Iana Boukova, poetessa bulgara nata a Sofia nel 1968, Poesie scelte a cura di Ewa Tagher, Prima traduzione in Italia, traduzione dall’inglese, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione in opera nel linguaggio poetico, Tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della delocalizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro da queste poesie dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Il referendum ha sostituito il referente.

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 Marie Laure Colasson, Compostage, acrilic, 30×30 cm, 2022

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Iana Boukova è nata nel 1968 a Sofia. Ha studiato lettere classiche all’Università di Sofia. Dal 1994 vive stabilmente in Grecia. Ha pubblicato due raccolte di poesie: I palazzi di Diocleziano (1995) e La barca nell’occhio (2000), una raccolta di racconti: A As Anything (2006) e un romanzo: Viaggio verso l’ombra (2009).
Lavora come traduttrice ed editrice di testi poetici e filosofici dal greco moderno, dal greco antico e dal latino. Ha compilato e tradotto dieci raccolte e antologie di poesia greca moderna. Le prime edizioni bulgare di tutti i frammenti di Saffo e le poesie di Gaio Valerio Catullo sono state pubblicate nel 2009 nella sua traduzione.
Ha pubblicato in numerose edizioni letterarie e culturali in Bulgaria e in Grecia. Nel 2006 la casa editrice di Atene Ikaros ha pubblicato la traduzione greca del suo libro di poesie The Minimal Garden. È membro del comitato di redazione di FRMK, rivista semestrale di poesia, poetica e arti visive. Le sue poesie e racconti sono stati pubblicati in antologie e riviste in Albania, Argentina, Cile, Croazia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Ungheria, Messico, Serbia, Svezia e Stati Uniti.
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Boukova riesce a trasfondere la tradizione balcanica in mezzi espressivi contemporanei, a trasformare l’esperienza interiore in manifestazione estroversa, comodamente in equilibrio al confine tra moderno e postmoderno. Immagini originali nella concezione e nell’esecuzione e una forza poetica che soggioga il sentimentalismo, queste sono poesie che qualsiasi poeta contemporaneo aspirerebbe a scrivere.
Stavros Zafeiriou, (poeta)
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La poetessa bulgara Iana Boukova con il suo libro Il giardino minimale, in un’ottima traduzione in greco di Dimitris Allos, si è guadagnata facilmente un posto nella poesia greca contemporanea, trapiantando memoria in tutte le cose, onorando con affetto ciò che è ferito o cacciato, saper guardare oltre il futuro nell’avventura dell’uomo.
Dino Siotis, (poeta)
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Giorgio Linguaglossa

Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione in opera nel linguaggio poetico

«……..Il trucco è l’arte di mostrarsi dietro una maschera senza portarne una» (Charles Baudelaire)

«………….. è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore» (Agota Kristof)

Nel suo Éloge du maquillage (1863), Baudelaire accenna alla necessità di utilizzare i mezzi della trasfigurazione per ricercare una bellezza che possa diventare artificio, mero artificio prodotto da un homo artifex, ultima emanazione dell’ homo Super Faber, o Super Sapiens.

La «defigurazione» è la procedura poetica  adottata da Iana Boukova. Pensare lo «spazio poetico» oggi significa applicare ai testi la de-figurazione e la dis-locazione in quanto gli spazi interamente de-politicizzati delle società moderne ad economia glocale interamente dipendenti dai pubblicitari e logotecnici, sono caratterizzati dalla de-figurazione e dal disallineamento significazionale.

È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità. Oggi la politica estetica la fa la pubblicità. Il discorso poetico che voglia tornare a fare della politica estetica non può fare a meno che ri-appropriarsi delle procedure già adottate in amplissima  misura dal linguaggio pubblicitario e mediatico.

La de-figurazione  è una procedura retorica che consente di prescrivere una «figura» linguistica mediante una de-localizzazione frastica sistematica, introducendo nel testo proposizioni liberamente dis-locate, spostate, liberate dalla cogenza del referente, non appropriate quindi non corrispondenti al referente; ciò vuol dire che si registra uno scarto del pensiero dal referente che corrisponde alla parola che non gli corrisponde; tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della delocalizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro da queste poesie dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Il referendum ha sostituito il referente.

La globalizzazione, come sappiamo, è un processo ancipite, glocale, in cui agiscono vettori anche contrastanti ma divergenti: non vi è solo sconfinamento e apertura dei linguaggi al globo, in questo processo macro storico operano anche dinamiche di collocazione e glocalizzazione; ci si muove nel quadro di smottamenti linguistici globali e glocali, uno spazio impensabile fino a qualche tempo fa, ma è in questo spazio che si muovono le forze linguistiche che operano all’interno dei linguaggi: le linee di convergenza e di divergenza tra le varie tradizioni letterarie diventano complessificazioni di una realtà in sé complessa. In questa accezione una «poesia europea» che fa della complessificazione e del dis-allineamento dei linguaggi il proprio motore di ricerca è già in atto nei più sensibili e ricettivi poeti europei, oggi una poesia europea che non  abbia qualche cognizione di questa problematica macro storica dei linguaggi è destinata a fare operazioni epigoniche.  Pensare ancora con le categorie della poesia del novecento: «poesia lirica» e «post-lirica», sperimentalismo e orfismo, linee regionali e linee circondariali sono, permettetemi di dirlo, blablaismi. La globalizzazione e la glocalizzazione sono processi macro storici che non possono non attecchire anche alla forma-poesia, modificandola in profondità al suo interno.

È impellente pensare la ri-concettualizzazione del paradigma del politico e del poetico, è viva l’esigenza di fuoriuscire da quelle formule dicotomiche che hanno caratterizzato la poesia del novecento: lo schema classico: avanguardia-retroguardia, poesia lirica poesia post-lirica; siamo andati oltre: occorre ri-concettualizzare e ri-fondamentalizzare il campo di forze denominato «poesia» come un «campo aperto» dove si confrontano e si combattono linee di forza fino a ieri sconosciute, linee di forza linguistiche ed extra linguistiche che richiedono la adozione di un «Nuovo Paradigma» che metta definitivamente nel cassetto dei numismatici la forma-poesia dell’io panopticon della poesia lirica e anti-lirica, avanguardia-retroguardia; da Montale a Fortini è tutto un arco di pensiero poetico che occorre dismettere per ri-fondare una nuova Ragione dello spazio poetico. Dopo Fortini, l’ultimo poeta pensante del novecento, la poesia italiana è rimasta orfana di un poeta critico in grado di orientare le categorie del pensiero poetico. Quello che oggi occorre fare con urgenza è riprendere a riparametrare e ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico, anche perché dopo Fortini, la resa dei conti stilistica del «poetico» è rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione.

Iana_Boukova_pic

(Iana Boukova)

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S [excerpts]*

String, a straight line straining to prove itself useful.
Soup, a way of loving things.
Sentiment, an ointment for beginners.
Savannah what I see on my body lying down.
Slogan, a thought’s wooden leg.
Soap, guarantees you will at least be clean when you slip.
Set of plates, parade of militant porcelain.
Spinach, Santa’s younger cousin.
Slave, every unbroken mirror.
Sex, a neon sign.
Shit, above all not a childhood illness.
Sponsor, someone who never remembers his name.
Salami, section of symbiosis.
Stage, the usefulness of every smooth surface.
Sandwich, a tango with mustard.
Scuba suit, a joke among crabs.
Symmetry, a highly contagious disease.
Sack, a landed balloon.
Seismograph, someone busy describing solely big events.
Skeleton, a trapped percussion orchestra.
Stool, an oppressed coffee-table.
Sickle-and-hammer, history’s knife-and-fork.
Sardine, a fish displaying human-like behaviour in contained spaces.
Striptease, an act that bores the X-ray specialist.
Schizophrenia, mind’s wide open embrace.
Stalactite, child of water-drop torture.
Spur, Morse code of divine love.
September, a middle-aged April.
Sternum, something like Pandora’s box in pink (and purple).
System, a sieve that also has large holes.
Snail, time’s steed.
Sowing, burial in the manic phase.
Station, gradation of the end.
Sophist, a wise man who’s insured.
Scrabble, an English gentleman lacking a few vowels.
Shock, good to carry on oneself in case of cramps.
Show, when Aristotle cried.
Shaman, impresario of the dead.
Seraphim, the only church banner that isn’t a dragon.
Sword, a shining that leaves things half.
Salsa, a hot dance.
Statistics, the philological abuse of mathematics.
Sauce, a suspect hatred against the simplicity of things.

