Sulla struttura serendipica del testo kitchen
Penso che fondamentalmente un testo serendipico restituisca creatività alla poesia. Se è vero che viaggia nel vuoto – ma fino a che punto ogni altro gas: scientifico, matematico, filosofico etc. è assente? – e vorrebbe appropriarsene indefinitamente, disperando dell’impresa come Achille e Tartaruga è altrettanto vero che il desiderio del vuoto lo rende fertile di fermenti che negano le parole e nel fare questo ne inventano altre come in un puzzle di tasselli bianchi e neri tutti uguali in forma e dimensione di cui nessuno conosce la figura definitiva. In questo senso è possibile aggiungere e togliere per realizzare una realtà locale che consiste di un piccolo senso più o meno ordinato in uno spazio generale caotico tra conscio e inconscio. Chiedersi quale sia la figura che presiede al puzzle è come chiedersi quale figura abbia il caos. Il bello di tutto è che quello che alla fine chiamiamo componimento finisce solo apparentemente, ma potrebbe riprendere vita da una parola qualsiasi – come farebbe spontaneamente il gas se in un punto qualsiasi del suo contenitore si aprisse un foro – bisogna ad un certo punto umilmente accontentarsi di quel poco (sempre poco se la vis che presiede l’espansione è la stessa di un gas) che si riesce a scrivere, consci di un tutto non rappresentabile definitivamente ma anche del fatto che l’effetto diluizione non cambia la natura del gas. Il desiderio soggettivo del vuoto è inappagabile ma anche l’appetito del vuoto, sul nostro desiderio non scherza, specie se al suo interno residuano particelle scientifiche, filosofiche etc. di ogni altro tipo. Ciò che conta è l’effetto di contrasto tra un testo poetico e quello che lo circonda, fino a che punto esso si sia mantenuto integro rispetto a tutti le altre molecole che in un vuoto relativo sbattono e collidono in un tutto caotico. Almeno così mi sembra.
(Francesco Paolo Intini)
Vediamo le cose da punti di vista diversi, ed è bene che sia così. La visione scientifica sbaraglia equilibri e certezze, esatto contrario di ciò che comunemente si pensa. La visione mistica, lo dico per semplificare, non può essere data senza che vi sia partecipazione diretta dell’osservatore. Il vuoto mistico è in relazione al divenire costante; la qual cosa è stabile e continua, al punto da far pensare che sia sempre stato così: nessun inizio (big bang) ma costante inizio, se così si può dire, di tutto ciò che muore, si trasforma, di tutto ciò che è in atto. Le due visioni si somigliano.
Mi vedo sconcertato mentre avanzo tra fotografie sospese nel vuoto; se presto attenzione a una di queste, ecco che l’immagine prende vita, e mi ritrovo in qualche storia, anche le più banali, le più insignificanti… e non sempre ne vale la pena. Quindi ho eliminato figure e personaggi, che diventano voci. Avanzo in ciò che sono e non sono, stabilmente. Tra l’altro, a me sembra di non avere immaginazione, la quale serve a prefigurare, e non c’è fatica maggiore che inseguire un buon concetto, una buona immagine visiva (se capita cerco di sbrigarmela in meno di due versi, se di più ci rinuncio. Mi porterebbero fuori strada). La procedura serendipica non è distante da questo comportamento.
(Lucio Mayoor Tosi)
Intini afferma che il testo deve “mantenersi integro” nel caos esterno e il vuoto ha un proprio desiderio che consiste nello sgretolare tutto (parafraso); quindi il testo è questo sgretolarsi per azione del vuoto. Il lettore ne gode perché quello sgretolarsi effettuato per desiderio del vuoto, a cui il poeta partecipa, rimane integro. Si potrebbe pensare che l’integrità di un testo si possa migliorare e che quindi esistano testi più integri di altri. Ma di che tipo sia questa integrità migliore è difficile dire. Alcuni versi di Intini mi piacciono più di altri, penso valga anche per Linguaglossa (con migliore discernimento da Poetry Kitchen), ma il testo è la somma delle parti (anche se queste si accumulano per sottrazione del vuoto) oppure no e le parti sono salti su uno stesso punto? E l’integrità come si misura rispetto alle parti? Intendo che all’interno della Poetry Kitchen, pur con estrema perizia di lavoro di fattura, nel risultato del testo ci sia una specie di sensazione di scivolare sul testo, di surfare sull’onda del vuoto, e chi surfa è il lettore che vive questo lasciarsi andare, questo diventare della mente gas e vuoto insieme. E l’ ampiezza della nube è già un oceano senza limite dove un testo rispetto a un altro non si situano vicino ma piuttosto estraniati l’uno dall’altro. Così c’è un’ebbrezza del surfista che cavalca il vuoto ma questa ebbrezza non ha poi variazione e rimane stabile, non ha shock, inizia e resta, e non si scende mai da cavallo anche se si interrompe la lettura (quando la si riprende ci si trova sempre sulla cresta dell’onda). E questo accade anche quando il testo ha una vita più occasionale, estemporanea. È il meccanismo attivato per giocare con il vuoto (o per farsi giocare dal vuoto) a rendere variegata l’esperienza, mi pare. È come se valesse di più la forma e la struttura della tavola del resto. È come surfare su uno stuzzicadenti e altro ancora. Il vuoto resta sempre lì, e non si può scendere dall’onda.
(Jacopo Ricciardi)
(ritratto di Letizia Leone a sx di Giorgio Ortona, acrilico)
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Letizia Leone
Ventilatore a palla: ceneri infeconde
Volano alte. Grigio, grigio, grigio
Si affondano gli agosti.
Ventilare gli Archi Trionfali
e altri buchi. Nei lugli e negli agosti.
Ventilatore a paglia. Mano morta di dama,
Scoloriti i carnevali dei ventagli.
Quarantacinque gradi sulla Tiburtina
Le lacrime calde del parabrezza.
I motori novecenteschi collassano
Per ferro incandescente. Dalla finestra aperta
Entra un po’ di galassia.
Ventaglio souvenir o soffietto a mantice?
Viviamo in infradito.
