Robert Frost, Fuoco e ghiaccio, Adelphi, 2022, a cura di Ottavio Fatica, traduzione di Silvia Bre, pp. 547 € 30, Nota di lettura di Marie Laure Colasson

Robert frost

circa 1960: American poet and 1924 Pulitzer Prize winner Robert Lee Frost (1874 – 1963) holds a stick in both hands at arms length in a forest. (Photo by Hulton Archive/Getty Images)
.

Stopping by Woods on a Snowy Evening
di ROBERT FROST

Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.

My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.

He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.

The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.

Sostando presso dei boschi in una sera di neve

Credo di sapere di chi siano questi boschi;
Ma la sua casa è al villaggio.
Egli non mi vedrà fermo qui
A guardare i suoi boschi riempirsi di neve.

Deve sembrare strano al mio cavallo
Sostare qui dove non c’è una casa,
Tra i boschi ed il lago ghiacciato
La sera più scura dell’anno.

Scuote i campanellini dei finimenti
Per chiedere se non c’è sbaglio.
Non c’è altro suono che il fruscio
Dolce del vento e dei soffici fiocchi.

I boschi sono belli, scuri e profondi;
Ma io ho tante promesse da mantenere,
E tante miglia da fare prima di poter dormire
E tante miglia da fare prima di poter dormire.

Acquainted with the Night

I have been one acquainted with the night.
I have walked out in rain—and back in rain.
I have outwalked the furthest city light.
 
I have looked down the saddest city lane.
I have passed by the watchman on his beat
And dropped my eyes, unwilling to explain.
 
I have stood still and stopped the sound of feet
When far away an interrupted cry
Came over houses from another street,
 
But not to call me back or say good-bye;
And further still at an unearthly height,
One luminary clock against the sky
 
Proclaimed the time was neither wrong nor right.
I have been one acquainted with the night.
.

In confidenza con la notte

Sono stato uno in confidenza con la notte.
Sono uscito sotto la pioggia – e sotto la pioggia son rientrato.
Ho camminato oltre le più lontane luci della città.

Ho guardato in fondo al vicolo più triste.
Ho incrociato il guardiano di ronda
E ho abbassato lo sguardo, senza voler spiegare.

Sono rimasto in piedi, immobile, fermando il suono dei passi
Quando da lontano un grido interrotto
Giungeva dalle case di un’altra via,

Ma non per chiamarmi indietro o dire addio;
E più lontano ancora, ad un’altezza ultraterrena,
Un orologio splendente contro il cielo

Annunciava che l’ora non era giusta né sbagliata.
Sono stato uno in confidenza con la notte.

The Vantage Point

If tired of trees I seek again mankind,
Well I know where to hie me—in the dawn,
To a slope where the cattle keep the lawn.
There amid lolling juniper reclined,
Myself unseen, I see in white defined
Far off the homes of men, and farther still
The graves of men on an opposing hill,
Living or dead, whichever are to mind.

And if by noon I have too much of these,
I have but to turn on my arm, and lo,
The sunburned hillside sets my face aglow,
My breathing shakes the bluet like a breeze,
I smell the earth, I smell the bruisèd plant,
I look into the crater of the ant.

L’osservatorio

Se stanco d’alberi di nuovo cerco gli uomini,
bene io so dove affrettarmi – nell’alba,
a un pendio dove pascola la mandria.
Là in mezzo a pigri ginepri adagiato,
non visto io vedo nitide nel bianco
lontano le case di uomini e, più ancora
lontano, le tombe di uomini su un’opposta collina,
vivi o morti, ma tutti da ricordare.

E se per mezzogiorno anche mi stanco
di loro, non ho che da voltarmi sul fianco
e l’assolata collina mi illumina in viso,
il mio respiro è una brezza al fiordaliso che trema,
odoro la terra, la piantina ferita,
guardo dentro il cratere della formica..

(Trad. di Roberto Sanesi)

Wallace-Stevens-Walk-Blackbird-1

versi di Wallace Stevens

.

Robert Frost è stato il poeta preferito di John Fitzgerald Kennedy, è nato a San Francisco nel 1874 ed è morto a Boston il 29 gennaio 1963. È il poeta della natura vista in rapporto di estraneità e di rigetto istintivo verso la civiltà urbana e l’ideologia del progresso storico; è un poeta isolazionista, sostanzialmente astorico, anti sistemico, è il poeta del versante rurale del modernismo americano, di qui il suo linguaggio e le sue tematiche: è un poeta elementare, ripetitivo, isolazionista, regressivo. Nel 1922 escono The Waste Land  di Eliot, l’Ulisse di Joyce, le Elegie duinesi di Rilke, Il castello di Kafka, Sodoma e Gomorra di Proust;  nel 1923 esce La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Ha inizio il modernismo europeo, il 15 giugno del 1925 esce a Torino, per il tramite di Piero Gobetti, Ossi di seppia di Eugenio Montale; nel 1914 esce L’incendiario di Palazzeschi, nel 1930 il primo volume de L’uomo senza qualità di Robert Musil, nel 1923 Wallace Stevens esordisce con la raccolta Harmonium, che contiene la famosa poesia “Sunday Morning”, dove il poeta americano raggiunge un perfetto balancement tra la natura e la civiltà delle macchine; nello stesso anno escono Spring and All di W. C. Williams e New Hampshire di Robert Frost (1874-1963). Non ci possono essere due poeti più distanti tra loro. Il modernismo americano differisce da quello europeo, il primo è erede della lezione di Ralph Emerson e di Leaves of grass di Walt Whitman, oscilla tra sentimento della natura e vitalismo panico, il secondo si orienterà verso la rappresentazione della crisi esistenziale dell’uomo  occidentale prigioniero della tecnica e del progresso.

Frost pubblica il suo primo libro verso i quarant’anni. Lo recensiscono Amy Lowell e Ezra Pound. Frost si trasferisce in Inghilterra ma nel 1915 torna negli Stati Uniti, compra una fattoria, è già abbastanza famoso da ricevere inviti per conferenze e incarichi nelle università. Nel 1923 esce la sua terza raccolta, New Hampshire, che vince il premio Pulitzer. Frost frequenta l’università senza però terminarla, fa l’allevatore di polli, l’operaio e il maestro di scuola, si sposa; girovago, insoddisfatto, inquieto, il suo incontro con la poesia passa attraverso le asperità di una esistenza priva di una solida posizione economica. Wordsworth e Heaney sono i suoi numi tutelari, filtrati attraverso Emerson. La sua poesia sembra la raffigurazione della contemplazione della natura: i boschi, i ruscelli, le colline, gli uccelli popolano la sua scrittura; la differenza  con lo sperimentalismo e l’avanguardismo della poesia di quegli anni non può essere più vistoso. Nel giro di pochi anni Frost diventa il poeta più celebrato d’America. Nel 1912 Frost vende la fattoria di Derry, e vive con un modesto vitalizio del nonno paterno, d’ora in avanti si dedicherà unicamente alla poesia. Il Senato americano vota mozioni augurali per il suo settantacinquesimo e il suo ottantacinquesimo compleanno, gli Stati Uniti si riconoscono sempre di più nella rappresentazione rurale e conservativa  delle sue poesie, serpeggia una sottile inquietudine, l’evidenza migliore delle sue poesie è in un parlato colloquiale che interrompe i ritornelli rimati e ritmati; sono poesie facilmente memorizzabili,  espressioni gergali vengono inserite in un lessico e una struttura tradizionali, si tratta di una poesia sostanzialmente fonosimbolica che non si basa sull’elemento oggettuale come quella di Stevens ma su una nostalgia per la natura dove affiorano le inquietudini di una civiltà rurale ormai in via di estinzione. Nel 1961 John F. Kennedy lo invita a tenere una lettura durante la cerimonia del suo insediamento come presidente, viene inviato in Unione Sovietica per parlare con Chruščëv. La poesia che dà il titolo all’antologia di Adelphi, Fuoco e ghiaccio, è tratta da New Hampshire,  la raccolta più riuscita di Frost che continuerà a pubblicare fino agli anni ’40 con l’ultima silloge,  Steeple Bush.

