Arsenij Tarkovskij (1907-1989), Poesie “Vita, vita” e “Ricordo di Anna Achmatova”, traduzione di Donata De Bartolomeo, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

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Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue – il padre è poliglotta e autore di racconti e saggi – come anche la conoscenza del pensiero di Grigorij Skovoroda. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsivi su «Il fischio», rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Nello stesso anno nasce il figlio Andrej. Inizia a tradurre poesie dal turkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Nel dicembre ’43, dopo essere stato insignito dell’Ordine della Stella Rossa per il suo eroismo in guerra, è ferito gravemente e gli viene amputata una gamba. Nel ’46 viene rifiutata l’edizione del suo primo libro in quanto i suoi versi vengono ritenuti ‘nocivi e pericolosi’. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie: Neve imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte. Poesie. Poemi. Traduzioni. (1929-1979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1986 muore in Francia il figlio Andrej. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca il 27 maggio ’89.
Le sue opere pubblicate finora in Italia in volume sono: Poesie scelte, Milano, Scheiwiller, ’89. Poesie e racconti, Pescara, Edizioni Tracce, ’91. Poesie scelte, Roma, Edizioni Scettro del Re, ’92. Costantinopoli. Prose varie. Lettere, Milano, Scheiwiller, ’93.

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Arsenij Aleksandrovic Tarkovski

Vita, vita

I

Non credo nei presentimenti e dei segni
non ho paura. Né la calunnia né il sarcasmo
io fuggo. Nel mondo non c’è la morte.
Tutti sono immortali. Tutto è immortale.
Non bisogna temere la morte né a diciassette anni
Né a settanta. Esistono solo la realtà e la luce,
in questo mondo non ci sono né buio né morte.
Noi tutti siamo già sulla riva del mare
ed io sono tra quelli che tirano le reti
mentre passa a branchi l’immortalità.

II

Vivete in casa – e casa non crollerà.
Io evocherò uno qualunque dei secoli,
entrerò in esso ed in esso una casa costruirò.
Ecco perché sono con me ad un unico tavolo
i vostri figli e le vostre mogli.
Ma c’è un unico tavolo per il bisnonno e per il nipote.
Il futuro si compie ora
e se io sollevo la mano
tutti e cinque i raggi rimarranno presso di voi.
Io ogni giorno del passato, come una puntellatura,
con le mie clavicole ho sostenuto,
misurai il tempo con la catena dell’agrimensore
ed attraverso esso sono passato, come attraverso gli Urali.

III

Io mi sceglievo il secolo secondo la grandezza.
Andavamo al sud, alzavamo la polvere sopra la steppa;
l’erbaccia fumava; il grillo campestre faceva il birichino,
toccava con i baffi i ferri dei cavalli e profetava
e, come un monaco, minacciava per me la rovina.
Io il mio destino alla sella allacciavo;
io, anche adesso, in epoche future,
come un bambino mi solleverò sulle staffe.
Sono soddisfatto della mia immortalità,
che il mio sangue scorra di secolo in secolo.
Per un angolo sicuro di costante calore
io avrei arbitrariamente pagato con la vita,
qualora il suo mobile ago
non mi avesse, come filo, condotto per il mondo.

(1965)

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***
Oh poter soltanto alzarsi, riaversi, svegliarsi
e nell’ora più difficile benedire il lavoro,
i campi coltivati, i giardini curati,
inghiottire l’ultima volta dal piattino ricurvo
di foglia lanosa
il cristallino cervello dell’acqua.

Dammene una goccia, mia erba terrestre,
giurami – invece di prendere in eredità
la parola,

di accrescere la laringe e non custodire il sangue,
di non ricordarti di me e, demolendo il mio vocabolario,
bruciare la tua bocca inaridita col mio fuoco.

(1965)
***

Quando vengono in rotta la natura e il vocabolario
e la parola si sforza di astrarsi dal significato
come una maschera dal viso, come un colore dal chiaroscuro –
io sono un accattone o un re? La falce o il falciatore?

Ma al mio mondo non ho dato nome:
Adamo falciava giunchi ed io intreccerò un cesto.
Falce, falciatore e re, io accattone a metà,
da me stesso ancora non separato.
(1966)

anna achmatova, ritratto di Kuzma-Petrov-Vodkin

anna achmatova, ritratto di Kuzma-Petrov-Vodkin

Ricordi di Anna A. Achmatova

I

Facevo un letto di neve,
decapitai prati e boschetti,
ai tuoi piedi feci stringere
il dolcissimo alloro, l’amarissimo luppolo.

