«Wo Es war soll Ich werden» significa, per Lacan, che l’io non emerge dall’abisso dell’inconscio come un’isola dal mare, ma è un luogo di emersione della verità del soggetto, ciò che riconduce l’io alla sua dimensione immaginaria che altro non è che una funzione, un io alienato, aggregato di identificazioni, di proiezioni e di rimozioni, Il detto secondo cui «l’io non è più padrone in casa propria», significa che l’io è uno straniero a se stesso, che nella soggettività si annida una alienazione primaria non eliminabile, Poesie di Mauro Pierno, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, Raffaele Ciccarone

Lucio Mayoor Tosi, Untitled. cm 80 x 80 – acrilico su legno 2022

Lucio Mayoor Tosi Germinazioni

La modalità kitchen della poiesis kitchen

L’impersonalità del linguaggio dell’ Altro implica la simbolizzazione da parte del soggetto mediante la catena significante; introducendo la catena significante il soggetto viene ad essere deiettato nella dimensione del senso e della verità; ed è ciò che determina una mancanza-a-essere all’interno del soggetto poiché in realtà non tutto del reale è significante: l’essere del soggetto viene ad essere infirmato dalla inflizione del significante. Il significante primordiale e il significato perduto, la Cosa originaria, fanno così ingresso nel non-senso, prendono stabile dimora in esso, che è quella dimensione in cui può emergere il particolarissimo intreccio di desiderio e godimento del soggetto, vale a dire la sua personalissima verità, la dimensione dell’oggetto piccolo a quale sostituto provvisorio del grande Altro. Il soggetto non è l’io come posizione di terzietà o di giudizio, e non è nemmeno una istanza che si può ridurre a sommatoria delle parti di cui nella topica freudiana Io-Superio-Es. Ancor più radicalmente, il soggetto non è l’io, e l’io non è il soggetto. Il detto freudiano «Wo Es war soll Ich werden» significa, per Lacan, che l’io non emerge dall’abisso dell’inconscio come un’isola dal mare, ma è un luogo di emersione della verità del soggetto, ciò che riconduce l’io alla sua dimensione immaginaria che altro non è che una funzione, un io alienato, aggregato di identificazioni, di proiezioni e di rimozioni. Il detto secondo cui «l’io non è più padrone in casa propria», significa che l’io è uno straniero a se stesso, che nella soggettività si annida una alienazione primaria non eliminabile; che vuol dire che l’io significa?, vuol dire che l’io ha un linguaggio impersonale che viene dall’Altro, un linguaggio irrorato dalla alienazione originaria. L’io non è un sostrato che sta sotto a qualcosa d’altro, non è un hypokèimenon ma un vuoto che attende di essere colmato di jouissance, del desiderio dell’Altro.

Il significato non è un qualcosa intenzionato da un soggetto essendo il soggetto nient’altro che un posto vuoto, un posto afflitto da una mancanza costitutiva per cui il significato non è nient’altro che «un effetto immaginario della catena significante»,1 nulla di sostanziale ma un segno che rimanda ad altro da sé, ad un altro segno. Il significato non sta in nessun luogo, è qui e là, in entrambi i luoghi contemporaneamente e la modalità kitchen della poiesis intende semplicemente mettere in evidenza questa struttura: il kitchen traduce un sistema di significati in un altro sistema di significati, o meglio, in un sistema di «fuori-significati», è una modalità di trasbordo del significato da un luogo ad un altro. È ovvio che il «fuori significato» della modalità kitchen è una utopia, una tensione verso, un impossibile, ma il fatto che si tenti l’impossibile porta l’impossibile verso il possibile, cambia i luoghi delle categorie. E così salta tutto, saltano tutti i ponti che la metafisica ha costruito mettendoli a carico del soggetto e della sua legislazione.

Das Ding è per Lacan «originariamente ciò che chiameremo il fuori significato»;2 la Cosa: essa è muta, non si lascia afferrare né dalle immagini né dalle parole. Non è possibile rappresentare la Cosa perché è «il termine estraneo attorno a cui ruota tutto il movimento della Vorstellung».3 Tutte le rappresentazioni (Vorstellungen) del soggetto nascono dal tentativo di impadronirsi della Cosa in un gesto sublimatorio. In effetti, das Ding può essere identificata con la «tendenza a ritrovare» che caratterizza il rapporto del soggetto con l’oggetto. Tuttavia, «a livello delle Vorstellungen la Cosa non è […] brilla per la sua assenza, per la sua estraneità»4: essa è, infatti, perduta perché ha patito l’azione del significante. In questa perdita è riscontrabile la condizione di possibilità di ogni rappresentazione, di qualsiasi discorso; secondo Lacan, «la distanza tra il soggetto e das Ding […] è appunto la condizione della parola».5 La Cosa, pur cancellata, non fa che causare il desiderio. Essa è introvabile ma anche orientativa della ricerca del soggetto, in quanto viene sempre sostituita da un altro oggetto.

La Cosa non ha valenza ontologica, è paradossale: è un fuori-discorso, un fuori-significato ma, paradossalmente non è un nulla o un’essenza, non è un sostrato, un soggiacente alla maniera dell’hypokèimenon, e non è nemmeno un noumeno in quanto non è un ente. Si può immaginare il Das Ding soltanto in modo paradossale: come interno-esterno, confine-passaggio, resto-eccedente, perdita-causativa, mancanza causativa in quanto non rimanda ad alcun ente ma a una mera funzionalità empirica del soggetto.

(Giorgio Linguaglossa)

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1 A. di Ciaccia; M. Recalcati, Jacques Lacan, Bruno Mondadori, Milano, 2000, p. 28
2 J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), tr. it. M. D. Contri, Arnoldo Mondadori, Milano, 2010,p. 71. p. 64.
3 Ivi, p. 67.
4 Ivi, p. 74.
5 Ivi, p. 81.

Mauro Pierno

Aria aria missili da crociera, la catechesi è concreta.
Nelle finitudine, così come nelle altitudini.

L’inganno delle medaglie. La neve di Pechino il sushi della rivoluzione. Deglutire ad una apparizione.

Nei tablet, nei transatlantici, con le unghie dipinte.
Il colore è un cloroformio. Una guglia.

Addormentati tutti fino a tarda sera. Troppo troppo ammorbidente nelle stive.

