salvini della lega e Di Maio dei 5 Stelle.

    L’Italia ha urgente bisogno di una ripresa di cognizione culturale dei diritti (individuali, sociali, politici e istituzionali). Pensare di governare un Paese europeo (la 7a potenza industriale del mondo) continuando a cancellare degli innocui murales è indicativo del fatto di una inidoneità di fondo a capire e governare i processi sociali e culturali in atto nel paese.

    La linea politica di Enrico Letta ha ripercorso, a mio avviso, la linea del precedente segretario del PD Nicola Zingaretti che ha cercato un accordo a tutti i costi con i 5Stelle, ed è finito nel disastro dei risultati elettorali di ieri. Personalmente io sono sempre stato in disaccordo con la linea di Zingaretti e del Campo Largo, la consideravo un’acqua tiepida priva di visione culturale complessiva. Adesso un Congresso vero dove si discuta e si scelga tra diverse linee programmatiche e culturali.
    Sullo sfondo si profila da parte della Russia di Putin la minaccia di una guerra nucleare, dinanzi alla quale non basta certo ripararsi dietro il comodo ombrello negazionista e pacifista, buono per raccattare i voti delle persone spaventate ma incapace di indicare una via di soluzione alla crisi geopolitica dell’Europa.

  19. milaure colasson

    L’Italia vive da più di venti anni in uno stato di stagnazione economica, ideologica e istituzionale. Tutto qui. La poesia italiana, fatto di nicchia o supernicchia, non fa eccezione, da più di trenta anni non produce nulla di credibile (fatta eccezione per la Noe e la poetry kitchen).

  20. antonio sagredo

    Cara Colasson,
    si è SCORDATA la POESIA di SAGREDO, DI CUI CONOSCE UNA PARTE INFINITESIMALE.
    MI DISPIACE PER LEI.
    —–
    DOVREBBE, PER COMINCIARE, A LEGGERE LE MIE DIECI “LEGIONI” DEL 1989.
    E CONFRONTARLE CON LA MISERIA IN ITALIA E IN EUROPA, CHE ANCORA PERSISTE.
    PURTROPPO MI TOCCA DIFENDERE I MIEI VERSI, NON L’AVREI MAI FATTO, MA SONO STATO COSTRETTO…

    AS

  21. milaure colasson

    caro Antonio Sagredo,

    la mia affermazione sulla “poesia di nicchia” vuole essere la constatazione di un fatto, quanto alla sua poesia, per quello che ho letto su queste colonne, è degna senz’altro di considerazione e di attenta lettura ma dovrei avere un catalogo testuale dei suoi scritti sotto mano.
    Non resta OGGI che tentare di Fare una Poesia non-di-nicchia, che non ci parli dell’ombelico degli scriventi, materia di nicchia per eccellenza, Cosa purtroppo che noto anche e perfino sulle colonne di questa rispettabile e notevolissima rivista.

    Le sfide della disuguaglianza. Intervista a Thomas Piketty
    da MicroMega

    Le disuguaglianze come elemento strutturale delle società umane e le ideologie come motori di trasformazione del mondo. In questa conversazione con Josep Ramoneda l’economista francese parla del nuovo saggio “Capital et idéologie”, una storia dei regimi diseguali e dei sistemi di giustificazione delle disuguaglianze, e spiega il suo progetto di “socialismo partecipativo” del XXI secolo, ancora più attuale nel mondo post pandemia.

    Josep Ramoneda 5 Marzo 2021

    Josep Ramoneda: Ha appena pubblicato Capital et idéologie (Éditions du Seuil, 2019) che, per dirla con le sue parole, è «una storia ragionata delle sfide della disuguaglianza a partire dalle antiche società trifunzionali[1] e schiaviste a quelle ipercapitaliste e post-coloniali moderne». Le disuguaglianze come elemento strutturale delle società umane e le ideologie come motori di trasformazione del mondo. Su queste due pietre costruisce il suo edificio.

    Thomas Piketty: L’obiettivo di questo libro è quello di presentare una storia dei regimi diseguali e dei sistemi di giustificazione delle disuguaglianze. Il libro si focalizza sulla necessità di prendere sul serio le ideologie che stanno dietro l’organizzazione sociale, economica e delle disuguaglianze. Significa che la storia delle disuguaglianze ha a che vedere con il modo in cui la giustizia è concepita da queste ideologie sottostanti. Sono le ideologie che possono trasformare la realtà delle disuguaglianze.

    Ramoneda: Se c’è una cosa che il liberismo e il marxismo hanno in comune è la priorità riconosciuta all’economia: in termini classici, la determinazione economica in ultima istanza. Lei, al contrario, guarda alla sovrastruttura: l’ideologia è il motore della storia.