Ma aprile non era succeduto a marzo
a guardia delle regole e delle norme.
Io ti innalzai un monumento
sulla più lacrimevole delle terre.

Sotto il cielo del nord io sto
davanti alla bianca, povera, recalcitrante
tua altezza di montagna

ed io stesso non mi riconosci
solo, solo nella camicia nera,
nel tuo futuro come in paradiso.

II

Quando vicino a Nicola Morskoj*
giaceva tra i fiori la miseria,
la umile, estranea parola
brillava tenebrosamente e severamente
sulla cera della bocca sovrana.

Ma il suo significato non era comprensibile
e se si capiva – non si custodiva
ed era, come una favola, indistinto
e forse soltanto – nel tremolio delle macchie
intorno alle candele che sgocciolavano.

E l’ombra dell’arroganza senza tetto
lungo il nero ghiaccio della Neva,
lungo il deserto nevoso del Baltico,
lungo l’azzurro Adriatico
volava visibile a tutti.

* Chiesa di S. Pietroburgo dove si svolsero i funerali dell’Achmatova

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Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

La struttura simbolica significativa che presiede la poesia di Tarkovskij è rappresentata dalla opposizione tra la immobilità della storia russa e la direzionalità, la verticalità, il moto unidirezionale della modernità che irrompe con le immagini dei treni che sfrecciano e degli aeroplani che volteggiano. Detta polarità è attraversata dalla figura del poeta-profeta, «cronista del mesozoico», «il Geremia dei tempi futuri» che tiene in mano «l’orologio e il calendario»; strumenti, marchingegni escogitati dall’uomo per tentare di conciliare il tempo oggettivo e il tempo soggettivo, la storia e l’anima, l’immortalità e la caducità. Nella poesia “Vita, vita”, il tono sacrale trova d’incanto l’esatta misura d’uno stile ieratico che si staglia in grandiose metafore tridimensionali, dove la potenza delle immagini rimanda alla integrità del poeta, alla sua forza interna, invincibile, che la fede nell’«immortalità» gli restituisce dopo lo scacco del destino e della storia. Sono versi di eccezionale altezza:

Nel mondo non c’è la morte./ Tutti sono immortali. Tutto è immortale./ Non bisogna temere la morte né a diciassette anni/ né a settanta. Esistono soltanto la realtà e la luce,/ in questo mondo non ci sono né buio né morte./ Noi tutti siamo già sulla riva del mare / ed io sono tra quelli che tirano le reti,/ mentre passa a branchi l’immortalità./ Vivete in casa – e la casa non crollerà./ Io evocherò uno qualunque dei secoli,/ entrerò in esso ed in esso una casa costruirò./… Io ogni giorno del passato, come una puntellatura,/ con le mie clavicole ho sostenuto,/ misurai il tempo con la catena dell’agrimensore/ ed attraverso di esso sono passato, come attraverso gli Urali.

