Intervista a  Iana Boukova a cura di Ewa Tagher, con Poesie  di Mimmo Pugliese, Francesco Paolo Intini, Ewa Tagher, Marie Laure Colasson, un compostaggio di Mauro Pierno, La poesia si occupa delle illusioni ottiche del nostro pensiero, delle imperfezioni del nostro sguardo mentre cerchiamo di leggere il mondo: ciò che vediamo e ciò che immaginiamo di vedere, e ciò che facciamo tutto il possibile per non vedere. La rigorosa critica del presente che mette in atto la poesia delinea i problemi del futuro.

Domanda: La pandemia di Covid 19 e la crisi climatica hanno messo a confronto l’umanità con la dura verità che non importa quanto ci proviamo e comunque la scienza progredisca, non possiamo essere totalmente immuni dalle malattie e dalla morte. Il risultato è una ferita narcisistica per l’io umano, simile alle altre che ne hanno minato la centralità, a cominciare da Copernico (non siamo al centro dell’universo), per arrivare a Darwin (siamo il mero prodotto dell’evoluzione e non immagine divina), e a Freud (l’io non è padrone in casa propria ma è governato dall’inconscio). Secondo te, come può oggi la poesia affrontare questo ridimensionamento?

Risposta: Credo che la poesia abbia affrontato questo tipo di ridimensionamento per tutto il XX secolo e fino ad oggi: guerre, totalitarismi, un generale senso di delusione su come il progresso scientifico interagisce con la giustizia sociale. Il lavoro della poesia è sentire le crepe nelle costruzioni razionali di ogni epoca, scoprire le debolezze di ogni costrutto narcisistico del nostro ego personale o collettivo. La poesia percepisce le crisi ancor prima che appaiano. Non per un dono profetico, ma per l’ipersensibilità della percezione. La poesia si occupa delle illusioni ottiche del nostro pensiero, delle imperfezioni del nostro sguardo mentre cerchiamo di leggere il mondo: ciò che vediamo e ciò che immaginiamo di vedere, e ciò che facciamo tutto il possibile per non vedere. La rigorosa critica del presente che mette in atto la poesia delinea i problemi del futuro. In questo senso, in questa particolare crisi a cui stiamo assistendo, non credo che la poesia abbia bisogno di un nuovo approccio. Deve solo continuare a funzionare come sempre, ad es. essere tagliente, intransigente e irritante. In altre parole, non permettere il sonno. A proposito, la vulnerabilità umana e la morte non hanno mai smesso di essere uno dei suoi temi principali.

Domanda: In un’intervista con Athina Rossoglou hai detto “Penso che al giorno d’oggi non abbiamo altra scelta che imparare a usare il sentiero della poesia per camminare nel mondo”. Quanto è necessario e perché, oggi, scrivere e leggere poesie?

Risposta: Considero la poesia come un metodo per studiare il mondo, come una strategia cognitiva. In un’epoca in cui tutto è fluido e non esistono sistemi filosofici indiscutibili, nessuno può darti una visione del mondo. Devi costruire la tua visione del mondo. La poesia ti offre gli strumenti per farlo. Ti educa a rilevare le connessioni tra i pezzi, ad articolare frasi in mezzo al rumore generale. In altre parole, ti allena a mantenere l’equilibrio su un terreno che è tutt’altro che stabile.

Domanda: La tua è una poesia che non ha un manifesto dichiarato, né un intento preciso, hai detto più volte che le tue poesie non sono mai le stesse. Ed è vero, ogni tua poesia è diversa dalle altre. Ciò che li accomuna, però, è il tuo tentativo di usare il linguaggio al massimo, giocando con le infinite possibilità che offre, in senso estetico e contenutistico. La poetessa bulgara Silvia Choleva parla di te come di “un’autrice di tipo borgesiano” che “predilige i giochi, i riferimenti, gli enigmi, i colpi di scena inaspettati, l’ironia e la drammaturgia del verso”. Da quale necessità ti fai guidare quando scrivi poesie?

Risposta: Ogni poesia inizia per me come una sorta di ricerca (o indagine). Un’immagine, un fatto o una frase mi pone una domanda, mi dà un punto di partenza. Il labirinto di connessioni, scoperte e colpi di scena nella ricerca di una risposta crea il testo. Questo è un percorso che non so mai dove porterà. Se riesco a sorprendermi, se finisco in un posto che non mi aspettavo, il testo ha funzionato.

Domanda: Come ci si orienta in un mondo che produce informazioni in eccesso, attraverso mezzi informativi che ne amplificano i toni, a volte perentori, poi sensuali, ricattatori, e ancora scandalosi, sempre più allarmisti, e che producono una massa di linguaggi ibridi, di rumori di fondo, di nuovi fonemi?

Risposta: In effetti, la poesia, come ho detto sopra, aiuta molto in questo. Mi insegna a essere costantemente vigile e a rimanere concentrata. Allena la mia memoria a tenere traccia delle informazioni importanti per me e a seguire una narrazione, non importa quanto  frammentata. Leggo spesso anche articoli scientifici: il linguaggio pacato, equilibrato e allo stesso tempo pieno di passione per la conoscenza del linguaggio della scienza mi aiuta a mantenere un senso di scala rispetto alla piccolezza dei temi mediatici, a estirpare il significativo dall’insignificante . Credo che qualcosa di estremamente importante oggigiorno sia creare silenzio per se stessi e per i propri pensieri. Ho creato nel tempo, per me, un filtro insonorizzante molto ben costruito. D’altra parte, tutto questo spreco di informazioni di cui parli può anche essere materiale per la poesia. (Tutto potrebbe essere materiale per la poesia.) Nel mio ultimo libro, ho ripetutamente incorporato nei miei testi frammenti di storie, notizie, trame cospirative e opinioni popolari. Anche questi fanno parte dell’inquietante ricchezza del mondo e dei nostri tempi, hanno il loro valore simbolico. Trovo significativa la loro assurdità.

Domanda: Hai scritto la tua ultima raccolta di poesie Notes of the Phantom Woman (Sofia, 2018) / Drapetomania (Atene, 2018) in due lingue diverse, il bulgaro, la tua lingua madre, e il greco, la tua lingua di adozione. Una vera sfida! È forse la dimostrazione che i linguaggi sono solo strumenti, materie plastiche da utilizzare per compiere un percorso di ricerca poetica?

Risposta: In questo libro  particolare,  lavoro più con le idee e lo sviluppo di situazioni di pensiero, che con il peso e l’aura delle parole. In pratica, questo significava per me che tutto poteva essere detto in modo altrettanto chiaro e convincente in entrambe le lingue con cui lavoro. Lascio che la lingua mi guidi solo nei dettagli. Ma questo non è il mio unico metodo di lavoro. I miei ultimi due progetti di poesia, ad esempio, sono interamente orientati al linguaggio. Uno, la “S”, che è stata pubblicata in Grecia lo scorso dicembre, è una scommessa per definire in modo metaforico e fantasioso tutti i nomi greci che iniziano con questa lettera. Si basa sul “contorto”,  un gioco di associazioni libere in lingua greca che è la mia lingua di adozione. Il secondo “Le paure che portano alla follia” (di prossima pubblicazione) si basa su “testo trovato” in bulgaro e tratta l’incapacità della persona moderna e della lingua in particolare di affrontare il tema della morte. Entrambi sono abbastanza intraducibili. Quindi nella mia opera  a volte la lingua è solo uno strumento, a volte una “collega” di lavoro, a volte lascio che sia lei a comandare, dipende dal mio istinto del momento e dall’idea del progetto.