(translated by Panayotis Ioannidis)

S-tralci

Corda, una linea retta che si sforza di dimostrare di essere utile.
Zuppa, un modo di amare le cose.
Sentimento, un unguento per principianti.
Savana, ciò che vedo sul mio corpo sdraiato.
Slogan, gamba di legno di un pensiero.
Sapone, ti garantisce almeno di essere pulito quando scivoli.
Servizio di piatti, sfilata di porcellana militante.
Spinacio, il cugino più giovane di Babbo Natale.
Schiavo, ogni specchio intatto.
Sesso, un’insegna al neon.
Merda, soprattutto non una malattia infantile.
Sponsor, qualcuno che non ricorda mai il suo nome.
Salame, fetta di simbiosi.
Palcoscenico, l’utilità di ogni superficie liscia.
Sandwich, un tango con senape.
Muta da sub, uno scherzo tra i granchi.
Simmetria, una malattia altamente contagiosa.
Sacco, un pallone atterrato.
Sismografo, qualcuno impegnato a descrivere solo grandi eventi.
Scheletro, un’orchestra di percussioni intrappolata.
Sgabello, un tavolino da caffè sottomesso.
Falce e martello, il coltello e la forchetta della storia.
Sardina, un pesce che mostra un comportamento simile all’uomo in spazi contenuti.
Striptease, un atto che annoia lo specialista dei raggi X.
Schizofrenia, l’abbraccio spalancato della mente.
Stalattite, figlia della tortura della goccia d’acqua.
Sperone, codice Morse dell’amore divino.
Settembre, un aprile di mezza età.
Sterno, qualcosa come il vaso di Pandora in rosa (e viola).
Sistema, un setaccio che ha anche grandi fori.
Lumaca, il destriero del tempo.
Semina, sepoltura nella fase maniacale.
Stazione, progressione della fine.
Sofista, un uomo saggio che è assicurato.
Scarabeo, un gentiluomo inglese privo di alcune vocali.
Shock, buono da portare su se stessi in caso di crampi.
Spettacolo, quando Aristotele pianse.
Sciamano, impresario dei morti.
Serafino, l’unico stendardo della chiesa che non sia un drago.
Spada, uno splendore che lascia le cose a metà.
Salsa, un ballo caldo.
Statistica, l’abuso filologico della matematica.
Condimento, sospetto odio contro la semplicità delle cose.

Neighbors

First they come for a cup
of sugar for a cup of vinegar
for nothing
And you being well brought up
allow your kitchen to fill
with people and your days to shorten
as if winter has suddenly begun
Later all evening through the wall
you hear the muffled blows of bodies the dog’s
bark the ringing of the phone
which nobody answers
Your cigarettes pack up this night
you walk for miles in the room
and then in your dreams (having finally fallen asleep)
In the morning you see them refreshed they water
their flowers wave to you
go out in the open
casting a fourfold shadow
like a footballer’s
in the middle of the park.

Vicinato

Prima vengono per una tazza
di zucchero per una tazza di aceto
per niente
E tu che sei stato educato bene
lasci che la tua cucina si riempia
di persone e le tue giornate si accorcino
come se l’inverno fosse improvvisamente iniziato
Più tardi per tutta la sera attraverso il muro
senti i colpi attutiti dei corpi il cane
abbaiare lo squillo del telefono
cui nessuno risponde
Le tue sigarette rimettono ordine a questa notte
cammini per miglia nella stanza
e poi nei tuoi sogni (essendoti finalmente addormentato)
Al mattino li vedi rinfrescati che annaffiano
i loro fiori ti salutano
escono all’aperto
gettando una quadruplice ombra
come un calciatore
in mezzo al campo.

Balkan Naive Painters

And when they reached the final door
the judges asked them
(simply to amuse themselves)
what is it that
rises with a roar and suffering
flies with delight
and quietly falls
all in flames
Boeing, answered the fireman
My song, answered the silent one
The bird which flew
from end to end of my head and loved me,
answered the third (happy!)
the youngest brother
all in flames.

(The boat in the eye, Ikaros 2005 Translation from Bulgarian, Jonathan Dunne)

Pittori naif balcanici

E quando raggiunsero l’ultima porta
i giudici chiesero loro
(semplicemente per divertirsi)
cos’è quella cosa che
si alza con fragore e sofferenza
vola con gioia
e silenziosamente cade
tutto in fiamme
Un Boeing, rispose il pompiere
La mia canzone, rispose un tizio silenzioso
L’uccello che volò
da un capo all’altro della mia testa e mi amava,
rispose il terzo (felice!)
il fratello più giovane
tutto in fiamme.

(La barca negli occhi, Ikaros 2005 Traduzione dal bulgaro, Jonathan Dunne)

(Ewa Tagher e Giorgio Linguaglossa)

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Self-Portrait on a Background of Begonias

for Monty Python

A ship sinks in the square
smoke still issuing
from its chimneys
Faces pressed against the windows
guzzle down the outward scene
Somebody sells ice-cream
Somebody else has clasped his mouth
holds on so strongly that if he let go
he would surely fall break into pieces

At night those sounds start up
the scratch of pencils the distant
hem of understanding
Sounds that make you turn on the lamp
and sleep in the light
wasting electricity

You’ll say tiredness from work
you’ll say nervous hypertension
But they said this to Kafka as well
until once he yanked open the door
and fifteen well-dressed gentlemen
reading newspapers
piled on top of him.

Autoritratto su uno sfondo di begonie

per Monty Python

Una nave affonda nella piazza
emette ancora fumo
dalle sue ciminiere
Volti premuti contro le finestre
ingurgitano la scena all’esterno
Qualcuno vende gelati
Qualcun altro ha serrato la bocca
tiene così forte che se la lascia andare
cadrebbe sicuramente in pezzi

Di notte quei suoni si attivano
il graffio delle matite il lontano
tossicchiare
Suoni che ti fanno accendere la lampada
e dormire nella luce
con spreco di elettricità

Dirai stanchezza dal lavoro
dirai ipertensione nervosa
Ma lo dissero anche a Kafka
finché una volta non aprì la porta con uno strattone
e quindici signori ben vestiti
leggono i giornali
accatastati sopra di lui.

A Short Poem about the Evening and Music

Seven o’clock the fans have stopped
the city’s muggy corridors
where the light ends and patience runs out
A child squeals as if being slaughtered
(or someone is slaughtered and squeals like a child)
Do I know
what goes on under my window every evening
Do I know
which cable leads underground
and which straight to the solar plexus
of my apprentice’s equilibrium
just as you play with the keys
most irresponsibly.

(Translated from Bulgarian by Jonathan Dunne)

Una breve poesia sulla serata e sulla musica

Alle sette i ventilatori si sono fermati
i corridoi afosi della città
dove finisce la luce e si esaurisce la pazienza
Un bambino strilla come se fosse squartato
(o qualcuno viene trucidato e strilla come un bambino)
So mica
cosa succede sotto la mia finestra ogni sera
So mica
quale cavo va sottoterra
e quale va dritto al plesso solare
del mio equilibrio in apprendistato
come te che premi i tasti
nel modo più irresponsabile.

* S sta per settembre – e “settembre” è una delle voci della “S” di Iana Boukova. La stessa poetessa annota di questo lungo poema tuttora in lavorazione: “’S’ è un’impresa letteraria il cui scopo e scommessa consistono nella nuova definizione lessicale di ogni sostantivo che inizia con una “s” in greco. Mette alla prova e prova le possibilità del pensiero poetico in condizioni di ‘costrizione’, e tende a una dichiarazione di fede idiosincratica nel discorso metaforico”.
Iana Boukova (nata nel 1968 a Sofia, Bulgaria) è una poetessa, scrittrice di prosa e traduttrice bilingue (bulgaro-greco), laureata in lettere classiche. In bulgaro ha pubblicato tre libri di poesie, una raccolta di racconti e un romanzo, nonché traduzioni di più di quindici libri di poesia greca moderna e antica, tra cui: Saffo, Pindaro e Catullo. Dal 1994 vive in Grecia, dove è membro del comitato editoriale di “FRMK”, rivista semestrale di poesia, teoria e arti visive. Le sue poesie e racconti sono stati tradotti in più di dieci lingue. In inglese, il suo lavoro è apparso in varie antologie e riviste negli Stati Uniti e nel Regno Unito: ad es. Misure di austerità: The New Greek Poetry, Best European Fiction 2017, Two Lines, Drunken Boat, Zoland Poetry, Take Five.
Il suo primo libro di poesie in greco, The minimal garden (O elahistos kipos; Ikaros, 2006) conteneva solo tre poesie scritte in greco; la maggior parte era stata tradotta dal bulgaro da Dimitris Allos; al contrario, nella sua seconda, Drapetomania (Mikri Arktos, 2018), tutte le poesie sono state composte direttamente in greco. Questa non è l’unica distanza che ha percorso in questi dodici anni. Le poesie del primo libro mostravano già un poeta abile nell’evocare e nell’usare immagini audaci per affrontare un’ampia varietà di argomenti, percorrendo una linea molto personale tra le versioni moderniste sia dell’espressionismo che del surrealismo. Tuttavia, lo stile di Boukova nel secondo libro è maturato in tutti i sensi: è diventato più secco, e quindi più pungente; osa filosofare con umorismo; saccheggia sistematicamente testi scientifici e altri ‘eruditi’ al fine di costruire la propria versione del mondo allo stesso tempo molto seria e profondamente sarcastica – per esempio, prendendo i piccioni come soggetto apparente di un prismatico “Tractatus”, la sezione centrale del libro. La stessa giocosità mortale e ben ponderata stupisce nel “dispositivo” molto più semplice di “S”.

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34 risposte a “Iana Boukova, poetessa bulgara nata a Sofia nel 1968, Poesie scelte a cura di Ewa Tagher, Prima traduzione in Italia, traduzione dall’inglese, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione in opera nel linguaggio poetico, Tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della delocalizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro da queste poesie dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Il referendum ha sostituito il referente.

  1. Guido Galdini

    Straordinari gli “S-tralci”. Sembra di percorrere un museo o una mostra d’arte: davanti a ogni verso ci si deve fermare un bel po’, ridirselo nella mente fino ad esserne totalmente sazi.

