Tiziana Antonilli
Esercizi serendipici
Temporale
Turner legato all’albero maestro intingeva gli occhi nell’acqua e nel petrolio.
L’uomo misterioso venne scovato dai social e crocifisso per non aver indossato il cappello.
Neanche il quarto d’ora di fama se il sereno si affretta.
L’uomo ora cammina in verticale mentre si fa la doccia.
Per millenni hanno sferzato i senza nome moltiplicati in senza nome.
Bagnati e asciugati senza aver mai conosciuto la direzione delle miniere d’oro.
Come destino il rullare continuo dei formicai.
Marie Laure Colasson
Morso
un mammut melodico capace di divorare se stesso in fa diesis .
Lente d’ingrandimento
un gufo spennato assapora una marmellata di ribes armato di uno stuzzicadenti.
Sedia
sul bidet Monsieur Camembert ha perso la memoria .
Uccello cinciallegra
Renaud Capuçon cucina una fricassée di pesci – volatili nel suo violino
Quadro di Klee
visione del disordine di cassetti ed armadi al piede dell’Etna
Gioco di scacchi
sguardo estatico di un melodramma capelluto all’ultimo piano della Tour Eiffel
Asciugacapelli
Erezione elegante sotto il casco di un militare con tacchi di 25 cm.
Francesco Paolo Intini
Magellano
Gonfio di verde scende verso Sud. Trova lo stretto e sbuca in un piatto. Per farla breve, in mezzo agli spaghetti veleggia Magellano ma dopo un susseguirsi di gorghi per la via, soccombe nella bocca.
Lolli
Due passeri si azzuffano a morte sul piazzale dell’obitorio mentre sopraggiunge l’ auto dei becchini. Il tempo si concede una pausa. Torna indietro per ritrovare le coordinate smarrite. In effetti non sa se ripartire o parcheggiare. Nell’ auto enorme s’intravedono due tacchini in giacca e cravatta. Uno dei due è l’orologio che sgobba mentre l’altro dorme poggiato alle lancette. In sogno uno dei due uccelli giace nella bara. È così ogni volta che l’auto arriva: lo spazio abbonda intorno a uno dei gitani, mentre la vita si libera del vinile.
Verso libero
tutti al pesciolino d’argento! E quello si gira, fa un tentativo di sfuggire alla potenza dei piedi, a zig zag sui mattoni. Poi arriva un verso, sfuggito da un catorcio nel cestino, che gli abbaia dietro. La ricerca del corpo fu inutile. Ognuno aveva la sua ragione, il pezzo di racconto rumoreggiava tra i denti. Le parole insomma ne furono orgogliose. Il mondo libero è anche un pesciolino morto, tre miliardi di anni o quattro spazzati via da un verso che crede di aver visto un lupo correre dentro casa.
Quark
A pancia piena cantano lodi gregoriane. Non sanno chi suoni l’organo né chi diriga il gran concerto. Dopo aver apparecchiato il nido – alcune specie di pappagalli lo cingono di bouganville come la fronte di Gesù- covano le uova . Aspettano con ansia il pigolio delle zanzare.
Ibiscus
Che male c’è a nascere radio telescopio? Ci sono api che vengono dal nulla. L’occhio potente mette a fuoco la nascita del primo ronzio.
Silenzio
Matrioska di corvi. Gracchiano al mattino, gracchiano la sera. Interferiscono di giorno.
Eugualeemmecidue
Non aprire la porta del neurone estremo. Dopo, nel paradosso, quando sei di là, tra pupe che mai si schiusero- Capsule della conservazione che mai si dissolsero- Il terzo occhio del baco che non trovò gelso:-sono la cellula senza sangue, dove il respiro adombra il suo “non c’è”.
Governo
Accade che un governo entri nella spazzatura e trovi pace tra Rumor e Leone. Oggi però soltanto non riciclabile sarà reso al creatore. Mancano le stragi, ma la tensione promette un’estate di tira e molla in favore dell’organico.
Bottiglie
Ascoltare i poeti … mentre battono i denti delle assonanze.
Un CRA di qua, un CRA di là e TRALLALLERO di:
– Comare hai una cipolla?
E dentro un buco nero la stella nana della malinconia:
– Mi stiri la camicia che domani ho un matrimonio?
Sarà stritolata dal bel canto per una madre, una campagna che residua un filo d’erba, il ciliegio immune ai pesticidi e il colibrì che succhia Andromeda.
Silenzio!
Inizia il pianto antico.
Spunta la luna dal monte… fiu..fiu..
Uno sbuffo di qua, uno li là del toro Islero in Manolete.
Mimmo Pugliese
Montagna
Prosciuga il mare che dalle cassette di frutta spirulina plana sui campanili.
Case ormeggiate su efelidi copulano con limoni nel vano motore.
Il pranzo della domenica ha stupito gli abeti immersi nello spartito del Bolero.
Scaglie di plastica, funghi di ferro battuto, il dentista in lavanderia si annoia.
Vuoi farti una foto? Lo sfondo è un flash ultravioletto.
La terrazza più glamour ha vista neve attraverso l’archetto multifocale.
Oscilla la montagna….