Domanda: Oltre a scrivere poesie, traduci i versi dei più grandi poeti del mondo greco e romano, da Saffo a Catullo. Qual è il tuo rapporto con i testi antichi?

Risposta: Il contatto con gli autori antichi ha ampliato i miei orizzonti sulla letteratura contemporanea. Ho imparato a guardare alla letteratura nel contesto del tempo profondo, al di fuori di ogni teoria letteraria corrente, spesso dogmatizzata, imposta nel quadro del presente. Ho imparato a osservare più somiglianze che differenze tra i testi poetici, indipendentemente dalla loro lontananza nel tempo (o culturale o geografica). È sempre emozionante scoprire la vicinanza nei metodi con cui poeti separati da millenni o migliaia di chilometri da noi parlano della condizione umana. Naturalmente, non è stato un caso che ho scelto Saffo e Catullo per la traduzione. Hanno questa rara fortuna nella letteratura di essere completamente traducibili – emotivamente, mentalmente e come poetica per il lettore di oggi. Suonano come i nostri contemporanei.

Domanda: Lo scrittore Gore Vidal diceva: “l’intellettuale è come il canarino nella miniera”. Che aria tira nella tua miniera?

Risposta: Abbastanza insolita e fuori moda, sono ottimista. Sento l’aria nella mia miniera né più pesante né più pulita che in altri tempi della storia. Non è facile essere umani e non è facile vivere tra le persone. Ma anche nei momenti più difficili di stupidità o crudeltà che invadono il mondo, credo profondamente nella capacità delle persone – prima o poi, anche dopo tanti errori – di trovare soluzioni. L’aria nella mia miniera è del tutto imprevedibile, come nella vita. A volte sembra stagnare fino alla morte e proprio quando meno te lo aspetti qualcosa cambia, anche una leggera brezza e puoi respirare di nuovo.

NOTA BIOGRAFICA

Iana Boukova è una poetessa e scrittrice bulgara. Nata a Sofia nel 1968, si è laureata in Lettere Classiche all’Università di Sofia. È autrice di quattro libri di poesie, tra cui I palazzi di Diocleziano (1995), La barca nell’occhio (2000), Le note della donna fantasma (2018) e S (2021); due raccolte di racconti; e il romanzo In viaggio nella direzione dell’ombra (2009). La sua raccolta di poesie Notes of the Phantom Woman ha ricevuto il Premio nazionale Ivan Nikolov per il libro di poesie più eccezionale nel 2019. Una versione in lingua greca è stata pubblicata anche nel 2018 ad Atene con il titolo Drapetomania. Le sue poesie e racconti sono stati tradotti in numerose lingue, tra cui inglese, greco, spagnolo, francese, tedesco e arabo.
Boukova è anche editore e traduttore in bulgaro di oltre dieci raccolte e antologie di poesia greca moderna e antica, tra cui Frammenti di Saffo (Premio dell’Unione dei traduttori bulgari nel 2010), la raccolta di poesie di Catullo e le Odi pitiche di Pindaro (Il Premio Nazionale per la Traduzione nel 2011).
Boukova vive in Grecia dal 1994, dove è membro della piattaforma Greek Poetry Now e del comitato editoriale di FRMK, una rivista semestrale di poesia, poetica e arti visive.

Ewa Tagher

RISONANZE

Nave in arrivo da sud

La sirena di bordo gracida appena.

Nella sala macchine un fuori sinc

senza rimedio.

Dalla banchina l’onda di un coro

miagolii e dita peste.

Nebbia.

Anche strizzando gli occhi

la voce rimane a mezz’aria.

“Tuo nonno, un disertore”

giù per un vallone

al confine con la Francia.

Guadato il fiume restò

solo un paio di occhiali rotti in mano.

“Hai ancora sete?”

Dalle mie parti col sole d’agosto

orti e giardini si arrendono.

Solo il fico a dispetto

gonfia mammelle piene di latte.

Mauro Pierno

Un Compostaggio

Un rumore di motori scende dai tetti
innervosisce le briciole, scompone il
vento/
Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court./
I frantumi sono già dei simboli, afferma Rushdie./
Nella sala macchine un fuori sinc
senza rimedio./
L’inganno delle medaglie.
La neve di Pechino il sushi della rivoluzione. Deglutire ad una apparizione./
Ecco,
la potenza del vuoto è nella sua immensa forza creatrice./
Un Boeing, rispose il pompiere
La mia canzone, rispose un tizio silenzioso.

[In ordine di citazione: Marie Laure Colasson, Mimmo Pugliese, Gino Rago, Giorgio Linguaglossa, Ewa Tagher, Mauro Pierno, Vincenzo Petronelli, Iana Boukova]

Mimmo Pugliese

Il tango ha i capelli ricci

Hai nascosto le parole dietro i denti della pioggia
le matite accanto ai gatti sugli scafali del metaverso.

La memoria degli aghi di pino
bussa alla catatonia del polonio.

Sulle sbarre di sabbia diventa latte il ritorno
girato l’angolo è magro il fruscio del segnalibro.

Tra virgole d’asfalto si riposano gli elefanti
sorvolano il sudore i citofoni delle banche.

La giacca di flash-back centrifuga bustine di thè
su ponti inesistenti resistono passeri rampanti.

Non ti hanno visto partire
erano spenti i semafori.

Ha capelli ricci il tango uscito dallo specchio
ZZzzz…ZZzzz… video in riconnessione…..

Fuori è pomeriggio

Il pomeriggio che abbaia
si perde dietro all’eco del labirinto

Un rumore di motori scende dai tetti
innervosisce le briciole, scompone il vento

Nella fessura degli armadi
la luce bagna impermeabili nuovi

Quando la collina naviga nella pioggia
sono àsole le canne sulla strada

Alberi che non ti sono mai piaciuti
sciolgono gli intrighi delle onde

Ha dita di sale la botola
che scrosta i muri alla fine del fiume

La traiettoria del sonno si lascia dietro
scarpe e cifre smaltate sulla camicia

Mordono la luna gli storni
mentre parli ai cani della vendemmia

Francesco Paolo Intini

MARLIN

Ci sono missili che fanno la spesa al supermercato
Comprano nature morte senza copyright.

E intanto che nel nervo X si elencano le sinapsi da bloccare
Bartolomeo Colleoni segna un punto nella partita a golf

Ma forse non c’è stato e dunque il fegato chiude il coledoco
dopo la pestilenza , subito dopo Pasqua, oppure prima della Lotteria

Anche ora che la minaccia sembra sepolta
I contromissili di questa parte mostrano grossi sigari dalle ogive.

