L’ipotiposi della repetitio di Mauro Pierno
È l’ipotiposi della repetitio che nella composizione di Mauro Pierno ha luogo. la repetitio assunta a tropo retorico fondamentale dell’Enkleidung, della modellizzazione secondaria qual è il testo poetico. Un dispositivo semplicissimo, un esempio inequivocabile di diafania applicata alla poesia della NOe. È la prima volta che un poeta italiano si misura con queste procedura, la poesia non ha un inizio e non ha una fine, potrebbe continuare all’infinito in quanto priva di epifania e priva del limite, è un esempio di modellizzazione all’infinito della narrazione letteraria in quanto non c’è più niente da modellizzare e da raccontare, il tramonto del plot in poesia non potrebbe essere più chiaro, è questo, il dado è tratto, così è se si vuole e se non si vuole.
La narrazione letteraria è un’elaborazione secondaria e, perciò, un Einkleidung, si tratta di un vestito di parole, un rivestimento, il travestimento di qualcosa d’altro. La narrazione dissimula e maschera la nudità dello Stoff. Come tutti le narrazioni, come tutte le elaborazioni secondarie, l’Einkleidung vela e rivela una nudità preesistente. Lo svelamento della nudità produce stupore e raccapriccio, è un trauma insopportabile per il sistema simbolico del «soggetto scabroso», e allora la nudità va ricoperta, nascosta, celata.
Il tema nascosto de I vestiti nuovi dell’imperatore [fiaba di Andersen] è il cuore del problema. Ciò che l’Einkleidung formale, letterario, secondario vela e disvela, è il sogno di velamento/disvelamento, l’unità del velo (velamento/disvelamento), del travestimento e della messa a nudo. Tale unità si trova, in una struttura indemagliabile, messa in scena sotto la forma di una nudità e di una veste invisibili, di un tessuto visibili per gli uni, invisibile per gli altri, nudità allo stesso tempo apparente ed esibita. La medesima stoffa nasconde e mostra lo Stoff pre-simbolico, vale a dire che la verità è ciò che è presente mediante una velatura simbolica.
Se penso a certe figure della mia poesia: il re di Denari, il re di Spade, l’Otto di spade, il Cavaliere di Coppe, Madame Hanska, Ençeladon, Cogito etc.; se penso a certi ritorni di figure tipicamente kitchen che si incontrano e si rincorrono da un libro all’altro e da un autore all’altro della poesia kitchen non posso non pensare che tutte queste figure non siano altro che Einkleidung, travisamenti, travestimenti, maschere di una nudità preesistente, di una nudità primaria, della freudiana «scena primaria» che non può essere descritta o rappresentata se non mediante sempre nuovi travestimenti, travisamenti, maschere, sostituzioni. Si ha qui una vera e propria ipotiposi della messa in scena della nudità primaria fatta con i trucchi di scena propri della messa in scena letteraria. E se questo aspetto è centrale in tutta la nuova ontologia estetica, una ragione dovrà pur esserci.
(Giorgio Linguaglossa)
Cento coperchi
cento valvole
cento dentifrici
cento spazzole
cento parrucche
cento peluche
cento coltelli
cento cucchiai
cento occhiali
cento spalliere
cento quaderni
cento colori
cento penne
cento libri
cento cartelle
cento zaini
cento computer
cento bretelle
cento magliette
cento mollette
cento zollette
cento caffè
cento pentole
cento stivali,
cento assorbenti
cento uniformi
cento viti
cento anelli
cento pettini
cento bracciali
cento poltrone
cento biscotti
cento costumi
cento giacche
cento grucce
cento cartelli
cento zaini
cento palloni
cento calzini
cento pesci
cento pani
cento vini
cento cassette
cento stendini
cento asciugamani
cento corde
cento coriandoli
cento mensole
cento armadi
cento camicie
cento ovetti
cento berretti
cento zebre
cento bicchieri
cento bambole
cento profumi
cento soffitte
cento scope
cento lampade
cento pile
cento adesivi
cento cd
cento cornetti
cento cravatte
cento matite
cento mattoni
cento martelli
cento microfoni
cento bengala
cento tricicli
cento pattini
cento biciclette
cento auto
cento mollette
cento tappeti,
cento carri
cento cassaforti
cento pietre
cento ombrelloni
cento pullman
cento treni
cento orologi
cento organi
cento chitarre
cento spartiti,
cento cipolle
cento fiori
cento tamburi
cento rotelle
cento pneumatici
cento biliardi,
cento materassi
cento cuscini
cento fazzoletti
cento lavatrici
cento ascensori
cento piscine,
cento medaglie
cento scontrini
cento bambini
Francesco Paolo Intini
AUGH
Alesia ha qualcosa di Custer da mostrare:
Nei teepee si bruciano squaw e cuccioli vietnamiti
La celluloide mostra i protagonisti.
Avrà la sua vendetta il capo cheyenne
o sarà sorpreso nella toilette del campo?
Al bisonte è negato un barattolo d’erba cipollina
E dunque niente tundra siberiana
Il cecchino sul francobollo
spara al capo Xylella e dunque l’ulivo dai capelli bianchi
Può ricongiungersi all’ultimo mohicano
Alle stelle lo scalpo del benzinaio.