  2. Ha scritto Vincenzo Petronelli:

    Come ha evidenziato la filosofa Francesca Gambetti, lo stesso logos, il ragionamento, la matrice della riflessione filosofica, nasce come tentativo di sottrazione ordinante delle vicende umane dal caos. I grandi miti cosmogonici della Teogonia esiodea si basano proprio sulla narrazione della nascita dell’universo, a partire dallo spazio del chaos primigenio, del kosmos, come verrà definito dai Pitagorici. La teogonia, a partire dalle vittorie di Kronos e di Zeus, ritrae cosmicamente il trionfo dell’ordine sovrano sulla natura, per poi successivamente, quando tempo cosmico, tempo religioso e tempo degli uomini finalmente si integrarono, a partire dal VI secolo a.C., sostituire alle genealogie divine quelle umane, che fondandosi sugli stessi schemi, raccontano colonizzazioni, fondazioni di città ed esplorazioni, per approdare dalle cosmogonie ale cosmografie, ed essere infine traslate verso le narrazioni dei primi filosofi.
    Ecco, la potenza del vuoto è nella sua immensa forza creatrice, ma c’è bisogno di uno sconvolgimento tellurico per valorizzarla, essendo ormai la nostra società imballata comodamente nei suoi depositi ingombranti, nei quali è ormai scaffalata anche buona parte della cosiddetta intelligencija, protesa esclusivamente ad una concezione dell’impegno intellettuale, intesa come perpetuazione del proprio scranno.
    Guardandosi bene ovviamente, dai rischi insiti in qualsiasi forma di “ordinamento” post rivoluzionario, la Noe si pone precisamente come detonatore di tale forza tellurica, in grado di ristabilire non tanto un nuovo modello poetico in sé per sé, quanto una nuova visione del mondo, per il tramite della poesia, che rifletti realmente la condizione dell’uomo di oggi.

    E io gli rispondo:

    «è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore» (Agota Kristof)

  3. Iana Boukova, poetessa bulgara nata a Sofia nel 1968, Poesie scelte a cura di Ewa Tagher, Prima traduzione in Italia, traduzione dall’inglese, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione in opera nel linguaggio poetico, Tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della delocalizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro da queste poesie dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Il referendum ha sostituito il referente.


    ci sono in giro piccoli maestri del pessimo pensiero pseudo filosofico come Diego Fusaro i quali hanno assorbito cialtronescamente i linguaggi di una sinistra oppositiva e imbelle, pseudo-linguaggi ridotti a munizioni di belluinità aggressiva e destoricizzante.

    In tempi di distrazione di massa il lessico dei politici sovranisti da quattro soldi (Salvini, Meloni, Paragone e altri esponenti della destra identitaria e sovversiva) insieme alla diffusione di presunte e autodicentesi pratiche antagonistiche e oppositive sottratte alla sinistra revanscista (no-vax, ni-vax dittatura sanitaria, dittatura draghiana, allarme per lo stato di diritto, allarme per il ritorno dei comunisti, pensiero a una dimensione, turbocapitalismo, forma-merce, difesa della lingua italiana, difesa delle identità, etc.), tutta questa battaglia, dicevo, nonché la campagna fomentata con astute e inquietanti notizie allarmistiche sulla «civiltà relativistica e merciforme» «la quale procede distruggendo ogni identità – compresa quella linguistica – affinché nulla possa più opporre resistenza al nichilismo della forma merce. Un mondo post-identitario è un mondo privo di sovranità culturale, dunque un mondo ormai totalmente disponibile per i processi di illimitata utilizzabilità da parte della volontà di potenza tecnocapitalistica» (Diego Fusaro), in tempi di pandemia e di massimalismo tutte queste dicerie piene di turbo-stupidità e di massimalismo grasso e sistemico, non fanno altro che moltiplicare la gran marea di parole d’ordine populistiche e regressive contro la democrazia e i suoi valori.

    Reputo la NOe, nel suo campo, utilissima proprio per la sua resistenza a questa deriva massimalista della turbo stupidità organizzata dalla destra italiana, la NOe è un bacino di cultura di idee e di diversità culturali che non può che essere utile alla causa della democrazia del nostro paese martoriato.

  4. Anch’io, come Guido Galdini, ho ammirato ogni strascico – di S. – che le parole portano al seguito, code o loro bagaglio a mano. Ogni rigo di queste poesie mi arriva bello, crudo e piacevole. Divertente. Intelligente. Dopo Gilda Policastro, ancora una donna a risvegliare gli animi!

    • Ringrazio Ewa Tagher per la traduzione e la selezione dei testi; Giorgio per aver messo il dito nella piaga che mi porto dentro, quella di essere stato un pubblicitario; quindi di aver capito presto quanto l’arte stesse attingendo dalla pubblicità, senza però ammetterlo (questa la piaga).
      “È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità. Oggi la politica estetica la fa la pubblicità”.

  5. EWA TAGHER

    Ho letto per la prima volta il nome di Iana Boukova su un numero di Internazionale degli ultimi mesi dello scorso anno, non ricordo bene quale, so solo che ho strappato la pagina che ho ancora con me e che ho gelosamente conservato in una copia di “Poesie” di Brodskij che tengo fissa sul mio comodino. La poesia pubblicata su Internazionale e tradotta dal bulgaro da Alessandra Bertuccelli si intitola “Ming” e mi ha così colpita, leggendola, che mi sono subito fiondata sul web a cercare qualche traduzione italiana delle opere della Boukova. Ho scoperto che purtroppo non ve ne erano, così mossa dalla curiosità e soprattutto da un sentimento di forte affinità (avendo riconosciuto in “Ming” una sensibilità molto vicina alla NOE), ho contattato prima la Bertuccelli e poi la stessa Boukova. Il mio desiderio era quello di farla conoscere innanzitutto ai lettori de l’Ombra sicura che la avrebbero apprezzata. Dal canto mio spero che presto qualche editore avveduto possa portarla nelle nostre librerie. Vorrei ringraziare infine Alessandra Bertuccelli per il lavoro di revisione sulla traduzione in italiano.
    Linguaglossa sulla Boukova ha scritto “È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità”, è esattamente questo tipo di linguaggio che mi ha colpita leggendo per la prima volta “Ming”: asciutto, dritto, esplicito, giocoso, a tratti leggero, ingannevolmente leggero, tuttavia, capace di coinvolgere e arrivare dritto al punto.

  6. Aria aria missili da crociera, la catechesi è concreta.
    Nelle finitudine, così come nelle altitudini.

    L’inganno delle medaglie. La neve di Pechino il sushi della rivoluzione. Deglutire ad una apparizione.

    Nei tablet, nei transatlantici, con le unghie dipinte.
    Il colore è un cloroformio. Una guglia.

    Addormentati tutti fino a tarda sera. Troppo troppo ammorbidente nelle stive.

    In fila indiana i pinguini i Tank e quattro frecce,
    e ti sei addormentata non appena tu sei salita.

  7. CRISI DELLA CULTURA OCCIDENTALE E CRISI DELLA COSCIENZA

    In una intervista di trenta anni fa il critico americano George Steiner accenna alla Crisi dell’Europa, alla crisi della cultura europea considerata come crisi della cultura occidentale. La conseguenza logica di questo assunto è che le arti che sono il prodotto di una cultura in crisi non potranno che riflettere i contorni di questa crisi, Steiner lo indica con molta chiarezza quando dice che che «la letteratura ha scelto il dominio delle piccole relazioni personali», la «privacy», termine per il quale non esiste una traduzione equivalente in francese e anche in italiano.

    La littérature a choisi le domaine des petites relations personnelles. Elle ne sait plus aborder les grands thèmes métaphysiques. Nous n’avons plus de Balzac, de Zola. Aucun domaine n’échappait à ces génies de la comédie humaine. Proust aussi a créé un monde inépuisable, et Ulysse, de Joyce, est encore tout proche d’Homère… Joyce, c’est la charnière entre les deux grands mondes, celui du classique et celui du chaos. Jadis, la philosophie aussi pouvait se dire universelle. Le monde entier était ouvert à la pensée d’un Spinoza. Aujourd’hui, une immense partie de l’univers nous est fermée. Notre monde se rétrécit. Les sciences nous sont devenues inaccessibles. Qui peut comprendre les dernières aventures de la génétique, de l’astrophysique, de la biologie ? Qui peut les expliquer au profane ? Les savoirs ne communiquent plus.

    La Crisi della Ragione, dunque, è innanzitutto la Crisi della coscienza quale luogo deputato, da Descartes in giù, della riflessività, luogo del principiale, luogo nel quale ha origine il logos. il logos della metafisica. Se la coscienza è in crisi è in crisi anche la metafisica quale prodotto della riflessività della coscienza, e le arti non possono che raffigurare, in un modo o nell’altro, la crisi di questa riflessività.
    È la crisi della riflessività che la poesia di Iana Boukova mette in vetrina, la sua poesia segue il principio della libera perifrasi, cioè posta una parola, un oggetto, segue la perifrasi, che dà una analisi di quell’ogetto lontanissima da ciò che la ragione narrante della vecchia metafisica ci avrebbe fornito. Si ha, letteralmente, una de-figurazione della riflessività della Ragione occidentale, e purtroppo gli eventi bellici in Ucraina ci rendono edotti delle conseguenze epocali che la crisi della riflessività della Ragione ha causato. Le cose sono tutte interconnesse, e la poesia è una cosa connessa con le altre cose.

    Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto legiferante, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo. Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court.
    La mancanza di un Principio è diventata una petizione di principio, la disseminazione è diventata il luogo dell’erranza, il soggetto è diventato una traccia; la poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la cronaca: la narrazione giornalistica della crisi, e l’arte diventa comunicazione del comunicato, in una parola, comunicazione della «privacy», delle storie personali, non più dell’incomunicabile, non più di ciò che ci dice il pensiero empirico diretto dal soggetto plenipotenziario.