Le fiamme dell’aldilà lambiscono l’aldiquà,
rivelò Sloterdijk agli accademici svedesi.
Ma quale vento favonio, è un fono per capelli e glottide.
Miseria e nobiltà, messa in piega e fonosimbolismo.
Dammi mille euro per il Billionaire…
Le pale sul soffitto cubano a cento all’ora.
Il detective letterario è trash ma fa lo snob.
La scimmia in giubba rossa.
Un libro effimero da spiaggia. Dopo Dio.
La canottiera accende il ventilatore:
Stasera mi godo fresco neorealista sul divano.
Ewa Tagher
CASA. Piccionaia con intento d’universo interiore.
CASA. Fuori, dentro, fuori, dentro.
CASA. Ingresso, due camere, soggiorno forzato.
CASA. Ascensore fuori uso, ipoteca d’affetti, mutuo soccorso, possibilità di variare il colore delle abitudini.
CASA. Souvenir d’oltralpe sul frigidaire, gorgonzola e vuoto dentro.
CASA. Di montagna, al mare, vuota, piena, infestata di litigi e formiche rosse.
CASA. Affacciarsi dalla finestra e urlare “così non va”!
Raffaele Ciccarone
Televisione.
Eruttati gli ultimi lapilli, i canali lavici nella cucina.
TV.
Chiuso il megafono la melma fonica tra diodi e transistor tace.
Barattolo.
Tra marmellata e conserve, la navigazione oscura dell’intrepido cucchiaio.
Sigaro.
Al lievitare nebuloso del fumo, un semaforo rosso sul divano.
Pranzo.
Nel riposo degli aquiloni aria calda per fritto misto.
Palcoscenico.
Nel vortice di piume, lo starnazzare delle oche.
Mauro Pierno
BOMBE
Nel vortice sinusoidale ubriaco il tempo scagiona tutti. Traballano le figure sottostanti
ai polsini led intermittenti.
Bombe.
Anche le uniformi regolari.
Affiorano le foibe, i rischi e le parole,
fischiano le primavere.
La chiazza oblunga ha straripato l’orizzonte
corre lungo il collo il suono degli argini e delle distese.
A terra sospendi la storia, fermata Brigata Bari, la memoria prêt-a-porter.
Bombe la casa in fondo con un interruttore rotto.
Le mani sollevate in segno di resa, una ripartenza.
Le carcasse di auto sventrate ed i corpi ricomposti, lo dicono la storia. A quest’ora in questura ogni diciannove di Luglio la deriva riemerge.
Cucciolo
Leccato a dismisura nella colorazione di una fossa antartica.
Cammello
Suddiviso da groppe e grucce nell’andirivieni di suggestive cascate adulte.
Camino
Suggestiva la psoriasi di gran lunga spostata sull’ascisse di un ascensore.
Sterco
Si arrotolano nello specchio. Un profumo insoddisfatto alle narici della Luna.
Giraffa
Nana in collisione intorno a galassie di immondizie differenziate.
Carrozzina
Assomigliato a radiosi mattini tra i lenti luccichii
di rosoni romanici.
Cammei
Gli stessi dromedari senza gobba scomparsi
tra le righe di oasi letterari.
Droni
Semplificati tra numeratore e denominatore
tra sogliola ed incudine.
Parallele
Estenuanti incontro di labbra carnose tra le sinapsi di collezioni antiche.
Gonadi
Inopportuni legami spiegati letteralmente a memoria. Financo spazi e sedie sdraio.
Galileo
Il lampadario di cui sopra negli spazi letterari. A Pisa come a Milano, prêt-a-porter.
Sulla serendipità
La Treccani: serendipità s. f. [dall’ingl. serendipity, coniato (1754) dallo scrittore ingl. Horace Walpole che lo trasse dal titolo della fiaba The three princes of Serendip: era questo l’antico nome dell’isola di Ceylon, l’odierno Srī Lanka], letter. – La capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, spec. in campo scientifico, mentre si sta cercando altro.
Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo, di quel soggetto, ergo: crisi della rappresentazione prospettica e unitemporale e crisi della rappresentazione tout court.
Il soggetto è diventato serendipico.
La mancanza di un Principio è diventata una petizione serendipica.
La disseminazione è diventata il luogo della serendipità.
Il soggetto serendipico è diventato una traccia, parla un linguaggio-traccia, un linguaggio osmoticamente serendipico, cancellabile, sostituibile. La poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la realtà serendipica, la condivisione serendipica, l’I like serendipico: la narrazione giornalistica della crisi prospettica. L’arte diventa comunicazione del comunicato stampa, del comunicazionabile, comunicazione della condivisione, l’I like della «privacy» de-storicizzata, l’I like delle storie personali, degli affari propri. Una esistenza de-storicizzata dà luogo ad una esistenza serendipica.
(Marie Laure Colasson)
Scrivevo il 21 marzo 2018 in una risposta a Donatella Bisutti che mi chiedeva: «Che cos’è la nuova ontologia estetica?»
Che cos’è l’essere e che cos’è il linguaggio?
E qual è il legame che unisce l’essere al linguaggio?
Tutte le altre domande sono questioni secondarie, di contorno, e possiamo metterle da parte.
Perché la «nuova ontologia estetica»? Perché ogni nuova poesia è tale se riformula le categorie estetiche pregresse all’interno di una nuova visione.
Parlare di «ontologia estetica» è pensare il nuovo ruolo delle parole e del metro. All’interno del linguaggio poetico le parole si danno sempre nel quadro di un metro, ma è vero anche che ogni nuova poesia rinnova il modo di concettualizzare la «parola» all’interno del «metro».
Il «metro» è una unità di misura di grandezza variabile, dobbiamo uscire fuori da un concetto di «metro» quale unità di misura fissa, statica ed entrare in sintonia con un pensiero che pensa il «metro» come una entità variabile, dinamica, mutagena che varia con il variare delle grandezze (anch’esse variabili) che intervengono al suo «interno».