In fila indiana i pinguini i Tank e quattro frecce,
e ti sei addormentata non appena tu sei salita.

Lucio Mayoor Tosi

Titoli.

Mela lasciata sul tavolo per bellezza. Calze a rete
di mia nonna.

Rosso Ferrari, acqua marcia, due sotto la pioggia.
Terra. Terra e cemento.

Darsela a gambe. Piaghe, tattoo. – Viene sera,
non ricordo. – Matisse: “Wagon-lit”.

Paesaggio cancellato. Ritratto di Hulk. Poco mare.
Fine alba e dopo il tramonto.

*

caro Lucio,

qui è in azione la procedura serendipica, tu lavori per semi enunciati e frasari interrotti, irreferenziali, tipo jazz e gin fizz. Così, lasciando il soggetto in frigorifero, raggiungi esiti notevoli, magari senza volerlo, senza perseguire una finalità ma lasciando galleggiare il linguaggio a pelo d’onda. Complimenti. (g.l.)

Raffaele Ciccarone

Set 70

alla Woridcon di Los Angeles dei cosplay in Follout

le armi psicotrope bevono vino e cioccolata calda.

La censura parte per Viareggio, sul balcone i bambini

invocano Stefen King e It. La geisha in limousine ancheggia

il Vampiro gli chiede una bottiglia d’acqua minerale.

l’unicorno si ferma nel bosco a leggere Proust, Facebook non ci crede

emette una fake news, solo la giraffa con la testa sopra le nuvole si salva dall’asfissia.

Nell’emisfero australe l’Alfa Monocerotis, della costellazione dell’unicorno,

si allontana con Alfa Centauri dal sistema solare, Minecraft è a City Life District.

Giorgio Linguaglossa
Kitsch poetry

Ecco che fa ingresso al Circo Tenda di Mosca il Mago Woland con un décolleté catarifrangente mentre ingolla d’un sorso un bicchiere di acqua con del bicarbonato di sodio purissimo
Il Signore imbraccia a cavalcioni il manico di una vecchia scopa

All’improvviso, l’impugnatura si trasforma nelle sue mani in una spada,
in una racchetta da tennis, in una stecca da biliardo

In un bastone da passeggio con il manico di avorio,
in un ombrello tricolore, in un fazzoletto profumato

In una maschera veneziana indossata da una dama
con il guardinfante bianchissimo mentre attraversa il Ponte di Rialto

In un signore allampanato con il cappello sulle ventitré
seduto nella sala d’attesa del parrucchiere François

In un signore con la giacca a quadretti che imbratta una tela
mentre sorseggia un succo d’albicocca

Nel Signor K. che impugna un bastone da passeggio con il manico di avorio
mentre fa ingresso negli stagni Patriarsci…

«L’infinito si estende senza tregua in tutte le direzioni»
Il Signor K. indirizza queste parole al suo sosia, il Mago Woland,

Il quale, narrano le fonti, così replicò:

«Però se il tempo fosse eterno, prima o poi incontreremmo gli immortali in quanto essi hanno contato tutti i numeri naturali perché provengono da un passato sconfinato»

Raffaele Ciccarone, sono del 1950, ex bancario in pensione, risiedo a Milano, dipingo e scrivo. Le mie poesie sono inedite per lo più. Per un periodo ho pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo, circa un centinaio di poesie, e qualche prosa. Ho partecipato a gruppi di poesia a Milano.
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 Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re) e nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 esce la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma) e nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019.
Nel 2014 fonda la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue nella ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile degli orientamenti recentissimi della filosofia di oggi,  che si esprime in  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia all’altezza del capitalismo di oggi, delle società signorili di massa che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, non vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti questi che sono stati defenestrati dal capitalismo cognitivo.
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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.

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Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di  alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”; è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014), Compostaggi (2020). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.

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28 risposte a “«Wo Es war soll Ich werden» significa, per Lacan, che l’io non emerge dall’abisso dell’inconscio come un’isola dal mare, ma è un luogo di emersione della verità del soggetto, ciò che riconduce l’io alla sua dimensione immaginaria che altro non è che una funzione, un io alienato, aggregato di identificazioni, di proiezioni e di rimozioni, Il detto secondo cui «l’io non è più padrone in casa propria», significa che l’io è uno straniero a se stesso, che nella soggettività si annida una alienazione primaria non eliminabile, Poesie di Mauro Pierno, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, Raffaele Ciccarone

  1. Russia-Cina, la nuova globalizzazione che cambia l’ordine mondiale
    di Antonio Preiti – huffingtonpost 28, Febbraio 2022

    L’accordo stipulato in apertura dei giochi olimpici, lo scorso 4 febbraio,​ può essere considerato il Manifesto strategico della nuova partnership euroasiatica contro l’Occidente

    Siamo portati a vedere l’invasione di Putin dell’Ucraina come un atto di potenza, quasi un distillato di volontà di potenza, data la sua gratuità, e il pensiero, alla ricerca delle sue cause e dei suoi possibili moventi, ci porta automaticamente all’ex Unione Sovietica, o addirittura al suo passato imperiale, al tempo degli zar.

    Probabilmente nella chimica dell’invasione sedimentano elementi sia dell’uno che dell’altro, ma così forse ci perdiamo la novità dell’atto, cioè ci perdiamo la possibilità di inquadrare l’invasione dell’Ucraina nel presente e nel futuro, non nel passato. Siamo davanti a un cambiamento che si prospetta di essere radicalmente diverso rispetto agli equilibri del mondo come lo conosciamo. Non si tratta di futurologia politica, ma di una analisi coerente di quanto sta succedendo in questi ultimi mesi.

    Partiamo da un documento fondamentale di queste settimane, l’accordo stipulato in apertura dei giochi olimpici, lo scorso 4 febbraio tra Russia e Cina. Tra l’altro, l’ipotesi ventilata in quei giorni, che l’invasione dell’Ucraina si sarebbe realizzata non appena i Giochi fossero finiti, si è rivelata esatta. Anche per questo aspetto, ma non certo solo per questo, quel documento assume particolare valore.