C’è chi dice che il mondo finirà col fuoco
e chi col ghiaccio.
Per ciò che ho assaporato io del desiderio
sto con chi tiene per il fuoco.
Ma dovesse perire per due volte
so di sapere dell’odio a sufficienza
da dire che a distruggere
anche il ghiaccio va bene
e basterebbe.

*

dalla raccolta Mountain Interval.

Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l’altra, così com’era,
che aveva forse i titoli migliori,
perché era erbosa e non portava segni;
benché, in fondo, il passar della gente
le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

perché nessuna in quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.

lo dovrò dire questo con un sospiro
in qualche posto fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco, ed io…
io presi la meno battuta,
e di qui tutta la differenza è venuta.

Wallace Stevens. Photo of Robert Frost and Stevens at the Casa Marina Hotel in Key West, ca. 1940

La foto è del 1940. È stata scattata a Key West, in Florida, in un albergo affacciato sull’Atlantico che ha un nome in italiano: “Casa Marina”. Stevens amava soggiornarvi prima che la località fosse presa di mira da artisti e letterati provenienti da ogni luogo degli Stati Uniti. È la testimonianza del suo ultimo incontro con Frost. Non si sa da chi sia stata scattata, forse da Lawrence Thompson, biografo di Frost, da cui il poeta si fece seguire nei suoi ultimi ventitré anni di vita (il biografo definisce Frost nel privato: «mostro»). Ci furono dei pettegolezzi tra i due poeti.

Quando i pettegolezzi di Frost tornarono a Stevens più tardi quell’estate, si scusò, insistendo sul fatto che era solo “giocoso” e avrebbe “fatto tesoro” del loro incontro, che, ha ricordato a Stevens, “ero in una condizione migliore di te per apprezzare.” Desideroso di appianare le cose, Frost continua: “Prendimelo, non c’è stato alcun conflitto, ma il tipo più carino di stallo. Tu, io e il giudice abbiamo scoperto che ci piacevamo. E tu e io ci piace molto il lavoro dell’altro. Almeno sotto sotto, sospetto di sì. Dovremmo. Dobbiamo. Se io sono un po’ accademico (io sono più agricolo) e tu sei un po’ dirigente, tanto meglio: è così che siamo salvati dall’essere letterati e dispiegatori di parole derivate dalle parole. (Lawrence Thompson)

 

“The trouble with you, Robert, is that you’re too academic.”

“The trouble with you, Wallace, is that you’re too executive.”

“The trouble with you, Robert, is that you write about– subjects.”

“The trouble with you, Wallace, is that you write about– bric-a-brac.”

Frost ha l’aspetto di un uomo comune, di un negoziante di  oggetti per la cucina, il suo volto è scavato dalle rughe, un viso dozzinale, con una espressione di indifferenza e di sordità;  l’aspetto di Stevens è invece un riflesso della sua vita, assomiglia a quello che è: un pingue funzionario di banca con problemi di alcolismo. La foto comunica qualcosa di statico e di estraneo, i due poeti appaiono distanti, estranei, ciascuno posizionato in una zona separata dello spazio, guardano in direzione del fotografo per mera obbedienza, la foto sembra quasi sia stata abilmente creata in modo da sembrare naturale. I due poeti si erano già incontrati cinque anni prima, sempre a Key West. Non ci sono in realtà due poeti più diversi e incomunicabili: Stevens è algido, glaciale, distante, che mette distanza tra sé e le sue poesie, le sue poesie sono nature morte, immobili, scritte con un linguaggio che ha qualcosa dell’alta burocrazia e delle direttive della White House, tratta di oggetti fissi, immobili, e di situazioni oggettuali viste da una macchina da presa in posizione fissa. Frost non è mai stato interessato alla poesia di Stevens, e lo aveva anche detto pubblicamente: «non mi piacciono le poesie che mi fanno pensare». Stevens un giorno lo invita a cena, chissà di che cosa avranno discusso a cena i due poeti. Frost ha già vinto due premi Pulitzer (ne vincerà in totale quattro), Stevens è ancora alla sua prima raccolta, Harmonium. Prima della cena c’è un cocktail party nell’albergo e Stevens, come sempre, beve in eccesso. Scrive ad Harriet Monroe, la direttrice di “Poetry”, che teme che Frost si sia scandalizzato e che dopo averlo visto abbia fatto degli esorcismi. Frost pochi giorni dopo tiene una conferenza all’Università di Miami, e la apre criticando Stevens e il suo debito verso l’alcolismo. Subito dopo invia una lettera di scuse a Stevens, giustificando il suo comportamento irriguardoso dicendo che era solo un gioco, aggiungendo che il loro incontro era andato piuttosto bene e che il suo (di Stevens) aspetto non era poi così malmesso. «Mi creda, non c’è stato nessun conflitto ma un simpatico pari e patta […]. Se io sono più didascalico (sono più rurale), lei è un po’ dirigenziale [executive]. Tanto meglio. Questo ci salva dall’essere letterari e dall’esibire parole fatte di parole». Nel 1954 Stevens restituisce lo sgarbo: All’invito a tenere una lettura per l’ottantesimo compleanno di Frost, risponde: «I do not know his work well enough to be either impressed or unimpressed», «non conosco sufficientemente bene la sua opera» per parlarne in pubblico.

 (Marie Laure Colasson)

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30 risposte a “Robert Frost, Fuoco e ghiaccio, Adelphi, 2022, a cura di Ottavio Fatica, traduzione di Silvia Bre, pp. 547 € 30, Nota di lettura di Marie Laure Colasson

  1. Thirteen Ways of Looking at a Blackbird
    Wallace Stevens

    I

    Among twenty snowy mountains,
    The only moving thing
    Was the eye of the blackbird.

    II

    I was of three minds,
    Like a tree
    In which there are three blackbirds.

    III

    The blackbird whirled in the autumn winds.
    It was a small part of the pantomime.

    IV

    A man and a woman
    Are one.
    A man and a woman and a blackbird
    Are one.

    V

    I do not know which to prefer,
    The beauty of inflections
    Or the beauty of innuendoes,
    The blackbird whistling
    Or just after.

    VI

    Icicles filled the long window
    With barbaric glass.
    The shadow of the blackbird
    Crossed it, to and fro.
    The mood
    Traced in the shadow
    An indecipherable cause.

    VII

    O thin men of Haddam,
    Why do you imagine golden birds?
    Do you not see how the blackbird
    Walks around the feet
    Of the women about you?

    VIII

    I know noble accents
    And lucid, inescapable rhythms;
    But I know, too,
    That the blackbird is involved
    In what I know.

    IX

    When the blackbird flew out of sight,
    It marked the edge
    Of one of many circles.

    X

    At the sight of blackbirds
    Flying in a green light,
    Even the bawds of euphony
    Would cry out sharply.

    XI

    He rode over Connecticut
    In a glass coach.
    Once, a fear pierced him,
    In that he mistook
    The shadow of his equipage
    For blackbirds.

    XII

    The river is moving.
    The blackbird must be flying.

    XIII

    It was evening all afternoon.
    It was snowing
    And it was going to snow.
    The blackbird sat
    In the cedar-limbs.

    ***
    Tredici maniere di guardare un merlo

    I.
    Fra venti monti nivei
    L’unica cosa mobile
    Era l’occhio del merlo.

    II.
    Ero di tre voleri,
    Come un albero
    Su cui stanno tre merli.

    III.
    Girò il merlo sui venti dell’autunno.
    Fu breve parte della pantomima.

    IV.
    Un uomo ed una donna
    Sono uno.
    L’uomo e la donna e il merlo
    Sono uno.

    V.
    Non so se preferire,
    Bellezza di cadenze
    O d’allusioni,
    Il sibilo del merlo
    O quel che segue.

    VI.
    Riempivano i ghiaccioli il finestrone
    Di barbarico vetro,
    Dove l’ombra del merlo
    Trascorse e ritrascorse.
    Scovò lo stato d’animo
    Cagione indecifrabile
    Nell’ombra.

    VII.
    O esigui uomini d’Haddam,
    Perché vi figurate uccelli d’oro?
    Non vedete che il merlo
    Cammina intorno ai piedi delle donne
    Che vi circondano?