Tirano pure i distributori di lecca lecca
Tra le scorie del Tempo
L’ora piange il minuto e il secondo
È fermo a centrocampo
Si attende l’arbitro, ma la corriera da Giove
Ritarda di un dinosauro e mezzo.
TUTTI AL CAFFÈ VOLTAIRE
C’è la possibilità che il pesco armi il giardino
E dunque si gonfino gonne sugli sfiati d’aria
Balla una gemma sbattendo i tacchi
Tic-toc-toc-toc-tic-to-to-to-tic
Il primo albero che si stanca scemo è
Il secondo mangia il ramo di un lecca lecca
Un nocciolo lasciò la postazione nella polpa
e da quel momento gli scheletri abbandonarono la carne
ma non ci fu seguito tra le leve dei cambi.
L’orchidea avanza di un milligrammo:
che vi pare della modella grassa?
Il tempo firma un contratto miliardario
con il mandorlo. Una tromba vi seppellirà
ma intanto esce linfa buona dai piccioli.
Potremo sfamare la televisione di stato
Con le merendine all’albicocca.
Anche il suono è ottimo:
i tegami suonano l’inno nazionale:
Dlin Dlen abbasso la CO2
I nuclei sono occupati in un’orgia planetaria
e non vogliono saperne della calvizie di Einstein.
Sugli schermi del ciliegio
Un ippopotamo annuncia la fusione con la Luna
E il primo lotto di crateri last minute.
Nota di Marie Laure Colasson
Nella poesia kitchen il pensiero logico-sequenziale, di tipo “alfabetico”, sembra essere stato in buona parte sostituito da un tipo di pensiero nello stesso tempo “olistico” e “multi-tasking”.
Il dizionario Garzanti scrive che con multi-taksing «si dice di sistema operativo (informatico) in grado di eseguire contemporaneamente più programmi alternando il tempo dedicato all’esecuzione di ciascuno di essi.
Etimologia: ← voce ingl.; comp. di multi- ‘multi-’ e il v. to task ‘assegnare un compito’.»
L’idea della «nuova poesia» si può riassumere così: disattivare il significato da ogni atto linguistico, de-automatizzarlo, deviarlo, esautorare il dispositivo comunicazionale, creare un vuoto nel linguaggio, sostituire la logica del referente con la logica del non-referente. Ogni linguaggio riposa su delle presupposizioni comunemente accettate. Non è qui in questione ciò che il linguaggio propriamente indica, ma quel che gli consente di indicare.
Scrive Giorgio Linguaglossa: «Una parola ne presuppone sempre delle altre che possono sostituirla, completarla o dare ad essa delle alternative: è a questa condizione che il linguaggio si dispone in modo da designare delle cose, stati di cose o azioni secondo un insieme di convenzioni, implicite e soggettive, un altro tipo di riferimenti o di presupposti. Parlando, io non indico soltanto cose e azioni, ma compio già degli atti che assicurano un rapporto con l’interlocutore conformemente alle nostre rispettive situazioni: ordino, interrogo, prometto, prego, produco degli “atti linguistici” (speech-act)».
Per la «nuova poesia» è prioritaria l’esigenza di disattivare l’organizzazione referenziale del linguaggio, aprire degli spazi di indeterminazione, di indecidibilità, creare proposizioni che non abbiano alcuna referenza che per convenzione la comunità linguistica si è data.
Una zona di indistinzione, di indiscernibilità, di indecidibilità, di disfunzionalità si stabilisce tra le parole e le frasi come se ogni singola unità frastica attendesse di trovare la propria giustificazione dalla unità frastica che immediatamente la precede o la segue… non si tratta di somiglianza o di dissimiglianza tra le singole unità frastiche ma di uno slittamento, una vicinanza che è una lontananza, una contiguità che si rivela essere una dis-contiguità, una prossimità che si rivela essere una dis-prossimità… si tratta di una dis-cordanza, di un dis-formismo che si stabilisce tra i singoli sintagmi… anche le unità di luogo e di tempo della mimesis aristotelica sembrano dissolversi in una fitta nebbia e, con la dissoluzione della mimesis, viene meno anche la giustificazione di un io plenipotenziario e panottico, viene meno anche la maneggevole sicurezza del corrimano del significato. Modus tipico di questa procedura è la poesia di Francesco Paolo Intini.
È una poesia che fa larghissimo impiego di «sovraeccitazioni», di shock, di continui sussulti, di strappi, di traumi… È perché viviamo in una società traumatizzata, che fa del trauma una necessità di vita e una necessità del mercato. Basta osservare il panorama della politica di oggi: Trump, Bolsonaro, Putin, Erdogan, Salvini, Meloni, Orban, parte dei 5Stelle, i populisti nazionalisti e sciovinisti fanno amplissimo uso della sovra eccitazione; gli stessi media Facebook, Instagram, Twitter, i telegiornali lottizzati e non etc non sono altro che una vetrina e un diario di notizie che puntano sulla sovra eccitazione; la stessa forma-merce, nel design e nel marketing punta tutto sullo stato di sovra eccitazione delle masse di possibili acquirenti. Tutto punta allo stato di eccitazione e di surplus di eccitazione, non vedo perché la forma-poesia ne debba rimanere estranea.