    Piketty: Cerco di sviluppare una visione della storia e del cambiamento storico in cui la lotta di classe è importante ma in cui la lotta ideologica può esserlo anche di più. Il posizionamento sociale, di classe, anche se è molto importante, non sostituisce la determinazione di una teoria della proprietà o di una teoria della giustizia, dell’educazione giusta o dei confini giusti. Sono questioni complicate e nessuna avrà la risposta perfetta su cosa è un sistema di proprietà perfetto o un sistema di frontiere o fiscale perfetto. Perciò ci sarà sempre una forma di indeterminazione ideologica, anche se il posizionamento sociale e il conflitto di classe sono molto importanti nell’insieme di queste trasformazioni. Nei momenti di crisi ci sono sempre state diverse traiettorie possibili. In questo libro insisto su questo quando rileggo la Rivoluzione francese o il periodo tra le due guerre mondiali o la Rivoluzione bolscevica. Ci sono traiettorie diverse che si sarebbero potute seguire. Ed è qui che i rapporti di forza materiali sono importanti, ma i rapporti di forza intellettuali lo sono anche di più. Io cerco di unire entrambi e dare loro un’opportunità.

    Ramoneda: L’idea del progresso come emancipazione si è eclissata negli ultimi tempi, come se fossimo intrappolati in un presente continuo. Possiamo dire che la crisi è un passaggio inevitabile per avanzare rispetto a una nuova definizione di progresso, a una visione di futuro della società?

    Piketty: È vero che, storicamente parlando, le crisi sono state importanti nella riduzione delle disuguaglianze. Nel XX secolo questa riduzione non è stata unicamente il prodotto del suffragio universale che porta alla socialdemocrazia. Sarebbe stata una bella storia ma sfortunatamente le cose non stanno così. Per esempio, agli albori della prima guerra mondiale, i proprietari francesi e britannici accumulavano asset finanziari nel resto del mondo su una scala che non si è ripetuta più. Francia e Regno Unito, fino alla prima guerra mondiale, avevano l’equivalente di uno o due anni di entrate nazionali in termini di asset. Questo ha prodotto tante entrate in termini di dividendi e utili per i proprietari francesi e britannici, al punto che questi due paesi tra il 1880 e il 1914 potevano permettersi un deficit commerciale permanente pari al 2-3 per cento del prodotto interno lordo; poiché avevano entrate provenienti da utili, da dividendi dell’ordine del 5 per cento e fino al 10 per cento del pil non solo potevano finanziare questo deficit commerciale ma potevano persino continuare a comprare. C’era una contraddizione nel regime di accumulazione capitalistico e nel regime internazionale. Ma la Germania, che era diventata la prima potenza del Continente in termini demografici e industriali, era molto inquieta nel trovarsi in coda quanto ad asset all’estero e sul piano coloniale, cosa che ha contribuito a produrre il disastro che sarebbe venuto poi. Attualmente, le contraddizioni sono di altra natura. Abbiamo altri tipi di contraddizioni in Europa, oggi. L’Unione europea è un laboratorio di globalizzazione. Se qualcosa ha fatto sì che l’Ue non funzioni è la globalizzazione generale e i meccanismi di scambio commerciale, finanziari. Come limitiamo la crescita delle disuguaglianze? Come lottiamo contro il riscaldamento climatico? Ciò che mi preoccupa di più è la seguente contraddizione: l’Unione europea e la globalizzazione sono presumibilmente al servizio della prosperità delle classi popolari e delle classi medie, però queste non credono che sia così. Chi ha votato per la Brexit? Guardando al tipo di reddito e di patrimonio, vediamo che solo il 10-20 per cento dei redditi dai patrimoni più elevati ha votato per rimanere nell’Ue. Però, dato che solo il 60 per cento dei più poveri ha votato allo stesso modo, il totale dei voti non è stato sufficiente. Si potrebbe dire che i britannici sono nazionalisti, imbecilli, eccetera però non si tratta di questo. Abbiamo esempi analoghi in Francia. Per esempio, il referendum del 1992 sulla ratifica del Trattato di Maastricht, vinto per un soffio (col 51 per cento dei voti), e quello del 2005 sulla Costituzione europea, rifiutato dal 55 per cento dei votanti. In tutti questi casi abbiamo un clima sociale molto forte. Il 50-60 per cento dei più poveri è contrario all’Ue. Io ho votato a favore, perché sono confederalista, credo che il federalismo egualitario possa ridurre le disuguaglianze. Ma qui sta la contraddizione che può generare crisi, perché il fatto che la maggioranza vorrebbe uscire dall’Ue può generare crisi finanziarie, sociali, come quella che si è prodotta in Francia l’anno scorso con i gilet gialli e che perdura ancora oggi; mentre la questione della Catalogna è una crisi di altra natura.