Spagna
Campagna
Taccagna
Lasagna
Lavagna
Cagna
Lagna
Compagna
Terragna
Lucio Mayoor Tosi
La procedura serendibica ricalca il modello base della frase (soggetto-predicato). È certo da inserire nella strumentazione kitchen, diciamo per favorire il “volo”. Ma di nuovo, come all’inizio fu per il distico, andrebbe considerato il passo di marcia (questo fa questo, quello fa quest’altro). A tal proposito è da sottolineare l’andare più spedito rispetto a certa poesia surrealista, di cui si avverte l’eco; d’altra parte è il mondo, la società civile, ad avere cambiato passo… lingua impoverita, nuovi termini internazionali (di brevissima durata), quindi va così anche per la poesia. Però divertente… anche se un maestro della pubblicità, con cui ho avuto modo di collaborare, quando gli sottoponevo nuove idee, a volte se ne usciva con un ‘embè?’, ‘e allora?’. La mia curiosità è adesso rivolta alle reazioni dei pochi o tanti lettori, con quali commenti, ecc. E lo faranno sulle poesie, questo è chiaro.
Letizia Leone
Le strutture serendipiche affinano i procedimenti già sperimentati nella fondazione di una nuova ontologia e della poetry Kitchen. Letture leggere ma perturbanti, anche se visionate con l’occhio veloce e distratto che si potrebbe dedicare alla street art, per esempio. Eppure qualcosa ancora stimola le nostre intelligenze in questi testi. La nostra “sciacquatura dei panni in Arno” passa per “l’amusement-mania”, l’effimero, per gli apparati scenici pubblicitari o lo show mediatico del reale ma il testo resite nella sua altera autonomia poietica. Almeno per me. Un dialogo testuale felice con ottimi compagni di strada, ognuno con la propria netta individualità. Grazie per la particolare attenzione a Jacopo Ricciardi e un particolare riconoscimento a Giorgio Linguaglossa per il coinvolgimento!
Giorgio Linguaglossa
È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poiesis novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Serendipity (serendipità)
La definizione del concetto di serendipità si può dire così: la sostituzione di una parola, di un oggetto che cercavamo con un’altra parola, un altro oggetto che non ci aspettavamo di trovare. In conseguenza di ciò, la nuova parola, la nuova proposizione non avranno nulla in comune con la parola e con la nuova proposizione che le precedono. E questo semplice accostamento tra due parole o proposizioni produce una scintilla di senso imprevisto, una estraneazione.
Parallax (Parallasse)
È molto importante la definizione del concetto di «parallasse» per comprendere come nella procedura della poesia della nuova ontologia estetica, in misura più o meno avvertita, sia rinvenibile in opera questa procedura di «spostamento di un oggetto (la deviazione della sua posizione di contro ad uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di chi osserva che fornisce una nuova linea di visione.*
*The common definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational position that provides a new line of sight. The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply ‘subjective,’ due to the fact that the same object which exists ‘out there’ is seen from two different stations, or points of view. It is rather that […] an ‘epistemological’ shift in the subject’s point of view always reflects an ‘ontological’ shift in the object itself. Or, to put it in Lacanese, the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its ‘blind spot,’ that which is ‘in the object more than object itself,’ the point from which the object itself returns the gaze *
La definizione comune di parallasse è: lo spostamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto a uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di osservazione che fornisce una nuova linea di visione. La svolta filosofica da aggiungere, ovviamente, è che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, dovuta al fatto che lo stesso oggetto che esiste “là fuori” è visto da due diverse stazioni, o punti di vista. È piuttosto che […] un cambiamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre un cambiamento “ontologico” nell’oggetto stesso. O, per dirla in lacanese, lo sguardo del soggetto è sempre-già iscritto nell’oggetto percepito stesso, a guisa del suo “punto cieco”, ciò che è “nell’oggetto più dell’oggetto stesso”, il punto da cui l’oggetto stesso restituisce lo sguardo
* Zizek, S. (2006) The Parallax View, MIT Press, Cambridge, 2006, p. 17.]
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: Natomaledue è in preparazione.
Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie.
Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie.
Tiziana Antonilli ha pubblicato le raccolte poetiche Incandescenze (Edizioni del Leone), Pugni e humus (Tracce). Ha vinto il premio Eugenio Montale per gli inediti ed è stata inserita nell’antologia dei vincitori “7 poeti del Premio Montale” (Scheiwiller). Tre sue poesie sono entrate a far parte di altrettanti spettacoli teatrali allestiti dalla compagnia Sted di Modena. Il suo racconto “Prigionieri” ha vinto il Premio Teramo. Ha pubblicato il romanzo Aracne (Edizioni Il Bene Comune) e la raccolta di poesie Le stanze interiori (Progetto Cultura, 2018). Insegna lingua e letteratura inglese presso il Liceo Linguistico “Pertini” di Campobasso.
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma. Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.
Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.
caro Mauro Pierno
La struttura serendipica è amplissimamente in uso nella ricerca scientifica e nelle ricerche di marketing, nella pubblicità che ogni giorno vediamo sui teleschermi, sui tablet, sui portable e sui monitor; addirittura ci sentiamo confortati che ci si offra la garanzia di una invisibile granitica struttura serendipica per esaltare la bontà dei prodotti ma senza inneggiare al prodotto suggerito, invece, semplicemente parlare d’altro che magari ha con il prodotto da veicolare una lontanissima parentela o senza alcuna parentela manifesta; nelle stesse campagne elettorali si parla sempre d’altro da ciò che il partito ci propina e che ci interessa di più, anche quando dobbiamo scegliere un partner ci fidiamo più di quegli aspetti secondari e lontanissimi da ciò che cerchiamo… È la stessa economia capitalistica che si presenta sub specie di strutture serendipiche diafaniche, efficienti e favolose; lo stesso nostro inconscio di uomini delle democrazie parlamentari è efficientizzato dalla presenza in azione di innumerevoli e diafaniche strutture serendipiche. Potremmo dire che l’uomo di oggi lo è grazie alla sua struttura serendipica inconscia di cui la coscienza è appena una funzione capovolta di qulla struttura serendipica. La struttura serendipica non segue più la tradizionale direzione: Resistenza versus Invito versus Significato ma, all’opposto, segue la direzione: Emergenza versus Invito versus Non-significato.