Ci sarà come trovare aria pura negli intestini
Penetrare da qualche altra parte e respirare nel duodeno.

Nell’attesa che il pancreas blocchi il dotto
Una gru parla in Televisione di una foglia
Che si secca di scendere giù dall’ albero.

Rallegra un Marlin con la testata bionda
Più della moglie appena uscita dal parrucchiere

Marie Laure Colasson

8.

Roulement de tambour dans une pluie tropicale
Un envol cinématographique Orson Wells denude à cinq heures du matin
Rita Hayworth dans son lit

Comparaison confusion entre un mort et un vivant
Charlotte enfourche son Harley Davidson s‘échappe

Les oiseaux flèches d’un ciel aquatique
revêtent leurs combinaisons spatiales pour affronter
les astres et les désastres

“Fleurs de nénuphars” dans la poitrine
Zaza enfile des vérités comme des perles

Droguée de Sporanox Sœur Candida de la perversion
bas à résille la nuit fait le tapin rue de la Gaité

L‘astrophysicien observe au telescope les couleurs des ombres
Se gratte le crane à rythme cadencé selon les heures

Rimbaud et Barbara voyagent à travers les océans
“vont à la plage et font beaucoup d‘enfants”

Envolées des violons Méditation de Massenet
Charlotte grimpe sur una échelle avec con Harley Davidson

Miss vitamins A B C D E quatre-vingt milliards de probiotiques
se transforme en poupée gonflable pour des plaisirs dissimulés

*

Rullio di tamburo in una pioggia tropicale
un volo cinematografico Orson Welles spoglia alle cinque del mattino
Rita Hayworth nel suo letto

Comparazione confusione tra un morto e un vivo
Charlotte cavalca la sua Harley Davidson e scappa

Gli uccelli frecce di un cielo acquatico
indossano le loro tute spaziali per affrontare
gli astri e i disastri

“Fleurs de nénuphars” nel petto
Zaza infila delle verità come delle perle

Imbottita di Sporanox sorella Candida della perversione
calze a rete la notte batte il marciapiede in rue de la Gaité

L’astrofisico osserva al telescopio i colori delle ombre
si gratta il cranio a ritmo cadenzato a secondo delle ore

Rimbaud e Barbara viaggiano attraverso gli oceani
“vanno in spiaggia e fanno molti figli”

Slancio di violini la Meditazione di Massenet
Charlotte si arrampica su una scala con la sua Harley Davidson

Miss Vitamine A B C D E ottanta miliardi di probiotici
si trasforma in bambola gonfiabile per dei piaceri dissimulati

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26 risposte a “Intervista a  Iana Boukova a cura di Ewa Tagher, con Poesie  di Mimmo Pugliese, Francesco Paolo Intini, Ewa Tagher, Marie Laure Colasson, un compostaggio di Mauro Pierno, La poesia si occupa delle illusioni ottiche del nostro pensiero, delle imperfezioni del nostro sguardo mentre cerchiamo di leggere il mondo: ciò che vediamo e ciò che immaginiamo di vedere, e ciò che facciamo tutto il possibile per non vedere. La rigorosa critica del presente che mette in atto la poesia delinea i problemi del futuro.

  1. L’autocrate Putin, capo di una potenza che ha la bomba nucleare, ha iniziato l’attacco alle democrazie dell’Europa e dell’Occidente. È iniziato un nuovo mondo, un nuovo corso della storia nel quale le democrazie d’Europa devono decidere se essere acquiescenti o assumere una posizione politica ferma in difesa dei valori delle democrazie. Atene contro Sparta.

    Alfonso Berardinelli, Gli sforzi di Magrelli per convicersi di essere poeta – La sindrome Magrelli – Il caso Italia nella medietà della situazione culturale propugnata dalle grandi case editrici – Il degrado morale, politico e istituzionale della poesia italiana maggioritaria – Commento di Letizia Leone

  2. Ecco qui un poeta romano degli anni novanta speculare a Valerio Magrelli, pur nelle difformità, per il suo assolutismo monarchico attorno alla narcisistica immagine del proprio io innalzato ad altare ed emblema della monarchia universale delle poesia.

    Gianfranco Palmery (1940-2013), Poesie da In Quattro (2006) Compassioni della mente (Passigli, 2011) e Corpo di scena (Passigli, 2013) con una Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

  3. Risposta di Alfonso Berardinelli, da Poesia non poesia, Einaudi, 2008 pp. 4 e segg.

    https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/06/25/alfonso-berardinelli-in-poesia-si-puo-parlare-di-tutto-cosi-la-poesia-si-e-resa-irrilevante-e-un-nome-vuoto-da-annuario-a-cura-di-giorgio-manacorda-castelvecchi-1994/

    Le regole che governano la produzione giornalistica e i media sono ormai piú impegnative di quelle che governano i testi poetici. A un vero poeta una sfida del genere non dovrebbe dispiacere.

    Io non credo nella poesia. Credo soltanto in quelle poesie che mi fanno credere in loro. Se convince il lettore, la poesia non ha bisogno di essere difesa. Se non lo convince perché difenderla?
    Credo che oggi il piú insidioso e temibile nemico della poesia sia la poesia stessa, o meglio la sua idea, il suo mito, la sua nobiltà tradizionale: un valore che appare tuttora garantito di per sé come eccellente.

    Dopo il 1975, a partire da un libro inchiesta che pubblicai con Franco Cordelli, Il pubblico della poesia, il recupero e la “riappropriazione”della poesia da parte di tutti (il Movimento) comportarono l’oblio di circa il precedente e più che secolare dispiegamento di coscienza autocritica che aveva caratterizzato la poesia moderna. Un’autocritica produttiva se aveva prodotto Schiller, Leopardi, Baudelaire, Eliot, Majakovskij, Montale, Ungaretti, Brecht, i surrealisti e innumerevoli altri classici della modernità.

    A metà degli anni Settanta diventò chiaro che si stava ricominciando da un grado zero dell’autocoscienza storica. Cosa che in sé poteva anche significare un nuovo e particolare tipo di interruzione della continuità rispetto al passato prossimo. Niente più né impegno né avanguardia. Cioè niente rapporto dialettico fra poesia e storia, fra evoluzione o mutamento delle forme letterarie e processo storico, comunque lo si intendesse. Il potenziale autocritico precedente, in Italia sintetizzato da poeti ipercritici come Fortini e Sanguineti, veniva disinnescato perché il fardello dei presupposti di autocoscienza storica era diventato troppo pesante per i nuovi poeti. L’autonomia, l’autarchia creativa veniva ora resa possibile dall’eliminazione di quel particolare negativismo ascetico trasmesso dall’Estetica del Silenzio (come la definì Susan Sontag) e dalle ipotesi sulla fine imminente dell’Arte.