    Ramoneda: Sfiducia nel processo di globalizzazione, sfiducia nei poteri globali, sfiducia in dirigenti politici incapaci di porre limiti al potere economico. La democrazia liberale retrocede.

    Piketty: Sì, direi che negli anni Ottanta e Novanta siamo entrati in una nuova fase della globalizzazione, molto più diseguale, a causa della deregolamentazione molto forte degli scambi e dei flussi finanziari. Penso che la libera circolazione dei capitali, specialmente in Europa, senza regolamentazione fiscale, senza possibilità da parte degli Stati di sapere chi possiede cosa e dove, in quale paese, senza un progetto – diciamo – di giustizia sociale, eccetera, abbia creato le condizioni, anni dopo, per una grande incomprensione. In Francia, l’attuale governo dice alle classi medie e popolari che non è colpa sua, che non sa dove stanno i grandi patrimoni e che quindi, loro, le classi immobili, dovranno pagare di più, perché stanno lì e non possono andare da nessuna parte. Ciò produce la risposta di queste classi, che a un certo punto pensano sia meglio tornare allo Stato nazionale però non vogliono che ciò si traduca politicamente, perché non credo che le classi popolari stiano invocando autoritarismo. Se osserviamo l’evoluzione del voto dal punto di vista dell’istruzione, negli anni Settanta – negli Usa, in Gran Bretagna, in Francia – erano le fasce meno istruite a votare i partiti socialdemocratici. Ora, sono i segmenti più istruiti. Secondo me, ciò è dovuto all’incapacità dei partiti socialdemocratici di rinnovare il proprio programma così come il proprio modello di riduzione delle disuguaglianze.

    Ramoneda: In questo contesto si evocano spesso gli anni Venti e Trenta del secolo scorso che diedero luogo alla grande trasformazione[2]. È un paragone ragionevole che aggiunge qualcosa?

    Piketty: In senso stretto non è del tutto fondato. Mi riferisco alla situazione degli anni Venti e Trenta, quando le potenze europee erano sul punto di invadersi a vicenda per recuperare i propri paesi coloniali. Oggi ci troviamo in una situazione molto diversa. La questione del ripiegamento nazionalista identitario, vale a dire il ritorno alle frontiere dello Stato-nazione come una soluzione, è un punto che sfortunatamente questi due periodi condividono. Questo, sì, mi preoccupa. Attualmente ci troviamo in una situazione in cui, grosso modo, i gruppi privilegiati continuano a difendere l’Ue, però non viene presa sul serio la realtà del nazionalismo identitario. Vale a dire che continuano a immaginare che questo divorzio delle classi popolari e delle classi medie rispetto alla globalizzazione e all’Europa sia solo un malinteso e che la cosa si risolverà. Io non penso che lo farà da sé. Credo che se non cambierà profondamente il modo in cui è organizzata l’Unione europea, se non avremo alcun tipo di tassazione comune e di progetto di giustizia sociale e fiscale comune, non potremo continuare a godere della libera circolazione di persone, servizi e capitali. Al contrario, fileremo dritti verso il divorzio. Sfortunatamente, l’unico discorso che attira le classi popolari è quello nazionalista. Quello che parla di ritorno alle frontiere: un discorso violento contro gli immigrati. Ma questo discorso non funzionerà, perché non si propone di ridurre le disuguaglianze o di lottare contro il cambiamento climatico. Solo un progetto internazionalista, socialista o in qualche modo distributivo è in grado di far sì che le disuguaglianze vengano ridotte.

    Ramoneda: Quindi la democrazia liberale è in qualche modo in pericolo.

    Piketty: Sì, la democrazia, l’Unione europea e la globalizzazione sono in pericolo. Penso che le soluzioni non siano tanto complicate. Il principio generale è che il libero scambio e la circolazione hanno bisogno di un controllo politico, di una regolamentazione pubblica. Non è complicato. Nei trattati che organizzano le relazioni tra i paesi europei o tra l’Europa e l’America Latina, l’Africa o altre parti del mondo, si potrebbero condizionare la circolazione di persone, capitali e servizi a obiettivi quantificabili, verificabili di giustizia climatica, fiscale e sociale. In caso di mancato rispetto di questi vincoli, il patto decadrebbe.

    Ramoneda: Lei recupera la parola socialismo, che dal 1989 è in disuso, marchiata dal fallimento dei regimi di tipo sovietico. Che significato ha la sua scommessa sul socialismo partecipativo del XXI secolo?