Ha scritto Lucio Mayoor Tosi:
«La scrittura NOE è più vicina al pensare stesso, ne riprende le modalità. Per questo, nonostante le stranezze, i salti semantici, penso si tratti di poesie ri-conoscibili. Perché tutti pensano, e spesso parlano, in modo incoerente. NOE è vicina all’aspetto sorgivo del pensiero… come anche tutta la poesia di sempre, solo che in altri modi si avverte il profumo del potpourri, violette e lavanda, cose del consueto, del corredo.»
Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.
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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione.
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
Scrive Giorgio Linguaglossa: «Una parola ne presuppone sempre delle altre che possono sostituirla, completarla o dare ad essa delle alternative: è a questa condizione che il linguaggio si dispone in modo da designare delle cose, stati di cose o azioni secondo un insieme di convenzioni, implicite e soggettive, un altro tipo di riferimenti o di presupposti.
Ogni tanto qua e là, è stata accostata in qualche modo la mia poesia a quella di Intini.
Io l’ho sempre avvertita diversa nella ricerca tra i versi, in quello che rimane a fine lettura e ricordo i commenti (vado a memoria) calzanti di Tosi:”nelle poesie di Cataldi si parte sempre da fatti reali”, e di Pierno: “Cataldi prova a trattenere l’umano”.
Per la prima volta in queste poesie di Intini sento una certa minima vicinanza.
Comunico che Academia.edu mi ha richiesto un articolo, in inglese, sulla nuova ontologia estetica. Ho tradotto uno scritto in inglese e l’ho inviato. Così il testo potrà essere disponibile a lettori di tutto il mondo che leggono in inglese.
Sulla Nuova Ontologia estetica
Sulla identità di genere della poetry kitchen
Il tema dell’identità di genere della poetry kitchen si basa su un concetto piuttosto semplice: la poesia kitchen non ha identità alcuna, non dà certezze a nessuno, non è né maschio né femmina, e neanche transgender, non vuole essere trasgressiva e neanche rassicurante, disconosce i concetti di avanguardia e di retroguardia, concetti del secolo trascorso che non hanno più cittadinanza nell’epoca del Covid19 e dei sovranismi; inoltre si sente a suo agio nel presente, in questo presente confuso e contraddittorio, e lascia libero ciascuno di assegnarle l’etichetta che più aggrada.
La poetry kitchen non vuole essere definita da stereotipi e da categorie del passato. È un genere ibrido, fluido, mutevole, instabile, né poesia né prosa, tantomeno prosa poetica o poesia prosastica, non poggia su alcuna certezza, non garantisce alcuna identità, non v’è distinzione tra il genere innico e il genere elegiaco, categorie continiane che possono applicarsi ben che vada alla poesia del novecento; rifiuta il concetto di identità, non si presenta come un nuovo «modello», non è la gardenia di Dorian Gray e neanche la pipa di Magritte o il ferro da stiro di Duchamp, non ricerca la identità di genere, anzi, non ricerca nessuna identità, la sua sola identità è la promiscuità e l’ibrido, l’infiltrazione e la permeabilizzazione del testo; è insieme ilare e drammatica, ideologenica e mitologenica, si esprime per assiomi infondati e per aforismi derubricati; la poetry kitchen avverte la responsabilità di promuovere la mental inclusivity di tutti i punti di vista, non chiede di essere riconosciuta ma soltanto dimenticata dopo averla letta, non rivendica che la propria inautenticità, la propria sintomaticità; fate attenzione: è una malattia esantematica e contagiosa, e poi è democratica e rivoluzionaria perché sconvolge gli stereotipi e le categorie che vorrebbero irreggimentarla, inoltre è allergica alla poesia da salotto e ai salotti teleigienizzati del politichese letterario, infine piace ai giovani e ai giovanissimi. Così è se vi piace. Ed anche se non vi piace.
L’io non esiste più, neanche il pathos, come ha detto Nietzsche: «essere superficiali per profondità».
La bella interiorità? Beh, mettiamo le cose in chiaro e guardiamo le cose bene in faccia: tutta la pseudoarte dei giorni nostri ha il valore dei colori che giacciono al fondo di un lavabo sporco, è pattumiera con del miele intorno per attirare le api, e i gonzi.
(Marie Laure Colasson)
lo statuto di secondarietà della parola
Nella poetry kitchen lo statuto di secondarietà della parola, la sua funzione meramente strumentale-funzionale alla fedele restituzione del ready language assume il ruolo guida. È il linguaggio impersonale che detiene la posizione di originarietà rispetto alla secondarietà della parola. Il linguaggio impersonale diviene la guida della poiesis. La casualità del percorso linguistico e l’arbitrarietà dei compostaggi dei linguaggi impersonali della pubblicità e del mondo dei media, assumono un ruolo primario rispetto ai quali l’autore può condividere la prospettiva meravigliata del lettore, di chi assiste alla rivelazione nella scrittura dell’imprevisto, dell’impensato e dell’abnorme.