  8. 19 febbraio 2016

    Ho un libro sotto mano di Salman Rushdie ‘Imaginary homeland‘ (1999), una raccolta di saggi sulla letteratura dello scrittore indiano. Il libro comincia così:
    “Una vecchia fotografia in una cornice a buon mercato pende dal muro di una stanza dove io lavoro. E’ la foto del 1946 di una casa nella quale, al tempo in cui fu scattata, io non ero ancora nato. La casa è piuttosto particolare – una casa a tre piani con un tetto tegolato e agli angoli due torri ciascuna con un cappello di tegole. ‘Il passato è un paese straniero‘ dice la famosa frase che apre il romanzo di L.P. Hartley ‘The God-Between?, ‘essi fanno altre cose là’. Ma la foto mi dice di capovolgere questa idea; essa mi ricorda che è il mio presente che è straniero, e che il passato è la casa, una casa perduta nella nebbia di un tempo perduto”.

    Nella poesia dei poeti modernisti di inizio secolo c’è questa concezione del tempo passato che la poesia può, magicamente, riaccendere come una scintilla accende un fuoco quasi spento; c’è l’idea di una continuità che la memoria può annodare tra il presente e il passato e la mente può riprendere a cantare, cantare spensieratamente. Ma, il canto spensierato è molto pericoloso, lo abbiamo esperito nel corso della seconda guerra mondiale quando sono emerse le incongruenze e gli irrazionalismi di una intera cultura: l’olocausto, gli eccidi di massa, le deportazioni, la terza guerra mondiale, quella fredda, e la quarta, appena cominciata, che adesso vediamo in opera nella guerra in Ucraina, che sarà l’ultima delle guerre in continuità con le guerre europee del novecento, le tre grandi guerra mondiali. Dinanzi a questi sanguinosi epiloghi del novecento io penso che non ci sia più spazio per la poesia che canta, con la cetra o con la tromba, non c’è più spazio per la poesia della sproblematizzazione, che non prende cognizione della fine della metafisica, la poesia e il romanzo del quotidiano che si fa oggi è chiacchiera da bar.

    Torniamo alla stanza dove pende una vecchia fotografia. Nel romanzo di Rushdie ‘Midnight’s Children‘ c’è la vecchia casa dei genitori. In una mia poesia (Tre fotogrammi dentro la cornice), riprendo il tema da una foto scattata anch’essa nel 1946, ci sono i miei genitori giovani, appena sposati, che camminano in una strada di Roma nel dopoguerra. Mio padre è disoccupato e mia madre è in cinta di mio fratello, io non sono ancora nato, e neanche Rushdie era ancora nato nel 1946. Entrambi (lui nel romanzo, io nella mia poesia) manifestiamo la nostra contentezza per non essere ancora tra i viventi, entrambe le foto sono in bianco e nero. E il mondo che sta attorno alla foto, che sia io che Rushdie lo immaginiamo in bianco e nero, monocromatico. Ma la realtà non è mai stata monocromatica, è un difetto della foto che la rappresentano in bianco e nero.

    E qui sorge il problema sollevato da Rushdie citando la sentenza di Hartley: ‘Il passato è un paese straniero‘. È un falso, ci dice il narratore indiano, è il presente il vero paese straniero, noi non conosciamo il presente, e il passato possiamo conoscerlo solo attraverso la discontinuità e la disorganizzazione dei ricordi. Il rammemorare non è una azione di continuità tra il passato e il presente, ma una azione di collegamento tra due frammentazioni, e la poesia e il romanzo di oggi non possono che ripresentare in essi queste duplici frammentazioni. Il poeta moderno cerca di dare al passato una rappresentazione immaginativamente vera mediante una iniezione di memoria; ma è un falso, la memoria non è una linea rettilinea ma un insieme di frammenti disorganizzati e casuali dove si può prendere di tutto e si può perdere di tutto. Noi non possiamo prendere dal serbatoio della memoria nient’altro che frammenti e lacerti irregolari, frantumi di quell’antico specchio che è stata la vita. E saranno proprio questi frantumi che ci possono condurre più da vicino al mondo delle simbolizzazioni. I frantumi sono già dei simboli, afferma Rushdie. Ecco perché oggi non c’è più alcun bisogno di alcun simbolismo. Il simbolo è morto ed è stato sostituito dai frantumi. Oggi, un narratore o un poeta non può più porre mano ad un romanzo alla maniera di Proust per ritrovare il tempo perduto; oggi il mondo si è frantumato e non ci sarà nessun Proust che ci potrà restituire quel mondo nella sua compiutezza. Restano i frantumi, ed è da essi che dobbiamo riprendere a tessere le nostre poesie e i nostri romanzi.
    I poeti e i narratori che cantano per restituire il mondo del passato mi fanno tenerezza, sono nel falso, come poi ci ha mostrato Eliot 100 anni fa ne ‘La terra desolata‘ (1922). Frantumati, alienati e sottratti al mondo i personaggi e i luoghi del passato letterario si ricompongono in un montaggio poetico di immagini, incroci intertestuali, registri dissonanti, cacofonie, interferenze di voci ormai simboli di un presente desolato, allegorie di una terra guasta protagonisti del tempo drammatico del novecento.

  9. EWA TAGHER

    RISONANZE

    Nave in arrivo da sud

    La sirena di bordo gracida appena.

    Nella sala macchine un fuori sinc

    senza rimedio.

    Dalla banchina l’onda di un coro

    miagolii e dita peste.

    Nebbia.

    Anche strizzando gli occhi

    la voce rimane a mezz’aria.

    “Tuo nonno, un disertore”

    giù per un vallone

    al confine con la Francia.

    Guadato il fiume restò

    solo un paio di occhiali rotti in mano.

    “Hai ancora sete?”

    Dalle mie parti col sole d’agosto

    orti e giardini si arrendono.

    Solo il fico a dispetto

    gonfia mammelle piene di latte.

  10. Sulla procedura serendipica con una poesia di Iana Boukova
    a cura di Gino Rago

    La serendipità è la procedura per eccellenza dei dispositivi poetici che fanno uso dello spaesamento, della sorpresa e del «montaggio», serendipità da intendersi: chi cerca qualcosa di non preventivato e scopre altro. La serendipità non è soltanto una sensazione quanto una procedura narrativa, un tropo. Gli esempi di serendipità sono numerosissimi, la serendipità è diventata parte integrante della ricerca scientifica, oltre che della vita di tutti i giorni. Infatti, molto spesso le scoperte più importanti avvengono mentre si cerca altro: Colombo che scopre l’America cercando le Indie, le sorelle Tatin che inventano l’omonima torta dimenticando di inserire nel forno l’impasto di base della crostata di mele, l’astronomo Herschel che cerca comete e trova il pianeta Urano, la Pfizer che – invece di una cura contro l’angina pectoris – inventa il Viagra. se anche i poeti o i filosofi o gli artisti non della parola sapessero già che cosa cercare, non avrebbero più bisogno di cercarlo.
    Basterebbe per tutti loro trovare conferme nel già esistente, (come per anni è stato nella poesia italiana e anche europea, da Carducci, Pascoli e D’Annunzio ai giorni nostri, con talune eccezioni come quella montaliana, segnatamente nel passaggio dal simbolismo al modernismo, accanto a figure come Eliot, Pound, e Joyce, Svevo, e Pirandello, per la prosa).
    È la crisi della Ragione riflessiva quello che la poesia di Iana Boukova mette in vetrina, la sua poesia segue il principio della libera perifrasi, cioè posta una parola, un oggetto, segue la perifrasi, che dà una analisi di quell’oggetto lontanissima da ciò che la ragione narrante della vecchia metafisica ci avrebbe fornito. Si ha, letteralmente, una de-figurazione della riflessività della Ragione occidentale, e purtroppo gli eventi bellici in Ucraina ci rendono edotti delle conseguenze epocali che la crisi della riflessività della Ragione ha causato. Le cose sono tutte interconnesse, e la poesia è una cosa connessa con le altre cose.
    Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto legiferante, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo. Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court. La mancanza di un Principio è diventata una petizione di principio, la disseminazione è diventata il luogo dell’erranza, il soggetto è diventato una traccia; la poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la cronaca: la narrazione giornalistica della crisi, e l’arte diventa comunicazione del comunicato, in una parola, comunicazione della «privacy», delle storie personali, non più dell’incomunicabile, non più di ciò che ci dice il pensiero empirico diretto dal soggetto plenipotenziario.
    Ecco una poetessa europea che impiega la procedura serendipica nella sua poesia, Iana Boukova, nata nel 1968, nella versione dall’inglese di Ewa Tagher.
    (Gino Rago)
    *
    Iana Boukova
    S [excerpts]*