    Piketty: Aggiungo l’aggettivo «partecipativo» al termine «socialismo» per differenziarlo dal disastro del comunismo sovietico. «Socialismo» e «comunismo» sono due parole screditate oggi, ma penso che la prima abbia più possibilità della seconda di essere salvata. In definitiva, il progetto di socialismo partecipativo è basato su una profonda decentralizzazione; è il contrario della proprietà statale e centralizzata che caratterizzava le esperienze comuniste e alcune comunità socialiste del XX secolo. Questo sistema si basa su due pilastri: l’istruzione e la proprietà. Tutto ciò che riguarda la giustizia educativa, specialmente l’accesso all’istruzione superiore, soffre di una grande ipocrisia. Un chiaro esempio si ha negli Usa dove la relazione tra il reddito familiare e l’accesso all’università è molto stretta. Se i tuoi genitori sono poveri, hai circa il 20 per cento di possibilità di accedere all’istruzione superiore; al contrario, se sono molto ricchi questa possibilità è del 95 per cento. Inoltre il livello dell’università alla quale si ha accesso è molto diverso. In Europa osserviamo lo stesso nelle scuole pubbliche. Oggi l’investimento educativo in Francia è pari a 120 mila euro a studente, ma il 10 per cento, coloro che lasciano la scuola a 17-18 anni, gode di un investimento inferiore, di circa 65-70 mila euro; mentre coloro che studiano nelle scuole più finanziate godono di un investimento superiore, tra i 200 e i 300 mila euro. In Francia il sistema pubblico è molto stratificato, molto diseguale. Per questo, il socialismo partecipativo prende molto sul serio l’eguaglianza educativa con obiettivi verificabili di parità di spesa educativa. In secondo luogo c’è poi la questione dell’accesso alla proprietà e della circolazione della proprietà. Un’opzione è quella di fare riferimento alle esperienze di cogestione tedesca e nordica. In Germania, in Svezia e nei paesi nordici in generale i rappresentanti dei dipendenti partecipano ai consigli di amministrazione delle aziende, a differenza di quanto accade in Francia, Regno Unito o Spagna, per esempio. In Germania e Svezia, dagli anni Cinquanta, un terzo delle poltrone nei consigli di amministrazione delle aziende è riservato ai dipendenti, anche se non hanno alcun tipo di partecipazione nel capitale. Ciò favorisce un cambiamento ideologico abbastanza radicale. Attualmente negli Usa e nel Regno Unito ci sono proposte di legge che vanno in questa direzione. E penso che se sviluppiamo queste proposte potremmo andare molto lontano. L’idea generale è che viviamo in società molto istruite e abbiamo bisogno di una circolazione del potere di proprietà. L’idea che una persona che abbia fatto fortuna a 30 anni continui a 70 a decidere per centinaia di dipendenti è un’idea un po’ monarchica in economia, completamente strampalata. E si continua a ripetere questo modello come l’unico possibile, l’unico sistema. Tuttavia, non è affatto razionale. Penso che debba essere cambiato. Abbiamo esempi, come la cogestione che ho menzionato o le imposte progressive su redditi e successioni che pongono limiti alle grandi concentrazioni patrimoniali.

    Ramoneda: Il suo progetto si completa però con il socialfederalismo e le giustizie nazionali, vero?

    Piketty: I grandi limiti della socialdemocrazia nel corso del XX secolo si manifestano intorno a tre questioni: l’istruzione, la proprietà e il superamento dello Stato nazionale e lo sviluppo di forme transnazionali di giustizia fiscale o di fiscalità comune. Anche di sistemi legali comuni, inclusi la governance delle imprese e il diritto del lavoro. Hannah Arendt, nel suo Le origini del totalitarismo (1951), dice che i socialdemocratici nel periodo tra le due guerre non capirono che quando si fronteggia un capitalismo mondiale è necessaria una politica che sia ugualmente mondiale, vale a dire un progetto politico transnazionale. Oggi abbiamo lo stesso problema. I partiti socialisti e socialdemocratici in Europa hanno utilizzato l’Unione europea come un grande mercato, ma senza programmi di giustizia sociale, anche quando sono stati al potere. Penso sia necessario rivedere tale aspetto, diversamente il sistema europeo esploderà o rimarrà prigioniero di progetti nazionalisti che promuovono politiche di ripiegamento nazionale e xenofobe in relazione ai migranti extra europei. Una cosa molto inquietante. Credo che se non modificheremo il modo in cui l’Europa è organizzata, se non avremo una fiscalità comune, non potremo continuare a godere della circolazione di persone, capitali e servizi. Si tratta di organizzare le cose diversamente.*

    (traduzione dallo spagnolo di Ingrid Colanicchia)

    * Questo dialogo, trascritto e adattato in spagnolo da Verónica Nieto, ha avuto luogo il 10 gennaio 2020 nell’ambito della Escuela Europea de Humanidades de Barcelona, presso il Palau Macaya de la Fundación la Caixa. È stato originariamente pubblicato sul numero di marzo-aprile di La Maleta de Portbou.