La «parola» quindi è una entità per sua essenza mutagena che può essere rappresentata come una entità corpuscolare o ondulatoria a frequenza variabile. Per semplificare: non v’è un peso specifico costante di una «parola» ma vi sono tanti pesi della «parola» quanti sono i modi del suo manifestarsi all’interno di un «metro». Il «metro» sarebbe quindi una sorta di «onda pilota», o «onda di Bohm», come si dice nella fisica delle particelle subatomiche, un’onda che convoglia al suo interno le particelle che vagano nell’universo.
Vi possono essere modi molto diversi di intendere questa «onda pilota», in questo concetto ci sta il «tonosimbolismo» della poesia di Roberto Bertoldo, una poesia intersemica e fonosimbolica che si muove in linea di contiguità e continuità con la post-poesia; ci può stare anche la poesia di Vincenzo Petronelli, anche lui sul limen che divide la post-poesia dalla poetry kitchen; il discorso poetico citazionista e peristaltico e il discorso poetico caleidoscopico e disfanico di Marie Laure Colasson (Les choses de la vie, 2022), ma anche il frammento post-metafisico e metailare di Gino Rago (I platani sul tevere diventano betulle del 2019); ci può stare la ricerca iconica e raffreddata di Ewa Tagher, le sestine di Giuseppe Talia del libro La Musa Last Minute (2018), una sorta di elenco telefonico di poesie fatte al telefono, poesie discrasiche più che disfaniche; ci può stare il frammentismo peristaltico dei poeti della poetry kitchen come Guido Galdini che predilige il limerick; a monte ci sta la poesia di Anna Ventura fin dal suo primo libro, Brillanti di bottiglia (1978), fino a quest’ultimo, Streghe (2018), Francesco Paolo Intini con l’innovativo libro Faust chiama Mefistofele per una metastasi (2019); ci sta la poesia di Mauro Pierno con Compostaggi (2020). Un modo diverso di fare poesia sta sorgendo, una nuova strada inaugurata in ambito europeo da Tomas Tranströmer nel 1954 con il suo libro di esordio 17 poesie.
Con questo nuovo paradigma cambia radicalmente la forza gravitazionale della sintassi, il modo di porre l’una di seguito all’altra le «parole», le quali obbediranno ad un diverso metronomo, non più quello fonetico e sonoro dell’endecasillabo che abbiamo conosciuto nella tradizione metrica italiana, ma ad un metronomo sostanzialmente ametrico. Non c’è più un metronomo perché non c’è più una unità metrica. Di qui la importanza degli elementi non fonetici della lingua (i punti, le virgole, i punti esclamativi e interrogativi, gli spazi, le interlinee etc.) ma che influiscono in maniera determinante a modellizzare la «parola» all’interno del nuovo «metro» ametrico. Di qui l’importanza di una sintassi franta. Ecco spiegato il valore fondamentale che svolge il punto in questo nuovo tipo di poesia, spesso in sostituzione della virgola o dei due punti. All’interno di questo nuovo modo di modellizzare le parole all’interno della struttura compositiva del polittico si situa l’importanza fondamentale che rivestono le «immagini», infatti le parole preferiscono abitare una immagine che non una proposizione articolata, perché nella immagine è immediatamente evidente la funzione simbolica del linguaggio poetico.
Ecco la parola chiave: il verbo «abitare». Le parole abitano un luogo, una abitazione fatta di spazio, di tempo e di memoria, una «patria linguistica». Le parole abitano la temporalità, la storia, la Memoria, l’esilio. Le parole sono delle abitazioni temporali. A volte vengono esiliate dalla loro abitazione, e sono costrette a vivere una vita larvale, bandite dalla città non abitano più l’agorà ma sopravvivono in stradine laterali, negli anfratti, nelle nicchie, e lì si nascondono, si barricano per poter resistere in attesa di tempi migliori.
La Poetry kitchen tratta della messa fuori-luogo delle parole, dei fonemi, dei monemi, dei reperti fossili e delle poliscritture usufritte, è questa la chiave per l’ermeneutica della poesia kitchen. Poesia-pop: pop-spot, pop-bitcoin, pop-jazz, pop-corn, pop-poesia, poesia da tavolino da bar, poesia da bar dello spot, nuovissima, da gustare con un Campari soda e le quisquilie del TG in mezzo ai rumori di fondo: intermezzi, nanalismi, banalismi, gargarismi, truismi, incipit, explicit, inserti pubblicitari, parole fidejussorie, usufritte. La Poetry kitchen è il Warhol della pop-poesia italiana. Il che non è poco. La pop-poesia che si gusta con le patatine fritte del Mc Donald’s e un caffè al Ginseng la mattina, e la sera, prima di andare a dormire con una bustina di Maalox plus per le contrazioni allo stomaco. Poetry kitchen è un anti-viaggio, anzi, un viaggio-sosta nella indeterminazione delle parole; quelle parole raffreddate, ibernate, insaponate con cui l’uomo di oggi è costretto a coabitare, e con le quali ci si trova a proprio agio, coinquilino forzato del banale e dei banalismi. È il nuovo viaggio di Ulisse tra le parole precotte, didascaliche, tra le parole della discarica, parole della fatticità alle quali non può richiedersi alcuna ermeneutica che non sia mera fatticità: specchi per le allodole, specchi di specchi, frammenti di specchi andati in frantumi, frantumi di frantumi. Poesia ipoveritativa, sub-minimal, poesia-trash, poesia-spam, poesia-crac. La poesia ha fatto crac.
Dinanzi ad una pop-poesia del genere (de-genere) ci sarebbe da allarmarsi, se non fossimo già allarmati da par nostro, tutti già soggiogati dal sortilegio del banale. Una antologia bene augurante perché tocca il fondo delle cose, e così conduce la banalità al suo epilogo. Una poesia epilogo, riepilogativa del nulla nel quale siamo immersi.
Tentativi serendipici
Gino Rago
Climatizzatore
La D è la lettera di Dromedario, Domodossola, Dado.
E anche di Dio.