    VIII.
    Io so nobili accenti
    E ritmi luminosi e inevitabili:
    Però noto m’è pure
    Che il merlo è coinvolto
    Nelle cose ch’io so.

    IX.
    Quando scomparve a volo,
    Il merlo segnò il margine
    D’uno di vari circoli.

    X.
    Alla vista dei merli
    Volanti in verde luce,
    Fin l’orgie d’eufonia
    Davano un grido acuto.

    XI.
    Viaggiò per il Connecticut
    In un cocchio di vetro.
    Una volta lo strinse lo sgomento,
    Quando prese in isbaglio
    L’ombra del suo equipaggio
    Per un volo di merli.

    XII.
    II fiume trasalisce:
    Deve volare il merlo in questo istante.

    XIII.
    Fu vespero l’intero pomeriggio.
    Nevicava,
    Per nevicare ancora.
    Ed il merlo s’assise
    Fra le membra del cedro.

    (trad. di Renato Poggioli)

  2. Il centro di gravità permanente di un poeta è il suo linguaggio, un poeta non può accettare né capire ciò che c’è al di là del suo linguaggio; l’esempio della estraneità tra Robert Frost e Wallace Stevens è tutto qui, tutto è già scritto nella differenza tra la loro poesia. Nella loro estraneità reciproca si consuma la biforcazione tra i due estremi del modernismo: l’estremo chiuso al rurale e l’estremo aperto al moderno.
    Non mi meraviglia affatto quindi che oggi, in Italia, un poeta della tradizione esprima estraneità e diffidenza verso la poetry kitchen e la nuova ontologia del poetico: semplicemente non la capisce e non la potrà mai capire. E poi c’è la contesa dell’egemonia politoco-estetica che un certo modo di concepire il linguaggio esercita su altri, diversi modi di concepire il linguaggio e di osservare un «Blackbird».
    Tra i due poeti, ovviamente, Wallace Stevens è di due, tre spanne al di sopra di Robert Frost.

  3. milaure colasson

    I tredici fotogrammi su un Blacknird sono un esempio di mirbile concisione iconica.
    Un esempio di esecuzione di una poesia (fotogrammi) in 13 modalità diverse e distinte.
    13 esercizi di parallasse.

  4. Sembra che alle fiere d’arte che si svolgono ogni anno in moltissime città del mondo, galleristi abbiano deciso che il pubblico apprezza il vero-finto; cioè, l’opera d’arte, affinché sembri tale, ha da essere totalmente finta. Da qui, dalla presa d’atto che il Reale si sottrae alla narrazione e che non sia raggiungibile dal senso, da questa rinuncia nascono immagini neo-pop il cui unico intento è quello di mantenersi sopra le righe: colori sfacciati, provocazioni fine a se stesse… scopiazzature in stile Bansky – totalmente dimentichi di Warhol o Rauschenberg – quindi un pop di finta denuncia, di ribellismo infantile, per dare un tocco di attualità all’interior design. L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta.

    Questo dilemma, il vero/finto, è presente anche nella poesia kitchen. Alcuni praticano il tutto finto, il vero finto invece della illusione di avvicinarsi al Reale ( come in questa pagina Robert Frost). Ma ci si aspetta che il Reale possa far sentire la propria presenza tramite il totalmente inventato, il parossismo, lo sketch. Ci riusciamo? Io qualche dubbio ce l’ho. Il tentativo di abbassarsi, togliersi dal concettuale, deriva dalla rinuncia a operare entro canoni estetici e ontologici considerati obsoleti, ma ci riusciamo solo procedendo, nel deserto, con frasi gratuite e affermazioni sfumate e velleitarie, attraversando il totalmente finto.

  5. Mimmo Pugliese

    UOVA DI GIRASOLE

    Dalle porte protese sul resto del mondo
    una foglia sbanda sul ghiaccio

    Ai cerchi concentrici lasciati alle spalle
    si aggrappano tutte le membra del falco

    Il respiro spigoloso trema sui vetri
    motori sordi farciscono medaglie e cicatrici

    Nel cerchio rosso più alto si erano radunati gli ottoni
    le diatribe avevano ancora tutte le carte in mano

    I sogni dei cavalli pendono dalla caffettiera
    le asole sono le bocche della luna

    Sulle sedie restano briciole di mercurio
    ai posti di blocco derubano le zattere

    Uova di girasole risolvono quiz d’intelligenza
    quadrilateri sudati transitano nel cielo di Marte

    Equilibri incerti si appoggiano alle pareti
    alambicchi scontrosi si ribellano alle ulne

    Cristalli di sale si spogliano nelle camere oscure
    le nuove isole avranno dita verdi

    Nelle tasche hai chilometri di cicale
    in penombra vene varicose e persiane giocano a dadi

    • Quanto appare nel discorso poetico di Mimmo Pugliese come evidenza è questo aver superato le resistenze che il soggetto (je) pone all’oggetto (il linguaggio); lavorando ad assottigliare le difese del soggetto Mimmo Pugliese ha favorito la possibilità di recepire il discorso poetico come discorso dell’Altro, discorso di un Estraneo. È questo che caratterizza l’estrema libertà del discorso poetico, il suo non prestare più il fianco alla vulnerabilità del soggetto, l’aver reso il soggetto (je) invulnerabile e muto, autistico.

      L’io (moi), cioè l’oggetto, l’ego dell’immagine speculare, si oppone al soggetto ( je), il soggetto della parola, ciò in cui consiste l’essere della soggettività; una distinzione in cui troviamo, per dirla con Jacques-Alain Miller, «l’ombelico dell’insegnamento di Lacan».1 «L’io è», afferma Lacan, «letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo funzione immaginaria».2

      L’io costituisce un ostacolo al discorso del soggetto, che è il luogo in cui si esprime il desiderio. Lacan non cessa di sottolinearlo: esso è un’interruzione, un oggetto inerte che si oppone alla tenace insistenza del flusso di parola inconscio, che disturba, mistifica, inquina questo discorso.
      Nella misura in cui il soggetto ne trae godimento, l’asse immaginario è pensato da Lacan come un ostacolo che perturba l’elaborazione simbolica, di cui l’io non ne vuole sapere. Il linguaggio poetico avviene sempre e soltanto allorquando si verifica una smagliatura nell’ordine del Simbolico, smagliatura attraverso la quale può fluire il linguaggio poetico.

      Contrariamente a ciò che comunemente si crede, il discorso locutorio è sempre la voce dell’estraneo, ciò che si oppone al soggetto (je), che fa resistenza, fino al punto di cedimento, in cui accade un cedimento delle resistenze del soggetto (je). Solo da questo momento in poi il discorso poetico può fluire in quanto ha finalmente superato la resistenza del je, del soggetto.

      1 J. A. Miller, Linee di lettura, postfazione a J. Lacan, I complessi familiari, cit. p. 86
      2 J. Lacan, Seminario II, cit. p. 56

  6. Ho cambiato il titolo del mio prossimo libro sulla Poetry kitchen. Eccolo:

    L’Elefante sta bene in salotto

    E questo è l’incipit del libro:

    L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati e riciclati; ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo; che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta e i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e ci troviamo nel migliore dei mondi possibili e immaginabili. Viviamo come se si fosse a bordo di un sommergibile, amiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici.

    • Dunque qualcosa non va anche qui, non solo nel regno di Putler. Certe poesie finte fanno da specchio alla falsità. Chissà però se in quello specchio le persone sono disposte a credere, se vi si riconoscono. Va detto che il signor capitale piace da lungo tempo, se non piace ci si adatta, anche politicamente.

  7. milaure colasson

    Il regno di Putler è il luogo in cui il Capitale è stato sequestrato da una cricca di criminali educati e allevati nell’ex KGB ora FSB, sequestrato ovvio, ad uso e consumo di una infima quantità di oligarchi ricchi come nababbi. Il Capitalismo di Putler è un capitalismo parassitario e usufruttuario, che sfrutta le ricchezze immense del sottosuolo russo non per creare altra ricchezza per fini sociali ma per beneficiare una ristrettissima élite di oligarchi straricchissimi e una stragrandissima maggioranza di sudditi morti di fame. Il tutto condito con la propaganda della Grande Russia di Pietro il Grande e altre cianfasullerie.