    [1] Georges Dumézil, storico delle religioni francese (1898-1986), dallo studio della cultura delle società indeuropee derivò una teoria sulla loro struttura che si fonderebbe sulle tre funzioni di sovranità, forza e fecondità. Tutte le note sono della traduttrice.

    [2] Il riferimento è al testo The great transformation (1944) in cui Karl Polanyi indaga la crisi delle istituzioni liberali e la «grande trasformazione» da esse subita negli anni Trenta del XX secolo.

  22. milaure colasson

  23. antonio sagredo

    Gentile Colasson
    per la mia poesia potrebbe aiutarla Linguglosssa.
    —————————
    per la “nicchia” ha ragione senza dubbio.
    grazie
    as

  24. Qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte
    28 settembre 2021

    lombradelleparole.wordpress.com

    In questi ultimi anni è avvenuto in me un fenomeno strano: qualcuno mi ha rubato le parole, me le ha sottratte pian piano, un ladro si è infiltrato nella mia mente e mi ha trafugato le parole: QUELLE parole della «critica» con le quali si fabbricano le schede-libro delle note di lettura e dei quarti di copertina. Non sono più capace di adoperare: QUELLE parole per redigere le cosiddette «recensioni» o «note di lettura». Sono così rimasto senza parole. Non sono più capace di redigere quegli scritti augurali e procedurali che ammiro con sempre maggior stupore nelle schedine critiche che leggo in giro. Mi sono accorto che il vuoto ha inghiottito tutte QUELLE parole, e di QUELLE parole non è rimasto più nulla. E ne ho preso semplicemente atto.

    Per questo sono stato accusato di essere un cavaliere del vuoto, un nullista, un nichilista, un nullificatore o non so che altro.
    Mi sono accorto che sono diventato incapace di adoperare QUELLE parole della poesia maggioritaria e posiziocentrica che si scrive oggi, quelle poesie corporali, confessionali, augurali, non so come dire, alla Gualtieri e alla Lamarque e, ultimamente, alla Franco Arminio. Sono ormai diventato allergico a QUELLE parole. Le ho perdute. Le ho scacciate. E Penso che una analoga allergia sia stata avvertita anche dagli autori kitchen.
    Fare poesia kitchen implica fare i conti con il nulla, il vuoto, l’insignificanza. Pensare di fare una poiesis dell’originario è una sciocchezza e una ingenuità filosofica, gli Enti sono lontanissime tracce dell’Originario, di cui niente sappiamo e che comunque si è dissolto, si è auto tolto.

    Scrive Giorgio Agamben:

    «Viviamo in società abitate da un Io ipertrofico, gigantesco (corsivo mio), nel quale però nessuno, preso singolarmente, può riconoscersi. Bisognerebbe tornare all’ultimo Foucault, quando rifletteva sulla “cura di sé”, sulla “pratica di sé”. Oggi è rarissimo incontrare persone che sperimentino quella che Benjamin chiamava la droga che prendiamo in solitudine: l’incontro con sé stessi, con le proprie speranze, i propri ricordi e le proprie dimenticanze. In quei momenti si assiste a una sorta di congedo dall’Io, si accede a una forma di esperienza che è l’esatto contrario del solipsismo. Sì, penso che si potrebbe partire proprio da qui per ripensare un’idea diversa del credere: forme di vita, pratica di sé, intimità. Queste sono le parole chiave di una nuova politica».*

    Ci sono in giro una molteplicità di «autori di poesia» impegnati nell’opera di auto storicizzazione della propria poesia, non c’è bisogno di altri posiziocentrici.
    La nuova poesia o possiede un disegno generale della poesia occidentale o, in mancanza di un Grande Progetto, si finisce per scrivere parole sulla sabbia.
    Ancora nel 1966, anno dell’intervista a Montale in una trattoria, il poeta italiano poteva affermare tranquillamente che non ascoltava mai la radio e non possedeva la televisione. Io mi limito ad osservare che la nuova poesia, la «nuova ontologia estetica» non potrebbe essere nata senza la piena immersione nella civiltà mediatica. Oggi, se ci si pensa un attimo, non è possibile in alcun modo rifugiarsi in un angolo oscurato della civiltà mediatica, siamo tutti, volenti o nolenti, in qualche misura intaccati ed influenzati dal mondo mediatico. La fine della metafisica di cui qui si parla non è un optional che si può rifiutare e da cui ci si può difendere con una resistenza, una ostruzione, la metafisica è l’essere che si dispiega e che è giunta alla sua fine annunciata. In altre parole, la fine dell’essere è già stata segnata dall’insorgere della civiltà mediatica. Non volerne prendere atto, è, appunto, un atto di cecità oltre che di ingenuità.
    La nuova ontologia del poetico e la poetry kitchen è il presente e il futuro della poesia perché implica l’accettazione di dover misurarsi con il mondo mediatico. La maieutica mediatica è un’ottima scuola. Ho avuto pessimi maestri, ed è stata una buona scuola.