    Le poesie di Amelia Rosselli, Fortini, Zanzotto, Sanguineti sembravano scritte nel giorno che precede una rivoluzione capace di rendere superflua la creatività specificamente e tradizionalmente artistica. Non a caso nella prefazione al Pubblico della poesia, evocando ironicamente il pathos novecentesco del rapporto poesia-rivoluzione, scrivevo che un poemetto di Gregorio Scalise, un po’ come le poesie di Francis Ponge, sembrava scritto dopo una rivoluzione vittoriosa. Dato che non c’era stata, propriamente parlando, nessuna rivoluzione, quel dopo significava nient’altro che l’idea di rivoluzione aveva cominciato improvvisamente ad appartenere al passato. La poesia era quindi libera di riprodursi in regime di innocenza storica e politica. Non doveva rispondere a nessun tribunale.

    La stessa critica letteraria era disarmata e priva di legittimazione “militante”, fondata in precedenza, da circa due secoli, sul conflitto fra tradizione e innovazione, fra rivoluzione e restaurazione, fra progressismo e conservatorismo. Perciò: scrivete pure poesia senza pensarci troppo! Nessuno potrà più giudicarvi in nome di presunte istanze superiori (cioè storico-politiche) né teoriche né pratiche!

    Intorno alla metà degli anni Settanta, la poesia di oggi non era più la poesia di ieri. E la poesia di oggi era quella che scrivevano e avrebbero scritto le generazioni nate dopo il 1935. Il salto, il distacco (volendo fare solo qualche nome) è quello che avviene fra Pagliarani e Zeichen, fra Raboni e Cucchi, fra Andrea Zanzotto e Patrizia Cavalli. Cosa era successo in quell’intervallo? Si possono fare diverse ipotesi. Ne faccio due, intanto. La prima è che l’idea ossessiva dell’interruzione della continuità e del balzo da una sponda all’altra della Storia, senza aver prodotto l’avvento di una società liberata e senza classi, aveva prodotto invece la situazione pomoderna – che in verità ha caratterizzato in forme implicite tutto il periodo che segue il 1945 e in forme esplicite il cosiddetto post-Sessantotto.

    Eravamo, nel 1975, alle forme esplicite. Il fardello della modernità veniva deposto. La croce dell’autocritica dell’arte veniva abbandonata. Si cominciava, si ricominciava a scrivere in un diverso tipo di presente, un presente senza passato. O meglio: in un presente che non riconosceva più nessun privilegio al passato prossimo, moderno e novecentesco, ma poteva invece compiere vertiginosi, remunerativi o del tutto gratuiti salti all’indietro, in diversi passati remoti. Si poteva scrivere poesia pensando a Lucrezio, a Catullo, a Marziale, a Guido Cavalcanti, e John Donne, a Metastasio, a Shelley. Nel giro di pochi anni la stessa Tradizione del Nuovo, cioè tutta la poesia moderna era visitata non più come un tempio in cui compiere atti di fede, di iniziazione e di sacrificio, ma come un museo dentro cui aggirarsi, un po’ oziosamente, in cerca di evasioni o di modelli da imitare senza impegno e senza neppure crederci troppo. Baudelaire poteva essere riletto come Villon, Whitman come Bukovski o Carver. Tutti ugualmente attuali e archeologici, viventi e sepolti nello stesso tempo. L’eterno ieri (che secondo Max Weber fonda la Tradizione), ormai senza più nessuna autorità e al servizio del presente, si estendeva da Saffo e Li Po fino a Elsa Morante, Penna e Caproni.

    Foto Dolore senza voltoFoto man who wear hat
    Inebriante libertà! Tutto era possibile: dalle centurie di quartine di Patrizia Valduga, dagli endecasillabi e settenari di Bianca Tarozzi, di Patrizia Cavalli e Riccardo Held, fino ai versi liberi (sempre troppo liberi) e alla prosa poetica senza «a capo» che più recentemente si sta impadronendo dei libri di poesia e si alterna agli eccessi di metricismo.

    Circa quindici anni fa, quello che allora era un giovane critico, Mario Barenghi, scrisse su “Linea d’ombra” un intervento sorprendente che non riesco a dimenticare. Proprio mentre si diffondevano le più convinte e in apparenza inoppugnabili certezze sulla creatività poetica ritrovata, ecco che Barenghi diceva una verità altrettanto e ancora più inoppugnabile. Si chiedeva come mai, alla fine di ogni anno, quando facciamo i nostri personali bilanci di lettori e ci sentiamo in debito per non aver letto quel romanzo o quel saggio, perché fra i libri che sentiamo di aver dovuto leggere non ci sono mai, ma proprio mai, i libri di poesia contemporanea. Chi si sente più in difetto o in colpa per non aver neppure preso in considerazione i trenta o i sessanta volumetti poetici pubblicati nell’ultimo anno? Nessuno si rammarica più, diceva Barenghi, di queste lacune e inadempienze. Neppure i critici, gli studiosi, i docenti di letteratura contemporanea.

    Dopo molti anni da quella scoperta di Barenghi le cose non sono cambiate. Escono diverse antologie. Ma bisogna proprio essersi programmati come critici di poesia italiana attuale per leggere queste antologie sempre più pletoriche, per analizzarne i criteri di selezione e valutare le scelte critiche dei curatori. Si fa presto. Basta un’occhiata ai poeti inclusi per controllare quanti e quali sono i poeti esclusi ( si procede per decine, non per unità). Si scorre l’introduzione. Ma chi legge o rilegge davvero le poesie antologizzate? […] Il vincolo con il passato si è allentato fino a diventare inafferrabile per tutta la letteratura, non solo per la poesia. Ma almeno la narrativa e la saggistica hanno il loro pubblico. Il pubblico della poesia resta un fantasma, un pubblico di non lettori, una virtualità che sembra condannata a rimanere tale.

    Come si può parlare criticamente, usando il linguaggio della critica letteraria, voglio dire, con il suo carico di cognizioni storiche e tecniche, occupandosi di tanti nuovi poeti? Me lo chiedo da tre decenni. Ma ogni volta è come se fosse la prima volta. La produttività poetica dilaga. Negli ultimi due o tre anni devo essermi distratto (me ne accorgo ora) perché apprendo che sono nate nuove scuole, nuove tendenze, di tonalità prevalentemente sadico-ilare o depresso-sadica. Ci sono in giro e in piena attività almeno venti o trenta poeti di cui so ben poco. Provo a leggere, a informarmi. Ma noto che la cosa più difficile è proprio questa. Già dire leggere è un eufemismo, perché leggere la maggior parte di queste poesie è difficile. Non meno difficile è quindi informarsi perché dai testi antologizzati si ricava poco, non bastano a farsi un’idea degli autori, mentre i libri interi sono ridondanti e fuori misura, perché dopo le prime pagine si sa già tutto.

    Leggere i poeti italiani contemporanei è quasi sempre esasperante. non si capisce perché dopo quella frase c’è quell’altra, non si capisce perché il testo finisce a quel punto, non prima, non dopo. È veramente strano che con tante scuole di scrittura creativa, nessuno sia riuscito, in questi ultimi dieci anni, a insegnare il minimo di tecnica utile.