osip mandel'stam foto varie

Osip Mandel’stam foto varie

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L’«immortalità» è qui una metafora oscura che indica l’attraversamento che gli uomini devono operare, nella negatività della storia, di quella distesa grigia e arida rappresentata dal mondo infirmato dalla mortalità dell’individuo. La costellazione simbolico-metaforica è qui: l’onda, la stella, l’uomo, l’uccello, la realtà, i sogni, la morte… e, di nuovo, l’onda. L’epifania della verità avviene «tra gli specchi – riflesso nel recinto/ dei mari e delle città che brillano nel fumo». E la pace dell’«immortalità», dell’«onda» che va dietro l’«onda» è rappresentata dalla «madre (che) piangendo, prende il bimbo in grembo». Le immagini del «grembo materno», delle «erbe infantili», della «città col Cremlino sul fiume» e le altre innumeri variazioni della immagine archetipica materna acquistano plasticità e vigore se proiettate sullo sfondo delle «acque nere», della «riva», della «casa distrutta dalla guerra», etc. che rappresentano lo sfondo luteo della storia, il magma acherontico che investe la coscienza infelice. Compito del poeta è cogliere «la corrispondenza del suono e del colore». La metafora è combinazione di rappresentazioni in funzione di una più ricca, inscindibile unità semantica. Come per Mandel’štam anche in Tarkovskij il mutamento dei significati diviene evidente attraverso il contenuto delle parole nel contesto dell’opera, laddove esse producono vicendevolmente nuovo senso mediante improvvise rimozioni e profonde anamnesi. Con questo metodo si ottengono le parole portanti, si mette in luce la ricchezza delle parole-chiave. Mandel’štam studiò la produzione di queste parole-chiave nel simbolismo oggettivo e psicologico di Innokentij Annenskij. La rifrazione della vita nei simboli poetici è per Mandel’štam accettabile, inaccettabile è l’estrazione di un «simbolismo professionale»; «le immagini sono sventrate come animali da impagliare –  scrive Mandel’štam criticando il simbolismo – e imbottite di un contenuto a loro estraneo… Una spaventosa controdanza di “corrispondenze” – che ammiccano l’una all’altra. Un eterno strizzar d’occhio… la rosa rimanda alla fanciulla, la fanciulla alla rosa». Mandel’štam propone «una poetica organica di carattere non normativo, bensì biologico», cioè di «considerare la parola come un’immagine, una rappresentazione verbale… un complesso insieme di fenomeni, un nesso, un sistema»* Tarkovskij ha studiato in Mandel’štam la componente architettonica della sua poesia, la dislocazione spazio-temporale del materiale linguistico, l’assoggettamento del materiale alle esigenze  costruttive. Anche in Tarkovskij come in Chlébnikov l’avvenire e il passato coincidono, così come primitivismo e utopia, polarità contraddittorie, vengono risolte con l’indebolimento dell’utopia e con la massiccia immissione di tracce della quotidianità all’interno delle composizioni poetiche. Proprio come in Chlébnikov, il futuro diventa esperienza anteriore, ciò che deve accadere è già avvenuto, il futuro non è ciò che sarà ma ciò che è già stato. Probabilmente, una tale concezione rivela l’influenza delle teorie di Fedorov, il suo concetto della storia come progetto e simultaneità di tutte le generazioni. Per Tarkovskij il mondo tecnologico, la modernità, sono inconciliabilmente ostili alla silvestre innocenza  dello stato di natura; del resto, tutte le sue metafore sono rigorosamente tratte dalla civiltà agricola («la svasatura dell’imbuto», «la ruota del vasaio», «gli occhi dell’erba», «il catino, la brocca», «la gonna di cotone stampato», etc. – Il tessuto quietamente discorsivo dei testi stride con le metafore lampeggianti e le vertiginose accelerazioni; v’è un’algebra delle corrispondenze, vi sono dei cunicoli sotterranei, una densità semantica, rimandi espliciti e impliciti alla grande tradizione della poesia russa, in particolare a Mandel’štam, con il quale condivide il concetto di metafora come costruzione complessa fondata su rapporti di inerenza. Non è affatto un caso che le ultime bozze di quello che avrebbe dovuto essere il suo primo volume di versi (corre l’anno 1946) ad una lettura attenta da parte di un funzionario di partito, eufemisticamente denominata «recensione per uso interno», recitava: «poeta di grande talento, Tarkovskij appartiene a quel Pantheon Nero della poesia russa a cui appartengono anche Achmàtova, Gumilev, Mandel’štam e l’emigrante Chodasevič, e perciò quanto più talento vi è in questi versi tanto più essi sono nocivi e pericolosi». La recensione sfavorevole indurrà la casa editrice Sovetsjij pisatel’ a distruggere il piombo delle matrici.

Aleksandr Blok

Aleksandr Blok

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Il rifugio in una lirica della natura è lo stratagemma  che impiega il poeta che non intenda sottomettersi all’estetica zdanoviana e che voglia sottrarsi al kitsch dell’arte del realismo socialista. I processi autoritari di accumulazione forzata del capitale e la erezione di uno stato socialista basato sulla socializzazione dei rapporti di produzione, erano le condizioni più svantaggiose per la nascita della poesia nell’epoca staliniana, tali condizioni imposero da parte di Tarkovskij l’assunzione della forma lirica.