    * [da una intervista reperibile on line e su questa rivista]

  25. PIETRO EREMITA

    Il cortile della Lubjanka è sempre sanguinolente dai tempi di Lenin. Ieri quel cortile era in tanti luoghi della Russia putiniana e fuori di questa Russia nei paesi ex-sovietici: p.e. sappiamo delle stragi nel cortile della Cecenia denunciate dalla Politkovskaja che per questo fu uccisa dagli sgherri di Putin; oggi quel cortile è l’Ucraina e le stragi sono state denunciate dalle telefonate dei soldati giovanissimi (costretti a far i soldati) fatte ai loro parenti e amici; denunciano pure i saccheggi…
    …tuttto è normale per quegli sgherri e rientra nella loro pratica quotidiana che è una delle tantissime regole scritte e poi realizzate e chi non pratica questo criminale comportamento viene eliminato dagli stessi sgherri.
    Perciò assisteremo a eventi ancora più trucidi, mentre i dirigenti si mostrano con camice bianche e cravatta e facce pulite e rasate da gente per bene ben vestita ed è un modo di lavarsi moralmente da tanti sanguinolenti ed efferrati crimini.
    Questi non saranno mai processati; e poi da quale tribunale?
    Credo che non certo con la morte, credo imminente, di Putin non finiranno questi eventi delittuosi; chi gli succederà li nasconderà a dovere. Ma ripeto il popolo russo invece di fuggire e rifugiarsi in altri paesi, dovrebbe combattere e combattere, e invece va via facilitando il compito di Putin che è quello di allontanare o internare i cittadini russi non graditi:un regalo inaspettato!

  26. Giorgio Linguaglossa
    29 settembre 2021

    cari amici,
    le recenti vicende della guerra di invasione dell’Ucraina e delle minacce di guerra nucleare da parte del regime di Putin connesse con il Covid, la terza, quarta, quinta ondata con varianti Omicron, il rifiuto di massa della vaccinazione, la vittoria delle destra destra nelle elezioni in Italia ci rende edotti che l’attuale fase di civiltà è caratterizzata dalla pervasiva invasione del Todestrieb (l’istinto di morte di Freud), concetto ripreso e rielaborato da Slavoj Žižek a vera e propria categoria filosofica centrale per la comprensione del nostro tempo. L’umanità dell’occidente tecnologico preferisce optare per la morte collettiva (o per la paralisi collettiva del sistema economico) invece che per la sopravvivenza. Questo è un fatto sconcertante che deve essere spiegato, compreso.
    …E poi c’è l’effetto “traumatico” del linguaggio:
    l’atto soggettivo della «parole» trova modo di realizzarsi soltanto sullo sfondo di una mancanza di fondo. E questa mancanza è, appunto, la mancanza di una metafisica.
    A pensarci bene, ci troviamo in un momento straordinario della storia umana, nel primo annunzio di un’epoca priva di metafisica, anzi che fa a meno della metafisica sostituendola con le merci. È un fatto che nella storia dell’homo sapiens non si era mai verificato almeno nelle dimensioni attuali. E questo pone alla poiesis un problema.
    La prima domanda.
    È possibile una poiesis dopo la fine della metafisica?
    Quale poiesis?
    La poetry kitchen è la risposta più acuta e consapevole a questa domanda.
    Oggi non resta che ripensare il soggetto liberandolo da ogni orizzonte antropocentrico, metafisico, e rappresentativo. Il soggetto va de-localizato, de-rubricato, de-positivizzato. Là dove c’è la Legge – quella di Edipo e quella simbolica della castrazione (il Significante) – in quanto espressione derivante della dialettica hegeliana del negativo, là non ci sono io, c’è un soggetto barrato, un vuoto di significazione. Edipo, infatti, è quel dispositivo che registra la mancanza a essere nel desiderio, che lo iscrive nel registro del negativo. Esso è parte di quella rappresentazione metafisica che incontra l’esperienza e l’essere sul fondamento del nulla. L’imperialismo di Edipo cede il posto ad un vuoto di significazione. L’Edipo non significa più niente. Si volatilizza. Edipo è parte integrante di quella metafisica che è tramontata.
    Il soggetto post-edipico è diventato il soggetto serendipico. Di qui l’angoscia, l’ansia, l’incertezza che attanagliano il soggetto privo di Edipo, rimasto solo con i propri fantasmi, le proprie paure
    La conseguenza è la de-colonizzazione della poiesis dall’apparato metafisico.
    Poetry kitchen (e la Instant poetry) è scrittura di scarti simbolici, di scarti dell’Immaginario, di scarti della produzione, di scarti dello scarto. Appunto perché «Ciò che resta lo fondano i poeti» (Hölderlin). Con buona pace del poeta tedesco, oggi la poesia è divenuta discarica abusiva di materiali inerti, ipoveritativi, iperveritativi, ipodesiderativi, iporadioattivi. Se c’è una attività per eccellenza ipoveritativa nel ciclo della produzione e del consumo è l’attività di prodotti deiettati dal consumo. Oggi, chi voglia essere un poeta «innocente» cade nell’ipoveritativo e nel pensiero pacificato della parola che ci salva, nel «divino», nella mistica, nelle misticherie; il meccanismo automatico della produzione poetica odierna, quella ipo o iperveritativa che oggi viene scambiata per «poesia», è rigurgito della a costo zero del kitsch.