    …Il titolo di un libro di Alessandro Carrera: I poeti sono impossibili… il libro possiede un’importante qualità letteraria: la capacità davvero molto poetica di far vedere che oggi come ieri la poesia la fanno i poeti e che quindi finisce inevitabilmente per somigliare a loro.

    All’inizio del quarto capitolo, intitolato Siamo tutti grandissimi poeti, Carrera ci ricorda una cosa: Robert Musil «osservò che la decadenza della modernità era iniziata il giorno in cui nella cronaca sportiva di un quotidiano viennese si potè leggere che un certo cavallo, gran vincitore di corse, era geniale».

    Orazio lamentava che i poeti fossero innumerevoli. Quevedo scriveva che «Dio aveva mandato un’epidemia di poeti in Spagna per punirci dei nostri peccati; due secoli dopo, Pietro Giordani, si lamentava con Leopardi che ormai chiunque sapesse leggere e scrivere si riteneva in grado di impugnare carta e penna e gettar giù versi a profusione. Osip Mandel’stam constatava con scoramento l’esistenza di un miserabile esercito di poeti che aveva invaso la Mosca rivoluzionaria». Montale scrisse che «se Guglielmo Giannini, invece di fondare il movimento dell’Uomo qualunque, con obbligo dello stato di stampare a proprie spese i versi di ogni cittadino, avrebbe mandato almeno un centinaio di deputati in Parlamento»

  4. Tiziana Antonilli

    L’intervista a Iana Boukova è stupefacente per lucidità e intelligenza. A Boukova non mancano qualità visionarie che non sono in contraddizione con la lucidità di cui parlavo prima. Potrei usare la parola ottimismo. Mi domando, infatti, se ci siano davvero persone che vogliano lavorare sulle ‘illusioni ottiche’ , che vogliano ‘sentire le crepe ‘ nella visione che le società offrono di se stesse, Mi domando se ci ci sia davvero la voglia di fare una poesia ‘ tagliente e irritante’, da ‘non permettere il sonno’ al lettore. Non sarò certo io a cadere nella negatività, anzi abbraccio in pieno le parole di Boukova. Intendo solo dire che questi ultimi anni hanno mostrato una tendenza, forse innata nella specie umana, al conformismo, alla credulità e al quieto vivere.
    .

  5. Cercatori d’oro. Con filtri d’ogni tipo. Stivaloni per acque gelide, setacci e pale.
    Un lavorio costante e continuo di ricerca , permanente.
    Questo il senso dello:
    “Slancio di violini la Meditazione di Massenet
    Charlotte si arrampica su una scala con la sua Harley Davidson”
    Cosa resta dopo una sgassata di una Harley?
    Cappellacci e copricapo d’ogni sorta. Sotto il sole, la pioggia incessante, il vento impetuoso.
    “Gli uccelli frecce di un cielo acquatico
    indossano le loro tute spaziali per affrontare
    gli astri e i disastri”.
    Sorridiamo come Titti a Gatto Silvestro!
    Filtriamo e setacciamo imperterriti versi.
    Oh, oh…mi è semblato di vedere un gatto!
    “L‘astrophysicien observe au telescope les couleurs des ombres
    Se gratte le crane à rythme cadencé selon les heures.”

    Grazie Colasson, grazie OMBRA.

  6. milaure colasson

    cara Tiziana e caro Mauro,

    penso anch’io come Berardinelli che una volta c’erano le poesie che sembravano scritte prima di una rivoluzione o dopo una rivoluzione. Negli ultimi lustri ci sono invece soltanto poesie bene educate che sono scritte da signore borghesi con un redditizio conto in banca o da impiegati del catasto della pseudo cultura attentissimi alle recensioni degli amici degli amici e alle frequentazioni politiche. Questi impiegati della pseudo cultura fanno illusioni ottiche, illusionismi, bravissimi nel gioco delle tre carte.

  7. Riprendo qui l’argomento della serendipità di Gino Rago per spezzare una lancia a suo favore. Nel mio ambiente c’è un esempio lampante di una scoperta del tutto fortuita che ha aperto un’autostrada nel campo della cura del cancro. Forse è meno nota di quelle riportate su, ma non meno importante, secondo me. All’inizio degli anni ’60, Barnett Rosenberg un ricercatore dell’ Università del Michigan, studiando l’influenza di un campo elettrico sull’accrescimento dei batteri di “escherichia coli”, notò come questi non si replicavano normalmente ma si allungavano abnormemente. Spinto da pura curiosità scientifica negli anni successivi riuscì ad isolare il responsabile di quel comportamento. Si trattava del “cisplatino”, un semplicissimo complesso di platino, che veniva a formarsi a partire dagli elettrodi metallici utilizzati nell’esperimento e scoperto tra l’altro, dall’italiano Michele Peyrone più di un secolo prima ma di cui non si sospettava l’attività biologica e soprattutto antitumorale è stato dimostrato nei decenni successivi da infiniti studi e dalla pratica clinica a partire dalla pubblicazione sulla prestigiosissima “Nature” nel 1965 dei risultati. Quest’esempio illustra egregiamente come all’interno della normalità degli eventi entri il gioco del caso in cui a cogliere il colpo fortunato c’è sempre un uomo in grado di farlo.
    La serendipità in campo poetico significa far affidamento sulle strutture portanti di cui dispone la scrittura per versi maturata in campo Noe come l’ interferenza, l’ entanglement, le inversioni dei tempi, gli accostamenti più o meno probabili, i richiami storici, le associazioni mentali, le invenzioni, le risonanze e altro ancora. Con il loro intervento la stesura finale di un testo non assomiglia mai a quella che le ha dato i natali. In questo senso capisco perfettamente cosa intende dire Iana Boukova:
    “Ogni poesia inizia per me come una sorta di ricerca (o indagine). Un’immagine, un fatto o una frase mi pone una domanda, mi dà un punto di partenza. Il labirinto di connessioni, scoperte e colpi di scena nella ricerca di una risposta crea il testo. Questo è un percorso che non so mai dove porterà. Se riesco a sorprendermi, se finisco in un posto che non mi aspettavo, il testo ha funzionato.”

    Di certo non conserva l’idea di una poesia che conduca ad un significato preordinato a raggiungere un risultato appacificante e universaleggiante come una lattina di birra in una giornata afosa di agosto o un posto davanti al focolare nelle fredde serate d’inverno. Nemmeno che a farlo sia un soggetto disposto a raccontarsi come se il proprio particolare fosse una variante del linguaggio matematico.

    Dice Iana Boukova: “Considero la poesia come un metodo per studiare il mondo, come una strategia cognitiva.”