Appendipanni
Il bosco che muore nell’armadio
Aspirapolvere
La lettera Z è la N che si è addormentata
Scopa
la polvere sotto i tappeti
Frigorifero
Mi usano per nascondere libri e fare sparire la poesia
Appendipanni
Il bosco che muore nell’armadio
Armadio
Vedo più amanti nudi che cappotti
La caffettiera
E’ falso il principio della equivalenza tra massa ed energia
Lampadina
Mi spengono mi accendono mi spengono
Televisore
Il mondo entra ed esce la mappina
Mauro Pierno: il testo fa un bel salto e si distanzia dalla parola d’origine e trova una compattezza di frase-immagine davvero sorprendente e godibile, come dire: “carnoso”, e qui ben si caratterizza l’altro serendipico, per poi da quella carnosità estranea alla parola d’origine riferirsi ad essa ritrovando la strada, e questo rende l’esperienza assai densa.
Noto poi che in Bombe il testo si sviluppa e reintroduce le virgole senza timore, può essere un segno interessante fare rinascere le virgole dai punti, divergendo da essi, piuttosto che utilizzarle come segnalitiche che vanno verso il punto (di solito accade questo).
Esercizi serendipici
Temporale
Turner legato all’albero maestro intingeva gli occhi nell’acqua e nel petrolio.
L’uomo misterioso venne scovato dai social e crocifisso per non aver indossato il cappello.
Neanche il quarto d’ora di fama se il sereno si affretta.
L’uomo ora cammina in verticale mentre si fa la doccia.
Per millenni hanno sferzato i senza nome moltiplicati in senza nome.
Bagnati e asciugati senza aver mai conosciuto la direzione delle miniere d’oro.
Come destino il rullare continuo dei formicai.
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Divincolarsi svincolarsi ancora emanciparsi. Serendipità. L’annientamento culturale questo è l’approfondimento della Kitchen Poetry.
Tutto passa attraverso la memoria. La perdita.
Le posizioni infinite dei nostri passaggi le emozioni gli innamoramenti la cultura le geolocalizzazioni sono avvenimenti del tempo. Tutto spazzato via. Non esiste più.
La dimenticanza. Serendipità è proporre un’azione contro la dimenticanza. La cultura del perfetto plagio. Padri di chi? Madri di che cosa?
L’elenco delle parole delle cose.
Palcoscenico Nel vortice di piume, lo starnazzare delle oche. (Ciccarone)
Cammei gli stessi dromedari senza gobba scomparsi
tra le righe di oasi letterari. (Pierno)
Casa. Di montagna, al mare, vuota, piena, infestata di litigi e formiche rosse. (Tagher)
Ventaglio souvenir o soffietto a mantice?
Viviamo in infradito.
Le fiamme dell’aldilà lambiscono l’aldiquà,
rivelò Sloterdijk agli accademici svedesi. (Leone)
Se è vero che viaggia nel vuoto – ma fino a che punto ogni altro gas: scientifico, matematico, filosofico etc. è assente? (Intini)
Le due visioni si somigliano (Tosi)
Così c’è un’ebbrezza del surfista che cavalca il vuoto ma questa ebbrezza non ha poi variazione e rimane stabile,(Ricciardi)
Una esistenza de-storicizzata dà luogo ad una esistenza serendipica.
(Marie Laure Colasson)
….segue Compostaggio
Palcoscenico Nel vortice di piume, lo starnazzare delle oche.
Cammei gli stessi dromedari senza gobba scomparsi
tra le righe di oasi letterari.
Casa. Di montagna, al mare, vuota, piena, infestata di litigi e formiche rosse.
Ventaglio souvenir o soffietto a mantice?
Viviamo in infradito.
Se è vero che viaggia nel vuoto – ma fino a che punto ogni altro gas: scientifico, matematico, filosofico etc. è assente?
Le due visioni si somigliano
Così c’è un’ebbrezza del surfista che cavalca il vuoto ma questa ebbrezza non ha poi variazione e rimane stabile,
una esistenza de-storicizzata dà luogo ad una esistenza serendipica.
(E ti vengo a cercare.)
Grazie OMBRA.
condivido il pensiero di Jacopo Ricciardi, in queste composizioni Mauro Pierno riesce davvero sorprendente, ormai ha il polso giusto, sa dosare gli effetti e i contro effetti, gli stacchi e i tacchi…
Analoghe considerazioni per Tiziana Antonilli, davvero sorprendente la sicurezza dei suoi esercizi serendipici, sembra che li abbia frequentati da anni…
L’anno prossimo, nel 2023, potremmo pubblicare una Antologia della poetry kitchen dedicata esclusivamente alle strutture serendipiche. È una idea. Una proposta.
Dalle strutture serendipiche all’instant poetry, il passo è breve:
*
Lamette. Ancora, se vinci.
Adesso baciami con la lingua.
*
Dottor Alberto in Calzamaglia.
Riva del Garda.
LMT
Sì, è vero, dalla instant poetry alla struttura serendipica il passo è breve, però la prima è legata all’istante, vive nella istantaneità e muore nell’istantaneità per il tramite delle libere associazioni interiori improvvise e desultorie; la seconda invece è svincolata dalla istantaneità e vive nella temporalità. Ad esempio, nella struttura serendipica posso cambiare gli addendi anche dopo giorni o mesi o anni, l’importante è che tra il dato di partenza (la parola o l’oggetto) e il dato di arrivo ci sia uno spazio, un salto non suturabile, non legato necessariamente alla libera associazioni degli addendi quanto all’inatteso, alla impredibilità (che non equivale alla arbitrarietà, è questo il difficile!), così si crea un evento (non epifanico) straniante, spaesante. Nello spazio che si apre tra la spaesatezza e la familiarità si consuma l’evento della scrittura serendipica. Ad esempio, nelle mie ultimissime composizioni faccio sempre più uso della struttura serendipica:
La mattina il poeta Gino Rago prende un caffè al bar di Trebisacce
Madame Colasson redige il verbale degli acchiappafarfalle
Ewa Tagher aggiusta la redingote al pappagallo Proust
Un ippopotamo bianco fuma un sigaro cubano davanti al Colosseo
mentre a Lubjana il critico marxista Tatarkiewick litiga con il filosofo Žižek
un carissimo saluto a Letizia Leone
antonio
Ricambio, caro Antonio i saluti con un augurio di buona scrittura!