Riferisco ancora una volta che questa Russia è soltanto la Russia di Putin e non del popolo russo – la Russia cioè dei Servizi Segreti che detengono il potere assoluto e totale e che conoscendo questi i meccanismi alla perfezione della dominazione realizzano una regressione che è un ritorno al passato: tutto deve essere oscuro e “torbido” perché nulla deve cambiare quando si amministra un siffatto ritorno.
Che questo non è un evento nuovo bisogna saperlo, e che l’avvento di Putin conduce a uno stato delle cose russe che già si conosceva benissimo, come recita:
Mercoledì, 26 gennaio 1916
“Spesso quando penso a tutto quello che d’arcaico, di arretrato, di primitivo, di disusato c’è nelle istituzioni sociali e politiche della Russia, mi dico : -Ecco a che punto sarebbe l’Europa se non avessimo avuto né il Rinascimento, né la Riforma, né la Rivoluzione francese… –
Maurizio Paléologue
Ambasciatore di Francia
In La Russia degli zar durante la Grande Guerra, p. 455.
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l’avvento di Putin conduce allì’arcaico, ecc.
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come del resto era chiaro già che “questa guerra* finirà con il trionfo el proletariato”
Lunedì. 3 agosto 1914
(da un informatore “B… che fa parte di un ambiente d’idee avanzate..”
.dell’ Ambasciatore francese M. Paléologue), p. 46.
* la Prima Guerra Momdiale
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continuo…
Russia e Cina sono due autocrazie che hanno dichiarato guerra agli Stati Uniti (cioè l’Occidente) per l’egemonia sul mondo. Questa è la situazione dei fatti. Prima o poi questa guerra deflagrerà nel suo culmine (la previsione è abbastanza semplice da fare). Le due autocrazie non devono dar di conto a nessuno nei loro imperi perché colà non c’è opinione pubblica ma una massa sterminata di sudditi obbedienti. Gli Stati Uniti invece devono dar di conto all’opinione pubblica interna. Ci sono sì delle variabili. Nella storia ci sono sempre delle varianti e delle variabili. Vincerà chi saprà avvantaggiarsi delle varianti e delle variabili. Xi Jinping ha dichiarato che entro il 2049 Taiwan entrerà a far parte dell’Unica Grande Cina. Vedremo. Ciò significa che la Cina potrebbe sferrare un attacco anche domattina, tutto sta nel calcolo tattico e strategico delle variabili.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, essa finirà quando gli Stati Uniti si decideranno di consegnare agli ucraini altri 60 HIMARS di cui hanno bisogno per vincere la guerra contro la Russia.
Se, come dice Lacan, “il reale è ciò che resiste al potere dell’interpretazione”, ne deriva che la Realtà è strettamente legata al potere. Ciò con cui ogni giorno abbiamo a che fare non è “la realtà” ma il potere che la amministra.
Sul fuori senso nella poesia kitchen.
Deriva dallo sforzo di arrivare a conclusione incerta, per la quale le parole appartenenti alla precedente amministrazione erano lente o insufficienti. O grevi, o ripetitivamente comprensibili. Lo si deve a Tomas Tranströmer, il quale ci arrivò da poeta surrealista, cioè con parole.
Il fuori senso può bastare a se stesso, come jam session o narrativa senza fil rouge. Mauro Pierno è maestro di questo avvoltolarsi confuso nelle parole, per altri è razzo di spinta per navicelle da lasciare nello spazio; piacevole abbandono di senso e darsi all’ignoto; riempimento dello scomparto vuoto, annullato, dei frasari poetici; per tutti un modo per arrivare a dove la storia si compie. Magica giravolta, linguaggio per assenti e nuovo sound.
DAL DIARIO MINIMO DI UMBERTO ECO
OGGETTO: MIKE BONGIORNO
Fenomenologia di Mike Bongiorno è un breve e ormai celebre testo che Umberto Eco scrisse nel 1961 e che è ora compreso nella raccolta Diario minimo edita da Bompiani.
Il ritratto di Eco è spietato ed è incentrato sull’everyman che Mike Bongiorno incarna e rappresenta. Ovviamente la parole di Umberto Eco possono e devono essere rapportate ai presentatori (Jerry Scotti, Giletti, Magalli…) e agli spettatori di oggi che in fondo, dopo cinquant’anni, non sono cambiati di molto. Si potrebbe dire che Bongiorno è la summa di quello strano personaggio che è il presentatore televisivo e tutti, chi più o chi meno, hanno molte “qualità” che aveva Mike.
Secondo Eco, Bongiorno deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.
Per quanto poi riguarda l’amore che Bongiorno sa suscitare nelle mamme, nelle signore in genere ciò deriva in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.
Poi Eco affronta il rapporto tra Mike Bongiorno e la cultura.
Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura.
L’ammirazione per la cultura sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. Mike buongiorno ha una concezione piccolo borghese del denaro e del suo valore.
Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d’Aramegno bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa… oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate.
Per quanto riguarda il linguaggio, Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizione subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi e parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale; non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui.
Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione. Insomma, soffre di un esasperato conformismo.
Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulla stranezza dello scibile; ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse.
Porta i clichés alle estreme conseguenze.
Ovviamente non può mancare un accenno alle gaffes per cui Mike era famoso. La gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe in cui Bongiorno “eccelle” nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l’uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell’ambito di una etichetta omologata dall’ente trasmittente e della nazione in ascolto.