    Se lo guardiamo con attenzione vediamo una sintesi molto chiara della nuova concezione del mondo, o della nuova ideologia dell’alleanza strategica tra questi due paesi, anche se il termine “alleanza” non compare mai esplicitamente nel documento. Cosa si sostiene in questo testo, che può essere considerato, a ragione, il Manifesto strategico della nuova alleanza euroasiatica contro l’Occidente?

    Il primo punto riguarda la concezione stessa della democrazia. In sostanza si afferma che la democrazia non ha valore universale con una forma già definita (libertà di stampa, di parola, con libere elezioni, contendibilità del potere, ecc.), ma “assume le forme della tradizione di ogni paese, incluso il suo sistema politico e sociale”. In sintesi, si nega che la democrazia, come noi la conosciamo, sia un valore, ma si assume come democratico “qualunque assetto statuale e sociale che deriva dalla tradizione di ciascun paese”. Detto in breve: la democrazia liberale non è nulla, non ha nulla di distintivo.

    Non ci si ferma solo alla relativizzazione della democrazia, ma si relativizzano anche i diritti umani, che solitamente sono considerati al di sopra di qualunque regime politico e statuale. Nel documento si afferma che i diritti umani non devono essere usati come pressione su altri paesi (“human rights not be used to put pressure on other countries”); anzi, i due paesi vedono la rivendicazione dei diritti umani come una minaccia (“serious threats”) a stati sovrani e una interferenza nei loro affari interni. Perciò anche i diritti umani sono relativi e ogni stato stabilisce quali siano e come debbano essere trattati.

    La parte politico-strategica arriva subito dopo, quando si afferma che i due paesi intendono sviluppare piani per lo sviluppo dell’area euroasiatica accanto alla Via della Seta per promuovere “una più grande interconnessione tra l’Asia del Pacifico e le regioni euroasiatiche”. In sostanza, si propone una globalizzazione euro-asiatica da contrapporre a quella occidentale. Riecheggia qui l’assunto geo-politico di vari ideologi russi secondo cui il continente euro-asiatico abbia il destino di contrapporsi alla Civiltà del Mare, cioè quella atlantica. L’evocazione in termini di millenarismo fa assumere all’alleanza contorni identitari che sono poi utilizzati, ad esempio, contro l’Ucraina, per dire che quel paese non ha una identità storica, o per dire che Taiwan appartiene alla Cina. Tra l’altro nel documento viene sostenuto che “Taiwan è un’inalienabile parte della Cina e i due paesi s’impegnano ad opporsi a ogni indipendenza dell’isola”.

    Il manifesto del 4 febbraio descrive perciò la strada verso la fine della globalizzazione come la conosciamo, perché indica una circolarità territoriale che vuole essere autosufficiente: dall’arco del continente euroasiatico russo-cinese alla Via della Seta sulla parte meridionale, che arriva fino alle propaggini dell’Europa nell’area medio-orientale.

    In questa prospettiva assumono un valore strategico alcune decisioni dei due paesi, perché costituiscono le infrastrutture per rendere autonoma la globalizzazione euro-asiatica. La creazione di un sistema di pagamenti che corra in parallelo con il sistema Swift e lo sostituisca in caso di una sua inaccessibilità; la progettazione e le prime sperimentazioni di una moneta digitale cinese che sostituisca (o sia parallela) alle valute ufficiali correnti; il distacco (già pressoché avvenuto) della rete di internet dei due paesi da quella mondiale.

    È una curva della storia che si sta realizzando in tempi molto brevi: prima avevamo la contrapposizione comunismo/mondo occidentale; poi abbiamo avuto alcuni decenni di piena globalizzazione mondiale, in cui l’interscambio è stato non solo sul piano economico, ma anche su quello dei valori di riferimento; adesso sembra di essere arrivati a un assetto post-ideologico, in cui conta la dimensione fisica, appunto la geografia politica, intrecciata con i valori di riferimento della tradizione ancestrale dei singoli paesi, in una situazione che possiamo definire di doppia globalizzazione.

  2. https://www.huffingtonpost.it/esteri/2022/03/01/news/attacco_non_stop_su_kiev_gli_abitanti_nei_rifugi-8863858/?ref=huff-hm-f-1

    Il sindaco Klitschko alla Cnn: “Possiamo resistere a lungo”. I satelliti mostrano un convoglio russo lungo 60 km che avanza verso la capitale dell’Ucraina. Zelensky denuncia all’Onu i crimini di guerra di Mosca
    1 Marzo 2022

  3. Andrea

    Poesie stantie. Un poetichese mascherato da novità. Gli autori hanno tutti oltre 60 anni… Sarà per questo. Se questa è la nuova poesia…….

  4. VERITÀ E OPINIONE: IL POSTMODERNISMO NEL QUOTIDIANO

    Ciascuno di noi ha una sua personale visione del mondo, una filosofia più o meno articolata. Ogni qualvolta ascoltiamo un TG, leggiamo un giornale o un articolo su Facebook siamo soliti integrare le informazioni assorbite nella nostra personale filosofia.

    Se dovessimo prendere tre individui e chiedere loro di commentare una notizia o di valutare un dato noteremo come ciascuno avrà una sua differente sfumatura di pensiero. I tre individui potrebbero avere tre opinioni in netta contrapposizione. Questo fatto porterebbe un eventuale esaminatore ad affermare che nessuno dei tre abbia totalmente ragione o totalmente torto e che non esista un vero e un falso, ma solamente diverse interpretazioni.

    Quanto esposto nelle righe precedenti è l’idea che sta alla base della filosofia postmoderna, espressa da Jean-François Lyotard nella sua opera del 1979 La condizione postmoderna – Rapporto sul sapere: non esistono verità, ma solo interpretazioni. Secondo i postmodernisti, gli uomini hanno da sempre cercato di spiegare il mondo attraverso delle grandi narrazioni come Cristianesimo, illuminismo, idealismo, marxismo, esistenzialismo e così via. Tutte queste narrazioni, ad un certo punto della storia (nel XX secolo), sono venute meno lasciando il posto alle interpretazioni. Non è possibile tracciare, in poche battute, una genealogia delle cause e delle conseguenze del postmodernismo, perciò tenteremo solo di delineare alcuni degli aspetti postmoderni sul piano pratico.

    La visione postmoderna, anche se non ce ne accorgiamo, permea tutto il nostro modo di concepire la realtà dalle nostre piccole e personali visioni del mondo che rafforziamo quotidianamente, fino alle speculazioni degli intellettuali, dei giornalisti e dei politici.