Il “Ventilatore” della Leone e il “Palcoscenico” di Ciccarone mi sono particolarlarmente piaciuti, mi sono messo comodo a sentirle addosso. Per la prima le due scene, settecento e oggi, talmente estremo è il passaggio dall’una all’altra proprio perché non c’è alcun passaggio, in un iper cut up che, seppure il testo le faccia apparire susseguenti in “realtà” si affiancano nella mente combattendosi lo stesso istante. Per il secondo mi perdo nella scena bifronte di mille rimandi tra una parte e l’altra della frase, e tornando alla parola d’origine – accade ogni volta che rileggo – godo nello scoprire quanto il testo sia risolto in essa, come un repentino illimpiditore che non spiega – come se il chiarirsi della mente non necessitasse di alcuna spiegazione. Grazie (ottima idea l’antologia serendipica!)
Carissimo Jacopo grazie per le tue parole, spero che si possa realizzare anche l’antologia serendipica. Grazie!
Discorso della Montagna
Il Presidente del Globo Terrestre alzò la cornetta del telefono
Urlò:
«Il misuratore dei bidet è andato a prendersi un caffè, ha attaccato un cartello alla vetrina del negozio di ortofrutticolo con su scritto:
“Torno subito”
Non dimenticate di prendere un’aspirina, la sera, e una di Lexotan la mattina dopo i pasti, vi toglie il mal di stomaco
È vietato fornicare con la vicina di ombrellone
Ai nani è vietato indossare gli shorts
È vietato pomiciare con un LGBT
È vietato chiudere i rubinetti del gas prima di uscire
È vietato chiudere i flow cash dei bancomat
È consentito indossare la canottiera solo d’inverno
Non è permesso immergere i savoiardi nel caffelatte
Non dimenticate di assumere il prolettico dopo pranzo
La penicillina è diventata astemia
La majonese è una combriccola milanese
L’alopecia è una torta Sacher con la Lichtung
Il poliptoto è il nome scientifico della medusa mediterranea
Il maggiordomo Camembert ha deglutito per errore la créme caramel
Madame Colasson usa il filo interdentale Colgate Control
Spolverate la piramide di Cheope con lo spazzolino da denti e poi lucidatela con il lucido da scarpe Nigget
Non fidatevi del Mago Woland, è un malmostoso fideiussore , dichiara che ogni evento ha il suo contrario ope legis e che il periplo è analogo al peplo
Il contrattempo è in allestimento
Il contraddittorio è in allestimento
Il collutorio contiene la clorexidina
È in allestimento anche il futuro
Per il passato ci incontreremo domani
Il Parlamento ha votato la fiducia al Governo di unità nazionale
La legge di stabilità contiene l’autorizzazione al termovalorizzatore di Roma
Il pappagallo Totò ha detto “Buongiorno!”, nel frattempo Achille ha raggiunto la Tartaruga»
Un pesce in marsina si stava lavando i denti con Pepsodent anti placca quando il misuratore dei bidet dopo aver masticato un wurstel continuò in questi termini:
«Dio è diventato impotente. E questa è la migliore prova dell’esistenza dell’Essere e del Dasein, lo stigma della sua impotentia coeundi»
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Blinken ha detto al G7:
«We’re not going to tell the russians how to negotiate, what to negotiate and when to negotiate,”
he added.
“They’re going to set those terms for themselves»
La procedura serendibica ricalca il modello base della frase (soggetto-predicato). È certo da inserire nella strumentazione kitchen, diciamo per favorire il “volo”. Ma di nuovo, come all’inizio fu per il distico, andrebbe considerato il passo di marcia (questo fa questo, quello fa quest’altro). A tal proposito è da sottolineare l’andare più spedito rispetto a certa poesia surrealista, di cui si avverte l’eco; d’altra parte è il mondo, la società civile, ad avere cambiato passo… lingua impoverita, nuovi termini internazionali (di brevissima durata), quindi va così anche per la poesia. Però divertente… anche se un maestro della pubblicità, con cui ho avuto modo di collaborare, quando gli sottoponevo nuove idee, a volte se ne usciva con un ‘embè?’, ‘e allora?’. La mia curiosità è adesso rivolta alle reazioni dei pochi o tanti lettori, con quali commenti, ecc. E lo faranno sulle poesie, questo è chiaro.
Le strutture serendipiche affinano i procedimenti già sperimentati nella fondazione di una nuova ontologia e della poetry Kitchen. Letture leggere ma perturbanti, anche se visionate con l’occhio veloce e distratto che si potrebbe dedicare alla street art, per esempio. Eppure qualcosa ancora stimola le nostre intelligenze in questi testi. La nostra “sciacquatura dei panni in Arno” passa per “l’amusement-mania”, l’effimero, per gli apparati scenici pubblicitari o lo show mediatico del reale ma il testo resite nella sua altera autonomia poietica. Almeno per me. Un dialogo testuale felice con ottimi compagni di strada, ognuno con la propria netta individualità. Grazie per la particolare attenzione a Jacopo Ricciardi e un particolare riconoscimento a Giorgio Linguaglossa per il coinvolgimento!
Serendipity (serendipità)
La definizione del concetto di serendipità si può dire così: la sostituzione di una parola, di un oggetto che cercavamo con un’altra parola, un altro oggetto che non ci aspettavamo di trovare. In conseguenza di ciò, la nuova parola, la nuova proposizione non avranno nulla in comune con la parola e con la nuova proposizione che le precedono. E questo semplice accostamento tra due parole o proposizioni produce una scintilla di senso imprevisto, una estraneazione.