Il saggio si conclude così:
Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
(Wilma Minotti Cerini)
Ho pubblicato questo articolo su Mike Bongiorno di Wilma Minotti Cerini perché traccia, sulla falsariga indicata dal saggio di Umberto Eco, il quadro storico e categoriale in cui si è mossa la piccola borghesia televisizzata dell’epoca di Mike Bongiorno (anni settanta, ottanta, novanta) e la piccola borghesia mediatizzata dell’epoca mediatica di oggi.
Fenomenologia di Mike Bongiorno è un saggio scritto dal semiologo Umberto Eco nel 1961 e pubblicato all’interno dell’opera Diario minimo..
Ecco la sintesi di Wilma Minotti Cerini
«Per quanto riguarda il linguaggio, Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizione subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi e parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale; non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui.
Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione. Insomma, soffre di un esasperato conformismo.
Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulla stranezza dello scibile; ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse.»
Questa riduzione alla soglia minima di espressione dell’italiano parlato è un fenomeno che ha riguardato anche il cassetto della narrativa e della poesia italiana dagli anni sessanta ad oggi: la normologia linguistica, la fenomenologia del minimum di capibilità e di espressione forma la guida e la cornice peristaltica di tutto il capibile e di tutto l’esprimibile. In questa direzione è lampante il fenomeno della «discesa culturale» attinta dalla poesia italiana da Satura (1971) di Montale in poi, qui si assiste ad una riduzione del numero complessivo dei vocaboli impiegati in un testo poetico; resiste a questa «discesa culturale» l’ultimo libro di Pasolini, Trasumanar e organizzar del 1971, in questo testo il numero dei vocaboli impiegati da Pasolini è nettamente più alto che non nel testo di Montale, e anche la complessità del discorso è palesemente più alto. Ma resta il fatto indubitabile che se si facesse un calcolo puramente numerico dei vocaboli inseriti nelle raccolta di poesia susseguenti al 1971 faremmo delle scoperte eclatanti: il numero dei vocaboli impiegati si rattrappisce al minimo, così la complessità significazionale di un testo poetico (e narrativo) subisce una rigida «discesa culturale».
Per farla breve, facciamo un calcolo puramente numerico: il numero dei vocaboli del testo d’esordio di Magrelli (Ora serrata retinae del 1980, non è poi lontano dal numero dei vocaboli contenuti in nelle varie raccolte di, mettiamo, Franco Arminio o di Mariangela Gualtieri).
Ora, se calcoliamo il numero di vocaboli di un testo kitchen (Faust chiama Mefistofele per una metastasi del 2020, di Francesco Paolo Intini), noteremmo che il numero dei vocaboli impiegati da Intini è almeno triplicato se non quadruplicato, e questo qualcosa vorrà pur dire.
I libri di Magrelli, di Franco Arminio, di Mariangela Gualtieri non vogliono mettere in uno stato di minoritarietà nessun lettore, anzi, lo vezzeggiano, lo accarezzano, gli vogliono dire che loro sono dei lettori intelligenti perché capiscono tutto quello che c’è dentro ai libri, che fanno parte di una élite culturale, che sono il meglio, la crema della società…
Deduco come forma esasperata dell’espediente
poetico che la trasformazione del frammento porti, così mi pare -in questo mare galleggio-all’abbandono del frase. Appunto ad una semplice elencazione. Sono saltate tutte le regole della composizione.
VEduTe ConTeMPoraneE
ELENCO quattro
L’antidoto l’antico l’attico il dattero il datore l’avventura lo scorpione la taranta la salsa.
Il rosso la roulette il mascarpone la rugiada
la riga la ruga la canadese.
Il tram lo spazzolino il sediolino il bambino
lo scorpione il Capricorno.
La mano il dito medio l’anulare l’anima la lattuga
il finecorsa la trama la trippa la pompa la bicicletta.
(Penso di lavorare sul concetto dell’uniformità…boh! Unidirezionalità.)
Grazie OMBRA
caro mauro,
la mia opinione è che tagliando del tutto il cordone ombelicale che lega il nome ad altro nome tu non fai altro che ricadere all’indietro, nello sperimentalismo di Carlo Villa ad esempio… lui era conseguente, a suo modo, perché ha sempre rifiutato di adottare l’italiano ma la nostra posizione è molto distante da quella villiana e da quella dello sperimentalismo italiano del secondo novecento.
Capisco che il tuo tentativo ha poco o niente passione per il libro di poesia così come tradizionalmente inteso. Sì, è vero, i nostri libri forse sono libri provvisori, che si aprono ad altri libri perché bruciano se stessi nel mo-mento in cui prendono forma, e dal bruciarsi traggono energia. Questa forma volutamente instabile che si tramuta in altre forme, che vira ora nell’informale ora nell’iperstruttura, è il mondo linguistico di Carlo Villa, il discorso poetico si ramifica in glosse e quelle glosse sono il discorso, o meglio il para discorso, e così via. Lo sperimentalismo villiano vuole fare pur sempre un ritratto ma visto da lontano dove il paesaggio sfuma e i dettagli svaniscono. Lo sperimentalismo di Villa e di altri suoi epigoni si riduce ad essere una poesia in forma di ritratto o di anti ritratto, di rivolta dalla storia con rotture e saldature, elisioni e iati, e salti verso l’alto e verso il basso. Lì c’è ancora e pur sempre la Storia.
Nella poetry kitchen invece c’è la storialità, una storia indebolita, noi ci troviamo già da un pezzo in un regime mondiale che vuole stravolgere la Storia così come è stata e che non sappiamo come sarà; c’è la glossolalia di un mondo plurale che non ha più bisogno di sperimentalismi.
uno dei film più rappresentativi del nostro mondo è Sliding Doors (1998) di Peter Howitt.