    String, a straight line straining to prove itself useful.
    Soup, a way of loving things.
    Sentiment, an ointment for beginners.
    Savannah what I see on my body lying down.
    Slogan, a thought’s wooden leg.
    Soap, guarantees you will at least be clean when you slip.
    Set of plates, parade of militant porcelain.
    Spinach, Santa’s younger cousin.
    Slave, every unbroken mirror.
    Sex, a neon sign.
    Shit, above all not a childhood illness.
    Sponsor, someone who never remembers his name.
    Salami, section of symbiosis.
    Stage, the usefulness of every smooth surface.
    Sandwich, a tango with mustard.
    Scuba suit, a joke among crabs.
    Symmetry, a highly contagious disease.
    Sack, a landed balloon.
    Seismograph, someone busy describing solely big events.
    Skeleton, a trapped percussion orchestra.
    Stool, an oppressed coffee-table.
    Sickle-and-hammer, history’s knife-and-fork.
    Sardine, a fish displaying human-like behaviour in contained spaces.
    Striptease, an act that bores the X-ray specialist.
    Schizophrenia, mind’s wide open embrace.
    Stalactite, child of water-drop torture.
    Spur, Morse code of divine love.
    September, a middle-aged April.
    Sternum, something like Pandora’s box in pink (and purple).
    System, a sieve that also has large holes.
    Snail, time’s steed.
    Sowing, burial in the manic phase.
    Station, gradation of the end.
    Sophist, a wise man who’s insured.
    Scrabble, an English gentleman lacking a few vowels.
    Shock, good to carry on oneself in case of cramps.
    Show, when Aristotle cried.
    Shaman, impresario of the dead.
    Seraphim, the only church banner that isn’t a dragon.
    Sword, a shining that leaves things half.
    Salsa, a hot dance.
    Statistics, the philological abuse of mathematics.
    Sauce, a suspect hatred against the simplicity of things.
    (translated by Bulgarian Panayotis Ioannidis)

    S-tralci

    Corda, una linea retta che si sforza di dimostrare di essere utile.
    Zuppa, un modo di amare le cose.
    Sentimento, un unguento per principianti.
    Savana, ciò che vedo sul mio corpo sdraiato.
    Slogan, gamba di legno di un pensiero.
    Sapone, ti garantisce almeno di essere pulito quando scivoli.
    Servizio di piatti, sfilata di porcellana militante.
    Spinacio, il cugino più giovane di Babbo Natale.
    Schiavo, ogni specchio intatto.
    Sesso, un’insegna al neon.
    Merda, soprattutto non una malattia infantile.
    Sponsor, qualcuno che non ricorda mai il suo nome.
    Salame, fetta di simbiosi.
    Palcoscenico, l’utilità di ogni superficie liscia.
    Sandwich, un tango con senape.
    Muta da sub, uno scherzo tra i granchi.
    Simmetria, una malattia altamente contagiosa.
    Sacco, un pallone atterrato.
    Sismografo, qualcuno impegnato a descrivere solo grandi eventi.
    Scheletro, un’orchestra di percussioni intrappolata.
    Sgabello, un tavolino da caffè sottomesso.
    Falce e martello, il coltello e la forchetta della storia.
    Sardina, un pesce che mostra un comportamento simile all’uomo in spazi contenuti.
    Striptease, un atto che annoia lo specialista dei raggi X.
    Schizofrenia, l’abbraccio spalancato della mente.
    Stalattite, figlia della tortura della goccia d’acqua.
    Sperone, codice Morse dell’amore divino.
    Settembre, un aprile di mezza età.
    Sterno, qualcosa come il vaso di Pandora in rosa (e viola).
    Sistema, un setaccio che ha anche grandi fori.
    Lumaca, il destriero del tempo.
    Semina, sepoltura nella fase maniacale.
    Stazione, progressione della fine.
    Sofista, un uomo saggio che è assicurato.
    Scarabeo, un gentiluomo inglese privo di alcune vocali.
    Shock, buono da portare su se stessi in caso di crampi.
    Spettacolo, quando Aristotele pianse.
    Sciamano, impresario dei morti.
    Serafino, l’unico stendardo della chiesa che non sia un drago.
    Spada, uno splendore che lascia le cose a metà.
    Salsa, un ballo caldo.
    Statistica, l’abuso filologico della matematica.
    Condimento, sospetto odio contro la semplicità delle cose.
    *
    Gino Rago

    • Sulla procedura serendipica con una poesia di Iana Boukova e con una nota di Giorgio Linguaglossa

      a cura di Gino Rago

      *
      La serendipità è la procedura per eccellenza dei dispositivi poetici che fanno uso dello spaesamento, della sorpresa e del «montaggio», serendipità da intendersi: chi cerca qualcosa di non preventivato e scopre altro. La serendipità non è soltanto una sensazione quanto una procedura narrativa, un tropo. Gli esempi di serendipità sono numerosissimi, la serendipità è diventata parte integrante della ricerca scientifica, oltre che della vita di tutti i giorni. Infatti, molto spesso le scoperte più importanti avvengono mentre si cerca altro: Colombo che scopre l’America cercando le Indie, le sorelle Tatin che inventano l’omonima torta dimenticando di inserire nel forno l’impasto di base della crostata di mele, l’astronomo Herschel che cerca comete e trova il pianeta Urano, la Pfizer che – invece di una cura contro l’angina pectoris – inventa il Viagra. se anche i poeti o i filosofi o gli artisti non della parola sapessero già che cosa cercare, non avrebbero più bisogno di cercarlo.

      Basterebbe per tutti loro trovare conferme nel già esistente, (come per anni è stato nella poesia italiana e anche europea, da Carducci, Pascoli e D’Annunzio ai giorni nostri, con talune eccezioni come quella montaliana, segnatamente nel passaggio dal simbolismo al modernismo, accanto a figure come Eliot, Pound, e Joyce, Svevo, e Pirandello, per la prosa).
      È la crisi della Ragione riflessiva quello che la poesia di Iana Boukova mette in vetrina, la sua poesia segue il principio della libera perifrasi, cioè posta una parola, un oggetto, segue la perifrasi, che dà una analisi di quell’oggetto lontanissima da ciò che la ragione narrante della vecchia metafisica ci avrebbe fornito. Si ha, letteralmente, una de-figurazione della riflessività della Ragione occidentale, e purtroppo gli eventi bellici in Ucraina ci rendono edotti delle conseguenze epocali che la crisi della riflessività della Ragione ha causato. Le cose sono tutte interconnesse, e la poesia è una cosa connessa con le altre cose.

      Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto legiferante, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo. Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court. La mancanza di un Principio è diventata una petizione di principio, la disseminazione è diventata il luogo dell’erranza, il soggetto è diventato una traccia; la poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la cronaca: la narrazione giornalistica della crisi, e l’arte diventa comunicazione del comunicato, in una parola, comunicazione della «privacy», delle storie personali, non più dell’incomunicabile, non più di ciò che ci dice il pensiero empirico diretto dal soggetto plenipotenziario.

      Ecco una poetessa europea che impiega la procedura serendipica nella sua poesia, Iana Boukova, nata nel 1968, nella versione dall’inglese di Ewa Tagher.
      (Gino Rago)
      *
      Iana Boukova

      S [excerpts]*

      String, a straight line straining to prove itself useful.
      Soup, a way of loving things.
      Sentiment, an ointment for beginners.
      Savannah what I see on my body lying down.
      Slogan, a thought’s wooden leg.
      Soap, guarantees you will at least be clean when you slip.
      Set of plates, parade of militant porcelain.
      Spinach, Santa’s younger cousin.
      Slave, every unbroken mirror.
      Sex, a neon sign.
      Shit, above all not a childhood illness.
      Sponsor, someone who never remembers his name.
      Salami, section of symbiosis.
      Stage, the usefulness of every smooth surface.
      Sandwich, a tango with mustard.
      Scuba suit, a joke among crabs.
      Symmetry, a highly contagious disease.
      Sack, a landed balloon.
      Seismograph, someone busy describing solely big events.
      Skeleton, a trapped percussion orchestra.
      Stool, an oppressed coffee-table.
      Sickle-and-hammer, history’s knife-and-fork.
      Sardine, a fish displaying human-like behaviour in contained spaces.
      Striptease, an act that bores the X-ray specialist.
      Schizophrenia, mind’s wide open embrace.
      Stalactite, child of water-drop torture.
      Spur, Morse code of divine love.
      September, a middle-aged April.
      Sternum, something like Pandora’s box in pink (and purple).
      System, a sieve that also has large holes.
      Snail, time’s steed.
      Sowing, burial in the manic phase.
      Station, gradation of the end.
      Sophist, a wise man who’s insured.
      Scrabble, an English gentleman lacking a few vowels.
      Shock, good to carry on oneself in case of cramps.
      Show, when Aristotle cried.
      Shaman, impresario of the dead.
      Seraphim, the only church banner that isn’t a dragon.
      Sword, a shining that leaves things half.
      Salsa, a hot dance.
      Statistics, the philological abuse of mathematics.
      Sauce, a suspect hatred against the simplicity of things.
      (translated by Bulgarian Panayotis Ioannidis)