  8. milaure colasson

    La poesia kitchen è poesia finta, poesia di princisbecco e di pinzellachere che avrebbe fatto la felicità di Breton e di Buster Keaton, di Robbe Grillet e di Palazzeschi.

  9. L’intento è nobile, muovo solo obiezioni razionali. Ho sempre avuto un debole per gli artisti nei periodi di decadenza tra un ordine mondiale e l’altro. Non indecisi, piuttosto deprivati. Tanta energia per niente che assomigli a prima. Non è da tutti.

  10. antonio sagredo

    “Tra i due poeti, ovviamente, Wallace Stevens è di due, tre spanne al di sopra di Robert Frost.” (Linguaglossa)
    Perchè non una o 4 di spanne?
    La gerarchia delle spanne… del migliore o peggiore o ultimo poeta era prerogativa esclusiva dei primi giovani poeti russi futuristi: era una sorta di gareggiare gratutito e arbitrario. Ma di certo era in voga in tutte le avanguardie poetiche euroepee del primo novecento, una sorta di moda che si diffuse in tutto il mondo di allora, specie, ripeto, tra i giovani agguerriti poeti.
    Recentemente, da circa 10 -15 anni non si parla più di giovani avanguardie poetiche, ma di “avanguardia senile” (A. S.) il cui massimo rappresentante è Antonio Sagredo, la cui “poesia senile”, ma in apparenza, non è giovane
    ma inclassificabile . come noti ma luminari critici hanno definito, come dire non cede al fatto che la Poesia abbia un dato tempo.
    Nel senso che di giovani poeti che non realizanzano poesia giovane non ha senso parlarne, se mai di nuova poesia realizzata da poeti più o meno non più giovani!
    —–
    Ritornando ai due americani del secolo trascorso, l’unico a cui devo qualcosa è Mardsen Hartley… il resto…
    Ma in poesia fantaslmatica, fantastica, ecc, Lovecraft no ha rivali…
    altro che spanne!

  11. Per informazioni sulla nuova poesia francese si legga qui l’articolo di Gilda Policastro:
    https://www.leparoleelecose.it/?p=42174

  12. V+VII
    Non so se preferire,
    Bellezza di cadenze
    O d’allusioni,
    Non vedete che il merlo
    Cammina intorno ai piedi delle donne
    Che vi circondano?

    I tredici modi di vedere un merlo mi sembrano microstati a cui è assegnata una probabilità. Ciò significa che non cambierebbe nulla se ne aggiungessimo altre 130 o 1300 ma suggerisce che la poesia stessa nel sostituire un’unica visione a una moltitudine di visioni debba essere annoverata come una descrizione statistica della realtà. Cosa abbia in comune con Frost? Nulla credo, come paragonare un universo dove tutto è noto e prevedibile e dunque anche quando e dove un ghiacciaio decida di crollare, con uno invece in cui ci si debba accontentare della probabilità.

    MENTRE IN CIELO UNA TARTARUGA AVANZA LENTA

    Ai sorteggi dissero:
    ci alleneremo al bel fresco di Olympus Mons
    lassù gocciola anguria dalla via lattea.

    La voglia di Champions si fece sentire
    Come uno stecchino tra i denti.

    Tutto quel tartaro ha bisogno di un intervento drastico
    I panzer appianino le tre cime di Lavaredo altrimenti
    Scateneremo i canini contro le vostre giugulari.

    Spunta un papavero da un ghiacciaio.
    Una spiga esprime una mutazione rococò:
    aspettavamo grano arriva una bolla di cloro.

    Qualcuno ha fumato la notte scambiando stelle per cannoni
    o più semplicemente gira i bottoni
    distribuendo dolore come un piano Marshall

    Nessun veggente purtroppo si è spinto oltre.

    Tiresia davanti alla commissione invalidi
    non biascicava che qualche frase di stizza per gli anni di piombo
    Subito declassati a “finzione”.

    Il futuro guida un sottomarino giallo nella celluloide
    Cosa chiedergli se non un sigaro da fumare a Liverpool?

    Adesso sappiamo come adattare le medaglie al rosmarino
    Il ragù di tritolo al piatto fresco dell’estate

    Sfuggirono ai peli del naso anche i curdi
    Indigesti come sottaceti al botulino.

    Molestati nel girone degli esclusi
    da vespe e mosche azzurre.

    Dopo il valzer aglio e olio il rinfresco
    con una doccia di cacioricotta grattuggiato.

    (F.P.Intini)

    • e.c. ; …I tredici modi di vedere un merlo mi sembrano microstati a cui è assegnata una probabilità. Ciò significa che non cambierebbe nulla se ne aggiungessimo altre 130 o 1300 ma suggerisce che la poesia stessa nel sostituire una moltitudine di visioni a una solamente debba essere annoverata come una descrizione statistica della realtà. Cosa abbia in comune con Frost? Nulla credo, come paragonare un universo dove tutto è noto e prevedibile e dunque anche quando e dove un ghiacciaio decida di crollare, con uno invece in cui ci si debba accontentare della probabilità.
      Ciao

    • Era da tempo che il mondo era privo di senso

      Era da tempo che il mondo era privo di senso, il «mondo unipolare», come lo hanno chiamato Putin e Xi Jin Ping, quello governato da una sola superpotenza economica e militare: gli Stati Uniti, mostrava da tempo visibili crepe. Putin ha tentato, un po’ ingenuamente e fideisticamente (cioè fidandosi dei rapporti segreti dell’FSB che descrivevano l’Occidente come una entità degenerata, imbelle e incapace di difendersi) di porre fine a quel mondo con un atto di brutale forza: l’invasione dell’Ucraina mediante la distruzione di intere città e non solo del dispositivo militare dell’Ucraina ma della stessa «identità» ucraina. Un atto criminale di marca nazista. Una guerra fragorosa e brutale in piena Europa, un atto di inaudita ferocia e brutalità. Come è stato possibile soltanto ideare un atto di tale cecità e brutalità?
      Il progetto di ridisegnare il mondo «unipolare» e sostituirlo con un «mondo multipolare» appannaggio delle Autocrazie (Russia e Cina), sarà, se si avverasse, il peggiore incubo della storia dopo l’incubo nazi-fascista.

      Nel mondo unipolare il senso e il significato erano stati destituiti di significazione già da tempo, gli eventi erano in corso: Trump, i populismi, le destre aggressive e reazionarie…
      L’operazione di Francesco Paolo Intini può essere definita una anti commedia comica tipica della fine di un mondo dato che il discorso poetico ha cessato di rientrare all’interno di alcuna cornice di senso o di significato, è la stessa inerzia del discorso poetico a governare la variatio dei piani narrativi visti come dispositivi falsificabili, falsificati e ipoveritativi. La propulsione del poetico, come la propulsione nucleare, genera meri feticci, totem, disvalori, abreazioni, pulsioni, il tutto diretto verso falsi obiettivi. Il mondo ha cessato di presentarsi come un testo o conglomerato di segni contraddittori ed estranei mutuando dal concetto di «mondo» ciò che gli è interno, non ha più alcun valore per la nuova poesia nuovissima continuare a mutuare dal suo «interno» una qualche legislazione di senso e di significato, il genere poetico non può che presentarsi che come «de-genere», ovvero, conglomerato di fuori-senso e di fuori-significato, allora sì, si presenterà come poesia nuovissima, intonsa.

      Spunta un papavero da un ghiacciaio.
      Una spiga esprime una mutazione rococò:
      aspettavamo grano arriva una bolla di cloro.