Si tratta di due storie parallele che proseguono in modo alternato, e che non si incontrano mai: in una prosegue la vita della bella protagonista nel caso che essa un certo giorno abbia perso per un pelo il treno nell’underground di Londra, nell’altro si sviluppa la storia della stessa protagonista nel caso che abbia invece preso quel treno. I destini della Bella risultano radicalmente diversi nell’un caso e nell’altro: si tratta propriamente di due vite possibili. Ma il film non gerarchizza le due vite: ambedue ci vengono proposte come del tutto reali – oppure del tutto immaginarie, se si preferisce. Inoltre non si enuncia alcun senso finale: non viene proposto alcun criterio per giudicare una delle due vite possibili come migliore dell’altra. Nessun segnale privilegia una vita sull’altra: successi o dolori dipendono dai casi. L’importante è che le due vite restino equipossibili. Questa doppia storia illustra la nostra fame crescente di possibilità.
la fenomenologia del poetico della nuova ontologia estetica è lontanissima dai presupposti dello sperimentalismo italiano, la poetry kitchen è talmente nuova che non si può confondere con nessuna altra scrittura poetica della tradizione.
Chiamò se stesso per potersi catturare.
Grazie. Ma dimenticò il titolo del libro.
Il grande sonno, R. Chandler. Musica per ottoni.
– Un titolo che valga il prezzo di copertina.
I grandi romanzi. Grandi romanzi. Romanzi.
Alberi senza trasporto.
LMT
Dalla Colasson a Intini il rapporto tra testo e parola d’origine è tagliato, ossia partito da esso il testo si è allontanato a tal punto da non poter più tornare indietro. Questo disperdersi di un legame tirato al suo estremo e senza rompersi mi pare un carattere ulteriore della costruzione serendipica. Il non poter più ritrovare la parola d’origine senza rompere il legame con essa è un compito arduo e mi pare riuscito. Nella Colasson la scena è ridotta a personaggi che fanno cose nel vuoto (il vuoto è questo materializzarsi di comunicazione tra loro, un legante vuoto), sempre riuscito e mai sfuggente, solido, di gran gusto per il lettore. In Intini il testo è di carattere maggiormente argomentativo, e l’ampiezza del lasso del testo si dilunga assai felicemente in allargamenti del discorso in slittamenti dove salta la puntina senza disunire .
Madame Colasson
Una torta Sacher + biscotti Wafer Saiwa + una porzione di Camembert, paté de foies gras e una bottiglia di Bourbon annata 1997
Brigitte Bardot
Un violino + la somma dei quadrati sui due cateti di un triangolo isoscele + uno Spritz alla albicocca
Sì, la Bardot l’ho sempre trovata di una bellezza felina, singolare, che ha aperto un’epoca, ma era completamente sciocca e pessima attrice. Cmq non c’è nessun paragone con me, però apprezzo il pensiero. I tuoi due pezzi serendipici li trovo riusciti, originale è anche l’uso di segni tratti dalla aritmetica… però non capisco bene la precisazione della annata del Bourbon del 1997, io in verità preferisco l’annata del 1967.
Complimenti alla new entry Tiziana Antonilli.
Esercizi serendipici della flotta di Pechino attorno all’isola di Taiwan. Le Autocrazie scherzano con i cannoni, ben sapendo che le democrazie dell’Occidente sono friabili nel consenso, fragili nelle finalità e futuribili nelle azioni.
NEGATIVO
Che vuol dire? La Sindone fa un balzo alla notizia.
-Pericolo scampato di riportarmi a una vita da Dio.
La vita eccitata da un tocco di virus è un via vai di smentite e conferme
E il risultato finale
Ricade in un pascolo di umanissimo non sense
Il politichese fu inventato prima o dopo il poetichese?
Già vedo l’intervallo: -Tityretupatulaerecubans
Ci vorrà tempo per mungerle e ricavarne un po’ di ricotta
Perché caricarle di colpe e sparare alla gola del vicino?
Non si perde energia tra uno schizzo e l’altro del 2022.
Vuoi sapere che fine ha fatto il Covid?
E’ queste gazze decisamente Blu,
lontane da ogni peccato commesso nel nome del Rosso.
E più in là dell’hula-hoop un giro di valzer in crociera
O forse d’incrociatore o addirittura di portaerei.
(F.P.Intini)
Come appare evidente in queste ultime composizioni kitchen o kitsch ogni elemento di senso sembra essersi dileguato dall’orizzonte dei significati, Intini impersona il ruolo di un anarco sindacalista che prende sul serio quello che nessuno dei suoi contemporanei prende sul serio: che il Reale appare nel suo deserto, ovvero, che appare il deserto del reale come ossessione, fobia, fantasma, spauracchio, terrore… le parole sono come attratte da un Grande Vuoto. Mi spiego: il Grande Altro si è convertito in un Grande Vuoto. Un buco grande che inghiotte tutte le cose e le parole, e i nostri sentimenti, le nostre identificazioni, le nostre proiezioni. Di conseguenza, gli oggetti non sono più al loro posto ma si presentano fuori-posto, fuori-luogo, ma il posto è vuoto veramente e questa scoperta è talmente insopportabile che il vuoto assorbe e consuma, letteralmente, ogni parola e ogni oggetto. Una sorta di buco nero (black hole) è in azione al Centro del nostro sistema Simbolico che fa collassare tutta la costruzione edilizia e manifatturiera della realtà. Il Buco del Reale liquefa letteralmente ogni oggetto e ogni parola. Il collasso dell’ordine Simbolico è l’ultimo fenomeno di un Reale che si rifiuta a consegnarsi agli uomini.