      S-tralci

      Corda, una linea retta che si sforza di dimostrare di essere utile.
      Zuppa, un modo di amare le cose.
      Sentimento, un unguento per principianti.
      Savana, ciò che vedo sul mio corpo sdraiato.
      Slogan, gamba di legno di un pensiero.
      Sapone, ti garantisce almeno di essere pulito quando scivoli.
      Servizio di piatti, sfilata di porcellana militante.
      Spinacio, il cugino più giovane di Babbo Natale.
      Schiavo, ogni specchio intatto.
      Sesso, un’insegna al neon.
      Merda, soprattutto non una malattia infantile.
      Sponsor, qualcuno che non ricorda mai il suo nome.
      Salame, fetta di simbiosi.
      Palcoscenico, l’utilità di ogni superficie liscia.
      Sandwich, un tango con senape.
      Muta da sub, uno scherzo tra i granchi.
      Simmetria, una malattia altamente contagiosa.
      Sacco, un pallone atterrato.
      Sismografo, qualcuno impegnato a descrivere solo grandi eventi.
      Scheletro, un’orchestra di percussioni intrappolata.
      Sgabello, un tavolino da caffè sottomesso.
      Falce e martello, il coltello e la forchetta della storia.
      Sardina, un pesce che mostra un comportamento simile all’uomo in spazi contenuti.
      Striptease, un atto che annoia lo specialista dei raggi X.
      Schizofrenia, l’abbraccio spalancato della mente.
      Stalattite, figlia della tortura della goccia d’acqua.
      Sperone, codice Morse dell’amore divino.
      Settembre, un aprile di mezza età.
      Sterno, qualcosa come il vaso di Pandora in rosa (e viola).
      Sistema, un setaccio che ha anche grandi fori.
      Lumaca, il destriero del tempo.
      Semina, sepoltura nella fase maniacale.
      Stazione, progressione della fine.
      Sofista, un uomo saggio che è assicurato.
      Scarabeo, un gentiluomo inglese privo di alcune vocali.
      Shock, buono da portare su se stessi in caso di crampi.
      Spettacolo, quando Aristotele pianse.
      Sciamano, impresario dei morti.
      Serafino, l’unico stendardo della chiesa che non sia un drago.
      Spada, uno splendore che lascia le cose a metà.
      Salsa, un ballo caldo.
      Statistica, l’abuso filologico della matematica.
      Condimento, sospetto odio contro la semplicità delle cose.
      *
      Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

      La Crisi della Ragione è innanzitutto Crisi della coscienza quale luogo deputato, da Descartes in giù, della riflessività, luogo del principiale, luogo nel quale ha origine il logos. il logos della metafisica. Se la coscienza è in crisi è in crisi anche la metafisica quale prodotto della riflessività della coscienza, e le arti non possono che raffigurare, in un modo o nell’altro, la crisi di questa riflessività. È la crisi della riflessività che la poesia di Iana Boukova mette in scena, si ha, letteralmente, una de-figurazione della riflessività della Ragione occidentale.

      Con il crollo della coscienza quale luogo privilegiato della riflessività del soggetto legiferante, è crollata anche l’arte fondata sulle fondamenta di quel luogo. Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court. La mancanza di un Principio è diventata una petizione di principio, la disseminazione è diventata il luogo dell’erranza, il soggetto è diventato una traccia; la poesia, il romanzo, le arti figurative, il cinema sono diventati i luoghi dove si racconta ciò che ci narra la cronaca: la narrazione giornalistica della crisi, e l’arte diventa comunicazione del comunicato, in una parola, comunicazione della «privacy», delle storie personali, non più dell’incomunicabile, non più di ciò che ci dice il pensiero empirico diretto dal soggetto plenipotenziario.

      La «defigurazione» o procedura serendipica, è il metodo poetico adottato da Iana Boukova. Pensare lo «spazio poetico» oggi significa applicare ai testi la de-figurazione e la dis-locazione in quanto gli spazi interamente de-politicizzati delle società moderne ad economia glocale interamente dipendenti dai pubblicitari e logotecnici, sono caratterizzati dalla de-figurazione e dal disallineamento significazionale.
      È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità. Oggi la politica estetica la fa la pubblicità. Il discorso poetico che voglia tornare a fare della politica estetica non può fare a meno che ri-appropriarsi delle procedure già adottate in amplissima misura dal linguaggio pubblicitario e mediatico.

      La de-figurazione è una procedura retorica che consente di prescrivere una «figura» linguistica mediante una de-localizzazione frastica sistematica, introducendo nel testo proposizioni liberamente dis-locate, spostate, liberate dalla cogenza del referente, non appropriate quindi non corrispondenti al referente; ciò vuol dire che si registra uno scarto del pensiero dal referente che corrisponde alla parola che non gli corrisponde; tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della delocalizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro da queste poesie dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Il referendum ha sostituito il referente.

      La globalizzazione, come sappiamo, è un processo ancipite, glocale, in cui agiscono vettori anche contrastanti ma divergenti: non vi è solo sconfinamento e apertura dei linguaggi al globo, in questo processo macro storico operano anche dinamiche di collocazione e glocalizzazione; ci si muove nel quadro di smottamenti linguistici globali e glocali, uno spazio impensabile fino a qualche tempo fa, ma è in questo spazio che si muovono le forze linguistiche che operano all’interno dei linguaggi: le linee di convergenza e di divergenza tra le varie tradizioni letterarie diventano complessificazioni di una realtà in sé complessa. In questa accezione una «poesia europea» che fa della complessificazione e del dis-allineamento dei linguaggi il proprio motore di ricerca è già in atto nei più sensibili e ricettivi poeti europei, oggi una poesia europea che non abbia qualche cognizione di questa problematica macro storica dei linguaggi è destinata a fare operazioni epigoniche. Pensare ancora con le categorie della poesia del novecento: «poesia lirica» e «post-lirica», sperimentalismo e orfismo, linee regionali e linee circondariali sono, permettetemi di dirlo, blablaismi. La globalizzazione e la glocalizzazione sono processi macro storici che non possono non attecchire anche alla forma-poesia, modificandola in profondità al suo interno.

      È impellente pensare la ri-concettualizzazione del paradigma del politico e del poetico, è viva l’esigenza di fuoriuscire da quelle formule dicotomiche che hanno caratterizzato la poesia del novecento: lo schema classico: avanguardia-retroguardia, poesia lirica poesia post-lirica; siamo andati oltre: occorre ri-concettualizzare e ri-fondamentalizzare il campo di forze denominato «poesia» come un «campo aperto» dove si confrontano e si combattono linee di forza fino a ieri sconosciute, linee di forza linguistiche ed extra linguistiche che richiedono la adozione di un «Nuovo Paradigma» che metta definitivamente nel cassetto dei numismatici la forma-poesia dell’io panopticon della poesia lirica e anti-lirica, avanguardia-retroguardia; da Montale a Fortini è tutto un arco di pensiero poetico che occorre dismettere per ri-fondare una nuova Ragione dello spazio poetico. Dopo Fortini, l’ultimo poeta pensante del novecento, la poesia italiana è rimasta orfana di un poeta critico in grado di orientare le categorie del pensiero poetico.

      Quello che oggi occorre fare con urgenza è riprendere a riparametrare e ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico, anche perché dopo Fortini, la resa dei conti stilistica del «poetico» è rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione.

      (Giorgio Linguaglossa)

  11. Fino al 2012, quindi dieci anni or sono, scrivevo poesie a tematica esistenzialistica, cercavo di indagare le problematiche dell’esistenza degli uomini del mio tempo. Dopo quella data qualcosa di determinante è cambiato, mi sono reso conto che non era più possibile scrivere una poesia o un romanzo esistenzialistici, e svoltai verso una nuova ontologia estetica di cui la poetry kitchen è l’ultimo e più ragguardevole esito.
    Il mondo era mutato radicalmente, e la forma-poesia non poteva restare ferma in attesa di tempi migliori. La crisi del capitalismo neoliberale dal 2008 era lì, sotto gli occhi di tutti. C’erano delle buone ragioni per non scrivere più alla maniera del soggettivismo esistenzialistico.

    Lo stato di conflittualità permanente presente nelle società a capitalismo neoliberale e la percezione di vivere in una guerra civile permanente, sono i corollari del nostro odierno modo di vita, la traccia di una via permanentemente sbarrata alle istanze della coscienza critica. Non c’è nulla di meglio che una condizione di shock permanente per indurre gli uomini alla resa, o quantomeno ad una condizione di adattamento alle circostanze vissute come oggettive e immodificabili. È la condizione dello shock che apre le porte delle stanze costipate di armadi e di cofani dove nascondiamo gli abiti dismessi della nostra incapacità a vivere. Lo stato di shock da catastrofi che caratterizza le società neoliberali rappresenta l’opportunità di una nuova articolazione del dominio neoliberale. Il regime neoliberale opera mediante shock: lo shock deforma e disarma la coscienza, la rende inerme, la riduce alla difensiva e alla rinuncia. Così, gli uomini paralizzati e traumatizzati dalla catastrofe permanente, si offrono supini alla nuova articolazione neoliberale del dominio.

    Poi, nel biennio 2019-2021 è intervenuta la pandemia del Covid, la legislatura dei tre governi (Conte1, Conte2 e Draghi), la crisi economica e antropologica dell’italia, e infine, la guerra Russo-Ucraina… le cose stanno cambiando, sono cambiate davvero, siamo entrati in un nuovo quadro geopolitico e geoeconomico che porterà a gravi instabilità e conflitti anche in Europa. La poesia europea sta cambiando, è cambiata, e molto cambierà nel futuro prossimo, la crisi non concede tregue spendibili. la poesia di Iana Boukova è un esempio significativo dei cambiamenti intervenuti nel linguaggio poetico. Le cose non potranno più tornare ad essere come prima.

  12. Mi sono chiesto, molte volte, come sia possibile fare poesia o arte esistenzialista senza però entrare mani e piedi nella psicanalisi e senza approfondire la conoscenza di sé, ricorrendo ad esempio a psicoterapia. Da qui le tante ingenuità, vite martoriate di artisti, storture affettive e via dicendo. Il fatto è che gli artisti si “affezionano” al loro malessere, perché spesso è proprio grazie a quel malessere se sono riusciti a fare buona letteratura. Da qui la percezione che l’arte occidentale sia malata, malata di inquietudine – e non risolve, individualmente, lo storicismo.