Tarkovskij prende le distanze dalla assunzione acritica del concetto di «natura»; dichiara il poeta russo: «non v’è libertà nella natura», ché altrimenti finirebbe dritta nell’anacronismo non soltanto perché il suo contenuto di verità è scomparso ma soprattutto perché la natura è inattuale; la celebrazione del passato remoto sarebbe il ripristino di un rito museificato, deificato. Per Tarkovskij «il nostro passato è in tutto simile a una minaccia». È questa la posizione di partenza della sua poesia: la percezione che l’arte, a fronte della stato socialista, non è altro che un diversivo all’orrore, «crittografia del dolore, anamnesi di ciò che è stato sconfitto».*

Sotto le condizioni imposte dalla amministrazione totale dello stato socialista sovietico, unica via di uscita è la certezza che «il vento che irrompe violento nella vita – dissolverà – le farfalle che giocano col fuoco». Sembra una chiarissima premonizione della fine dell’Impero, della rovinosa caduta degli idoli. Soltanto un veggente che vive nella propria veggenza poteva possedere strumenti di auscultazione così sofisticati e sensibili da intravedere con tanto anticipo gli esiti finali. A ben leggere, i testi dei grandi poeti ci indicano sempre il cammino del futuro: «La tempesta qua e là per la Russia / scagliava loro dei bengala. ( Ed era soltanto l’inizio», scrive Tarkovskij in una poesia del 1976. I poeti del “Pantheon Nero” avevano già messo su carta il colore nero dell’orrore. In Tarkovskij e in Chlébnikov la «farfalla» e il «cigno bianco» sono ipostasi del poeta e simboli della bellezza: il «candido angelo», il «cigno morente», la «candida neve» sono simboli che annunciano la caducità della bellezza; la «notte», ovviamente, è il luogo della morte, ove «più leggera dell’ala di un uccello» trascorre la bellezza «come una vertigine». Ma la «bellezza» può anche condurre «dall’altra parte dello specchio»: «Nel cristallo pulsavano i fiumi, / fumavano le montagne, rilucevano i mari». Così, la morte può essere detronizzata soltanto dall’amore che tutto trasfigura, perché la via che conduce alla morte si chiama «destino»: «quando il destino ricalcava le orme dietro di noi, / come un pazzo col rasoio in mano». Questa complessa rete di simboli fondata sulla opposizione binaria luce-tenebra regge tutta la poesia di Tarkovskij, ed infonde spessore analogico alle similitudini. Il poeta è, di volta in volta, «Nestore, cronista del mesozoico», «Geremia dei tempi futuri», perché il poeta sa «della morte più cose dei morti», il suo romanzo è preda dell’«orologio» e del «calendario», del «passato» e del «futuro»; soltanto la morte, «la terribile bocca della regina Kore» può fornire il viatico per la «verità». Ed ecco i simboli della «pioggia», del «mare» e del «ruscello» che richiamano l’idea del fluire dell’universo nell’«irripetibile movimento dell’erba», nella «immortalità»; il tempo soggettivo fluisce e sfocia nel tempo oggettivo: «io mi sceglievo il secolo secondo la grandezza». La terribile storia russa detta a Tarkovskij i versi tra i più commoventi e saldi della poesia russa del XX secolo: «vivete in casa – e la casa non crollerà (…) il futuro si compie ora». Una dichiarazione di fede così alta trova concrezione in questi versi monumentali, scanditi con lenta, sacrale progressione.

(traduzione dal russo di Donata De Bartolomeo)

 *T.W. Adorno, Teoria estetica Einaudi, Torino, 1975

13 commenti

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13 risposte a “Arsenij Tarkovskij (1907-1989), Poesie “Vita, vita” e “Ricordo di Anna Achmatova”, traduzione di Donata De Bartolomeo, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

  1. antonio sagredo

    spero di poter dire la mia non apena posso su Arsenij Tarkovskij che è da sottrarre a quei grandi di cui fu conptemporaneo e di svelare una sua originalità antonio sagredo

    • Francesca Tuscano

      Antonio, io credo che Tarkovskij, per quanto contemporaneo, ma non del tutto coetaneo, con i grandi della poesia russa, non appartenesse alla loro generazione, che, ideologicamente e stilisticamente, è frutto del passaggio dall’Ottocento al Novecento, cioè del Simbolismo e del Futurismo (in tutte le sue varianti). Basterebbe ricordare la poesia dell’Achmatova dedicata a Blok, per comprendere questo passaggio (visto dalla parte dei “giovani”). Appartiene già alla generazione successiva, quella che già guardava le farfalle trapassate dagli spilloni nei musei (tanto per citare Jakobson). Ma in quella generazione il suo posto e il suo ruolo ce l’ha, e non lo sento secondario, non fosse altro che per il prezzo che pagò al suo essere poeta in tempi “sbagliati”.