    La condizione postmoderna, dal mio punto di vista, è una “malattia filosofica” che abbisogna di un superamento, per le ragioni che vedremo a breve. Essa è profondamente radicata nel nostro modo di pensare e perciò non semplicissima da superare. Tuttavia, abbiamo il vantaggio di potercene liberare partendo dal nostro quotidiano.

    La visione postmoderna è fondata su una contraddizione intrinseca: se non esiste nessuna verità e ci sono solo interpretazioni, l’asserzione «non esistono verità ma solo interpretazioni» è vera o falsa? Se è vera ci si contraddice perché almeno una verità esiste, se è falsa, allora, è vero il suo opposto e cioè «una verità esiste».

    Oltre a quanto detto sopra, non è possibile che due interpretazioni antitetiche di uno stesso fatto siano contemporaneamente vere. Come spiega Aristotele nel IV libro della Metafisica: non è dato che A e non-A siano contemporaneamente vere nello stesso momento e sotto il medesimo aspetto. Capiamo con un esempio: un individuo X non può essere, allo stesso tempo, e sotto lo stesso aspetto, “bianco” e “non-bianco”.

    Com’è quindi possibile superare il postmodernismo? Il primo strumento è la capacità argomentativa, l’argomentazione è l’unico mezzo per dimostrare la veridicità delle nostre tesi. Bisogna tener presente che nessuno è tenuto a dar credito a un’opinione priva di argomentazioni. Quando veniamo a conoscenza di “un qualcosa” (sia esso una notizia o altro), attraverso i telegiornali o qualsivoglia mezzo di comunicazione di massa, dobbiamo andare alla ricerca di fonti attendibili che dimostrino, o che smentiscano, ciò che è appena giunto alle nostre orecchie. Qui potrebbe sorgere un problema: come si distingue una fonte argomentativa attendibile da una non attendibile? La risposta è semplice da capire ma complessa da mettere in pratica: bisogna chiedersi quale sia l’intento del produttore della fonte, si tratta di qualcuno che intende raccontare con onestà intellettuale un fatto, o si tratta di qualcuno che ha un piano ideologico prestabilito in mente e produce fonti ad hoc per propagandare la sua visione?

    Un altro strumento per superare il postmodernismo, dal mio punto di vista, è quello di non confondere il rispetto per l’altro con l’accettazione passiva delle sue idee: un individuo e le sue idee non sono totalmente sovrapponibili, se qualcuno asserisce «la Terra è piatta», noi non siamo tenuti a considerare la sua opinione come “valida” per paura di mancargli di rispetto. Le proprietà possedute o non possedute dal nostro pianeta e gli individui che le esprimono verbalmente sono realtà ben distinte, l’inviolabilità di ogni individuo non è una condizione sufficiente a ritenere “degna di considerazione” ogni sua opinione.

    Vi sarebbero ancora molti strumenti per superare il postmodernismo, mi limito ad aggiungerne uno. Il fatto che alcune verità siano sconosciute non implica che queste non ci siano, si badi a non cadere nell’arroganza di chi si autoproclama “arbitro del vero” ritenendo inesistente tutto ciò che è a lui sconosciuto.

    http://www.lachiavedisophia.com/blog/verita-opinione-postmodernismo-quotidiano/
    by Riccardo Sasso

    Riccardo Sasso è laureato in storia e filosofia presso l’università di Trieste e sta frequentando il corso di laurea magistrale in filosofia presso gli atenei di Trieste e di Udine.
    I suoi principali interessi sono la patristica e la scolastica medievale, la filosofia del Novecento, in particolare, la neoscolastica; la teologia della liberazione e la filosofia analitica.
    Oltre alla filosofia, si interessa di storia contemporanea, economia, politica e attualità.

  5. A quale concetto di “spazio” fa riferimento la poesia in stile kitchen?

    Direi che lo spazio entro il quale intende muoversi la poetry kitchen viene da lontano, proviene dalla intera poetica della Nuova Ontologia Estetica (NOE), l’esperienza poetica formulata da più di un lustro da Giorgio Linguaglossa, ed è una idea di spazio che oscilla fra Marc Augé e Zygmunt Bauman, tra i Luoghi e non-luoghi e la Modernità liquida.

    Nella esperienza contemporanea su luoghi e non-luoghi, Marc Augé scrive: «[…] Essi si incastrano, si compenetrano reciprocamente, la possibilità del non – luogo non è mai assente da un qualsiasi luogo» e getta luce sulla “compresenza” nello spazio sociale di luoghi della solitudine, della non permanenza, dell’interazione strumentale e contrattuale.

    Ma come occorre intender i luoghi e i non-luoghi?
    I luoghi riguardano lo spazio relazionale-identitario-storico. Cioè, i luoghi sono lo spazio in cui le relazioni sono sollecitate e finiscono con l’essere parte integrante di questo luogo; i soggetti si riconoscono al suo interno, e per questo è definito identitario ed è storico perché i soggetti hanno una storia comune o a essa si richiamano.

    Il non-luogo ha caratteristiche opposte perché il non-luogo riguarda tutti gli spazi di transito, di attraversamento, spazi cioè che sono pensati prescindendo dalla relazione. Infatti, i non-luoghi non sono identitari, non sono spazi nei quali ci si possa riconosce come appartenenti a essi e classici non-luoghi sono il centro commerciale, l’autostrada, l’aeroporto, la stazione,

    Nella contemporaneità proliferano questi spazi che sono pensati attorno a dei fini, essi sono come degli incroci di mobilità, dove il rapporto principale si svolge tra il luogo e l’individuo, non tra gli individui all’interno di questo luogo. Naturalmente poi ogni non-luogo può diventare un luogo per qualcuno: si tratta quindi, di una distinzione di atteggiamento e non di sostanza.
    Sul non – luogo Z. Bauman, in Modernità liquida, 2002 afferma: « [Il non-luogo] è uno spazio privo delle espressioni simboliche di identità, relazioni e storia: esempi tali di ‘non-luoghi’ sono sì gli aeroporti, le autostrade, ma anche le anonime stanze d’albergo, i mezzi pubblici di trasporto […]. Mai prima d’oggi nella storia del mondo i non-luoghi hanno occupato tanto spazio».