L’opposizione al «mondo»
Sembra che la poesia «odierna», reduce della opposizione che la poesia moderna ha fatto al «mondo», abbia del tutto abbandonato l’idea della dimensione parodica e/o ironica, che in qualche modo – lo dice anche Agamben – dipendeva dal legame ombelicale che la legava al canto, al carmen. Nell’orientamento della Nuova Ontologia Estetica non c’è (se mai c’è stato), più alcun collegamento con il carmen. C’è stato il passaggio del Rubicone, il carmen è alle spalle, come è alle spalle tutto intero lo Zanzotto da Dietro il paesaggio (1951), a Ecloghe (1962) a La Beltà (1968) in quanto erede del «canto» e quindi ancora in qualche misura la poesia zanzottiana dipende da ciò verso cui pende prendendone la misura: dalla impostazione neoermetica.
Oggi la poesia moderna sembra fuoriuscita dal «canto», siamo fuori dal Petrarca e da Zanzotto, e siamo fuori anche dagli anti petrarchisti come Mario Lunetta. Ormai il «canto» è dato per sepolto e morto. Negli autori della poetry kitchen non si dà più alcuna dimensione parodica, questo è un fatto storico. Il derisorio, se c’è, è in re, non sopra la res. Al posto del significante si dà il fuori-significante, al posto del significato si si dà il fuori-significato. Elementi essenziali della NOe kitchen sono il «montaggio» e i salti spaziali e temporali, in mancanza di questi fattori la poesia rischia di tornare (inconsapevolmente) verso il significato ironico o parodico che dir si voglia. E Amen, si torna indietro.
Resta il fatto che la poesia odierna si è trovata al largo con un salvagente e le pinne e sta cercando di nuotare, di stare a galla… cos’altro potrebbe fare?, cos’altro si può dire? La poesia attende una ONG che la possa issare a bordo e «salvarla». È questa la sua condizione storica. Chi pensa che la poesia abbia ancora qualcosa da dire, ce lo dica, lo ascolteremo con molto interesse e attenzione.
La poesia del novecento si è mossa all’interno del quadro segnato da due macro categorie: quella dell’avanguardia (e dal 1945 della post-avanguardia) e quella della retroguardia (la poesia del modernismo occidentale). Oggi questo quadro macro categoriale è crollato, si è dissolto, e la poesia si è trovata da sola, senza un quadro categoriale di riferimento, a dover nuotare in un mare sconosciuto con l’ausilio di un solo salvagente. È questa, penso, la condizione ontologica in cui si trova la poesia oggi.
Chi pensa invece che la poesia odierna abbia ancora il supporto di un quadro macro categoriale di riferimento, lo dica, esponga la sua opinione, gliene saremo grati.
Il fatto che la poesia odierna, uscita fuori dal modernismo, non abbia più niente da dire mi sembra un dato indubitabile, ma questo dato di fatto non deve indurre in inganno o al disimpegno: si è chiuso un mondo e se ne è aperto un altro, un mondo di parole si è esaurito e un altro si presenta davanti ai nostri occhi e chiede ascolto, udienza e ricezione. La poesia kitchen è il risultato di questa assunzione di responsabilità: un nuovo mondo si è aperto con possibilità inattese e imprevedibili, e un altro si è chiuso.
(Giorgio Linguaglossa)
Manifesto of the New Aesthetic Ontology
On the gender identity of the poetry kitchen
by Giorgio Linguaglossa
The gender identity theme of the italian poetry kitchen is based on a rather simple concept: the poetry kitchen has no identity whatsoever, it does not give certainty to anyone, it is neither male nor female, nor transgender, it does not want to be transgressive or even reassuring. , ignores the concepts of avant-garde and rearguard, concepts of the past century that no longer have citizenship in the era of Covid19 and sovereignties; moreover, she feels at ease in the present, in this confused and contradictory present, and leaves everyone free to assign her the label that suits her best.
The poetry kitchen does not want to be defined by stereotypes and categories of the past. It is a hybrid genre, fluid, changeable, unstable, neither poetry nor prose, much less poetic prose or prose poetry, it does not rest on any certainty, it does not guarantee any identity, there is no distinction between the hymn genre and the elegiac genre, categories which can be applied well into twentieth-century poetry; rejects the concept of identity, it does not present itself as a new “model”, it is not Dorian Gray’s gardenia and not even Magritte’s pipe or Duchamp’s iron, it does not seek gender identity, indeed, it does not seek any identity, its only identity is the promiscuity and the hybrid, the infiltration and permeabilization of the text; it is both hilarious and dramatic, ideologenic and mythologenic, it is expressed through unfounded axioms and derubricated aphorisms; the poetry kitchen feels the responsibility to promote the mental inclusivity of all points of view, it does not ask to be recognized but only forgotten after reading it, it claims only its inauthenticity, its symptomaticity; pay attention: it is an exanthematic and contagious disease, and then it is democratic and revolutionary because it upsets the stereotypes and categories that would like to regulate it, moreover it is allergic to parlor poetry and to the tele-hygienized salons of the literary politician, finally it appeals to the young and the very young.
The ego no longer exists, not even the pathos, as Nietzsche said: “to be superficial in depth”.
The beautiful interiority? Well, let’s get the facts straight and let’s look things straight in the face: all the pseudo-art of our days has the value of the colors that lie at the bottom of a dirty sink, it’s a bin with honey around it to attract bees and fools.