      Approfitto di questo commento, anche per dire a Lei e a Mariani che sarebbe interessante se ci “raccontaste” dei criteri con i quali Ripellino selezionò i poeti della sua antologia, anche per capire che margine potesse avere nel pubblicare autori “rischiosi” (non tanto per il suo coraggio, quanto per quello dell’editore – in fondo, Feltrinelli, che con “Doktor Živago” non obbedì al tacito patto di pubblicare solo ciò che era edito ufficialmente anche in URSS, la pagò cara).

  2. La traduzione della poesia “Vita, vita” è tratta dal libro “Poesie scelte” di Arsenij Tarkovskij pubblicata da Scettro del Re di Roma nel lontano 1992 a cura di Donata De Bartolomeo.
    Devo ammettere di aver riletto almeno 100 volte quella poesia da allora, e non posso non dichiarare la mia ammirazione per lo splendido lavoro di resa in italiano della poesia di Tarkovskij. Sembra scritta direttamente in italiano, tanto è musicale l’italiano uscito dalla penna della brava traduttrice

  3. antonio sagredo

    “Io ti innalzai un monumento
    sulla più lacrimevole delle terre”.
    Questi versi di A. T. dedicati alla Achmatova si rifanno alla poesia di Puskin “Mi sono eretto un monumento…” del 1836. leggendo i versi di Puskin si capisce perché dedicati alla Achmatova.

  4. antonio sagredo

    … rileggo con sincero entusiasmo i versi di A.T, qui riproposti solo una infima parte, ma forse bastante per farsi almeno una idea accettabile.
    Il figlio di A.T., Andrej fu grande cineasta che lascia lla Russia una cicatrice non mai guarita. Del padre riporta nelle visioni cinetiche di un cinema scioccante e malinconico, un pessimismo che lo allontana da Pasternàk e che non è possibile farsi “acquazziìone luminoso”….
    lui ha conosiuto la guerra e non è stato a mirare gli eventi da una cameretta e questo lo fa poeta combattente anche tramite i suoi versi mai astiosi ma per similitudine lo si può accostare di più Mandel’stam a suo modo acerrimo nemico del potere che ha combattuto.
    I versi di A.T. hanno avuto , come dire, la sfortuna (parola, lo so, non felice) di vedersela coi versi di grandi poeti a lui contemporanei, di lottare a forza di gomitate per assicurarsi un posticino davvero legittimo tra i grandi, e ci è riuìscito, cioè si è infilato di prepotenza, come a dire: ci sono anch’io tra di voi e con voi e si è trovato una nicchia.
    …. per il figlio Andrej il padre fu il più grande poeta dopo la guerra, sia come testimonianza di una epoca buia (come l’attuale cominciata nel febbraio di questo anno 2022, ma la Russia ci ha abituato alle epoche buie), sia come poeta efficace a dettare le sue esperienze senza alcuna paura (più volte fu censurato) e se non fu tacitato definitivamente lo si deve al fattoi che fu eroe di guerra.
    Quindi onoriamo questo poeta di fronte a quei poeti e più famosi che dagli anni ’90 del secolo trascorso si inginocchiarono al futuro tiranno di turno…
    ma lasciamo stare…

  5. L’importanza della poesia di Tarkovskij (1907) tende a crescere con il passare del tempo, questo è un fatto, mentre l’importanza di altri poeti russi e non, tende a diminuire. Il tempo è sovrano, è il miglior critico.
    Da noi il poeta che più gli si può avvicinare (fatte le debite differenze) è Attilio Bertolucci, che nasce nel 1911, intendo il secondo Bertolucci quello della storia familiare che diventa uno spicchio della storia italiana. Ecco, qui sta il punto a mio avviso, che la poesia di Bertolucci da La capanna indiana (1951) in poi non è mai riuscita a diventare emblematica di un passaggio storico, o meglio, i poeti italiani del novecento non sono mai emblematici dei passaggi storici, restano, come dire, a casa, fanno la storia della propria famiglia e poi faranno la storia privata o delle scaramucce letterarie, fino ad oggi che fanno poesia toponomastica e cronachistica. Questa è una caratteristica tipicamente italiana, in Italia la poesia non segue la storia degli avvenimenti italiani ma segue una storia tutta «interna», la storia dell’anima e delle situazioni personali e personalistiche. Nella poesia di Tarkovskij invece si avverte il tinnire dei cavalli nella steppa, il fumo dei camini negli amplissimi spazi ucraini…

    La presente traduzione ha rispettato fedelmente la misura del verso russo senza tentare una resa in un equivalente metro italiano, operazione che avrebbe fatalmente corso il rischio di falsare i ritmi colloquiali della lingua originale; la utilizzazione dell’a capo rigorosamente conformato a quello del testo russo ha consentito, in qualche misura, la conservazione anche nella versione italiana degli enjambements e delle cesure interne, così come dei tempi lenti di progressione delle immagini.