    E da questo punto di vista, che condivido, la realtà stessa appare più ricca, miracolosa, spumeggiante.
    A contatto con il verso indagatore, questo le conferisce una sua quinta dimensione da cui fa emergere gli scarti, le ossa, l’ombra e il dubbio e la furia dell’inconscio.
    Ritengo inoltre che pensare in termini di non-consumo possa essere una specie di idea trainante, dietro la quale ci sia l’uomo a cui non interessa affatto il quarto d’ora di celebrità in televisione o sui social e dunque uno sfondo recettivo precostituito.
    Se tutto è collegato, mettersi a contrasto tra gli ingranaggi di un qualsiasi punto della macchina autocelebrativa della poesia, è un atto di ribellione che apre a zone nuove del linguaggio che recupera e si fa forte di energie date per disperse e si concerta con l’idea di una disalienazione di esso da mero servitore del consumo.
    Oggi intanto ci sono schiaffi terribili sulla faccia della terra. Forse il suo asse si è messo a girare in verso contrario, senza preavviso e senza che se ne comprenda il motivo:

    COLTIVAZIONE DI BOLETUS SATANAS

    I giardini reclamano gemme di fuoco
    come ubriacarsi di bombe molotov

    I bucatini rispondono con acqua tiepida e cottura lenta
    Ma nello stretto di un millimetro, urge un missile pachino.

    L’uno accusa l’altro forchettone
    e mentre il popolo si fa spaghetto
    il pane mangia il suo salario.

    Tutti in fila per il WE..
    La puzza degli hamburger invade il Polo Nord

    Poi d’un tratto si ode un rantolo di pollo:
    Costruire una pace intorno ai sensi
    E far si che il naso non invada le orecchie

    Mai visti tanti poeti lodare il Boletus Satanas
    Quest’anno dicono è di buona qualità
    Assaggiatene tutti.

    (Francesco Paolo Intini)

  8. caro Francesco,

    io ormai scrivo da parecchio tempo applicando la procedura serendipica, senza sapere dove una parola mi porterà, questo è il bello, accetto il rischio di farmi sorprendere di meravigliarmi, mi metto fuori gioco ed entro nel gioco a mia stessa insaputa. Di fatto, come autore del testo sto fuori del testo e dentro il testo, fuori gioco e dentro il gioco. Sono in guerra con le parole perché loro vanno dove io non posso preventivare né immaginare.
    Ecco una mia poesia che ha subito, e subirà, immagino, molte variazioni legate alla imprevedibilità della procedura serendipica:

    Giorgio Linguaglossa
    Kitsch poetry

    Ecco che fa ingresso al Circo Tenda di Mosca il Mago Woland con un décolleté catarifrangente mentre ingolla d’un sorso un bicchiere di acqua con del bicarbonato di sodio purissimo
    Il Signore imbraccia a cavalcioni il manico di una vecchia scopa

    All’improvviso, l’impugnatura si trasforma nelle sue mani in una spada,
    in una racchetta da tennis, in una stecca da biliardo

    In un bastone da passeggio con il manico di avorio,
    in un ombrello tricolore, in un fazzoletto profumato

    In una maschera veneziana indossata da una dama
    con il guardinfante bianchissimo mentre attraversa il Ponte di Rialto

    In un signore allampanato con il cappello sulle ventitré
    seduto nella sala d’attesa del parrucchiere François

    In un signore con la giacca a quadretti che imbratta una tela
    mentre sorseggia un succo d’albicocca

    Nel Signor K. che impugna un bastone da passeggio con il manico di avorio
    mentre fa ingresso negli stagni Patriarsci…

    «L’infinito si estende senza tregua in tutte le direzioni»
    Il Signor K. indirizza queste parole al suo sosia, il Mago Woland,

    Il quale, narrano le fonti, così replicò:

    «Però se il tempo fosse eterno, prima o poi incontreremmo gli immortali in quanto essi hanno contato tutti i numeri naturali perché provengono da un passato sconfinato»

  9. È di Erich Fromm questa storiella:
    «Dunque, dottore, ogni mattina, dopo che ho fatto la doccia e ho vomitato…». Il medico lo interrompe subito: «Mi sta dicendo che lei vomita tutte le mattine?», e il paziente replica: «Perché, dottore, non lo fanno tutti?»

    Patologia della normalità, Erich Fromm. Salute psichica: determinabile in rapporto al grado di adattamento al sistema di vita di una determinata società, indipendentemente dal fatto che tale società sia sana o malata. L’unico criterio è che l’uomo vi si sia adattato.
    Ricondurre il singolo individuo al livello dell’uomo medio, cioè che non turbi il contesto sociale.
    “Veniamo educati ad aspirare alla sicurezza come unico scopo della vita. Ma possiamo ottenerla solo al prezzo di un completo conformismo, e di una completa apatia”.

    Veniamo qui alla poesia noe, o kitchen, che è specchio di irreale e artificiale; non perché si abbia nostalgia di chissà quale vita naturale, pastorale o altro. Al punto in cui siamo. Quale punto? quello del trasferimento di masse, dalla vita reale al pianeta virtuale (non ancora capaci di comprendere che si tratta di sofisticati elettrodomestici). Ma questo Erich Fromm non poteva saperlo, erano gli anni del boom economico.
    La poesia kitchen è semplicemente una presa d’atto, che può sembrare denuncia del sistema di vita occidentale ma non è questa, mi pare, l’intenzione. Se mai, quella di costruire, sulle macerie, qualcosa di buono e utile, sempre citando Fromm, alla salute psichica dell’individuo. Ma anche no. Voglio dire, non di proposito (a seguire: Fortini, Pasolini, ecc.).

    Bene. Gli spazzini delle notizie (giornalisti, opinionisti) sono già al lavoro per dare parvenza di vittoria al mondo occidentale; e farebbe bene Putin a collaborare in questo, se non altro per favorire la ripresa di normali e proficui rapporti commerciali (leggi, di pace).
    Mi permetto qui un’osservazione di carattere globale ( ma sì, sono poeta!), al fine di superare d e f i n i t i v a m e n t e l’incubo da mentalità fredda-guerrafondaia – predominio e volontà espansiva di superpotenze, altro che protezione di paesi “amici” – andrebbe considerata la ricerca di equilibrio, reciproco controllo sulle cazzate che l’uno e l’altro sistema sociale portano in seno (nei film di fantascienza, astronauti americani riescono a bere whisky anche su Marte, riempirsi di botte e fare sparatorie…); limiti evidenti del liberalismo, disparità sociali, individualismo vincente per alcuni esaltati, perdente per i più… e dall’altra parte che qualcuno decida sulla vita di tutti… Bene, si guardino l’un l’altro con prudenza e attenzione. Da qui un possibile equilibrio, premessa per una sostanziale crescita evolutiva.