    Z. Bauman, sempre in Modernità liquida, 2002, stabilisce che ci sono luoghi dove le differenze vengono rese invisibili e ognuno di essi ha una specifica modalità, tra questi, gli spazi vuoti e su essi scrive scrive:« Luoghi ai quali non viene attribuito nessun significato. Non hanno bisogno di essere divisi fisicamente da staccionate o barriere. Non sono luoghi proibiti, ma spazi vuoti, inaccessibili a causa della loro invisibilità […]».

    Ma sempre Bauman parla anche di spazi antropoemici e di spazi antropofagici, cioè di spazi costruiti in modo da respingere, da scoraggiare la socialità e spazi invece che sono costruiti in modo da fagocitare i soggetti disciplinandone in qualche modo i comportamenti per annullare quella alterità che possa rendere possibile qualche forma di socialità.

    Sotto tale aspetto, i non-luoghi di Augé hanno alcune caratteristiche dei luoghi emici (antropoemici), ma accettano l’inevitabilità di una loro frequentazione da parte di estranei in modo che chiunque vi si trovi deve sentirsi come se fosse a casa propria ma non comportarsi come se davvero lo fosse. Sugli spazi vuoti, gli spazi non colonizzati perché nessuno ne avverte il bisogno, gli spazi in fondo alla lista dei luoghi e dei non-luoghi e di tutti gli spazi descrivibili, così Bauman scrive, sempre in Modernità liquida del 2002:«La vacuità del luogo è negli occhi di chi guarda e nelle gambe o nelle ruote di chi procede. Vuoti sono i luoghi in cui non ci si addentra e in cui la vista di un altro essere umano ci farebbe sentire vulnerabili, a disagio e un po’ spaventati».

  6. milaure colasson

    caro Gino Rago,

    l’inconscio, dove si trova l’inconscio?, ma è chiaro: in un non-luogo! La Russia, dove si trova la Russia?, ma è lampante: in un non-luogo! Adolf Putin, dove si trova Adolf Putin?, ma è elementare, in un non-luogo, cioè nella sua testa assediata dal delirio di onnipotenza! Dove siamo noi?, ma è lampante, in un non-luogo. E allora perché stupirci se anche la poesia si trova in un non-luogo?. Il soggiorno dove passo gli 8/9 della mia esistenza, è diventato un non-luogo, cioè, un luogo talmente comune che non ci faccio più caso… Ecco, penso che la poesia debba farsi (possa sorgere) quando ci dimentichiamo che ci troviamo in un luogo, quando questo luogo diventa un non-luogo, allora, di colpo, troviamo le parole, le parole che provengono dal non-luogo. La Storia, dove sta la Storia? Quando nel 410 D.C. Alarico svaligiò Roma e la mise a soqquadro, dove si trovava Alarico con i suoi goti?, ma è chiaro: in un non-luogo collettivo (Roma)… E così via.
    Leggendo le poesie del post odierno mi sono resa conto di questo fatto: che ciascun autore si è costruito il proprio nido di parole, il proprio non-luogo. Questa è la originalità profonda della poesia kitchen (che il Signor Claudio Borghi non potrà mai capire perché lui abita il luogo). La poesia dei poeti normali abita il luogo normale della loro vita normale, quella cosa lì è la vecchia roba di un secolo fa quando si pensava che la poesia la si facesse in un luogo!

    • EWA TAGHER

      Cara Milaure,
      ha colto proprio nel segno! Oramai il non luogo è diventato, almeno per me, l rifugio più sicuro in cui ritirarmi, proprio perchè oramai la nostra vita oscilla tra luoghi noti che hanno perso la loro funzionalità aggregante, storica e sociale, e non luoghi pubblici, che soffrono di eccessi e ridondanze, ridotti come sono a sputacchiere sociali. Perciò il suo non luogo soggiorno, così come il mio diventano sì, anch’essi non luoghi, perchè abusati, ma sono gli unici in grado di ospitare le nostre parole. Fanno in poche parole da filtro, da soglia in cui fermarsi per togliere le sozzure che ci si sono attaccate addosso nel mondo di fuori, negli altri non luoghi nei quali transitiamo, oramai, come fantasmi.

  7. milaure colasson

    Proposta pacifista:

    Propongo che tutte le donne donne del mondo si rifiutino di fare l’amore con gli uomini finché loro andranno a fare le guerre.

  8. milaure colasson

    Un cialtrone di nome Diego Fusaro (filosofo) ha negato che l’esercito russo abbia invaso l’Ucraina. Ecco perché è un fascista. I fascisti li riconosci subito. Se non sbaglio anche Adolf Putin nega di aver ordinato l’invasione dell’Ucraina.

    • Guido Galdini

      Segno della decadenza travolgente: Fusaro l’ha pubblicato anche Einaudi
      Oggi (1 marzo 2022) è il centenario della nascita di Beppe Fenoglio.

  9. A proposito dell’indebolimento della autocoscienza storica dell’Occidente

    Scrive Mario Perniola:
    «Le generazioni che crebbero dopo la fine della seconda guerra mondiale non hanno ereditato questa concezione del mondo [quella storicistica che ha dato vita alla resistenza al nazifascismo] basata sull’importanza decisiva dell’azione individuale e collettiva e sul carattere razionale e progressivo della storia: tale concezione è diventata per loro tanto più estranea quanto più la loro data di nascita si allontanava dalla fine della seconda guerra mondiale.  Esse sono state testimoni di eventi del tutto imprevedibili, in cui significato resta tuttora opaco e indecifrabile fintanto che si ricorre a concetti e alle nozioni che hanno dominato nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento. Questa generazioni si trovano perciò oggi nella condizioni di non aver ancora capito niente degli eventi che hanno vissuto e nei quali hanno perfino talora pensato di giocare un ruolo di protagonisti.