  27. Ha letto child ma ha inteso figlia ottagonale
    tra piastrelle in partenza e studio medico.
    Qui si cura la bulimia libresca, dice il cartello
    per anni, con metodo avete rubato, ha aggiunto il pennarello di Rushdie. Alla ragazza dai bermuda gialli è però crollata la faccia nell’andare via e gli occhi si sono divisi in Destra e Sinistra.
    Anche i flussi migratori sono strabici
    ma il giallo affiora quando si attenua la campagna elettorale.

  28. EWA TAGHER

  29. milaure colasson

    Innanzitutto diamo la benvenuta alla poesia kitchen di Tiziana Antonilli (anche se Tiziana aveva già postato sue composizioni kitchen). E’ riuscita bene perché è una poesia “strabica”, ci sono elementi della attualità ma irriconoscibili, camuffati (camouflage), e il camuffamento è un elemento essenziale alla pratica kitchen.
    Quanto alla “luce” di cui parla Ungaretti, sono d’accordo, la poesia è un acciottolio di vocali e consonanti irrorata da una luce, tutto sta a indagare che cos’è questa “luce”, per me la luce sta FUORI del SIGNIFICATO, fuori della prassi.

  30. Bene dice la Colasson:

    «Quanto alla “luce” di cui parla Ungaretti, sono d’accordo, la poesia è un acciottolio di vocali e consonanti irrorata da una luce, tutto sta a indagare che cos’è questa “luce”, per me la luce sta FUORI del SIGNIFICATO, fuori della prassi.»

    La «luce» di cui parla Ungaretti è un concetto vuoto, tutto dipende da ciò che ci mettiamo dentro quella scatola, parlare di «luce» può significare parlare eufemisticamente di un involucro all’interno del quale ci sono delle cose ben pesanti. Andiamo quindi a scoprire cosa sono quelle cose.

    Estratto dalla recensione di Paolo Missiroli al libro di Thomas Piketty, «Capital in the Twenty-First Century» edito da Harvard University Press alla fine di aprile del 2014 (si trova la traduzione in italiano)
    https://www.pandorarivista.it/articoli/il-capitale-nel-xxi-secolo-piketty/

    La domanda fondamentale che l’autore si pone all’inizio del libro è: come si determina l’attuale situazione di diseguaglianza? Quale rapporto c’è tra diseguaglianza e crescita economica? La tesi del libro mi pare si articoli in questi due punti:
    1- Il ritorno del capitalismo patrimonialistico è dovuto alla scarsa crescita dell’economia, a causa della “contraddizione fondamentale del capitalismo” r > g, in cui g rappresenta la crescita (anche demografica), e r il tasso di ritorno sul capitale, cioè quanto rende un certo stock di capitale investito.