The secondary status of the word
In the poetry kitchen the secondary status of the word, its purely instrumental-functional function to the faithful restitution of the ready language takes on the guiding role. It is the impersonal language that holds the position of originality with respect to the secondary nature of the word. Impersonal language becomes the guide of poiesis. The randomness of the linguistic path and the arbitrariness of the composting of the impersonal languages of advertising and the world of the media, take on a primary role with respect to which the author can share the astonished perspective of the reader, of those who witness the revelation in the writing of the unexpected , the unthought and the abnormal.
Opposition to the “world”
It seems that “today’s” poetry, a veteran of the opposition that modern poetry has made to the “world”, has completely abandoned the idea of the parodic and / or ironic dimension, which in some way – Giorgio Agamben also says – depended on the link umbilical that tied it to the song, to the carmen. In the orientation of the New Aesthetic Ontology there is no (if ever there was), any longer any connection with the Carmen. There was the passage of the Rubicon, the carmen is behind, as is the entire Zanzotto from Behind the landscape (1951), to Ecloghe (1962) to La Beltà (1968) as heir to the “song” and therefore still to some extent Zanzotto’s poetry depends on what it leans towards taking the measure: from the neo-hermetic setting.
Today modern poetry seems to have escaped from the “song”, we are outside Petrarch and Zanzotto, and we are also outside the anti-Petrarchists like Mario Lunetta. By now the “song” is considered buried and dead. In the authors of the italian poetry kitchen there is no longer any parodic dimension, this is a historical fact. The derisive, if any, is in d, not above the res. In the place of the signifier, the out-signifier is given, in the place of the signified, the out-meaning is given. Essential elements of New Aesthetic Ontology kitchen are the “montage” and the spatial and temporal leaps, in the absence of these factors the poem risks returning (unwittingly) towards the ironic or parodic meaning, if you prefer. And so we go back.
The fact remains that today’s poem found itself offshore with a life jacket and fins and is trying to swim, to stay afloat … what else could it do? What else can you say? The poem awaits an NGO that can haul it aboard and “save” it. This is its historical condition. Anyone who thinks that poetry still has something to say, tell us, we will listen to it with a lot of interest and attention.
Twentieth century poetry moved within the framework marked by two macro categories: that of the avant-garde (and from 1945 of the post-avant-garde) and that of the rearguard (the poetry of Western modernism). Today this macro-categorical framework has collapsed, has dissolved, and poetry has found itself alone, without a categorical framework of reference, having to swim in an unknown sea with the aid of a single life jacket. This, I think, is the ontological condition in which poetry finds itself today.
On the other hand, anyone who thinks that today’s poetry still has the support of a macro-categorical framework of reference, should say it, express their opinion, we will be grateful to them.
The fact that today’s poetry, out of modernism, has nothing more to say seems to me an indubitable fact, but this fact must not lead to deception or disengagement: one world has closed and another has opened. , a world of words has run out and another appears before our eyes and asks for listening, audience and reception. The kitchen poetry is the result of this assumption of responsibility: a new world has opened with unexpected and unpredictable possibilities, and another has closed.
La poetry kitchen è anche la poesia della cucina;
ma il frigorifero è vuoto.
Dunque, lottare con il vuoto,
ma vuoto non è il frigorifero,
il vuoto è nelle parole stesse.
Siamo alla morte della immortalità,
bisogna ricorrere alle metafore cinetiche.
Bisogna che chi intenda fare poetry kitchen
dev’essere nella consapevolezza
che anche qui e ora il poeta è chiamato a esplicare
la funzione di vedetta su una nave.
Gino Rago
Storia di una pallotola n.18
La caffettiera di van Gogh
per tutta la notte ha litigato con il manichino di De Chirico.
Diceva che lei almeno sa fare il caffè, invece un manichino
è solo un manichino.
Giorgio De Chirico ha perso la pazienza
e ha disegnato un sole con i raggi
che si mette in cammino,
attraversa a piedi pianure, montagne e nuvole,
entra nell’atelier di Marie Laure Colasson,
si ferma allarmato davanti ad una “Struttura dissipativa” della pittrice
posta sul cavalletto,
e chiede: «E questo cos’è?».
La domanda ha molto seccato la pittrice francese
la quale per ripicca
lo ha punzecchiato con una forcina per i capelli
dicendogli che era uno spazzacamino, un presuntuoso,
un fanatico no-vax, un feticista, un senza Dio e un fascista …
Squilla il telefono al 6° piano di Via Domodossola n. 25.
Sylvie Vartan parla con George Perec.
«Monsieur Perec, c’è un figuro che ci segue,
dice che abita nel futuro e che è capitato per sbaglio
nel presente».
«È Jèrôme Lapalisse, di professione crittografo,
di mestiere ammazzaparole e aggiustalampadari.
Abita nel condominio al numero 11 di Rue Simon-Crubellier …
Tappeti Bukhara, un dobermann, libri rilegati in pelle,
porcellane cinesi, uccelli esotici,
un pappagallo gialloverde del Madagascar,
tavolini africani in mogano».
Jèrôme Lapalisse dice a Sylvie Vartan:
«Madame, quella signora elegante ci osserva».
Subito intervieneGeorge Perec.