      Qualcuno ha fumato la notte scambiando stelle per cannoni
      o più semplicemente gira i bottoni
      distribuendo dolore come un piano Marshall

      Il reportage delle parole riportate e ricontestualizzate, il polittico, il compostaggio di materiali verbali inerti e ipoveritativi, il «mosaico», o meglio, il finto mosaico, la strategia di fuga, fuga dal desiderio rimosso, fuga verso l’ignoto (a partire dal noto), la peritropè, il capitombolo, il ritorno allo stato di quiete delle parole dopo la loro convulsione-emulsione nella clessidra dell’amarezza… tutto ciò definisce la totalità, o meglio, la finta totalità, che poi è la stessa totalità che si dà come falsa coscienza, inautenticità e parola sostituibile (altro che la parola insostituibile del discorso lirico di accademia!). Quello di Francesco Intini è un discorso frammentato, disarticolato, diverticolato in quanto inficiato dalla invasione dei discorsi ipoveritativi, discorsi che si assimilano alla strategia monetaria dei mercati internazionali come disinformazia e fake news, strategia permanente valida per il dominio del mondo, un mondo basato sull’inflazione monetaria delle parole che attecchisce vasti continenti delle parole umane soverchiate dalle strategie del marketing e della disinformazia programmata. Gli enunciati vengono così ad essere de-territorializzati e diventano mere modalità con cui articolare il discorso.
      Ciò che rimane è un discorso di mera combinatoria di elementi linguistici che si offrono come ultima Thule, ultima possibilità di perimetrare il discorso poetico.
      Dice bene Marie Laure Colasson: «La poesia kitchen è poesia finta, poesia di princisbecco e di pinzellachere che avrebbe fatto la felicità di Breton e di Buster Keaton, di Robbe Grillet e di Palazzeschi».

      • Un esempio di poesia anticlassica di un nuovo poeta francese.
        cit da Gilda Policastro, Scritture anomale e mutazioni di genere dal secondo novecento ad oggi, 2021 Mimesis.

        Le cose sono sempre sotto osservazione (poetica), anche senza una particolare (o non dichiarata) cogenza: sentiamo riferire di questo barattolo sul tavolo e il resto è replica, avvoltolamento sull’insignificanza o sostituzione dell’accadere. C’è questo barattolo ma non (gli) succede niente, c’è questo barattolo che sortisce un accidentale effetto comico nella sua (mancata) epifania di oggetto straniato e perturbante.
        di Christophe Tarkos morto precocemente nel 2004:

        guardiamo sulla tavola e vediamo un barattolo che non esce fuori dalla tavola

        […]

        se ne rimane sulla tavola, è tutto vuoto

        quello che succede è solo un barattolo sulla tavola

        […]

        è un barattolo d’olio che sta sulla tavola appoggiato sulla tavola

        […]

        abbiamo un barattolo che se ne sta da solo che è appoggiato sulla tavola che se ne sta tranquillo e che non se ne esce fuori.

        *

        Quello di Tarkos può considerarsi un comico anticlassico: non si dà all’interno di una cornice codificata, né a partire dalla rappresentazione di un evento eccezionale (c’è anzi un banalissimo oggetto, a fare da perno concettuale e immaginifico), e neppure scaturisce dal rovesciamento di un topos o dall’applicazione di un automatismo o di un cliché.

  13. pietro eremita

    Come prevedevo ci sono arrivati anche i cinesi a dare un nomignolo a Putin: come si dice . meglio tardi che mai, che non mi ha sorpreso affatto!
    Dunque il presidente cinese dà del “cucciolo” a Putin, e ci va vicino, meglio traducendo il termine “putin” dal russo al cinese ne viene fuori qualcosa di davvero piccolo, come pezzettino di qualcosa o qualcuno, insomma un minimun, da cui tenere le distanze proprio perchè quasi insignificante, benchè nella sua insignificanza, o proprio per questo, spietato a tutti i costi per farsi “grande” come il suo amato Pietro il Grande, che a dire la verità dal punto di vista storico si sentirà tradito da un Putin qualsiasi, essendo lui davvero grande e quello davvero piccolo… come un cucciolo.
    Paradosso della storia: Pietro era un occidentalista, Putini uno che ha trovato il potere in una Mosca, quasi sempre “buddistica”, voglio dire orientale.
    Lui, il piccolo, ha chiuso la “finestra Pietroburgo” verso Occidente che era sempre stata l’ossessione di Pietro finchè ha realizzato.
    Ma i piccoli hanno sempre una triste fine, ma ne sognano una sempre grande: complesso di un piccolo borghesuccio che sogna di uccidere il suo capo ufficio… ma questo ha ucciso davvero! QUINDI NON è UNA FINZIONE LETTERARIA!
    saluti

  14. raffaele ciccarone

    Ritagli minimi 1

    Il merlo canta la Traviata alla Fenice di Venezia
    Violetta incantata offre Dom Perignon ai presenti

    Dopo un lungo viaggio il merlo accusa mal di gola
    il tampone è positivo, il medico lo mette in gabbia per tre giorni

    Robert Frost al ristorante Arlecchino mangia
    bucatini all’amatriciana, un merlo recita “L’infinito” di Leopardi

    dei poeti elegiaci in smoking vanno sul tapis rouge
    a ritirare il premio di poesia, un merlo canta “Libiamo nei lieti calici”

    tra il becchime il merlo preferisce quello biologico
    shampoo d’orzo e farro perlato tra addizioni e sottrazioni di vitamine

    r.c.

    • milaure colasson

      Composizione in rigoroso stile kitchen con un quid e un quantum di immaginario e di inventiva . Leggerezza e friabilità dello stile.

  15. Nathalie Quintane,
    Osservazioni = Remarques.
    Traduzione: Michele Zaffarano.
    Colorno : Tielleci, 2015. – 96 p. ; 19,5 cm.
    (Benway Series ; 8).
    978-88-98222-23-0 : 13€

    [Dal testo:]

    Il suono del frigorifero viene dal frigorifero. Se provenisse da una parete vicina, sarebbe particolarmente destabilizzante.

    §

    A volte, si preferisce rimanere in casa per sorvegliarla.

    §

    Attraverso la maggior parte degli spioncini, si vedono dei pianerottoli, oppure degli zerbini.

    §

    Qualche volta, quando in televisione suona un telefono, con lo sguardo cerchiamo il nostro.

    §

    La scritta “Duralex” è più grande vista sul fondo di un bicchiere d’acqua.

    §

    Finché si dorme su un materasso appoggiato direttamente a terra, non si percepisce l’utilità di un comodino.

    ***
    Una intervista
    https://www.nazioneindiana.com/2018/07/04/intatti-fantasmi-chiedono-il-realismo-jack-spicer/

    https://www.nazioneindiana.com/2008/01/11/da-formatura/
    traduzione di Andrea Inglese

    [II : parte politica]

    Un mattino, mentre suo marito appena sveglio aveva posato il piede sul parquet e sembrava osservare il suo primo volto della giornata nello specchio dell’armadio di pino, la signora Ro, grandemente sorpresa, lo sentì mormorare la parola Orangina. Credette di primo acchito che avesse sete – eppure non aveva l’abitudine di fare colazione con bibite gassate – ma appena gli comunicò che in frigo non c’era che del latte e un resto di succo di pomodoro, non per questo suo marito cessò di ripetere: Orangina.

    – Faresti meglio a limitarti al caffè, che riscalda, e scosse la testa infilandosi le pantofole.

    Per quelli che fossero meno interessati a questo personaggio, mi permetto di mettere qui un riassunto della sua esistenza:

    cartadelcielo.jpg

    Gli altri non sono obbligati ad aiutarmi

    eppure dispongono sempre di qualche racconto adatto a sostenere l’azione: quello degli uomini maledetti di cui solo la maledizione conta in quanto lascia una traccia

    : un prigioniero in una cella spoglia e che non mangia, un cane ma bastardo abbandonato sul ciglio di una provinciale da un impiegato di estrema destra, una ragazza vedova a vent’anni che sorride nel buio.

    Il Taj Mahal non è il Taj Mahal ma una storia.

    Una cosa sui cui questa storia insiste è la parola or (parolor), ma è senza insistenza che chiamo il mio personaggio Roger, che lo attrezzo di sessantatre anni, che lavora a lungo da mezzanotte alle sette ad immagazzinare le derrate alimentari destinate alla distribuzione nei mercati, che una mattina si alza e probabilmente brutalizzato per il ribaltamento del sistema d’irrigazione quando si passa dalla posizione sdraiata a quella in piedi, non dice altro che Orangina.

    − È in questo modo che raccogliendo delle risposte, mi hanno permesso (mia suocera) di truccare questo passaggio (il solito primo capitolo: nel conto delle righe disposte sulle pagine consiste il suo equilibrio, perciò la prosa non è nient’altro che un conto, il sistema decimale la gestisce bene – dieci parole a riga, dieci righe a pagina.)