    Se la rivoluzione è incentivo al trasognato lirismo di Chlébnikov, la «fame di spazio» occupa totalmente la mente dei grandi poeti russi del Novecento. Chlébnikov percorre due volte, andata e ritorno, la linea ferroviaria Chàr’kov-Kiev e attende la primavera appollaiato in cima a un albero di ciliegio nei pressi di Chàr’kov, o osserva il cielo stellato dall’alto di un treno in corsa. Così, Tarkovskij scrive una poesia ironica su un immaginario improbabile «catalogo delle stelle», e Mandel’štam cita la «lenta asmatica vastità» dell’orizzonte di Voronez ove «lo spazio ha perso gusto e colore», ovvero, guarda «nel bellissimo binocolo Zeiss… tutte le rughe dello gneiss», la catena dei monti dell’Ararat, l’odierna Armenia. Se Chlébnikov è un «viaggiatore incantato», e Brodskij, invece, nel suo esilio, rappresenta il «viaggiatore solitario», Tarkovskij è a metà, l’uno e l’altro, è poeta del sogno e della storia, entrambe le dimensioni trasfigurate nell’alone fiabesco della terribile storia russa, evanescente come un sogno. In Tarkovskij è presenta la imagery dominante della poesia russa del XX secolo che è stata riassunta nella formula: specchio-candela-ombra-sogno, e che dalla Achmàtova passando per Derzavin, Baratynskij e Mandel’štam, giunge oggi fino a Brodskij. Il manierismo debole di certe immagini di Tarkovskij non ha nulla di gratuito o di rococò, ma corrisponde ai movimenti lievi e improvvisi della memoria, d’una memoria inutilizzabile nel mondo che ha conosciuto la barbarie della seconda guerra mondiale; la sua è una poesia da camera, poesia d’un solitario che si rivolge ad altri solitari nella assoluta estraneità al mondo del Potere e della Storia. Lo spietato rigore della metrica e delle rime dei testi originali vuole soltanto ribadire il carattere addomesticato, domato della materia, il virtuosismo tecnico è virtuosismo formale che presuppone il dato dell’esistenza. Il materiale poetico è ciò che rimane della materia viva e palpitante della vita. la rivoluzione fa parte del trapassato remoto, e l’armamentario degli slogans del suo tempo trova il poeta non ostile, bensì completamente estraneo, come se abitasse un altro pianeta, la dacia dove volavano le farfalle. Anche l’orrore degli avvenimenti della propria biografia – come nella poesia «Ospedale da campo», ove viene rivissuto l’episodio dell’amputazione della gamba, avvenuto nel 1943 a seguito della ferita inferta da un proiettile esplosivo presso Velike Luki – viene trasfigurato in atmosfere di sogno e irreali.

  6. milaure colasson

  7. antonio sagredo

    Ogni mattino, di grazia, una nemesi…

    Amami almeno una volta e soltanto nel ricordo
    quando verrai da sola a vedere il mio tramonto in ginocchio,
    ma sul trono hai il volto fuso con un tragico diadema
    che per una solitudine regale
    vomita nel calice una gorgiera di detriti e di rubini.

    Dietro una palizzata di macerie le coronarie danzano con la Morte
    e già sanguinano in un quadro ancora non finito…
    l’ultimo artista del potere ha negli occhi lividi ferro e fuoco
    e secolari cecità – e nella sua spietata fogna menzogne e inganni.

    Le mani dei poeti contro il muro segreto non minacciano il perdono,
    né chiedono soltanto mutilati ovunque e impietosi
    di restare invano nei sottosuoli
    per onorare muti le proprie parole… ma vivi!

    Antonio Sagredo

    (19 marzo 2022)

  8. “Anche gli americani pensano”, scritto sull’effige di King Kong.
    Tre Euro e sessanta.

    Siamo a Copacabana, in un film. Gente pacifica,
    che passa il tempo a fare pulizie.

    A pagina due:
    “Onde succhiatrici di sangue. Squali maledetti”.
    “Trovato in Lomellina (Italy) lo scheletro di un poeta ambulante”.