Dice:
«È Madame Colasson, pittrice, vive a Roma,
nella Birkin ha sempre un profumo Chanel n.5,
un bergamotto e una browning con manico d’avorio.
Ogni tanto torna ai passages, nel boulevard,
passeggia con un foulard colorato
e si ferma sempre davanti alle pasticcerie.
Pensa che il segreto delle sue “Strutture dissipative”
sia racchiuso nelle torte con la panna…».
*
La vita è troppo psicopatica per la psicologia, troppo romanzesca per il romanzo, troppo impoetica per la poesia… la vita fermenta e si decompone troppo rapidamente per poterla conservare a lungo in frigorifero… la vita è impresentabile e irrappresentabile.
Asserire che la poesia debba affidarsi ai significati e ai significanti perché solo in essi si può contare e perché solo essi sono l’ossatura del linguaggio, come ha pensato il modernismo nel corso del novecento e in questi ultimi anni di buio della ragione, non può che incartarsi nelle aporie della propria ambiguità. Chi pone la questione così considera il pensiero delle pratiche discorsive dipendenti dalla parte del significato e del significante, lo pensa in modo erroneo e non sa altrimenti pensarlo se non come un significato; ovvero non è uscito da quell’incantesimo dal quale proprio il pensiero delle pratiche discorsive intendeva liberarlo. Uscire fuori dal significato e dal significante come fanno Francesco Intini e mauro Pierno, significa fare poesia finalmente liberata da una allucinazione consolatoria e totalitaria che ha impoverito il linguaggio poetico.
Cara Marie Laure, mi trovi assolutamente d’accordo: per quanto ci siamo già confrontati su questo tema, non posso non ritornarvici ogni volta che affiora nel confronto dialettico sulla poetica Noe.
La depurazione della poesia dalla lingua della falsa consolazione, dell’idillio, del confezionamento di versi ad immagine e somiglianza del propro “io”, in cui il perimetro del mondo esterno finisce per combaciare con la soglia di casa è uno dei risultati più importanti, senza dubbio, che la Noe ha perseguito e continua a perseguire nel suo cammino.
Quell’approccio ha prodotto troppi danni e non solo per la svalutazione qualitativa della maggior parte della poesia scritta, soprattutto in Italia, negli ultimi decenni, ma anche in generale per l’eco che la poesia ha così finito per offrire a questa società edonistica, generalizzata da un ripiegamento sui propri piccoli orticelli ed in cui pochi riescono ancira ad interrogarsi criticamente su ciò che avviente oltre l’orizzonte visuale del proprio uscio, con tutti i guasti conseguenti cui assistiamo ogni giorno, non ultimi il proliferare di forze populistiche ed il quotidiano l’incoronamento di nuovi santoni, nuovi sedicenti maestri di pensiero dal tono messianico, pericolosissimi per la stabilità della nostra democrazia.
Un caro saluto.
La Rückfrage (il domandare all’indietro di Heidegger), è il domandare di cui si deve appropriare e si sta appropriando il nuovo discorso poetico il quale non può non prendere in considerazione la zona di compromissione che si situa tra l’azione dell’atto linguistico con ciò che non è linguistico, con ciò che deve definire e che può finire in un discorso poetico, questa zona, questa del discorso poetico, deve e può fare riferimento a tutto ciò che si trova in quella zona di compromissione che definiamo Es, Inconscio, Preconsio, insomma, quella zona accidentale e accidentata nella quale la pratica delle parole mette in moto una «azione retrograda», una azione ritardata, ritardante e anticipatoria, una zona altamente compromissoria e auto contraddittoria inficiata di anacronismi inconsci e preconsci e coscienzialismi ideologici del tutto slegati e non dipendenti dagli anacronismi inconsci. Proprio in quella zona di compromissione si situa la massima vulnerabilità e, quindi, la massima attualità del discorso poetico kitchen. È pur sempre il linguaggio che descrive il passaggio dal non-linguistico al linguistico, ed è il linguaggio poetico quella zona di compromissione e di indistinzione recettizia di questa zona compromissoria. La manifesta paradossalità del linguaggio poetico kitchen che si presenta agli occhi di un lettore ingenuo come incomprensibile, irragionevole, gratuito, arbitrario, deriva dal fatto eclatante che esso si situa, appunto, in questa «zona di indistinzione e di indiscernibilità».
In questo contesto di pensiero non ha veramente senso parlare di un «soggetto» creatore se non come il prodotto di pratiche discorsive che riguardano i correlativi soggettivi del soggetto e i correlativi oggettivi dell’oggetto, insieme con i correlativi inconsci e preconsci, non certo un presunto soggetto plenipotenziario attore centrale del discorso poetico. È di un «soggetto scabroso» ciò di cui stiamo parlando.
Scrive la Colasson:
«Una zona di indistinzione, di indiscernibilità, di indecidibilità, di disfunzionalità si stabilisce tra le parole e le frasi come se ogni singola unità frastica attendesse di trovare la propria giustificazione dalla unità frastica che immediatamente la precede o la segue».