    *

    − Tu faresti meglio a limitarti al caffè (e scuote interiormente la testa).

    Non si vede mai sul momento quello che il momento cambia. Dopotutto, basta poco – mettetevi a quattro zampe per più di due giorni di fila e vedrete immediatamente che nuovo aspetto assume il mondo.

    Avremmo dovuto farci carico diversamente (che attraverso una capriola) di questa moglie: ha poi vissuto cinque anni con il paziente, rifiutando che un’infermiera (o un’assistente concessa dal comune) l’aiutasse nei compiti più pesanti, cercando invano ciò che lui tentava di dire. Non c’è nulla che non abbia senso – pensa lei – dal momento che persino i sogni che hanno l’aria scema lasciano emergere più verità di quanta ne accumulino su di voi vostra madre, vostro padre, la vostra parentela. Ci doveva quindi essere un codice, e questa parola era lì al posto di un’altra o di altre. E suo marito, che era stato spossato durante tutta la sua vita per via di orari inverosimili, non aveva inventato quello stratagemma per farla partire. Eppure nulla aveva annunciato una svolta così radicale: lui non era un cultore della battuta e trovava la maggior parte dei film di spionaggio idioti. E si abbandonava abbastanza poco agli entusiasmi verbo-affettivi, chiamandola raramente coniglietta e una volta sola di seguito. Un tale fenomeno non era forse spiegabile che a causa dell’afflusso brutale di sangue nel cervello in un punto b grande? I centri del linguaggio forse sono periferici. Una bocca di meno di sette anni si adatta a qualsiasi lingua. Perché avvicinare l’attività di una mosca immobile alla pulitura delle mani? Quale gesto soppresse l’invenzione del trombone? La somma sborsata per un affitto equivale a quella che rimborsa il mutuo contratto per comprare una casa. Il giardinaggio permette di aprire meno libri. Gli apparecchi elettrici, meccanici, non sono proprio dei mobili. Come e quando si mette in opera la distinzione quadretti grandi-quadretti piccoli? La premessa (e il fatto che per tutto ci sia una premessa) è la buona notizia. Il commercio è una categoria immediatamente estetizzabile.

    *

    Ottimista, pensa che leggendo molto eviterà l’afasia (quel silenzio che non viene da un’incapacità di parlare ma dalla consapevolezza istantanea o progressiva che le parole vi cadono dalla bocca e che più niente e nessuno si occupa di recuperarle. Qualcuno che trasporta dei frutti e degli ortaggi sa bene che cos’è un “grido di guerra”, ma è altrettanto timorato di un soldato quando si tratta di trovare o fabbricare il proprio. S’immagina qualcosa che, proiettato verso un superiore gerarchico (in questo caso, il suo gestore), lo annienterebbe.

    In posizione eretta, le gambe divaricate, una mano sull’anca come una cantatane di saloon, con alle spalle un cielo buio, lancia una frase che mette l’altro in ginocchio, una mano sul ventre, e poi per terra. Dopo, non riprende a lavorare, ma si eclissa verso un territorio raggiunto dagli aerei.

    *

    Emissione, captazione, istrice da combattimento: ecco un buon motivo, sonoro. L’istrice evoca immediatamente un’arma del Medio Evo: quella palla pungente che, lanciata all’estremità di una catena all’estremità d’un manico, sfigura l’avversario, bucandolo come il vetriolo; ma istrice e basta non ci direbbe molto di più che piccola bestia spalmata da un pneumatico – bisogna quindi aggiungere: da combattimento, così come dobbiamo aggiungere ciclista a fungo, se parliamo di allucinazione, o forbici a prosciutto, se parliamo di operazione chirurgica. Numerose metafore raffigurano la letteratura come una grande guerra, una grande guerra clandestina (sebbene pubblicata), un simpatico (buon) mezzo di venire alle mani.

    *

    Roger ha avuto le papille arrostite da un caffè bollente?

    Il suo cane già lo tirava per la manica. Avevano aperto la porta per lui. Questo cane camminava troppo in fretta, lo chiamò.

    Lo chiamò.

    Lo chiamava,
    ma più lo chiamava, più l’altro accelerava, le orecchie basse.

    *

    Non ha niente d’inquietante – ecco quello che gli rimproverarono. Indovino il sorriso all’angolo della bocca dei vicini o dei nipoti e le loro provocazioni quando, scorgendolo seduto al sole nel suo giardini, gli chiedono l’ora o come sono le pernici quest’anno, e lui risponde. Immagino quale sarebbe stata la loro reazione se avesse detto: ugualmente, o: dio! Si deve fare bene attenzione: non è l’esempio innanzitutto che è ridicolo, è la situazione di Roger, immobilizzato e ridicolizzato cinque anni in una parola. Ciò nonostante, quando si alzava tutti i giorni a mezzanotte per impilare cassette fino all’alba, nessuno rideva. Se ci riflettete, nessuno vi ha preso in giro nel momento preciso in cui si sarebbe dovuto farlo – e voi avete riso troppo quando tutti gli altri ridevano. Se i moralisti sono i soli filosofi autorizzati ad avere dello humour, bisognerebbe moralizzare questo esempio (che non è filosofico), e ridere dell’esistenza di Roger prima che pronunci Orangina.

    − Per favore, bevilo finché è caldo perché non lo rimetterò nella caffettiera.

    *

    La ripetizione di Orangina non suscita che scherzi, allusioni spiacevoli, insulti, lanci di pomodori o d’urina, di cui voi stessi e i vostri parenti fate le spese; ed essi non pensano più che a una cosa: rinchiudervi in modo che voi non vi manifestiate più agli occhi e alle orecchie di nessuno, poiché come produrre una parola adeguata? Diventa allora la loro sola preoccupazione : una tale sregolatezza, e così improvvisa, nella famiglia, non può non portare ad una riflessione sulla propria capacità di parlare sempre nel buon senso, senza perdere colpi, senza fantasie eccessive. Non sperano più che una cosa: che questo non succeda a me, e nel caso succedesse, quale sarebbe la mia parola? E come sapere che mi è successo? C’è sempre chiaramente un momento in cui l’altro, a una vostra parola, vi guarda sconcertato, ma non è una prova sufficiente: ognuno un giorno ha guardato l’altro così per aver capito male.

    *

    Mia nonna era convinta di tenere in allenamento il cervello facendo le parole crociate. Il cruciverba, la soluzione di operazioni alla televisione, gli scacchi al computer, il lipogramma. E poi, in termini di linguaggio, che cos’è una fantasia? In che modo essa interviene in una conversazione? Una fantasia può essere una semplice improprietà ? O si tratta di ciò che continuiamo a chiamare vagamente «assurdità» (questo coniglio aveva la taglia di un elefante, le ciliegie non portano le orecchie – eppure è vero –, il manganese rende immortali)? Esiste una tipologia di fantasie (improprietà grammaticali, paralogismi, glossolalie…)? In quale classe di fantasie – supponendo che si scarti almeno provvisoriamente la nosografia psichiatrica – si dovrebbe includere l’atto di non dire che una sola parola? Seppure non sia così evidente l’adattare sempre ciò che si dice o ciò che si pensa alla situazione vissuta in comune (gruppo almeno di due), è quanto riusciamo a fare la maggior parte del tempo, e non c’era in tutta l’esistenza di Roger, prima di questo momento in cui non dice più che Orangina, un ricordo da parte dei suoi parenti di una sua fantasia.

    – Dopo tutto, non era nato con una macchia di scimmia sul braccio, come la povera Sonia, perché sua madre incinta aveva guardato troppo gli oranghi allo zoo di Varsavia: un vero quadrato di peli che è stata costretta a radere tutti i giorni prima che in Francia le facessero una depilazione definitiva.

    *
    Il brano è tratto da Formage, P.O.L, 2003.