  10. Il soggetto è un effetto del significante e della struttura del simbolico ma, nonostante sia determinato da quest’ultimo, risulta sempre irriducibile all’azione universale del significato. Il soggetto è ciò che resiste alla simbolizzazione.
    Il significante produce sempre anche ciò che gli resiste: la resistenza è sempre una piega interna del Simbolico, il soggetto è questa piega interna alla struttura simbolica; assoggettato al significante, alla struttura che viene sempre prima di esso e che lo accoglie ma mai completamente fissato ad un significato.
    Il soggetto è un resto eccedente prodotto dalla insorgenza del significante, è un resto inassimilabile, intrinsecamente eccedente il significato ed il significante; è questo resto-eccedente che l’azione della struttura simbolica implica nel processo di simbolizzazione e resta inassimilabile alla struttura linguistica che lo genera.
    La procedura serendipica opera nelle smagliature, nelle pieghe del linguaggio, è un dispositivo che agisce autonomamente nel linguaggio, in ogni linguaggio, si mantiene in vita attraverso la oscillazione da un significante all’altro e così funge da sostegno della significazione, può mantenere in vigore la struttura della significazione.
    Il soggetto è incardinato fin dalla sua nascita in un punto di resistenza residuale e di eccedenza rispetto al potere indicatorio del significante. La struttura simbolica ha in sé una faglia e proprio in essa risiedono le radici del soggetto stesso e la struttura serendipica, quella medesima faglia attraverso cui si può intravedere l’ordine del Reale. Ma il soggetto ha in sé inscritta l’arma letale della parola mediante cui riesce a bucare la struttura simbolica e ad incontrare il Reale.

  11. Uno spettro si aggira per il mondo della poesia di accademia che si fa in Italia…
    Lo spettro della poetry kitchen

    Possiamo perimetrare il luogo vacante del soggetto a misura dell’insuccesso della simbolizzazione e ciò in quanto il soggetto altro non è che il punto di caduta della sua rappresentazione simbolica; il soggetto cerca sempre altro nell’Altro, e questa ricerca si sviluppa attraverso la linea metonimica: ciò che il soggetto trova sarà sempre altro da ciò che cercava. e questo è il proprio della procedura serendipica.

    Uno dei momenti attraverso cui, in qualche modo, percepiamo la presenza del Reale è il trauma. Ciò che caratterizza un evento come traumatico è il fatto che esso si identifica come punto in cui la simbolizzazione fa cilecca. Esso non è mai dato in un significato in quanto lo assume come spostato, spodestato da un significato ad un altro che ha sostituito il primo retroattivamente, cioè a partire dai suoi effetti lungo la catena dei significanti e dei significati. L’efficacia di queste sostituzioni di significato e di significanti ricade nelle distorsioni che essi producono nell’universo simbolico del soggetto: l’evento traumatico è in ultima istanza solo una costruzione di fantasia che riempie un certo vuoto all’interno di una struttura simbolica e, in quanto tale, assume un effetto retroattivo.

  12. Titoli.

    Mela lasciata sul tavolo per bellezza. Calze a rete
    di mia nonna.

    Rosso Ferrari, acqua marcia, due sotto la pioggia.
    Terra. Terra e cemento.

    Darsela a gambe. Piaghe, tattoo. – Viene sera,
    non ricordo. – Matisse: “Wagon-lit”.

    Paesaggio cancellato. Ritratto di Hulk. Poco mare.
    Fine alba e dopo il tramonto.

    LMT

    • caro Lucio,

      qui è in azione la procedura serendipica, tu lavori per semi enunciati e frasari interrotti, irreferenziali, tipo jazz e gin fizz. Così, lasciando il soggetto in frigorifero, raggiungi esiti notevoli, magari senza volerlo, senza perseguire una finalità ma lasciando galleggiare il linguaggio a pelo d’onda. Complimenti.

  13. cari amici,

    penso di interpretare i vostri sentimenti se affermo tutta l’approvazione e l’ammirazione per l’eroico popolo ucraino che si sta battendo per la libertà dell’Ucraina e anche, indirettamente, dell’Europa e dell’Occidente libero e democratico contro l’invasione russa voluta dall’autocrate Putin e dal suo raggio di oligarchi ricchissimi. È inutile adoperare giri di parole: Siamo entrati nella nuova epoca di belligeranza tra un blocco di paesi democratici e il blocco delle autocrazie militarizzate, la nostra speranza è che il popolo ucraino riesca a resistere quanto più a lungo possibile e che renda la vita difficile al criminale autocrate e ai suoi spalleggiatori.
    D’ora in avanti il mondo non sarà più quello di prima, dobbiamo difendere la libertà e la democrazia di quella parte del mondo che è ancora democratica con tutta la forza delle nostre idee e della nostra passione.

  14. Giuseppe Gallo

    I miei complimenti ad Ewa Tagher per la piacevole e intensa intervista alla poetessa Iana Boukova e grazie a Giorgio Linguaglossa per averci richiamato a dare uno sguardo anche alla dura realtà storica e politica di questi giorni.
    Giuseppe Gallo

  15. raffaele ciccarone

    Inedito.
    Set 70

    alla Woridcon di Los Angeles dei cosplay in Follout

    le armi psicotrope bevono vino e cioccolata calda.

    La censura parte per Viareggio, sul balcone i bambini

    invocano Stefen King e It. La geisha in limousine ancheggia

    il Vampiro gli chiede una bottiglia d’acqua minerale.

    l’unicorno si ferma nel bosco a leggere Proust, Facebook non ci crede

    emette una fake news, solo la giraffa con la testa sopra le nuvole si salva dall’asfissia.

    Nell’emisfero australe l’Alfa Monocerotis, della costellazione dell’unicorno,

    si allontana con Alfa Centauri dal sistema solare, Minecraft è a City Life District.