Abbiamo nominato il pane invano le porte
i fabbricati le finestre gli antidoti le minestre
gli infissi i divani le scatolette le conche le mollette
le mutande i reggiseni gli stivali gli scolapasta
le ortiche l’orzo il grano il farro le lenticchie
gli asciugamani le bandiere i cannoni
i missili l’acciaio i cassetti i portafogli le camicie
le fabbriche gli isolotti le acciughe la luna i falò
le lavatrici i rossetti le portaerei i fiammiferi
i sugheri gli accendini le sigarette i tombini
i cavatappi le bottiglie gli stendini i binocoli gli aratri
i carrarmati gli aerei gli elicotteri i fenicotteri
gli archi gli architravi le saune le fragole i biscotti
le grucce i pantaloni le valigie i libri le edicole
gli occhiali gli ombretti gli ombrelli le auto le stufe
i camini la legna il carbone il magnesio il radio
il cromo il selenio la borragine le penne le gomme
i tromboni i violini le zattere le margherite.
(Da anni l’unica scrittura che pratico è sul foglio elettronico di codesta rivista. È un continuo work in progress, uno stimolo costante alla ricerca di un’idea condivisa di poesia e di risoluzioni poetiche;
a volte riescono col buco. Vi ringrazio sempre per la pazienza. Un abbraccione.)
Grazie OMBRA.
QUALCUNO BUSSA AL XXX
C’era da aspettarselo? Capocchio si girò incuriosito.
Gianni lo azzannò al nodo del collo.
Il punto critico delle ossa fece un crac.
Ci rimise una banca, tre banconote e un cent.
La clavicola cedette un ponte.
Se il Don si avvitava il Reno avrebbe brindato
o viceversa?
Un torrente di linfa scende lungo le spalle
L’osso sacro si spezza e una gamba corre più rabbiosa dell’altra.
Il tavolo cresce in lontananza ma non in lungimiranza
Per due punti qualità si perde un pollo arrosto.
L’intimo era già perduto quando il botulino
Imperversò nell’olio del girasole.
Mirra si affacciò dal palazzo in fiamme.
Era la sua voce o un verso di corvo?
La sentivamo triste e aggressiva ma non riuscivamo a sbarazzarci di lei.
Accusava i dolori reumatici della perdita di obiettivo
Avrebbe portato all’Aia il capo degli streptococchi
E alla flora intestinale disse che poteva mettersi in pensione.
Un carro armato presidiava l’aorta ma non osava entrare nel ventricolo.
A un tratto il microfono afferrò un mezzobusto alla gola
intimandogli di smetterla col Brazil
Gridò: c’è Dante, lo faccio entrare?
Jashin con i baffi fiammanti apparve tra i pali.
Una bolgia contro l’altra armata.
Come s’impedisce a un missile di entrare nell’epoca sbagliata?
Burgnich e Facchetti, Molotov a mediano.
Il grande portiere ha una pausa di terrore.
Il rasoio solleva un palazzo, Cislenko fa cilecca.
Il fornello ad est fa una mossa geniale.
Ricorda Cesare quando scese tra i suoi e la battaglia fu vinta.
Ora si trattava di dare al reporter fiorentino
la chiave di chiusura del gas.
Un caro saluto a tutti
FPI
Set 84
…
ai sabotatori della semantica il master in “Einkleidung” non basta
Mr. Bean mostra labbra a canotto,
la prima diva viene premiata con una statuetta dorata.
Un cane randagio ha le pulci,
gli alberi d’ulivo si infastidiscono, hanno la febbre a 40,
gli impacchi di acqua fredda servono a poco.
Il truciolato finisce nella stanza da letto dei Promessi Sposi che sa di collagene.
Renzo e Lucia risparmiano sul profumo,
con i soldi ricavati fanno un relax Tour sul lago di Como
Don Abbondio si prende l’abbronzatura sotto il sole,
il bianco l’ombrellone sale al cielo come una mongolfiera
e di lì cade uno scroscio di pioggia,
Il bagnino sulla spiaggia legge le poesie Kitchen D.O.C.
le poesie kitchen vanno in vacanza
mentre Manzoni si prende un raffreddore a piazza Meda.
Per il post Set 84 ringrazio Giorgio Linguaglossa il suo gradito intervento e per le sue indicazioni.
Il giorno 21 marzo, in concomitanza con l’arrivo della primavera, si celebra la Giornata Mondiale della Poesia istituita dalla XXX Sessione dell’Unesco nel 1999. La ricorrenza ha l’obiettivo di riconoscere alla poesia un ruolo privilegiato nella promozione della comunicazione e della comprensione interculturale della diversità linguistica.
L’iniziativa è senz’altro meritoria ma penso che il ruolo della poesia nel mondo di oggi non è affatto quello della promozione della comunicazione ma quello ben più alto della promozione di una visione critica dell’esistente, proprio il contrario di quello ventilato dalle istituzioni culturali.
La poesia di Franco Intini a me arriva sostenuta da carica distruttiva, presente in ogni distico: affermo, distruggo, affermo. Ma gli va riconosciuta una forte componente creativa, nel dire di volta in volta quel che in nessun modo ti puoi aspettare. Resta da capire perché mai… o a favore di quale pensiero alternativo allo stato di cose; che la poesia kitchen descrive come mondo assurdo, vera e propria discarica (valori non più in uso, metafisica e pensiero complesso in revisione o in stato di abbandono). Sulla discarica si posiziona anche Mauro Pierno, in evidente opposizione con bello e brutto, quindi perfettamente trash. “E dunque”, come suol dire Intini, voi tutti che non avete buon rapporto con la morte (il pensiero va ai filosofi heideggeriani), avete da risolvere questa oscurità… non c’è fretta.