    Nathalie Quintane ha pubblicato per le edizioni P.O.L i seguenti libri : Cavale (2006), Antonia Bellivetti (2004), Formage (2003) , Les Quasi-Monténégrins (2003), Saint-Tropez – Une Américaine (2001), Mortinsteinck (1999), Début (1999), Jeanne Darc (1998), Chaussure (1997)

    • Le parole scorrono obbedienti a precisa scelta. Prosa abbastanza snella da potersi muovere da una sequenza temporale all’altra. (Sono figurine animate.)
      Manca l’immaginario in forma di metafora, surrealismo, memoria, ecc. Ma forse è rintracciabile nelle parole stesse, le quali creano immaginari che non ti aspetti. E torna in gioco la verità.
      Ma Nathalie Quintane è poeta assai loquace, quando scrive fa rumore.

      Un instant poem
      *
      Oggi crocchette di pollo. Bon voyage !
      Acqua Panna.

      • Oh, darsi per morire al pensiero con pastis e marijuana.
        Altrimenti giocare a tennis con braccio deforme. Mente
        all’obitorio in allenamento. Sempre troppo verde. Piace
        poter dire ‘non resta tanto tempo da vivere’ nell’indecisione,
        a parte gli schizzi d’acqua e le belle donne in piscina. Per
        evadere.

      • caro Lucio,

        pongo un interrogativo:
        Le parole saranno obbedienti alla «scelta», come tu dici, o alla «non precisa scelta»?

        Abbiamo concesso agli azzeccagarbugli la lingua del Principe di Salina e abbiamo dato al Principe di Salina la lingua degli azzeccagarbugli, viviamo
        in una zona di reciproca compromissione dove tutte le parole sono dichiarate scambiabili. Un universo da incubo normal. La catastrofe in cui è precipitato il mondo a causa delCovid19 e della guerra in Ucraina ha reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è:
        «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso».

        C’è sempre uno scarto tra il mio je e la parola, tra l’intenzione del mio je e il linguaggio in cui cui esso deve transitare. Il linguaggio snatura e tradisce l’istanza da comunicare essendo un generico contenitore di enunciati già pronunciati. Per questo il desiderio, ci dice Lacan, è inconscio, non solo perché è rimosso, ma perché primariamente rimossa è la stessa possibilità di dirlo. Il desiderio è l’indicibile, così come la verità è indicibile.
        L’enunciazione è sempre alienata nell’enunciato, non c’è modo di sovrapporre il secondo sulla prima e di farli coincidere, di dire in assoluto l’essere del soggetto. L’essere del soggetto è l’indicibile.
        La frase di Lacan: «Io mi identifico nel linguaggio, ma solo perdendomici come un oggetto»,1 significa che l’inconscio è il luogo del senso ma di un senso plasmato dal significante, siamo plasmati dal significante ma non ci esauriamo del tutto in quel significante, possiamo posizionarci rispetto al significante che ci costituisce, vale a dire, che la posizione del je è fuori del significante, lo tange, lo tocca e lo sfugge. Non conta affatto l’accumulo storiografico di fatti, ma la eco retroattiva dei fatti, l’effetto soggettivo dell’atto analitico più che l’esattezza dell’interpretazione. In questa accezione, la finzione risulta più “veritiera” del resoconto oggettivo dei fatti. Questo è in conformità con il funzionamento stesso della psiche: un trauma non è tanto l’e vento realmente accaduto, ma la ricostruzione retroattiva del trauma provocato da un evento, che può essere anche di fantasia, infatti, il empo della psiche è il tempo della retroattività, la storia del soggetto si compone après coup.2
        La funzione simbolica, per eccellenza, il linguaggio, può funzionare soltanto ove vi sia differenza-distanziamento del e dal significante. Il linguaggio è, propriamente, il processo di differenziazione dei significanti, opera attraverso la differenza e la distanza dei e tra i significanti.

        1 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio, cit. p. 293
        2 Ivi, p. 250

        • Le parole seguono docilmente la scelta di Nathalie Quintane, come farebbero con scelta di chiunque abbia chiarezza estetica in quel che scrive. In prosa agile e leggera. Ma le parole hanno seguito, non giungono una ad una solitarie. L’immaginario nasce da elettricità dovuta a due parole fuoriuscite da pensieri. Nulla a che vedere con immaginari surrealisti, metafore o fantasie. L’immagine non precede la parola, ma è vero il contrario. Ad ogni buon conto, Nathalie Quintane fa un gran chiacchierare. Condivido l’idea che si possa essere più essenziali.

  16. milaure colasson

    Nathalie Quintane ha abbandonato per sempre la poesia lirica, ma queste prose riecheggiano troppo i poemetti narrativi delle neoavanguardie del secondo novecento. Meglio riesce nelle frasi singole, che però sanno troppo di cronaca e di quotidiano.
    Insomma, è il piano dell’immaginario che manca completamente in queste proposizioni. Ha scritto Adorno: “L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”.

  17. Lo scrittore russo Sorokin a Fanpage.it: “Non pensavo che Putin fosse così folle”
    “La Russia di oggi è il Medioevo”, dice a Fanpage.it il grande scrittore russo. “E l’Europa rischia di diventarlo”. “Lo zar? Un teppista senza alcuna ideologia”.
    A cura di Riccardo Amati

    “Il concetto di assurdo non basta a descrivere la Russia di oggi: semmai serve quello di grottesco. Ma un grottesco al quadrato”. Lo scrittore “assurdista” Vladimir Sorokin ha la voce gentile e usa il linguaggio postmoderno, l’umorismo surreale e le immagini terrificanti che pervadono la sua produzione letteraria. È uno dei più grandi autori russi contemporanei, probabilmente il più popolare. “La Russia di Putin è il Medioevo e la sua guerra contro l’Ucraina è la guerra degli zombie contro il futuro”, afferma. “Se vincesse Mosca, il Medioevo potrebbe conquistare l’Europa”.

    Nel suo romanzo più famoso, “La giornata di un oprichnik”, Sorokin immaginava la Russia del 2027 con a capo uno zar, strettamente alleata alla Cina e con un muro a dividerla dall’Occidente. Un Paese moderno e al contempo medievale, in mano ai pretoriani del sovrano, gli oprichniki — le famigerate guardie di Ivan il Terribile. Una distopia che, almeno in parte, sta diventando realtà. Speriamo che l’autore non sia stato preveggente anche nel suo ultimo libro, “Doktor Garin”, di prossima pubblicazione in Italia. Vi si racconta di un futuro in cui il mondo è in stato di guerra permanente, con attacchi nucleari a cadenza regolare. Mentre in un ospedale psichiatrico di lusso negli Altai vivono i pazienti Boris, Angela, Emmanuel, Silvio e…Vladimir. Che sa dire soltanto “non sono io”.

    Sorokin ha 66 anni, non è mai stato un attivista politico ma nemmeno è mai andato d’accordo col Cremlino. Nel 2002 un gruppo giovanile pro-Putin gettò copie dei suoi libri in un enorme Wc di cartapesta davanti al teatro Bolshoi a Mosca. Poi lo scrittore fu formalmente accusato di pornografia per una scena erotica tra i cloni di Stalin e Khrushchev nel suo romanzo “Goluboe Salo” (Lardo blu). L’invasione dell’Ucraina è stata l’ultima goccia.

    Fanpage.it ha raggiunto lo scrittore al telefono nell’appartamento che da tempo possiede a Berlino, dove è arrivato dalla Russia due giorni prima dell’inizio della guerra. “Ma non mi aspettavo l’attacco, non facevo Putin così folle”, spiega. Al momento non ha intenzione di tornare in patria.

    Quanto c’è della Russia di Putin in “La giornata di un oprichnik”?

    La realtà è sempre più dura della finzione letteraria. E la realtà russa, poi, esagera. Ma la natura del potere descritto nel libro è la stessa: è un potere medievale. La Russia di Putin è il nuovo Medioevo. E adesso questo Medioevo ha varcato il confine e ha iniziato un’espansione aggressiva verso l’Europa. In molti si sono stupiti della violenza delle forze militari di Mosca. Io no. Soldati, ufficiali e generali si identificano completamente con i guerrieri medievali.

    La sua scrittura spesso trasuda violenza. Perché?

    Sono nato e cresciuto in un Paese fondato sulla violenza. La violenza è la metafisica della vita russa. Fin da piccolo mi sono chiesto perché i russi non possano farne a meno.

    E si è dato una risposta? 