    LMT

  9. L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
    La traduzione della poesia “Vita, vita” è tratta dal libro “Poesie scelte” di Arsenij Tarkovskij pubblicata da Scettro del Re di Roma nel lontano 1992 a cura di Donata De Bartolomeo.
    Devo ammettere di aver riletto almeno 100 volte quella poesia da allora, e non posso non dichiarare la mia ammirazione per lo splendido lavoro di resa in italiano della poesia di Tarkovskij. Sembra scritta direttamente in italiano, tanto è musicale l’italiano uscito dalla penna della brava traduttrice.
    Linguaglossa.

  10. antonio sagredo

    il commento di Emerico Giachery ai miei versi. Grazie
    —————————————————

    Caro Antonio, grazie per aver pensato a questi due ultranovantenni. In questi tempi di crudeltà e di contagi mortali, sentiamo molto pertinente la tua parola di “ferro e fuoco”, i suoni spietamente metallici, l’atmosfera da danza macabra di Breughel, l’esigenza struggente di sentirsi disperatamente “vivi”, tra macerie e cimiteri, restando inaccessibile e pur desiderata una “regina” lontana, di cui soffriamo l’aspra estraneità. Un abbraccio e molti auguri affettuosi da Emerico e Noemi

  11. lastampa.it la profezia di Lucio Caracciolo: “Cosa accadrà fra Russia e Cina” 11 aprile 2022
    di Federico Giuliani

    Il conflitto ucraino non cambierà soltanto il volto dell’Europa rispetto a come eravamo abituati a conoscerlo. Trasformerà radicalmente anche gli equilibri mondiali che, dal termine della Guerra Fredda in poi, avevano accompagnato l’umanità. Il focus è ovviamente su Russia e Cina, i due Paesi che si candidano a formare un blocco contrapposto all’Occidente. E mentre gli Stati Uniti continuano a spingere Mosca verso Pechino, l’Italia, spaesata, segue Berlino e Parigi senza prendere iniziativa.

    I nuovi equilibri

    Per capire meglio che cosa potrebbe succedere nell’immediato futuro è interessante leggere l’ultima analisi del giornalista Lucio Caracciolo sul quotidiano La Stampa. Innanzitutto, le ultime questioni geopolitiche ci fanno notare subito un primo “movimento” degno di nota. Il braccio di ferro, seppur indiretto, tra Washington e Mosca spinge – e spingerà sempre di più – alla rottura tra Europa e Russia. L’esito di questo terremoto storico sarà duplice. Da una parte avremo “un’Europa più o meno americana spinta fin quasi alle porte di Mosca”, dall’altra “una Russia nell’orbita cinese”, ha sottolineato Caracciolo.

    Va da sé che tutto questo potrà essere rallentato o disturbato tanto dall’esito tattico-militare della guerra che si sta combattendo in Ucraina quanto dalla durata della battaglia. Difficilmente, tuttavia, qualcosa o qualcuno potrà interrompere l’avvicinamento dei russi verso Pechino. “Sia che in Ucraina prevalgano nel tempo gli americani via ucraini (possibile) o i russi (improbabile), come anche in caso di provvisorio stallo codificato in nuova partizione del paese, la separazione fra Nato e Federazione Russa volge al divorzio senza appello”, ha chiarito Caracciolo.

    Doppia partita

    Scendendo nel dettaglio, possiamo affermare che la guerra in Ucraina racchiude in sé una doppia partita. La prima è relativa al futuro del continente europeo, con tutti i risvolti inerenti all’Europa orientale, al futuro ucraino e russo; la seconda è invece molto più ampia e riguarda il mondo intero, racchiudendo in sé il confronto russo-americano. “Sul piano degli equilibri planetari, per gli americani rigettare i russi in Asia significa colpire insieme il nemico principale: la Cina”, ha scritto Caracciolo. Il Dragone si ritroverebbe infatti costretto a soccorrere un partner al quale aveva sempre attribuito “speciale virtù militare” e “decente affidabilità”, ovvero due aspettative “evaporate al primo contatto con la prova della guerra”.

    Se, al momento, “l’intesa russo-cinese non si spezza, ma solo per provvisoria mancanza di alternative. Xi non si fida più di Putin”, che cosa sta succederà sul piano europeo? Intanto dovremo fare i conti con l’esclusione della Russia dal Vecchio Continente. E questo “conferma le divisioni profonde tra noi europei sul se e come trattare con Mosca”.