    Dalla fine della seconda guerra mondiale sono accaduti in Occidente quattro fatti imprevedibili che hanno colto di sorpresa anche il pubblico più informato: il Maggio francese del ’68, la Rivoluzione iraniana del febbraio 1979, la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 e l’attentato alle Torri gemelle di New York nel settembre 2001. Nei confronti di questi fatti la stragrande maggioranza delle persone ha fatto propria una frase dello scrittore francese Georges Bataille, impossible et pourtant là (impossibile, e nondimeno qui!)…
    È noto che i contemporanei non sono i migliori conoscitori del loro presente: la maggior parte della gente non vive nell’attualità, e anche i meglio informati si sbagliano. Proverbiale è diventato l’esempio di Lenin che, poche settimane prima dello scoppio della rivoluzione russa, diceva agli operai svizzeri che sarebbe morto prima che questa avesse luogo. In linea di massima, il senso di ciò che è stato vissuto individualmente e collettivamente si scopre solo alla fine. È sempre stato difficile prevedere l’avvenire: tuttavia gli eventi successivi agli anni Sessanta del Novecento presentano un aspetto più refrattario alle interpretazioni che si valgono delle categorie storiche e ideologiche moderne.

    Questi eventi appaiono più come miracoli che come compimenti di processi di cui si conosce lo svolgimento o realizzazioni di utopie; più come traumi  che come tragedie o catastrofi di cui sia possibile elaborare il lutto. Certo è che nel momento in cui la società umana sembra diventare più razionale grazie alle straordinarie invenzioni della tecnoscienza, irrompono nell’esperienza individuale e storica fatti che sembrano caratterizzati da un’irrazionalità che appartiene all’orizzonte artistico e religioso più che a quello scientifico e filosofico, più a sindromi psicotiche che all’esplosione di contraddizioni o crisi che possono essere superate».1]

    Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, 2009 p. 6

  10. Il non luogo è per me dove si tace. Se in un locale pubblico attacco bottone con qualcuno, se faccio conversazione, ecco che il non-luogo diventa luogo; e come tale entra nella memoria (lì abbiamo conversato). Normalmente le persone tacciono – noto sul balcone una donna intenta a sbattere i tappeti, non parla; qualcuno attraversa la strada, non parla; entro nel bar, tacendo, il barista non stava parlando, e così via). Non è come nella letteratura dove tutti parlano, tutti stanno pensando, tutti sono coinvolti in qualche storia, o sono parte di una narrazione. Le persone tacciono, qui sta la differenza con la poesia e la letteratura, che per questo sono luoghi. C’è grande silenzio al mondo e nemmeno ce ne accorgiamo, stare in silenzio è la nostra normale condizione di vita, la nostra pratica, modo di essere, più frequente. Anche per questo, per la presenza di vuoto – ma non sempre, più spesso ce la raccontiamo (appunto) – la poesia noe corrisponde al modo d’essere.

  11. caro Lucio,

    penso che il concetto di non-luogo e di luogo che ha la poetry kitchen sia molto diverso da quello che ne hanno avuto Bauman e Lyotard, oggi il non-luogo si estende in lungo e in largo là dove ci sono sterminate quantità di merci, inoltre gli spazi de-politicizzati delle società occidentali ampliano i non-luoghi a dismisura, e sempre più li amplieranno nel prossimo futuro. La poetry kitchen è il risultato di profondi mutamenti nella struttura sociale e nella struttura della forma-merce dei paesi a capitalismo cognitivo, e anche nella struttura dell’inconscio, ma non quello collettivo di junghiana memoria, quella è una sciocchezza, qui parliamo della struttura dell’inconscio che ne hanno dato Lacan e Zizek con le loro teorizzazioni. Infine, la guerra di invasione dell’Ucraina ha introdotto una grandissima accelerazioni dei processi storici che non potranno non riversarsi anche sulla forma-poesia e su una idea aggiornata e critica di linguaggio poetico. Non possiamo prevedere le conseguenze del collasso del sistema simbolico che la nuova guerra fredda introdurrà, la sfida che attende le democrazie europee nei prossimi decenni è da far tremare i polsi. L’Europa è in pericolo di disgregazione, dall’altra parte ci sono le autocrazie: la Russia e la Cina, lo scontro è e sarà sempre più inevitabile…

    • Per quanto motivata e realistica, la tua visione a me sembra dettata da pessimismo. Vanno ricordate le guerre per “esportare democrazia” condotte dagli americani, in 50 anni quante ne hanno combinate? Questo è il momento di pensare all’Europa, magari riprendere il vecchio slogan “Fuori dalla NATO” e completarlo con una finalità: per l’Europa!. Il fatto che l’Europa abbia una propria moneta e ora incominci anche a darsi un’identità, potrebbe dare fastidio alle super potenze. Ma è l’unico modo per lasciarci alle spalle la vecchia mentalità da guerra fredda.

      • milaure colasson

        Penso che lo scontro tra il blocco delle democrazie a capitalismo cognitivo e le autocrazie a capitalismo statalistico sia inevitabile, il primo blocco dovrà essere così intelligente da adottare una linea morbida e rigida al contempo, finita la guerra fredda del mondo diviso in due blocchi è subentrata in pochi giorni il nuovo scenario mondiale del blocco asiatico (Russia e Cina) e il blocco delle democrazie. Inutile girarci intorno, l’Europa senza l’apporto degli USA è un nanetto politico, militare e geopolitico, infatti Adolf Putin lo ha capito subito, ha irrorato l’Europa del suo gas in modo da renderla dipendente e ricattabile; la politica italiana è stata debole, fiacca e miope negli ultimi 30 anni, i sovranismi e i populismi di questo ultimo decennio è stato il colpo mortale inferto ad un paese che non è né carne né pesce e che vuole continuare a fare la politica dello struzzo: tenere bene affondata la testa nella sabbia all’avvicinarsi del pericolo e delle responsabilità (Lega, 5Stelle e Melona), Draghi lo ha capito da finissimo politico e ha tratto il dado.
        E qui veniamo al luogo. Se vuoi continuare a fare una poesia neorealistica e neo-post-sperimentale puoi continuare a pensare al “luogo” e fare poiesis del “luogo”, cioè una poesia neorealistica; se vuoi fare una poesia e un romanzo distopici devi collocarti nel non-luogo, nel nuovo non-luogo del nuovo inconscio cognitivo e post-edipico. Il pezzo che introduce il post di oggi di Giorgio è rivelatorio.