    • L’impersonalità del linguaggio dell’ Altro implica la simbolizzazione da parte del soggetto mediante la catena significante; introducendo la catena significante il soggetto viene ad essere deiettato nella dimensione del senso e della verità; ed è ciò che determina una mancanza-a-essere all’interno del soggetto poiché in realtà non tutto del reale è significante: l’essere del soggetto viene ad essere infirmato dalla inflizione del significante. Il significante primordiale e il significato perduto, la Cosa originaria, fanno così ingresso nel non-senso, prendono stabile dimora in esso, che è quella dimensione in cui può emergere il particolarissimo intreccio di desiderio e godimento del soggetto, vale a dire la sua personalissima verità, la dimensione dell’oggetto piccolo a quale sostituto provvisorio del grande Altro. Il soggetto non è l’io come posizione di terzietà o di giudizio, e non è nemmeno una istanza che si può ridurre a sommatoria delle parti di cui nella topica freudiana Io-Superio-Es. Ancor più radicalmente, il soggetto non è l’io, e l’io non è il soggetto. Il detto freudiano «Wo Es war soll Ich werden» significa, per Lacan, che l’io non emerge dall’abisso dell’inconscio come un’isola dal mare, ma è un luogo di emersione della verità del soggetto, ciò che riconduce l’io alla sua dimensione immaginaria che altro non è che una funzione, un io alienato, aggregato di identificazioni, di proiezioni e di rimozioni. Il detto secondo cui «l’io non è più padrone in casa propria», significa che l’io è uno straniero a se stesso, che nella soggettività si annida una alienazione primaria non eliminabile; che vuol dire che l’io significa?, vuol dire che l’io ha un linguaggio impersonale che viene dall’Altro, un linguaggio irrorato dalla alienazione originaria. L’io non è un sostrato che sta sotto a qualcosa d’altro, non è un hypokèimenon ma un vuoto che attende di essere colmato di jouissance, del desiderio dell’Altro.
      Il significato non è un qualcosa intenzionato da un soggetto essendo il soggetto nient’altro che un posto vuoto, un posto afflitto da una mancanza costitutiva per cui il significato non è nient’altro che «un effetto immaginario della catena significante»,6 nulla di sostanziale ma un segno che rimanda ad altro da sé, un altro immaginario. Il significato non sta in nessun luogo, è qui e là, in entrambi i luoghi contemporaneamente e la modalità kitchen della poiesis intende semplicemente mettere in evidenza questa struttura: il kitchen traduce un sistema di significati in un altro sistema di significati, o meglio, in un sistema di «fuori-significati», è una modalità di trasbordo del significato da un luogo ad un altro. È ovvio che il «fuori significato» della modalità kitchen è una utopia, una tensione verso, un impossibile, ma il fatto che si tenti l’impossibile porta l’impossibile verso il possibile, cambia i luoghi delle categorie. E così salta tutto, saltano tutti i ponti che la metafisica ha costruito mettendoli a carico del soggetto e della sua legislazione.
      Das Ding è per Lacan «originariamente ciò che chiameremo il fuori significato»;7 la Cosa: essa è muta, non si lascia afferrare né dalle immagini né dalle parole. Non è possibile rappresentare la Cosa perché è «il termine estraneo attorno a cui ruota tutto il movimento della Vorstellung».8 Tutte le rappresentazioni (Vorstellungen) del soggetto nascono dal tentativo di impadronirsi della Cosa in un gesto sublimatorio. In effetti, das Ding può essere identificata con la «tendenza a ritrovare» che caratterizza il rapporto del soggetto con l’oggetto. Tuttavia, «a livello delle Vorstellungen la Cosa non è […] brilla per la sua assenza, per la sua estraneità»9: essa è, infatti, perduta perché ha patito l’azione del significante. In questa perdita è riscontrabile la condizione di possibilità di ogni rappresentazione, di qualsiasi discorso; secondo Lacan, «la distanza tra il soggetto e das Ding […] è appunto la condizione della parola».10 La Cosa, pur cancellata, non fa che causare il desiderio. Essa è introvabile ma anche orientativa della ricerca del soggetto, in quanto viene sempre sostituita da un altro oggetto.
      La Cosa non ha valenza ontologica, è paradossale: è un fuori-discorso, un fuori-significato ma, paradossalmente non è un nulla o un’essenza, non è un sostrato, un soggiacente alla maniera dell’hypokèimenon, e non è nemmeno un noumeno in quanto non è un ente. Si può immaginare il Das Ding soltanto in modo paradossale: come interno-esterno, confine-passaggio, resto-eccedente, perdita-causativa, mancanza causativa in quanto non rimanda ad alcun ente ma a una mera funzionalità empirica del soggetto.

      1 A. di Ciaccia; M. Recalcati, Jacques Lacan, Bruno Mondadori, Milano, 2000, p. 28
      2 J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), tr. it. M. D. Contri, Arnoldo Mondadori, Milano, 2010,p. 71. p. 64.
      3 Ivi, p. 67.
      4 Ivi, p. 74.
      5 Ivi, p. 81.

  16. Esercitare l’immaginazione poietica sulla rovina delle cose, sui materiali di scarto, sui residui, sul banale, sugli «stracci» è una delle grandi lezioni, di Walter Benjamin; Žižek ci indica anche un’altra strada da percorrere nella nostra indagine: il de-posizionamento e la progressiva lateralizzazione del soggetto divenuto «soggetto scabroso». Secondo il filosofo di Lubiana la verità del soggetto non coincide con la verità dell’io, e la verità dell’inconscio non coincide con la verità dell’inconscio; non soltanto la verità è diventata «precaria» ma si è de-posizionata, ha traslocato da un linguaggio all’altro, è stata fatta sloggiare dai linguaggi ontoteologici e poietici, così il progressivo de-posizionamento del soggetto ha finito per incidere sulle possibilità del soggetto stesso a governare il linguaggio e a narrare una storia e lo ha relegato ai margini del contenuto veritativo dell’opera di poiesis.

    • “la verità dell’inconscio non coincide con la verità dell’inconscio”

      Se prendiamo per buona l’affermazione di Žižek, e io sarei dello stesso avviso, allora andrebbe rivista la stupefacente storia del surrealismo. L’inconscio non fa spettacolo di sé.

  17. Iana Boukova scrive parole che sono da sottoscrivere in pieno:

    «Il lavoro della poesia è sentire le crepe nelle costruzioni razionali di ogni epoca, scoprire le debolezze di ogni costrutto narcisistico del nostro ego personale o collettivo. La poesia percepisce le crisi ancor prima che appaiano. Non per un dono profetico, ma per l’ipersensibilità della percezione. La poesia si occupa delle illusioni ottiche del nostro pensiero, delle imperfezioni del nostro sguardo mentre cerchiamo di leggere il mondo: ciò che vediamo e ciò che immaginiamo di vedere, e ciò che facciamo tutto il possibile per non vedere. La rigorosa critica del presente che mette in atto la poesia delinea i problemi del futuro. In questo senso, in questa particolare crisi a cui stiamo assistendo, non credo che la poesia abbia bisogno di un nuovo approccio. Deve solo continuare a funzionare come sempre, ad es. essere tagliente, intransigente e irritante. In altre parole, non permettere il sonno.»

    Mi ha meravigliato la rapidità con cui Raffaele Ciccarone ha assimilato i segreti delle procedure della poetry kitchen, evidentemente le cose erano già in viaggio da tempo e lui le ha intercettate. Quello che sta accadendo in Ucraina, la valorosa resistenza di un popolo all’aggressore, la pandemia Covid, il sovranismo dell’Occidente, il sonno che ha colpito le flebili democrazie dell’Europa occidentale sono tutti fattori che hanno fatto esplodere la poesia kitchen, hanno fatto da denotatore, lo stesso lessico e le regole grammaticali e sintattiche che lo governano sembrano saltate come sulla dinamite, noi siamo solo l’ultimo prodotto, l’epifenomeno di fenomeni profondi e complessi…

  18. raffaele ciccarone

    Caro Giorgio non ti sei sbagliato. E’ da molto tempo che il mio fare poesia non era in sintonia con il canone poetico. Grazie.

  19. I complici della smaterializzazione affiggono tazebao. E riconosci la “a” di aereo e la “b” esplosa.

    L’abbecedario ha una forma semplice e contratta.
    A serramanico sulla punta di una semplice mano.

    A scatto sugli attenti le dita.
    Balbetti per la “s” di sirena.

    Grazie OMBRA

  20. Mauro Pierno mi scuserà se faccio un «gioco» con la sua poesia, applico la perifrasi di Iana Boukova alla sua poesia. Ecco quello che ne esce:

    Complicità: la smaterializzazione dei tazebao. E riconosci la “a” di aereo e la “b” esplosa.

    Lessicologia: L’abbecedario ha una forma semplice e contratta.
    Il coltello: A serramanico sulla punta di una semplice mano.

    L’ordine: A scatto sugli attenti le dita.
    lapsus: Balbetti per la “s” di sirena.

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