Parallax (Parallasse)
È molto importante la definizione del concetto di «parallasse» per comprendere come nella procedura della poesia della nuova ontologia estetica, in misura più o meno avvertita, sia rinvenibile in opera questa procedura di «spostamento di un oggetto (la deviazione della sua posizione di contro ad uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di chi osserva che fornisce una nuova linea di visione.*
The common definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational position that provides a new line of sight. The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply ‘subjective,’ due to the fact that the same object which exists ‘out there’ is seen from two different stations, or points of view. It is rather that […] an ‘epistemological’ shift in the subject’s point of view always reflects an ‘ontological’ shift in the object itself. Or, to put it in Lacanese, the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its ‘blind spot,’ that which is ‘in the object more than object itself,’ the point from which the object itself returns the gaze *
La definizione comune di parallasse è: lo spostamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto a uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di osservazione che fornisce una nuova linea di visione. La svolta filosofica da aggiungere, ovviamente, è che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, dovuta al fatto che lo stesso oggetto che esiste “là fuori” è visto da due diverse stazioni, o punti di vista. È piuttosto che […] un cambiamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre un cambiamento “ontologico” nell’oggetto stesso. O, per dirla in lacanese, lo sguardo del soggetto è sempre-già iscritto nell’oggetto percepito stesso, a guisa del suo “punto cieco”, ciò che è “nell’oggetto più dell’oggetto stesso”, il punto da cui l’oggetto stesso restituisce lo sguardo
* Zizek, S. (2006) The Parallax View, MIT Press, Cambridge, 2006, p. 17.]
Si presenta un testo scritto, ma esso è davvero la trascrizione della voce? Nel testo scritto c’è molto di più della trascrizione della voce: la punteggiatura, gli spazi bianchi, l’interlinea, i segni grafici, l’a capo etc…. Come potremmo dare il senso del nostro parlare senza questi strumenti che non attengono alla voce? L’alfabeto quindi non è la mera trascrizione della voce in lettere separate e distinte, la voce non è sovrana e non ha il dominio dei significati e dei voler dire… c’è una scrittura più antica della scrittura alfabetica, una archiscrittura, è quella scrittura che non vuole dire, che non dice o, più banalmente, non ha nulla da dire, quella scrittura della differenza originaria che compone in una dimensione seconda, compone i significati in quanto ha perso l’origine, a seguito della perdita dell’origine.
Allora, se è vero che siamo sempre in presenza del differimento del segno e quindi del significato e del significante, una archiscrittura propriamente detta sarà l’esaltazione massima del differimento del segno, e quindi del significante e del significato; una archiscrittura sarà, come accade nella poetry kitchen, un differire all’infinito il senso, e quindi il significante e il significato in un discorso che ormai non ha più nulla da dire, nulla da voler dire…
Non sarò mai di fronte all’origine, non saprò mai che cosa volevo dire perché continuamente, mentre io parlo, sono invischiato nel differimento dei segni che dicono sempre altro, altro da ciò che io volevo dire; non c’è, non ci può essere alcuna autenticità in quel mio voler dire l’origine, perché l’origine non c’è, non c’è mai stata se non come architraccia dell’origine, che parla un linguaggio senza alcun voler dire, che non ha nulla da dire, una vuota lalangue che è al di qua dei linguaggi significanti e significazionisti. Tutto ciò mostra molto chiaramente che non si da mai una parola piena, una parola piena di significato, perché appena pronunciato quel significato si trova già altrove, è slittato via. Perché non si può dire quel che si ha da dire, e nessuno mai lo potrà dire. Si ha qui un tramandamento delle parole e dei significati per cui quel che ho detto è sempre altro da quel che volevo dire e quel che volevo dire sarà sempre altro da quel che ho detto. È questa la maledizione della lalangue, della lingua dell’architraccia, che essa è anarchica in quanto priva di un archè.
Osservazioni sulla struttura serendipica del testo Kitchen
Dopo i vari interventi, di Intini, Tosi, Ricciardi, Colasson etc., sulla struttura serendipica del testo Kitchen che condivido e apprezzo, credo che partire da un riferimento stabilito sia un vantaggio per lo scrivente versi serendipici rispetto a chi scrive versi Kitchen. Ma questo potrebbe risultare, anche, un’arma a doppio taglio, in quanto, se da un lato viene regalato il bandolo dal quale iniziare a scrivere, dall’altro canto questo dono, chiamiamolo così, toglie o limita quella libertà che si ha nell’incominciare a scrivere una poesia senza alcun riferimento obbligato, attributo proprio della poesia Kitchen. Inoltre la poesia serendipica, dopo le tante giustificazioni, e interventi di Rago, Linguaglossa e altri la possiamo intendere come l’altra faccia della medaglia che non ti aspetti, frutto di travolgente, sorprendente, occasionale genialità che si accosta e/o si allinea alla poesia Kitchen. Tutto ciò può permettere alla poesia cosiddetta ufficiale, di salotto di imbroccare se solo lo volesse, quella svolta di fondo tanto auspicata da scriventi poesia e/o poeti laureati per uscire da quella poesia che trasuda di stantio, dove si trova impantanata e senza sbocco alcuno.
By c.r.
caro Raffaele,
condivido le tue osservazioni, in realtà la struttura serendipica è cosa difficillima a farsi, infatti i nostri tentativi sono per lo più riusciti a metà, ma questo era ampiamente prevedibile, come quando fai il salto in alto devi avere a disposizione almeno 3 tentativi per riuscire almeno una volta. Comunque, la scrittura serendipica ha un grande vantaggio: di rendere le nostre scritture sempre meno prevedibili, meno telefonate, meno calcolabili, anche se poi non è detto che ci si riesca.
Io vedrei bene una poesia kitchen che faccia uso e abuso di strutture serendipiche (come accade in maniera quasi naturale a Francesco Intini), in fin dei conti le due modalità possono confluire in una unica techne, consegnandoci una complessificazione al grado elevato del testo. L’ideale sarebbe confezionare una poesia kitchen inframmezzate con un’alta percentuale di strutture serendipiche. Il mio tentativo sopra postato (Discorso della Montagna) tentava di andare in questa direzione. Ovviamente, la nostra è una officina, tutto quello che trattiamo è in divenire, sono testi in itinere, correggibili, rettificabili…
che massa di merdate!!
Odio e disprezzo, senza alcuna motivazione? Mah, sarà la calura.
Claudio Borghi,
che ti nascondi sotto un falso account, ti consiglierei di interpellare lo psicanalista Massimo Recalcati per le tue fobie e le tue ossessioni!!
(ma non sei proprio capace di elaborare un pensiero purchessia con il lato destro del Conscio?)
“Embè?”