  12. Tiziana Antonilli

    Menu a reti unificate
    avverbi in divisa centrifugati di aggettivi
    gli specchi restituiscono lische di pesce
    censura preventiva e polizia di stato anche letto al contrario.
    Il Godot di turno veste i panni dell’Apocalisse
    dopo il condono universale la memoria a lungo termine
    verrà dichiarata estinta , i fiumi diventeranno bagni pubblici
    a loro insaputa.
    Tiziana Antonilli

    • Menu a reti unificate!
      È proprio così, la musica è questa. Tutti a battersi il petto, giornalisti e politici. Spettacolo deprimente e indecoroso. Ben venga l’Ucraina in Europa, ma non facciamo i burattini, servi di due padroni!

  13. milaure colasson

    caro Raffaele,

    questa tua poesia la trovo brillante e frizzante, e anche fosforescente, come deve essere una poesia kitchen.

  14. antonio sagredo

    Salvini vorrebbe andare in Ucraina – non so a che fare – ma spero che vada con la maglietta CHE INDOSSAVA ANNI FA dove c’è l’effige di Putin, che in italiano vuol dire “UN PO'”, COME ALCUNI PERSONAGGI DI GOGOL’, E TALE è : UN PICCOLO UOMO ECC.

  15. (Che bello sentire Antonio Sagredo.)…

    Stati Uniti d’Europa subito e rivoluzione Russa, il mese lo scegliessero loro Ottobre, Novembre, Dicembre, Gennaio… Febbraio

    Grazie OMBRA

  16. Tutta la nuova fenomenologia del poetico è, in certo modo, il prodotto del «nuovo mondo»,1 conglomerato di citazioni senza virgolette (non c’è bisogno che sia necessariamente virgolettato) di altri poeti dell’età del modernismo e dell’umanesimo, auto citazioni, ma anche montaggio, smontaggio, compostaggio incessante di tutto ciò che può essere montato, compostato; costellazione di appuntamenti segreti, ricordi, rammendi, parole trovate, perdute, ritrovate, parole dimenticate, fotogrammi, lapsus e, perché no, delle nostre ossessioni, delle nostre fobie. Una «pallottola» che rimbalza qua e là e che produce una sequenza impensabile di disastri, un commissario inconcludente, un misterioso «Ufficio di Informazioni Riservate» di Gino Rago che interviene ad libitum e scombuglia il corso degli eventi, un Faust che colloquia con Mefistofele (Francesco Paolo Intini), la vita come Les choses de la vie (Marie Laure Colasson). Ci guida una idea di poesia ma non possediamo alcuna poesia, ci guida una idea di mondo ma non possediamo alcun mondo. La cultura è spazzatura e l’arte ne dipende come la nettezza urbana dall’immondizia. Parlare di contenuto di verità a proposito dell’arte moderna è come parlare di immondizia dello spirito.
    Con questi frammenti abbiamo puntellato la nostra poesia.

    (Giorgio Linguaglossa)
    .
    1 Cfr. G. Agamben, Nudità, Nottetempo, Roma 2009 «il nostro tempo non è nuovo, ma novissimo, cioè ultimo e larvale. Esso si è concepito come poststorico e postmoderno, senza sospettare di consegnarsi così necessariamente a una vita postuma e spettrale, senza immaginare che la vita dello spettro è la condizione più liturgica e impervia, che impone l’osservanza di galatei intransigenti e di litanie feroci, coi suoi vespri e i suoi diluculi, la sua compieta e i suoi uffici. […] Poiché quel che lo spettro con la sua voce bianca argomenta è che, se tutte le città e tutte le lingue d’Europa sopravvivono ormai come fantasmi, solo a chi avrà saputo di questi farsi intimo e familiare, ricompitarne e mandarne a mente le scarne parole e le pietre, potrà forse un giorno riaprirsi quel varco, in cui bruscamente la storia – la vita – adempie le sue promesse».

  17. milaure colasson

    *

    Un unicorno ha speronato un sidecar sulla via Appia
    Un secondino ha assecondato un terzino a piazza del Popolo
    Un’anitra con il cappello sulle 23 è finita in padella
    con i gamberi per contorno
    Una volta c’era il rosso del nero

    *

    Un masque rouge fait de pétales de coquelicot
    empeste d’opium les bouches d’égouts de Paris

    Un crâne étiré en pan de sucre
    boit assiduement le sang des aigles

    Un nain et un géant mongol
    détectent l’oreille au sol les confessions d’un merle

    La blanche geisha cachée derrière un écran de soie noire
    entrevoit l’orifice hideux d’un boa chansonnier satirique

    Eredia embrasse à coups de poings de geuele
    et de mitraillette une monstrueuse ventouse

    D’une voix timbrée le siège du bus
    écrase une meute survoltée dans un étau de charpentier

    Des petits riens s’échappent en tous sens
    les couronnes des rois flirtent avec le temps

    *

    Una maschera rossa fatta di petali di papavero
    impesta d’oppio i tombini di Parigi

    Un cranio a forma di pane di zucchero
    beve con assiduità il sangue delle aquile

    Un nano e un gigante mongolo
    percepiscono con l’orecchio al suolo le confessioni d’un merlo.

    La bianca geisha nascosta dietro uno schermo di seta nera
    intravede l’orifizio schifoso d’un boa chansonnier satirico

    Eredia bacia a colpi di pugni e grida
    e di mitraglietta una mostruosa ventosa

    Con una voce altisonante il sedile dell’autobus
    schiaccia una muta esasperata nella morsa di un falegname

    Piccoli niente scappano in tutte le direzioni
    le corone dei re flirtano con il tempo

  18. milaure colasson

  19. Nel suo monumentale lavoro su Nietzsche (1961) Heidegger scrive:

    «La domanda “che cos’è l’ente in quanto tale nel suo insieme?”, rimane la domanda-guida della metafisica».

    Che significa questa frase apparentemente innocua? La poesia ha mai pensato che cosa significa e quali implicazioni ha questa domanda?

    Con l’intervenuto «oscuramento» del pensiero metafisico che ha avuto luogo in Europa dalla prima alla seconda guerra mondiale, questa domanda è uscita fuori della attenzione del pensiero filosofico e solo recentissimamente è tornata a circolare nei pensieri dei filosofi italiani ed europei molto probabilmente a seguito degli eventi che hanno visto e vedono l’Europa di nuovo protagonista, come la posta in palio tra la Cina e gli Stati Uniti.