In diretta su Alfa Centauri.
Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi;
prati che si allontanano, nonni sulla porta; mamme
danzano a piedi nudi, spose attente al vestito giocano
con bambini imbarazzati. Non manca il cane dei vicini.
Il bosco sottratto, Arcangeli registri bollette scadute.
Riposo. La vita inutile. Bella vedetta, spalline, aquilotti,
zeri con faccina. Povera me. A Capri con la mamma.
Silvia ha il vaiolo. Questo scrive, l’altro si mangia
le parole.
Olga rimane, abbiamo fatto tanta strada.
– Lista dei cocktail, lista delle pizze, liste
abat-jour, tutte le notti.
LMT
«Le cose si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato» (Adorno, teoria estetica). Anche le parole si irrigidiscono in frammenti di ciò che è stato soggiogato, le parole irrigidite, raffreddate, iperbarizzate sono quei molluschi dell’aria, quelle meduse dell’atmosfera in rapporto alle quali non possiamo fare altro che disabitarle, abbandonarle, lasciarle cadere; le parole già reificate, una volta costrette e costipate nello spazio neutro della nuova reificazione della scrittura poetica, cessano di parlare, restano mute, non abitano più alcun condominio di parole e se ne vanno ramengo nell’universo silenzioso e rumoroso. Nella poesia di Lucio Mayoor Tosi c’è il bellosguardo, c’è la cornice della Buitoni con il quadretto idillico e agreste delle mucche e dei pastorelli felici, cose di un’altra galassia, di un altro pianeta: «Boschi e casette, confezioni di ribes, molti silenzi». Oramai qui, sul pianeta Terra, non c’è più niente da fare che andare a fare yoga o seguire i seminari di teologia e jogging nei parchi, fare antirime agrituristiche alla Umberto Piersanti o dedicarsi alla flat-tax delle parole superficiarie di Franco Arminio, il novello Tagore della poesia italiana. In un mondo irrigidito bene ci stanno i video di Gianni Godi con gli avatar irrigiditi che perorano parole irrigidite.
Vivere nella realtà è mortificante. Starò più attento al consumo delle risorse pubbliche. Il mondo incantato di cui scrivo è ben piantato nella mia mente. Non so dove altri piantino il loro. Il mio lavoro adesso consiste nell’inscatolare parole. Le parole mi arrivano col contagocce, e per collaborazione. Non do consolazione, se tento un insegnamento, subito ne rido. Piuttosto bravo nel lasciar perdere. Poeta, se poeta, occidentale.
«Nell’arte di oggi il Reale NON ritorna anzitutto in guisa di scioccanti e brutali intrusioni di oggetti escrementizi, cadaveri mutilati, merda ecc. Questi oggetti, sono, sicuramente, fuori posto – ma perché possano esserlo, il posto (vuoto) deve essere già là, e questo posto è restituito dall’arte ‘minimalista’ a cominciare da Malevic. In questo risiede la complicità tra le due opposte icone del modernismo più estremo, il “Quadrato nero su superficie bianca” di Kazimir Malevic e l’esibizione di Marcel Duchamp di oggetti ready-made come di opere d’arte. La nozione che è implicita nell’elevazione da parte di Malevic di un oggetto comune e quotidiano ad opera d’arte afferma che l’essere opera d’arte non è una proprietà inerente ad un oggetto; è invece l’artista stesso che appropriandosi dello (o piuttosto di OGNI) oggetto e sistemandolo in un posto determinato lo rende opera d’arte, ma del “dove”. E quello che la disposizione minimalista di Malevic fa è semplicemente di restituire – di isolare – questo luogo come tale, lo spazio vuoto (o cornice) che ha la proto-magica proprietà di trasformare qualsiasi oggetto che si trovi nel suo raggio in opera d’arte. In breve non esiste Duchamp senza Malevic: solo dopo che l’esercizio dell’arte isola il posto/cornice in quanto tale, svuotato di tutto il suo contenuto, si può indulgere nella procedura ready-made. Prima di Malevic, un originale sarebbe rimasto solo un originale, anche se esibito nella più rinomata galleria.
L’appropriazione di oggetti escrementizi fuori posto è strettamente correlata all’apparizione dle posto privo di oggetto, dello spazio vuoto in quanto tale. Di conseguenza, il Reale nell’arte contemporanea ha tre dimensioni, che in qualche modo ripetono la triade di Immaginario-Simbolico-Reale all’interno del Reale. Il Reale è innanzitutto l’anamorfico scolorimento, l’anamorfica distorsione dell’immagine diretta della realtà – come un’immagine distorta, come una pura apparenza che “soggettivizza” la realtà oggettiva. Quindi, il Reale è come lo spazio vuoto, come una struttura, una costruzione che non è mai qui, direttametne esperita, ma che può essere solo retroattivamente costruita e presupposta come tale – il Reale come costruzione simbolica. Infine, il Reale è l’osceno. Quest’ultimo Reale, se isolato, è un mero feticcio la cui presenza affascinante e accattivamnte maschera il Reale strutturale nella stessa maniera in cui, nell’antisemitismo nazista, l’ebreo come l’Oggetto escrementizio è Il Reale che maschera l’insopportabile Reale “strutturale” dell’antagonismo sociale. – Queste tre dimensioni del reale risultano dai tre modi in cui è possibile acquisire una distanza rispettto alla realtà ordinaria: sottomettendo questa realtà alla distorsione anamorfica; introducendovi un oggetto che in essa non trova collocazione; sottraendo/cancellando tutto il contenuto (gli oggetti) della realtà, in modo che tutto ciò che rimane è lo stesso spazio vuoto in cui questi oggetti sono collocati.»1
1 S. Zizek, The Matrix, Mimesis, Milano-Udine), 2010 pp. 28-29
Mi pare questa descrizione perfettamente calzante per descrivere il quid della Poetry Kitchen. Ma questa descrizione nelle intenzione di Zizek descrive perfettamente il quadrato nero di M. e di seguito Duchamp, opere di 110 anni fa. Allora dove sta il nuovo, ossia dove la Poetry Kitchen fa qualcosa di ulteriore rispetto a quanto detto da Zizek, riferendomi anche alle affermazioni precedenti della Colasson che sostiene che la PK è qualcosa di completamente diverso rispetto alla tradizione (se in arte sono intanto esistiti Paolini, Denominicis e Boetti)? La mia provocazione non sta in questa mia domanda quanto piuttosto nel mio tentare una risposta: la poesia italiana è attualmente indietro di un secolo sull’arte italiana? Possibile?