GLi ELenChi
la tumefazione la cirrosi lo spritz la carta il carbone il fiume la trave il potassio il magnesio
la lira il materasso la sdraio il fucile
Ali Babà il sole il sedano lo scarafaggio la muta
la chioma il sipario gli attori
il teatro la cozza la mollica il lungomare la cipolla
lo scoiattolo il mento la scapola il grattacielo Gengis Kan la mano il chiavistello la toppa il foro
Il deserto la pasta e fagioli il cric la colonna la parete i Promessi Sposi il divano Totò
le merdate le medaglie le scatole gli incendi la nera il bianco il ristorante la lavapiatti la lavatrice
l’orecchio Jannacci il tre per due le tabelline l’olfatto Salò Pasolini Pavese la siccità il Po’ la Dora Baltea la Dora Riparia
Grazie OMBRA
la struttura serendipica ci dice l’imprevisto.
Scrive Maurizio Ferraris:
«…le azioni rese possibili dai dispositivi tecnici sono in larga misura impreviste: l’inventore della scrittura cercava un dispositivo contabile, ma con la scrittura si sono composti versi, sinfonie e leggi; l’inventore del telefono voleva una radio, e viceversa; chi ha inventato le tazze da caffè americano non prevedeva a loro destinazione parallela a portapenne, l’inventore dell’aspirina pensava di aver scoperto un farmaco antinfiammatorio, mentre una delle sue più interessanti qualità è che sia un farmaco antiaggregante, quindi fluidificante del sangue, come si è capito più tardi; l’inventore del web pensava a un sistema di comunicazione tra scienziati, e ha dato vita a un sistema che ha trasformato l’intera società: Lo stesso cellulare è evoluto da apparecchio per la comunicazione orale ad apparecchio per la comunicazione scritta e la registrazione, smentendo l’assunto secondo cui la comunicazione costituirebbe un bene superiore alla registrazione, e l’oralità un veicolo di scambio più gradito, naturale e appropriato della scrittura. O, ancora più visibilmente, il mondo dei social network, che – contraddicendo gli ideali di amicizia che ne costituiscono la ragione nominale – si trasforma in spazio estremamente conflittuale».1
1 M. Ferraris, Emergenze, Einaudi 2016, p. 45
Tutte le relazioni sono saltate. L’elencazione pedissequa fatta attraverso un enunciato di parole-oggetto riavvia una trama fatta soltanto di assonanze deduttive interattive.
La poesia della parola è l’enunciazione elementare del filamento culturale che compare e scompare all’osservazione delle parole-oggetto in contrapposizione tra loro.
Che ancora appena percepiamo. Per quanto mi riguarda è la radiazione latente che si innesca nel rapporto culturale, pixel di rilevanza emotiva-oggetto, che ancora riesco a captare.
Segue elenco:
Bisnonno baobab laguna Venezia Fellini torpedo
stelle caffelatte pigiama matita dentifricio
cuscinetto ombrellone cruciverba Oldani
Grazie OMBRA
(Bho!)
COVID1
Adesso si capisce cosa faccia il maledetto dentro di noi. Si diverte come un matto rifuggendo le persone e spingendo verso il regno vegetale o in alternativa quello minerale. Vivere come un geranio sul balcone o una pietra nel muro, aiuta a sopportare l’idea che l’olfatto se ne sia andato così anche la fame e al loro posto abbia inventato una specie di cucina industriale di precotti, digeriti e parcheggiati permanentemente tra naso e gola. Il Covid è questo racconto di camion militare a cavallo nero nell’ora di abbeverarsi allo Stige. Qualcuno persino ride senza crederci troppo.
CREDO
La macchina dell’ossigeno torna a 97.
In questi giorni se n’è stata chiusa come una monaca in preghiera.
Lei e il buon Dio in uno scatolo a giocare a dama.
Chi abbia perso non si sa.
Ma sui bordi di cartone c’è il big bang accartocciato e senza stelle
e, lieve che galleggia a mezz’aria, la busta aperta di un buco nero.
Il prezzo del ritorno alla normalità, credo
Contro le patatine fritte.
CAMPO_STAGGIO
Questa notte ho sognato una colomba.
Nel becco aveva un verso di Tranströmer
e forse di Lorca o di Leopardi o di Simon Weil
Non so più se fosse Cristina o il poeta Pierno
Ma tutto si accomodava a cominciare dallo sterno
Fino all’ ultimo starnuto per comporre il nido.
COVID 2
Cipolle, formaggio grattugiato, uovo arrosto con pulcino.
Il muro di Berlino oltre le narici e qualche Vopos
Tra fagiolini e capperi dal naso
Occhio magico in torretta:-CUCU!
Scorrono detriti fino allo stomaco
Muggisce Enigma nell’ Adriatico.
La macchina di Turing
dice toro suggerendo una bistecca
ma arriva in tavola un’insalata di fagioli.
DUEMILA-SESSANTOTTO
Dove è finito il flambè
Servito agli angeli?
Ah la morbida carne pronta ad arrostirsi
Attorno alla Luna
Rilanciare Woodstock
E San Giovanni in tuono
Ci sarebbe stata una rosa nel soffitto
il bonzo di Jimi da suonare
Tutte invece sul petto le medaglie di generale
Anche quelle che colpiscono duro
Cento punti per un gabinetto centrato in pieno
Esportare rumori di cucina, ritmi da camion militare
Ricominciare da Bagdad
Scendendo a razzo su una forchetta
Scoprire l’arma segreta di una cipolla atomica
E con i piedi nel piatto impiccare un testa d’aglio
(F. P. Intini)
Bellissima poesia. Versi di non senso abbelliscono dove prima vigeva lo squallore. Complimenti.
A questioni complesse le risposte non possono essere che complesse:
Intini ha mixato la poetry kitchen con le strutture serendipiche, e il risultato è stato eccellente, è riuscito a complessificare la complessità del mondo di oggi, la vulnerabilità e la fragilità dei linguaggi del nostro mondo.
Ve le ricordate le categorie filosofiche di Heidegger? Decisione [Entschlossenheit], Apertura [Offenheit], Progetto [ Entwurf], Essere per [Zu-sein].