    2- Il mercato lasciato libero genera automaticamente r > g, soprattutto oggi che g è così bassa. Per redistribuire la ricchezza e invertire il meccanismo serve l’intervento pubblico.
    Il capitalismo soffre di questa contraddizione originaria, per Piketty: r tende sempre ad essere maggiore di g. E questo genera disuguaglianza, nella misura in cui l’accumulazione si concentra in periodi di crisi e di scarsa crescita, che secondo Piketty sono la norma nella storia del capitalismo -mentre è eccezionale la crescita dei Trenta Gloriosi (1950-70) – centralizzando la ricchezza nelle mani di chi già possiede molto e togliendola alla middle class e alle classi più povere. Esiste una relazione fisiologica tra la scarsa crescita del PIL e la crescita della disuguaglianza. In generale possiamo dunque dire che Piketty riscontra un tendenza storica nel capitalismo all’aumento della disuguaglianza (r tende sempre ad essere sempre maggiore di g). E allora, se questo è vero, come è possibile che negli anni dal 1945 al 1970 la disuguaglianza, almeno nelle società occidentali si sia oggettivamente ridotta? E perché oggi sta vertiginosamente aumentando? Perché la crescita economica e demografica è un fattore di equalizzazione, che riduce l’importanza della ricchezza ereditata e aumenta il valore della la ricchezza che si guadagna oggi rispetto al valore della ricchezza di ieri. In termini matematici, se g aumenta, la distanza tra r e g diminuisce e conseguentemente si riduce l’effetto economico e sociale. In ogni caso, il punto fondamentale che rende problematica e pericolosa la legge r > g = disuguaglianza, è che la storia del capitalismo è una storia di crescita lenta eccetto pochi periodi di boom. Noi siamo appena usciti, secondo Piketty, da un periodo di grossa crescita che ha ridotto le disuguaglianze e creato una società più meritocratica, ma stiamo entrando in un periodo di crescita più lenta.

    Dopo aver descritto fin nei minimi dettagli i meccanismi economici che portano all’aumento della disuguaglianza, Piketty si dilunga per centinaia di pagine a descrivere in cosa consista concretamente questa disuguaglianza, anche mediante l’aiuto di dati e grafici elaborati da lui stesso e dalla sua equipe. Lo studioso francese delinea i tratti di una società fortemente diseguale, divisa sostanzialmente in quattro parti2: un 50 % di persone che non possiedono praticamente nulla, un 40 % di middle class relativamente patrimonializzata; un 9 % di ricchi che possiedono molto e il famoso 1 % di ricchissimi che possiedono moltissimo. La tesi di questa parte del libro è che la differenza causata dal patrimonio crea più disuguaglianza di quella causata dal lavoro. Ad esempio, nelle tabelle alle pagine 247-248 vediamo che, se nelle società più diseguali il più alto 10 % nella scala dei salariati prende il 45 % del totale dei salari erogati, in queste medesime società il 10 % di coloro che possiedono più patrimonio ha il 90 % del patrimonio complessivo.

    Importante, nell’economia del testo, il parallelo continuo messo in atto dall’economista francese tra la nostra situazione e quella di fine Ottocento e inizio Novecento (la cosiddetta Belle Époque): la disuguaglianza sociale che ormai caratterizza le nostre società avvicina queste ultime più alla Francia del 1910 piuttosto che alla Francia del 1970. Questo, per Piketty, è da ricondurre alla legge fondamentale del capitalismo r > g: le guerre mondiali e le crisi economiche tra il 1920 e il 1945 nel corso di quella che Hobsbawm definisce “L’età della catastrofe” hanno distrutto il capitale fondiario e la rendita3 e hanno così posto le basi per la società più egualitaria che si è costruita a partire dal 1945 grazie alla crescita economica. Oggi invece, a causa della depressione economica ormai in atto dagli anni ’80, la forbice della disparità sociale è destinata ad aumentare indefessamente, a meno che non si corra al più presto ai ripari. In effetti però le nostre società sono meno diseguali di quelle del 1910, anche se la tendenza sembra quella di una ricostruzione di quell’ordine. Perché? Per Piketty la differenza vera oggi la fa la classe media creatasi dal secondo dopoguerra, che possiede una buona parte (circa il 40 %) della ricchezza e in questo modo intacca seriamente il patrimonio del 10 % più ricco: nel 1900 c’era un 10 % della popolazione ricchissimo e un 90 % miserabile o quasi.

    L’ultima parte del libro è dedicata alla proposta di Piketty, che consiste sostanzialmente in una tassa progressiva sul capitale. Essa si porrebbe i compiti di:

    1- regolare il capitalismo mediante la riduzione della forbice tra r e g;

    2- fermare l’indefinita crescita della disuguaglianza;

    3- regolare i mercati;

    4- garantire la trasparenza mediante i controlli fatti sui vari capitali per riscuotere la tassa.

    La tassa non dovrebbe essere troppo alta per non bloccare la crescita, e in ogni caso, secondo i calcoli dell’economista francese, una tassa non elevatissima (1 – 2 %) equivarrebbe al 2 % del PIL dell’intera Unione Europea – Piketty pensa di utilizzare i proventi per ridurre i debiti sovrani degli stati. La tassa viene pensata dall’autore come fortemente progressiva (la fascia di proprietari per meno di un milione di euro non dovrebbe essere sottoposta a tassazione), con lo scopo di moderare l’effetto di r > g e di controllare i flussi di capitale. Il libro si conclude con un analisi sull’Unione Europea considerata il luogo privilegiato di possibile applicazione di una simile misura (che ovviamente ha senso solo se costruita in modo inter-statale).

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