  13. La riduzione agli ultimi termine è questa la procedura che contraddistingue l’essere kitchen.
    Iana Boukova c’è ne rappresenta un bel campione.
    Una per tutte:
    “Falce e martello, il coltello e la forchetta della storia.”
    Nella rappresentazione oggettiva il presente è una scatola di oggetti senza più nessun interesse.
    La giocoleria questo il nostro tormento:

    • COMPOSTAGE 2022/

      Un rumore di motori scende dai tetti
      innervosisce le briciole, scompone il
      vento/
      Ergo, crisi della Rappresentazione prospettica e crisi della rappresentazione tout court./
      I frantumi sono già dei simboli, afferma Rushdie./
      Nella sala macchine un fuori sinc
      senza rimedio./
      L’inganno delle medaglie.
      La neve di Pechino il sushi della rivoluzione. Deglutire ad una apparizione./
      Ecco,
      la potenza del vuoto è nella sua immensa forza creatrice./
      Un Boeing, rispose il pompiere
      La mia canzone, rispose un tizio silenzioso.

      In ordine di citazione: Colasson,Pugliese,Rago, Linguaglossa,Tagher, Pierno,Petronelli,Boukova.
      Grazie a tutti.

  14. Mimmo Pugliese

    IL TANGO HA CAPELLI RICCI

    Hai nascosto le parole dietro i denti della pioggia
    le matite accanto ai gatti sugli scafali del metaverso.

    La memoria degli aghi di pino
    bussa alla catatonia del polonio.

    Sulle sbarre di sabbia diventa latte il ritorno
    girato l’angolo è magro il fruscio del segnalibro.

    Tra virgole d’asfalto si riposano gli elefanti
    sorvolano il sudore i citofoni delle banche.

    La giacca di flash-back centrifuga bustine di thè
    su ponti inesistenti resistono passeri rampanti.

    Non ti hanno visto partire
    erano spenti i semafori.

    Ha capelli ricci il tango uscito dallo specchio
    ZZzzz…ZZzzz… video in riconnessione…..

    FUORI E’ POMERIGGIO

    Il pomeriggio che abbaia
    si perde dietro all’eco del labirinto

    Un rumore di motori scende dai tetti
    innervosisce le briciole, scompone il vento

    Nella fessura degli armadi
    la luce bagna impermeabili nuovi

    Quando la collina naviga nella pioggia
    sono àsole le canne sulla strada

    Alberi che non ti sono mai piaciuti
    sciolgono gli intrighi delle onde

    Ha dita di sale la botola
    che scrosta i muri alla fine del fiume

    La traiettoria del sonno si lascia dietro
    scarpe e cifre smaltate sulla camicia

    Mordono la luna gli storni
    mentre parli ai cani della vendemmia

    • “Ha dita di sale la botola
      che scrosta i muri alla fine del fiume”

      Parole non descrittive, eppure fortemente visive. Complimenti.

    • milaure colasson

      Sia Mimmo Pugliese che Mauro Pierno inseguono con lo scolapasta e un berretto verde fosforescente un uccellino piccolissimo che è il significante vuoto e indeterminato, un puntino… e tutto sommato, senza tante complicazioni zizeskiane riuscite benissimo nei vostri compostaggi o compostages en français.

  15. La percezione Kitchen in poesia è la consapevolezza che la riduzione ai minimi termini è incontrovertibile.
    Il potere degli oggetti è straripante.
    “Falce e martello, il coltello e la forchetta della storia”. Questo verso di Iana Boukova percepisce lo
    spasmo ultimo degli oggetti. Il rimpicciolimento della storia. I gessetti fumanti e propulsivi della copertina della Colasson!
    Constatazione storica temporale del presente.
    Questo un esempio di “rivoluzione tascabile” cara Tagher.(Grazie).
    “dove finisce la luce e si esaurisce la pazienza”.,(Boukova)


    Grazie OMBRA.

  16. La parola è il cavallo di Troia, una volta che fa ingresso nella città delle parole, si perde nelle strade più svariate, e il significante è il suo cavaliere che crede ingenuamente di guidare il cavallo secondo i suoi desideri, ma si inganna, viene ingannato dal cavallo che ormai ha preso possesso della città delle parole.

    Per il filosofo Žižek il significante simbolico è di per sé «vuoto e indeterminato e ex-posto dall’atto contingente del soggetto». Così ermeneutica e fenomenologia vengono a coincidere: una filosofia dell’atto non avrebbe senso se non lo considerassimo come un tentativo dei tentativi (atti) falliti del soggetto di concepire interamente il reale per il tramite del Simbolico.
    Il concetto di «significante vuoto» ci viene in soccorso per la nostra poesia in quanto ogni volta che mettiamo sulla carta un significante dobbiamo pensarlo come un «vuoto» che attende di essere riempito, un impossibile a cui invece diamo paradossalmente credito nella vita di relazione come se il significante fosse veramente «pieno» di significato. Il che non lo è.
    Il soggetto è subordinato alle leggi del linguaggio, ma mentre egli parla, il linguaggio non sa che direzione possa prendere la mia parola. La parola va sempre in una direzione singolarissima che il codice del linguaggio non può prevedere nonostante la parola stessa sia impossibile senza il codice linguistico.
    Nel compostaggio di Mauro Pierno, l’autore (il soggetto) parla, ma lo fa per il tramite delle parole di altri soggetti (parlanti), qui diventa evidente che la parola una volta parlata non sa più che direzione prenderà e dove se ne andrà.
    Con le parole di Žižek:
    «il discorso umano non è mai la mera trasmissione di un messaggio, ma asserisce sempre in modo autoriflessivo il patto simbolico basilare fra i soggetti comunicanti».1

    Per Žižek ciò che rompe il regolare funzionamento del Simbolico creando uno scorcio nel Reale è l’evento del trauma. Nella visione lacaniana esso non rappresenta propriamente il «nocciolo duro» che si sottrae per sempre alla simbolizzazione, non coincide affatto con la cosa in sé kantiana, ma è
    qualcosa di molto più complesso. Il Reale in sé non è assolutamente nulla, è semplicemente un vuoto, una smagliatura nella struttura reticolare del simbolico che va a segnalare una qualche impossibilità del soggetto a rappresentare l’oggetto.

    1 S. Žižek Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, tr. it. a cura di M. Nijhuis, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 31.

    • milaure colasson

      Il trauma di cui ci parla Žižek è quella cosa per la quale esiste un nome proprio ma che noi preferiamo indicare mediante una procedura perifrastica, un insieme di parole che apparentemente non hanno niente in comune ma che tutte insieme ci dicono qualcosa di essenziale o di inessenziale circa quell’oggetto che volevasi indicare. Il trauma si può indicare soltanto con nomi nuovi che prima non erano mai stati usati. E questo è proprio della poesia.

  17. raffaele ciccarone

    Intesi sulla valenza Kitchen della nostra poetessa bulgara Iana Boukova, anche se tradotta dal bulgaro in inglese, e poi in italiano. Piaciuta la sua S-Tralci, assai originale la sequenza delle S. Mi chiedo cosa sarebbe stata questa S-Tralci direttamente in italiano, a iniziare dal titolo.

  18. milaure colasson

    Definizione della perifrasi della Treccani:

    PERIFRASI (gr. περίϕρασις). – Col nome greco di perifrasi o con i suoi equivalenti, circonlocuzione o giro di parole, la retorica indica quel procedimento per cui il concetto è espresso, anziché con un solo vocabolo, con più vocaboli: quando invece di cielo si dice vòlta stellata, invece di leone si dice re degli animali. S’intende bene che, se logicamente la perifrasi può equivalere al termine “proprio”, il valore affettivo o evocativo è diverso.

    In periodi in cui la moda prescriveva di evitare termini troppo realistici, di evitare le ripetizioni, ecc., la perifrasi ebbe grande voga: un traduttore francese di Pindaro, non osando per scrupolo pseudoclassico nominare il gallo, parla di quell'”oiseau domestique dont le chant annonce le jour, et qui n’a que son pailler pour théâtre de ses exploits”.

    I grammatici chiamano talora forme perifrastiche quelle composte di più termini, come, per esempio, il latino laudandus eram o come l’italiano sto facendo (benché non esista la possibilità d’esprimere lo stesso concetto con un solo termine).

    *

    perìfraṡi s. f. [dal lat. periphrăsis, gr. περίϕρασις, der. di περιϕράζω «parlare con circonlocuzioni», comp. di περι- «peri-» e ϕράζω «dire»]. – Procedimento espressivo consistente nell’usare, anziché un termine unico, un insieme di parole…

    *
    Dunque: Circonlocuzione o perifrasi o giro di parole sono quelle locuzioni complesse con cui si significa una qualsiasi realtà per la quale è disponibile un unico termine mediante un ragionamento complesso e apparentemente scombiccherato: Colui che tutto move (Dante), per definire Dio, motore dell’universo.
    Nella poesia di Iana Boukova viene fatto un uso amplissimo di questa procedura, si tratta di forme perifrastiche mediante le quali un oggetto viene indicato mediante l’elencazione di altri oggetti relazionati tra di essi che nulla hanno a che vedere con l’oggetto che volevasi definire. Questo è un procedimento kitchen ma non solo, è un procedimento linguistico e stilistico che consente un approfondimento e un allargamento del linguaggio che cessa di essere usato come un mero sistema elencatorio o indicatorio per diventare uno strumento complesso al servizio di una realtà complessa.