Affatto assente la balaustra. La presenza di un uomo in camicia. Magritte.
L’assenza ha una forzatura sul posteriore. Il commissario lo ammise. Due tre indiziati.
La corrente del golfo mistico nelle sembianze
della schiuma del mare, una coltre azzurrognola,
Il luccichio del mare. Si fa per ritrovarsi. Lo ammise Medusa.
In motorino la corsa lungo il viale i capelli al vento e un poi le labbra socchiuse.
La musica vibrava lungo quello inferiore. La corrente riprese.
Delle due una, la passeggiata in esterno in 4×4
oppure non sai più ridere, non sai un più parlare.
Grazie OMBRA
caro Jacopo,
la poesia italiana è stata prigioniera di un pensiero estetico provinciale e asfittico, ha sempre pensato e pensa tuttora alla poesia come ad una esternazione privata di un soggetto, come il linguaggio di un soggetto. Parole come autenticità del soggetto poetico fanno sorridere oggi in un mondo che è collassato. Siamo nel bel mezzo del collasso dell’ordine Simbolico, Zizek ha messo bene in evidenza che nel collasso del Simbolico il primo a farne le spese è la presunta integrità o autenticità del linguaggio del soggetto cartesiano, del soggetto plenipotenziario; quello che noi abbiamo oggi come materiale da costruzione è il prodotto di un gigantesco collasso, i suoi residui fossili. Ma quello che è più importante, penso, è che questo gigantesco collasso del Simbolico lascia intravvedere dei varchi, le lacerazioni del simbolico, in questi varchi neutri il soggetto si perde; come in un black hole tutto ciò che entra nel perimetro del suo orizzonte degli eventi precipita al suo interno e scompare. Così siamo rimasti senza un linguaggio, quel linguaggio dell’antico novecento è finito nel black hole, è scomparso, e non c’è modo di riacciuffarlo in alcun modo. Quello spazio neutro (in quanto non significazionabile) è il «vuoto» di simbolizzazione, il «vuoto» di linguisticità. Semplicemente, il linguaggio è venuto a mancare, manca, non c’è più. Così un poeta consapevole di oggi si accorge che non può più dire nulla perché non ha più un linguaggio, perché un linguaggio dovrà andarselo a prendere dal futuro, dovrà costruirsi un linguaggio dalle parole ibernate e raffreddate, dai relitti di un mondo linguistico collassato; che quella «cornice» dove poteva collocare il suo linguaggio, non c’è più, è scomparsa, la cornice è vuota, è un vuoto e il linguaggio che il poeta ha è un vuoto anch’esso.
È una situazione drammatica, lo ammetto, qui c’è poco da ridere.
Grazie Giorgio, quando tu dici in altri luoghi ‘andare a tentoni’ e ‘navigare a vista’ mi accorgo di quanto questa azione implichi un non sapere dove si è al limite di non sapere esattamente cosa si sta facendo, e, questo costruire una poesia o un testo in modo sganciato da qualsiasi idea di testo che non si sa se è una poesia o mai lo sarà, è direi impaurente: ci si ritrova con frammenti dispersi, che il poeta combina e ricombina, interrompe con altri frammenti; questa dispersione interna al lavoro, e intorno a lavoro, simile a un gattonare nel vuoto, in un senza linguaggio che reiterato non genera maggiore attrito (anzi dove c’è attrito si deve rompere e spezzare ancora, per togliere ogni residuo di simbolo), ed è qui in questo ritentare che non si accumula nella linearità del tempo che va dalla nascita alla morte che c’è qualcosa di drammatico, perché da una parte non si esce dall’esercizio e dall’altra si tenta continuamente una più riuscita attivazione del vuoto. Da una parte la volontà e il concetto di una pratica e dall’altra il caso. Arrivo a pensare che il caso sceglierà la migliore attivazione del vuoto e che i poeti della Poetry Kitchen dovranno produrre soltanto (con le migliori intenzioni) più materiale possibile. E forse questo giudizio è probabile che si trovi nel futuro.
caro Jacopo,
mettersi in sintonia con il «vuoto» è l’unico stratagemma che possiamo adottare dinanzi ad un mondo fatto di «pieno», di «pieni» a perdere. Dal punto di vista del «pieno» possiamo ipotizzare un «vuoto» solo con il segno negativo, con un meno, ma, se proviamo a pensare il «vuoto» dal punto di vista del «vuoto» che già siamo, cambia tutta la prospettiva, scopriamo che il «vuoto» è produttivo, è l’istanza creatrice che ci libera della presenza oziosa e ingombrante di un creatore demiurgico che ci risolve tutti i problemi. Se proviamo a pensare il «vuoto» come una istanza, cambia tutto, cambiano anche le parole e l’uso delle parole cui siamo abituati da sempre. Quello di cui l’umanità di oggi ha bisogno è sapere che c’è un nuovo e diverso modo di pensare e adoperare le parole rendendole indispositive. Mettersi in sintonia con questo diverso «sentire» ci consentirà di fare con le parole e i pensieri delle cose nuove, diverse.
da lescienze.it
«Secondo la teoria del multiverso, diverse bolle di spazio hanno energie differenti e si espandono a velocità diverse: le galassie e i pianeti si formano solo nelle bolle più tranquille.