    Anche perché le sanzioni “con cui Washington intende premere su Mosca” ricadranno a pioggia sugli alleati europei, “costretti ad adottarne di proprie”, ha aggiunto Caracciolo. In ogni caso, l’opinione dello stesso Caracciolo è emblematica: “In termini economici e di pace sociale i perdenti di questa guerra, ben dopo i russi, saremo noi europei”. E mentre Francia e Germania si interrogano sul da farsi, “l’Italia spaesata segue zoppicando fra Berlino e Parigi”.

  12. Da qui all’estate la Nato potrebbe passare da 30 a 32 membri. Ecco i due Paesi chiavi e che cosa rischia la Russia di Vladimir Putin

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    Federico Giuliani

    “Entro l’estate…”. Pronta la mossa da incubo per lo Zar: cosa può succedere
    Potrebbe presto profilarsi uno scenario da incubo per la Russia di Vladimir Putin, con conseguenze politiche e militari ancora da chiarire. Si fanno infatti sempre più insistenti i rumors che vorrebbero Svezia e Finlandia nella Nato entro l’estate. In tal caso, ci sarebbero due conseguenze: l’Alleanza Atlantica passerebbe da 30 a 32 membri e – soprattutto – il blocco occidentale andrebbe a mettere ulteriore pressione su Mosca.

    L’errore strategico della Russia

    Fonti statunitensi interpellate dal quotidiano britannico The Times, sostengono che la Russia abbia commesso un “enorme errore strategico” perchè, con l’invasione dell’Ucraina, Mosca avrebbe sostanzialmente favorito un’ulteriore espansione della Nato. Già, perché pare che Finlandia e Svezia siano pronte ad arire all’Alleanza prima dell’arrivo dell’estate.

    L’adesione di entrambi i Paesi nordici, hanno sottolineato le stesse fonti, è stata “un argomento di conversazione” affrontato a più riprese durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica della scorsa settimana a cui hanno partecipato, per l’appunto, anche Svezia e Finlandia.

    La Russia farebbe bene a prendere in seria considerazione l’ipotetica adesione alla Nato della Finlandia. Visto che, almeno in linea teorica, in caso di pericolo Helsinki può mobilitare tra i 280 e i 300mila uomini in un breve lasso di tempo. In più bisogna considerare che il Paese ha ordinato 64 F-35 americani alla fine del 2021 e che continua ad incrementare il proprio budget militare.

    In uno scenario del genere risuona nelle orecchie l’avvertimento del Cremlino. Mosca ha infatti già lanciato un paio di avvertimenti verbali a Finlandia e Svezia, parlando di “gravi conseguenze militari e politiche che richiederebbero al nostro Paese di adottare misure reciproche” di fronte all’eventuale adesione dei due Paesi all’Alleanza Atlantica.

    La situazione della Finlandia

    Per quanto riguarda la Finlandia, Helsinki potrebbe presentare la domanda di adesione già a giugno, dopo un referendum nazionale, mentre la Svezia seguirebbe tale passo subito dopo in una sorta di effetti domino. Sanna Marin, la premier finlandese, ha affermato che è giunto il momento per il suo Paese di riconsiderare seriamente la posizione sulla Nato. “La Russia non è il vicino che pensavamo fosse”, ha detto Marin nei giorni scorsi, esortando a prendere la decisione “in modo completo ma rapido”. “Penso che terremo delle consultazioni molto attente, ma non ci stiamo dedicando più tempo del necessario in questo processo, perché la situazione è, ovviamente, molto grave”, ha spiegato la prima ministra. Nei prossimi giorni Helsinki pubblicherà un Libro bianco nel quale saranno enunciati tutti i pro e i contro di un’eventuale adesione o meno alla Nato.

    La situazione della Svezia

    Entro la fine del mese prossimo la Svezia concluderà la revisione della sua politica di sicurezza. Stoccolma seguirà, di fatto, la stessa road map del governo finlandese. “Non escludo in alcun modo l’adesione alla Nato”, ha detto recentemente Magdalena Andersson, primo ministro svedese. Le autorità dei due Paesi nordici stanno lavorando insieme per costruire un consenso interno ma, chiariscono i funzionari, le decisioni definitive saranno prese in modo indipendente. Dal punto di vista militare, sottolineiamo che entrambi gli Stati scandinavi si devono confrontare con la presenza della Russia nel Mar Baltico, mentre la Finlandia condivide un confine terrestre di 1.335 chilometri.

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