La guerra in Ucraina è iniziata nel febbraio 2022, un mese fa. Questo fa capire, per l’ennesima volta, su cosa si reggeva “la pace”. Nessuno in grado di fare previsioni ma, come sempre, abbondano le analisi. Le analisi sono sempre retrospettive, volte al passato. Infatti la stessa idea di pace non va oltre il rifornimento di armi. Di pace non sappiamo nulla. Ne sa di più il gatto mio amico che vive nel vicolo.
caro Lucio,
nel precedente commento parlavo di «visione critica dell’esistente», intendendo con questa espressione una visione panoramica, tattica e strategica di una proposta di poetica nazionale in versione innovativa e strategica. In giro, anche al nostro interno, ho notato e noto posizioni privatistiche, attendiste, posiziocentriche da vai dove ti porta il vento, da rendita immediata e indolore, in una parola: visioni da cortile.
La poesia non la si fa in un cortile ma avendo una visione ampia e panoramica delle poetiche oggi in giro in Occidente, altrimenti ci si accontenta di vivacchiare in rendite da cortile e in rendite di posizione. Se il battito delle ali di una farfalla a Vladivostok ha effetti sulle maree nel Mediterraneo, figuriamoci gli effetti che una guerra in Ucraina come quella in corso può avere persino nel nostro frigorifero e nel serbatoio di benzina della nostra auto.
Fare poiesis non è mai un atto privatistico e gratuito come hanno pensato i poeti di piccolo e modesto cabotaggio che si sono avvicendati in Italia dal 1994, anno di pubblicazione di Composita solvantur di Franco Fortini, ad oggi. Fare poiesis oggi significa fare i conti con lo scacchiere delle proposte di poetica a livello europeo, vuol dire avere una precisa, dettagliata e critica notizia di ciò che avviene in Europa.
https://www.bbc.com/news/world-europe-60807134
Un giorno non faremo più guerre perché ci sarà impossibile. Le condizioni di vicinanza, e di somiglianza, renderanno le guerre impraticabili.
Se tutto va bene, tra un paio di secoli. Già adesso, grazie a internet, è cambiata la nostra percezione del mondo. Più piccolo, ovunque raggiungibile.
I confini della poesia nel mondo sono contrassegnati dalla diffusione delle varie lingue. Non accade come nell’arte visiva, dove artisti di uguale tendenza si possono trovare, in America come in Australia, influenzarsi reciprocamente, perché il linguaggio visivo è unico e di tutti.
Alfredo De Palchi era italiano in America, non ha smesso un secondo di intervenire sulla tradizione culturale della nostra area linguistica. Ne ha allargato anche i confini.
Confini che alla poesia NOE mancano per statuto, per definizione; per il modo di procedere nella scrittura, che è già di nuova e radicale trasformazione.
Una nuova poesia europea è possibile se avrà tratti comuni, anche se nulla riguarderà la lingua (quindi le diverse tradizioni). Su L’ombra si è parlato spesso di poeti come Ajvaz, Herbert e altri europei. I fatti di questi giorni potrebbero favorire incontri insperati. Anche se io, per mille ragioni, preferisco la saggezza orientale.
Xi Jinping ha detto a Biden:
– Spetta a chi ha messo il sonaglio alla tigre liberarla dal sonaglio
– Voi avete gli orologi e noi abbiamo il tempo
La saggezza, qualsiasi forma di saggezza, è sempre opera di parte, è sempre saggezza interessata. Non esiste una saggezza super partes.
Nei testi kitchen si ha di frequente un mash up dei tre elementi fondamentali del discorso: il parlante empirico, il locutore e l’enunciatore.
Il locutore è il soggetto della enunciazione: l’essere del discorso, il chi parla, la voce dialogica;
l’enunciatore è l’istanza implicata come punto di vista dell’enunciazione che orienta la prospettiva narrativa;
il parlante empirico è l’organizzatore del testo che spesso può essere fuori-testo o l’implicito del testo.
Nella poesia kitchen polifonia e dialogismo vengono impiegati come sinonimi: il dialogo viene impiegato allo scopo di potenziare la polifonia, e viceversa; il pensiero logico-sequenziale, di tipo alfabetico sintattico, viene sostituito da un tipo di pensiero nello stesso tempo olistico, multi-tasking e de-costruzionista. Il pensiero logico-sequenziale, di tipo “alfabetico” viene sostituito da un pensiero nello stesso tempo olistico e multi-tasking.
Infine, la disinformazia. Nei testi kitchen gli enunciati sono ricchissimi di disinformazia, alludono sempre a qualcosa di diverso da ciò che indicano, la disinformazia forma il cuore stesso degli enunciati e dei contro-enunciati come appare in modo vistosissimo negli enunciati di Francesco Intini e Mauro Pierno, anzi nei loro testi i poeti pugliesi ne fanno bella mostra facendoli collidere tra di essi; in altri autori come Gino Rago invece la disinformazia è meno evidente. Ma, nella sostanza, nulla cambia.