La chiave per comprendere l’origine e il destino dell’universo potrebbe essere una comprensione più completa del vuoto, un concetto fondamentale in fisica che può essere definito in vari modi a seconda dell’ambito di studio
Millenni fa, Aristotele teorizzò che la natura ha orrore del vuoto, ragionando sul fatto che gli oggetti volerebbero nello spazio veramente vuoto a velocità impossibili. Nel 1277, il vescovo francese Etienne Tempier rispose dichiarando che Dio poteva fare qualsiasi cosa, persino creare il vuoto. Poi un semplice scienziato ci riuscì. Otto von Guericke inventò una pompa per aspirare l’aria da una sfera di rame cava, creando forse il primo vuoto».
POSITIVO
“ infin ch’arriva\ colá dove la via\ e dove il tanto affaticar fu vòlto:\abisso orrido,immenso,\ ov’ei precipitando, il tutto obblia.
(G. Leopardi. Canto di un pastore errante dell’Asia. VV 32-36)
Fu così che venne fuori Ottobre Rosso. Bastava fare uguale
che l’avrebbe spuntata sull’argento, senza ferire il Polo
Alle esternazioni si disse non c’è rimedio e tu vedrai le cornacchie battere il ciglio
e farlo a pezzi e dopo essersene nutriti rimetterlo in moto.
Circolarità del cielo, al gusto d’ arancia e ghiaccio secco.
Un osso di Agatocle funzionava da sterno nel petto di Benito
Un frammento di cuore pulsò per ore sul campanile di Milano
Antenne colorate e uno, mille trapezi senza nervi di protezione
La fuga mi ha portato a sfiorare i siluri
Il danno è stato un orco che ha portato gli scatoli di tonno al tiro a segno.
Ebbi in sorte un gruzzolo per Buenos Aires
Dove mi sarei imparentato con le scimmie alberomorfe
E sostenere la lotta per sollevare il morale dell’ Antartide
E stringere la mano al re Pinguino.
La regina Maud non era contenta di tutti quei ghiacciai persi
Dei Sioux e l’immagine di Toro seduto in un’ igloo che si scioglieva
L’argenteria di famiglia dispersa nei Caraibi.
Al merluzzo la parola atlantica
Ai sottomarini che sbuffano e rampognano gli squali
Al vichingo che non sa quel che fa nella mano di bella
Conviene accostare e mostrare il lato peggiore dell’oceano
Riempire di pece lo stomaco, fare di tutto per stuccare il silenzio
E rimpinzarlo di fumo e mostrargli il lato Nord, il Caterpillar nella pancia
Come si avvita una stella a un missile e farlo partire.
La ferita senza rimedio nel fianco.
Oh la coscienza buttata ai porci!
Ancorare nel San Lorenzo con i denti intatti e la spinta del venditore di sandali
Con la disciplina del salmone che indovina la bocca del grizzly
È stato un immane delirio seguire CANOSCENZA e spingere il pulsante del Saturno
Da qui alle colonne d’Ercole non è nemmeno un endecasillabo
Il mare s’è seccato di ragionare e zampillare lampade Davy dal fondo oceanico
Sporchi di lava e fango.
Dov’è finito il neurone ad Est di Capo verde?
Cosa è alla portata di Eric il Rosso?
La voglia di menare le mani e navigare con la cravatta di re e figlio prediletto tra talamo e ipotalamo, mentre il vulcano esplode e una manta colossale sbatte contro le torri gemelle.
Chi osa chiedere un verso santo, immune dal peccato d’invidia
Un trafiletto di messale, un lingotto di settenari e rime baciate
Un trigesimo, un anniversario ripulito da ostriche infette?
Non reggemmo l’assalto del polpo assassino
E tornammo ad ordinare alla carte sull’isola di Sant’Elena
Un refugium peccatorum per aver salvato il mondo dal mal francese
Il sancta santorum dell’olfatto
Un tendone di circo credo con le costellazioni nella gabbia dei leoni
E le scimmie a suonare e Marte ad esporre cartelli di funghi velenosi
e mari tempestosi riservati alle raccolte punti di storione
E gli elefanti a rimescolare le bolle, i santi impietositi,
le guerre e battere il tamburo dei sargassi
i treponemi scandalizzati per i nostri pettegolezzi
Un mostrare traiettorie di postriboli vuoti
Nel bel mezzo dell’ Orsa un raduno di pervertiti e menagramo.
Affondò Atlantide e facemmo rapporto alla compagnia delle Indie
per il grano che mancò all’appello e glu..glu…
per il tiranno che ordinò gli omogeneizzati di vitello
e giocò sul cavalluccio del nipotino col winchester di legno
l’orsacchiotto vinto al baraccone
Glu…glu…
(F.P.Intini)
Chi verrà a SanBasile?
caro Lucio,
ti rispondo, a San Basile saremo:
Lucio Tosi
Mimmo Pugliese,
Gino Rago,
Giuseppe Gallo,
Giuseppe Talia
Vincenzo Petronelli
Marie Laure Colasson