    Il nostro Stato nasce nel XVI secolo con Ivan il Terribile. Un sovrano crudele e paranoico che ha stabilito un principio tuttora vigente: il potere agisce come un invasore, un violento occupante dell’enorme territorio della Russia.

    Nel libro, segreti inconfessabili uniscono gli oprichniki allo zar e tra di loro. Crede che esista qualcosa del genere, nell’entourage del presidente? 

    Hanno un solo segreto, Putin e i suoi: si son giurati di mantenere il loro potere. Ad ogni costo. Sono pronti a tutto, per farlo.

    In un altro suo romanzo, “Telluria”, immagina l’Europa divisa in piccoli stati medievali. Crede che sia un rischio reale? 

    Questa guerra si sta trasformando in un conflitto contro l’intera civiltà occidentale. È una guerra tra passato e futuro. Putin, con il suo nuovo Medioevo, sta combattendo dalla parte del passato. L’ Ucraina e l’Europa combattono per il futuro. La Russia non può e non deve vincere.

    In Italia e altrove in Europa, però, in molti danno ragione a Putin. L’anti-americanismo è diffuso. Si fanno appelli a uno stop degli aiuti militari all’Ucraina. I politici sovranisti ci vanno a nozze. Lo scenario di “Telluria” non sembra poi così fantasioso.

    Se gli europei non aiuteranno l’Ucraina a vincere, allora le idee del nuovo Medioevo russo verranno iniettate nel corpo dell’Europa unita e come un acido inizieranno a distruggerlo. Anzi, più che di un acido si tratterebbe di veleno da cadavere. Perché la guerra di Putin è la guerra degli zombie. E per l’appunto il simbolo dell’”operazione speciale” di Putin è la lettera Z: sono gli zombie riemersi dal passato, a combattere contro gli ucraini.

    Che Russia si immagina, dopo questa guerra? 

    La Russia è un Paese imprevedibile e il conflitto aggiunge ulteriore incertezza. Ma ho la sensazione che il regime di Putin sia entrato nella fase finale. Penso che il suo sviluppo abbia raggiunto il limite. E che questa guerra sarà la sua fine.

    E potrebbe essere una fine apocalittica? Nel mondo del suo ultimo libro, “Doktor Garin”, la guerra nucleare è diventata la normalità. Putin, messo alle strette, potrebbe usare l’atomica?

    In teoria sì, perché in tutti questi 20 anni ha coltivato e fatto crescere il ricatto nucleare. In pratica, non ne sono sicuro. Perché Putin ha l’etica del teppista da strada, che dice a tutti di avere un coltello in tasca e minaccia di usarlo ma difficilmente lo farà. Altrimenti lo avrebbe fatto subito e senza dire una sola parola.

    Qual’è l’ideologia di Putin? A volte sembra uno zar “liquido”, che risponde alle paure createsi in Russia nei caotici anni immediatamente successivi alla dissoluzione dell’Urss, più che seguire una sua dottrina o una vera strategia politica.

    Indubbiamente al Cremlino sono neo-imperialisti e vogliono la rinascita dell’impero russo. Però la politica di Putin è eclettica. Lui non segue un’ideologia. Ha molti modelli: gli zar ma anche Stalin, Brezhnev, Andropov. Da ognuno coglie una sfumatura diversa. La base su cui fa affidamento, tuttavia, resta la piramide del potere russo così come fu creata nel Medioevo: una struttura al cui vertice è il sovrano protetto dalle sue guardie armate. E in basso non ci sono cittadini ma sudditi.

    E secondo lei questa “piramide” del potere è sempre rimasta la stessa? Non è una forzatura, la sua? Siamo nel Ventunesimo secolo, anche in Russia. A Mosca non mi sento certo nel Medioevo.

    Nel corso dei secoli son cambiate le facciate ma non la struttura. Sotto Stalin la facciata era di cemento. Con Putin è di plastica e di materiali moderni.

    Perché per Putin è così importante l’Ucraina? Sembra proprio ossessionato.

    Putin odia l’Ucraina e gli ucraini in modo patologico, perché hanno scelto un percorso democratico di sviluppo. Il futuro invece del passato. E in Ucraina tutti parlano russo. È un modello in scala ridotta della Russia. Ma non autoritario. Ai russi potrebbe venir voglia di copiarlo. L’esistenza del “modello ucraino” provoca paura e odio, in Putin.

    La maggior parte dei russi la pensa come il presidente, secondo i sondaggi.

    Per 20 anni il reattore nucleare della propaganda ha funzionato a pieno regime irradiando la popolazione con slogan neo-imperialisti. L’80 per cento degli irradiati ha subito mutazioni: ha il cervello deformato dalla propaganda.

    Il sociologo Lev Gudkov sostiene che il cosiddetto “Homo Sovieticus”, cinico e conformista perché deve sopravvivere in un ambiente totalitario, non si è mai estinto e prospera nella Russia di Putin. Ha ragione?

    Lo definirei piuttosto “uomo post-sovietico”. Ma si è risvegliato. Yeltsin commise un grave errore a non seppellire il cadavere dell’Urss, al contrario di quel che fecero Germania e Italia con nazismo e fascismo. Noi ci siamo limitati ad abbandonare il passato sul terreno, pensando che il cadavere marcisse da solo. Invece si è alzato, si è trasformato in uno zombie e ora vaga non solo per la Russia ma anche oltre confine, spaventando l’Europa.

    Quest’anno usciranno edizioni in lingua inglese dei suoi romanzi, “Telluria” e “Serdtsa Chetyrekh” (I loro quattro cuori), per la traduzione del giovane talento Max Lawton, secondo cui lavorare con lei — mi ha detto — “è come suonare jazz con Miles Davis”. Poi ci saranno oltre al “Doktor Garin” in italiano, altri sei titoli in inglese nei prossimi tre anni, sempre con Lawton. Lei sta andando per la maggiore. Lavora a qualcosa di nuovo?

    Non ancora. Quando è in corso una guerra, la letteratura di solito tace. La guerra è più forte di tutto. I grandi romanzi sulla guerra son stati scritti dopo. Ora è solo il momento di rattristarsi. E preoccuparsi.

    continua su: https://www.fanpage.it/esteri/lo-scrittore-russo-sorokin-a-fanpage-it-non-pensavo-che-putin-fosse-cosi-folle/
    https://www.fanpage.it/

  18. milaure colasson

    6.

    “Le concret – dit la blanche geisha –
    c’est d’utiliser un parapluie
    lorsqu’il pleut sous les peupliers au printemps”

    Eredia qui savourait un hamburger d’insectes
    répondit: “ou bien du gel dans chaque artère
    mais également l’intelligence qui tombe dans une poucette d’enfant”

    “Les têtes d’abricots se foutent totalement
    du bleu et du vert lorsque l’orage éclate”
    répliqua Madame Green en fumant sa cigarette électronique

    Le noir de Londres simulation vêtue de son contraire
    prétendit “qu’au Musée Grévin l’on trouve
    des phénomènes inanimés comme un piano liquide
    des porte-jartelles de lézards en mutation
    des masques qui se soufflent le nez sans faire de bruit”

    “Et l’abstrait?! demande Bellmer
    la réponse resta suspendue avec des poupées
    démembrées au centre du temple de
    Ramsès II où aboyait Kandinsky

    6.

    “Il concreto – dice la bianca geisha
    è di utilizzare un ombrello
    a primavera quando piove sotto i pioppi!

    Eredia che assaporava un hamburger d’insetti
    rispose: “oppure del gel in ogni arteria
    ma egualmente l’intelligenza che cade in una carrozzella per bambini”

    “Le teste d’albicocca se ne fottono totalmente
    del blu e del verde quando scoppia il temporale”
    replicò Madame Green fumando la sua sigaretta elettronica

    Il nero di Londra simulazione vestita del suo contrario
    pretese “che al Museo Grévin si trovano
    dei fenomeni inanimati come un piano liquido
    di giarrettiere in lucertola in mutazione
    maschere che si soffiano il naso senza rumore”

    “E l’astratto?! chiede Bellmer
    la risposta restò sospesa con delle bambole
    smembrate al centro del tempio di
    Ramses II dove abbaiava Kandinsky

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