    Quella «retorizzazione del soggetto» che è andata di moda nella poesia italiana ed europea a partire già dalla fine degli anni sessanta con l’annesso primato dell’io e della poesia psicologica, che psicologizzava ogni accadimento, anche il corpo visto come magazzino psicologico, soma, etc., anche quella poesia (che ha i suoi culmini nella poesia di un Mark Strand e del Montale di Satura, 1971, qui da noi), oggi è entrata nel cono d’ombra della cultura mass-mediatizzata, il «si» impersonale nell’ambito del quale si pone anche la questione della poesia auto referenziale, della poesia che produce altra poesia in un circuito normalizzato e normologato; il risultato è che abbiamo assistito in questi ultimi decenni ad una poesia di profilo popolare, culturalmente non significativa che ha adottato in modo acritico la «retorizzazione del soggetto».

    Oggi la poesia che vuole essere significativa non può evitare di fare tre passi indietro rispetto a questa di moda invalsa in questi ultimi decenni, e un salto in avanti, ripartire da lì da dove tutto ha avuto inizio: dalla fine degli anni Sessanta (in Italia), e tentare di riconfezionare una forma-poesia che finalmente si liberi della deleteria psicologizzazione del testo, che ritorni ad occuparsi delle questioni «metafisiche» ma con una diversa retorizzazione del soggetto, anzi, con una retorizzazione dell’oggetto, mi sia consentito dire.
    A mio avviso, i nuovi poeti cechi proposti in questo articolo segnano un momento di distanza e di presa di coscienza, ancora parziale, del problema base, che ciò che occorre fare oggi è la retorizzazione dell’oggetto, con rigida clausura della poesia fondata sulla retorizzazione del soggetto.

    Il «frammento» che pervade la poesia kitchen, ad esempio, è un segnale di qualcos’altro, che indica l’ingresso del lutto nell’opera d’arte come dimora dell’Estraneo.
    La patria ideale dell’Estraneo è il frammento, questo luogo sepolcrale e luttuoso.
    Penso che il ludus, la poesia ludica e luttuosa in modalità kitchen sia il luogo privilegiato della forma-poesia odierna

    Oggi è d’uso comune pensare quello che già Heidegger aveva dichiarato, che la metafisica trapassa in antropologia e quindi è lecito «sostituire la metafisica con l’”antropologia”».1 In questo contesto di pensiero filosofico, le parole «forti» di un tempo non poi troppo lontano come «anima», sono diventate «deboli», e il pensiero che le pensa collega questa parola ad un’altra parola chiave: il «corpo», parola tipicamente moderna, significativa del disagio odierno per questa «cosa» che sembra essersi staccata dall’«io» e sembra vivere una propria esistenza separata, alienata e ingombrante. Anche la parola «anima» è diventata ingombrante.
    Un poeta non può non usare le parole che trova, non può cambiarle a suo piacimento, ma deve limitarsi ad usarle come tasselli o tessere di un mosaico più ampio. L’uomo non è più misura di tutte le cose, il vecchio detto di Protagora è stato svuotato di contenuto veritativo, sono le cose a non essere più a misura dell’uomo e dell’ente nel suo complesso…

    1 M. Heidegger, Nietzsche, (Verlag, 1961) trad it. Franco Volpi, Adelphi, 1994, p.613.

  20. Nella riflessione del Wittgenstein maturo, dalle Ricerche filosofiche in poi, è all’opera un tentativo di de-psicologizzazione del linguaggio, vale a dire un’indagine grammaticale relativa al modo in cui parliamo delle nostre esperienze «interne». Centrale, in quest’ultimo tratto del percorso wittgensteiniano, è il termine «atmosfera» (Atmosphäre): attraverso una critica di tale concetto, il filosofo austriaco analizza il nostro modo di parlare dei processi psicologici e, in particolare, della comprensione linguistica, intesa come esperienza mentale «privata». Contro l’idea che il significato accompagni la parola come una sorta di alone di senso, come un sentimento o una tonalità emotiva (Stimmung), Wittgenstein valorizza l’aspetto comunitario e già da sempre condiviso dell’accordo (Übereinstimmung) tra i parlanti. Il richiamo al modello musicale dell’accordo armonico tra le voci consente così di recuperare la dimensione atmosferica, auratica e coloristica dell’esperienza linguistica in cui si assiste a una «sintonizzazione» tra i parlanti coinvolti in un comune sentire, il cui luogo ideale è per eccellenza la forma-poesia.

    Lucio Mayoor Tosi

    S’apre una porta

    Un notturno di seta deve essere passato
    davanti alla casa in Illinois. L’uomo che stava piangendo
    ora si vede al centro dell’umanità

    dove tutti son voltati di spalle. E nudi.

    «Nessuno sa del silenzio che c’è qui».

    «Giuro su niente che ti sarò fedele e darò la vita
    per ognuno che passi, anche sbadatamente, nel mio
    corridoio».

    « Nei libri di scuola si parla di rondini meccaniche
    che a primavera. E di scritture distratte. Pomeriggi assolati».

    Le figure, insieme ai versi, si rintanano
    nell’ombra.

    È difficile entrare dentro questa poesia, come ogni enigma è chiusa in sé, va in senso contrario alla «de-metaforizzazione» che Pier Vincenzo Mengaldo individuava nella poesia di Satura (1971) di Montale. Ma proprio in quanto ostica alla penetrazione del lettore la poesia impone la sua presenza, obbliga il lettore a tornarci sopra. La poesia non ha senso, nel senso che ha molti sensi e tutti diversi, tutti dispari, tutti «sentieri interrotti» (gli Holzwege di Heidegger), e nessuno che conduca in qualche luogo perché non c’è un luogo che possa essere abitato, ci sono soltanto luoghi di sosta, luoghi parentetici, luoghi di transito. Ci sono frammenti di una conversazione che è caduta nel buio, pensieri che galleggiano, che emergono dal buio… ma che non sanno dove andare…

  21. Grazie per la lettura insperata, caro Giorgio.
    La poesia contiene errori, qualche virgola di troppo. Mi servivo un po’ troppo dell’immaginario.

    “tutti «sentieri interrotti»”

    è un modo di interpretare il frammento NOE: frammento che interrompe (altro da pensiero interrotto). Diciamo così, per non indulgere nel discorso. Nemmeno una virgola.

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