Il poetico viene indicato dal filosofo tedesco come una possibile apertura, radura [Lichtung] nell’ambito della quale avviene l’evento [Ereignis]. Ora, quello che a noi interessa in questa tematizzazione heideggeriana è l’apertura intesa, materialisticamente, come campo di possibilità e compossibilità di eventi simultanei, di linguaggi simultanei e inconsentanei, compresenti e compossibili. La poesia di Intini ne è un esempio indicativo. Ma questo è soltanto uno degli sviluppi possibili, il segreto è che ciascun poeta è libero di costruire la propria Lichtung di compossibilità, di ri-trovare nella Lichtung gli eventi linguistici significativi. Questo è propriamente un cammino che ciascun poeta deve percorrere per poter giungere alla propria individualissima, personale Lichtung. È un viaggio-sosta in diagonale attraverso la propria proprietà [Eigentlichkeit], per giungere a quel museo nascosto di Figure che sono ogni giorno deiettate da qualsivoglia patria linguistica.
Oltrepassare il fiume dell’oblio e della dimenticanza dell’essere? [Seinsvergessenheit], implica l’immersione nel nulla [Nichts], la predisposizione all’ascolto del nulla linguistico che fonda gli enti, come s-fondamento, come abissale s-fondamento degli enti.
Sull’essenza della verità [Vom Wesen der Wahrheit], è una conferenza tenuta più volte nell’autunno-inverno 1930 e nel 1932, pubblicata non senza una revisione del testo nel 1943 e poi nel 1949 con un’aggiunta.
Nella prolusione del 1929 Heidegger riflette sul nulla come movente della metafisica, cioè della filosofia (perché l’essere piuttosto che il nulla?). Il filosofo tedesco indica nel nulla non un concetto astratto e vuoto ma il fenomeno primario, come una specie di tonalità di fondo del mondo dell’uomo, cioè dell’esistenza. In questo modo la parola Nulla (Nichts) traspone su un piano metafisico, e non più immediatamente esistenziale, il Sein zum Tode (l’essere per la morte) che in Essere e tempo aveva un ruolo centrale e fondante.
«Ogni domanda metafisica abbraccia sempre la totalità della problematica metafisica», afferma Heidegger, perciò mette sempre in questione anche colui che domanda: «il domandare metafisico deve essere posto in modo totale e a partire dalla situazione essenziale dell’esserCi che domanda».1
Analogamente, il discorso poetico abbraccia sempre la totalità della problematica metafisica, e coinvolge in prima persona il Chi della domanda. Non è possibile sfuggirvi in alcun modo. Il domandare pone il domandante nel pieno coinvolgimento di quel domandare. Il rispondere pone il risponditore nel pieno coinvolgimento di quel rispondere. Oggi ad esempio, parlare di un’arte impegnata o della poesia lirica è parlare del pesce d’aprile, l’arte se solleva la domanda e tenta una risposta è sempre coinvolgimento totale del locutore, se poi a parlare sono dei soggetti che parlano il linguaggio de-politicizzato delle odierne democrazie parlamentari, perché prendersela con il linguaggio che il poeta kitchen adotta nella sua versificazione?
1 M. Heidegger, Che cos’è metafisica? , ed. cit. pp. 37-38
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
Oggi soltanto una peritropè integrale e una procedura serendipica affiancati da una robusta dose di fantasmi, di icone, avatar, sosia etc. è la forma-poesia per eccellenza dei nostri tempi infetti dai virus del populismo, del sovranismo e della pandemia mentale che ha colto gli abitanti dell’Occidente. La crisi del capitalismo cognitivo è diventata crisi dell’Antropocene che accomuna Occidente ed Oriente, Nord e Sud. La crisi ormai ha assunto dimensioni planetarie. E la poesia? Penso che la poesia abbia l’obbligo di riformulare i propri parametri fideistici.
Discorso della Montagna
Il Presidente del Globo Terrestre alzò la cornetta del telefono
Urlò:
«Il misuratore dei bidet è andato a prendersi un caffè, ha attaccato un cartello alla vetrina del negozio di ortofrutticolo con su scritto:
“Torno subito”
Non dimenticate di prendere un’aspirina, la sera, e una di Lexotan la mattina dopo i pasti, vi toglie il mal di stomaco
È vietato fornicare con la vicina di ombrellone
Ai nani è vietato indossare gli shorts
È vietato pomiciare con un LGBT
È vietato chiudere i rubinetti del gas prima di uscire
È vietato chiudere i flow cash dei bancomat
È consentito indossare la canottiera solo d’inverno
Non è permesso immergere i savoiardi nel caffelatte
Non dimenticate di assumere il prolettico dopo pranzo
La penicillina è diventata astemia
La majonese è una combriccola milanese
L’alopecia è una torta Sacher con la Lichtung
Il poliptoto è il nome scientifico della medusa mediterranea
Il maggiordomo Camembert ha deglutito per errore la créme caramel
Madame Colasson usa il filo interdentale Colgate Control
Spolverate la piramide di Cheope con lo spazzolino da denti e poi lucidatela con il lucido da scarpe Nigget
Non fidatevi del Mago Woland, è un malmostoso fideiussore , dichiara che ogni evento ha il suo contrario ope legis e che il periplo è analogo al peplo
Il contrattempo è in allestimento
Il contraddittorio è in allestimento
Il collutorio contiene la clorexidina
È in allestimento anche il futuro
Per il passato ci incontreremo domani
Il Parlamento ha votato la fiducia al Governo di unità nazionale
La legge di stabilità contiene l’autorizzazione al termovalorizzatore di Roma
Il pappagallo Totò ha detto “Buongiorno!”, nel frattempo Achille ha raggiunto la Tartaruga»
Un pesce in marsina si stava lavando i denti con Pepsodent anti placca quando il misuratore dei bidet dopo aver masticato un wurstel continuò in questi termini:
«Dio è diventato impotente. E questa è la migliore prova dell’esistenza dell’Essere e del Dasein, lo stigma della sua impotentia coeundi»
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Blinken ha detto al G7:
«We’re not going to tell the russians how to negotiate, what to negotiate and when to negotiate,”
he added.
“They’re going to set those terms for themselves»
SULLA STRUTTURA SERENDIPICA. G. Linguaglossa