  19. milaure colasson

    Chi era il mitico figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse. Rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta, fuggì volando con le ali che Dedalo aveva adattato con la cera al proprio corpo e a quello del figlio. Ma, avvicinatosi troppo al Sole, la cera si sciolse e cadde nel mare? = Icaro!

  20. milaure colasson

    Marie Laure Colasson

    Dire le cose con un minimo di parole, questo deve essere il compito della poesia, quantomeno è il principio sul quale baso la mia poesia. Precisione vuol dire «condensazione», cioè intersezione di catene di significanti, di suoni, di significati, di ritmi e, la cosa più importante, di immagini. Nella poesia moderna si trova il «dislocamento», che è un processo primario del linguaggio dell’inconscio. Questo significa che di frequente troviamo delle sorprese là dove non ce l’aspettavamo. La sostituzione dei sostantivi ai verbi è la regola principale. Qualcuno obietterà che tale procedimento darebbe alla frase una certa staticità, io sono del parere contrario in conformità al principio poetico di Baudelaire: «Odio il movimento che sposta le righe». Quell’immobilità è soltanto apparente, inganna: «dislocamento» di metafora in metafora, questo è la poesia. Senza considerare che la metafora contiene già in sé un dislocamento, uno spostamento, e questo modo di scrivere è quello che consente passaggi inattesi, imprevedibili, anche contraddittori. La poesia che facciamo, la poetry kitchen, la poesia buffet quella fatta in cucina e non nei salotti della letteratura per bene alla Louise Gluck, consente associazioni di immagini le più varie ed astruse (almeno apparentemente). Questo metodo favorisce i dislocamenti, gli spostamenti, i salti tra le immagini e le parole.

    Nella mia poesia, e non solo la mia ma anche in quella degli altri poeti kitchen, il passaggio dal piano fonologico al semantico si realizza mediante la consequenzialità delle immagini non attraverso il gioco dei significanti e dei significati. Le immagini collegate mediante la intensificazione e la moltiplicazione delle immagini, è questo il segreto evidentissimo della poetry kitchen. Accordare la priorità assoluta alla fabbricazione di immagini è quello che fa la differenza. I legamenti tra le diverse corrispondenze di immagini favoriscono le «dislocazioni» e gli «spostamenti». Il mittente e il destinatario di una frase poetica deve essere l’immagine, le immagini stroboscopiche. L’immagine permette di vedere al di là dell’immagine.

  21. milaure colasson

    Scrive Slavoj Žižek:

    «È necessario far riferimento al fantasma fondamentale, inteso come concetto presente in Freud e Lacan, e da questi definito come la più intima essenza del soggetto, come la definitiva cornice proto-trascendentale del mio desiderare che proprio in quanto tale rimane inaccessibile alla mia comprensione soggettiva; il paradosso del fantasma fondamentale è che l’essenza stessa della soggettività, lo schema che garantisce l’unicità del mio universo soggettivo mi è inaccessibile. Nel momento in cui mi avvicino troppo, la mia soggettività e auto esperienza perdono consistenza e si disintegrano».1

    La poesia kitchen che noi facciamo, o che tentiamo di fare, ha a che fare con il «fantasma» più che con le muffe alle pareti dell’io, come scrive Gino Rago, viviamo in un mondo di spettri e di fantasmi, il Reale è popolato di fantasmi, prima o poi la poesia italiana dovrà prenderne atto.

    “Più reale del reale, il fantasma è nell’oggetto più dell’oggetto stesso”.2

    L’ideologia funziona in questo modo, sostiene Žižek : non si tratta di una illusione che costruiamo per sfuggire ad una realtà insostenibile, ma al contrario, l’ideologia è una costruzione fantasmatica che serve da supporto alla realtà, un’illusione che struttura le nostre relazioni sociali mascherando un certo nocciolo insostenibile, “reale”, impossibile. L’obiettivo dell’ideologia allora non è quello di offrirci una scappatoia dalla realtà, ma di offrire la realtà sociale stessa come scappatoia da qualcosa di più traumatico.

    I generi artistici nelle nostre società di marketing operano tutti come illusioni, supporti del Reale, svolgono cioè una funzione di sostegno del Reale, intrattengono il pubblico in modo soddisfacente. Un genere artistico che non corrisponde al marketing universale qual è diventata la cultura nel mondo globale, viene ad essere esautorata della sua funzione critica, viene letteralmente espulsa dal marketing. Il mondo globale non ha neanche bisogno di una «amministrazione» (in tal senso la posizione di Adorno pecca ancora di illuminismo), ne fa a meno, e lascia tutto nelle mani del marketing e della pubblicità. L’ideologia è diventata non-ideologia.

    L’ideologia non è soltanto una falsa coscienza, un’illusoria rappresentazione della realtà, ma piuttosto è la realtà stessa ad essere già pronta per venire concepita come ideologia. Ideologica, allora, sarà una realtà la cui esistenza implica una certa non consapevolezza da parte dei suoi attori. In altri termini l’ideologia (e dunque con essa la realtà), è una formazione di tipo sintomatico: una formazione la cui vera consistenza implica una certa non conoscenza da parte del soggetto, una formazione significante portatrice di jouis-sense, un sinthomo, sintomo con cui il soggetto sfugge alla follia, scegliendo “qualcosa” (formazione sintomatica) in luogo del niente (autismo psicotico), in luogo della distruzione dell’universo simbolico. Ecco perché la definizione finale del processo psicoanalitico secondo Lacan è l’identificazione con il sintomo: l’analisi finisce nel momento in cui il paziente riconosce nella realtà del suo sintomo l’unico supporto del suo essere. Ecco perché in definitiva il supporto dell’effetto ideologico è il “non sensical”, nocciolo pre-ideologico del godimento: così nell’ideologia, spiega Žižek, tutto è non-ideologia, ovvero non è significato ideologico. E questo surplus è proprio il vero supporto dell’ideologia.

    1 S. Žižek, Lacrimae rerum, cit., p.217.
    2 Ibidem

    (Giorgio Linguaglossa)

  22. Il montaggio è la pratica teoretica della poiesis kitchen

    La poiesis essendo costituente della realtà è, in se stessa, nel senso antropologico, sempre fiction, funge da «sostegno» del Reale lacunoso. La poiesis è ciò che costituisce il Reale ma ha una consistenza insostanziale, invisibile, come invisibile è il fantasma che lo abita.

    La nuova poiesis ha acuta consapevolezza del legame che sussiste tra il fantasma e il Reale, nega legittimità al mito di un significante fondamentale, di un dire originario e di una metafora fondamentale; non si dà nulla di fondamentale né di originario, e il fantasma ne è la contro prova. Ciascun essere pensante ha i propri fantasmi, la propria solitaria scena fantasmatica, se non ci fossero i fantasmi il soggetto non potrebbe sopportare il trauma dell’irruzione del Reale nell’ordine simbolico; così, la smagliatura nell’ordine simbolico ristabilisce il contatto con la realtà.

    Nelle società post-democratiche del capitalismo cognitivo si assiste alla liberalizzazione del fantasma, la società è diventata fantasizzante, si ha un liberi tutti con i liberi fantasmi. E ciò è in consonanza con le istanze del liberalismo e del capitalismo cognitivo.

    È nella opposizione fra fantasia e realtà che il Reale si gioca la sua «consistenza», il Reale è dal lato della fantasia e della facoltà fantasizzante. In ordine a ciò il Reale e la fantasy sono le due facce della stessa medaglia: il Reale non ha alcuna «consistenza» ontologica, è spettrale e fantasmatico, mentre la fantasy è il fantasma che interviene nella realtà; ed è traumatico l’ingresso del fantasma nella realtà e sempre spostato rispetto a se stesso – può sì fungere da sostegno, da supporto alla realtà, ma solo come cornice, come spazio vuoto ontologico intorno al simbolico, vuoto da riempire.

    Non vi è nessuna formula universale che abita l’immaginario, afferma Žižek; ognuno possiede un proprio singolarissimo «Fattore» che regola e gestisce il proprio Fantasma (una donna, vista da dietro, poggiata su mani e ginocchia era il fattore dell’Uomo dei Lupi; una donna statuaria, algida, evanescente, nuda, priva di peli pubici era il fantasma di Ruskin), afferma sempre Žižek, e così via. Per il pensatore di Lubiana la mancanza di un universale comune della fantasia costituisce il tratto autenticamente universale di essa – ecco perché possiamo qui trovare un punto di contatto fra fantasy e immaginario. Si ha fantasy in quanto si ha un immaginario. E viceversa.

    Il fattore F (fantasia) è diverso per ciascuno di noi, ma ogni soggetto è caratterizzato dal fatto di possederne almeno uno.

    Nella singolarità della propria fantasia personale, ciascuno coltiva una propria peculiarissima fantasia. Il neoliberalismo ha sdoganato la fantasia personale. Si ha diversità in quanto la fantasia abita l’immaginario. L’immaginario è diventato plurale. Al contrario di ciò che sosteneva Jung, non c’è un inconscio collettivo delle fantasie, ciascuno possiede una propria peculiarissima fantasia che non può fare a meno di coltivare nel segreto delle stanze mentali. Questa identità nella diversità è il tratto trascendentale che unisce l’evento traumatico della fantasy (fattore F) entro le dimensioni strutturali dell’immaginario e del simbolico.

    La poesia del «montaggio» è un atto teoretico, un atteggiamento mentale. L’immaginario è la fantasizzazione del reale, è la trasduzione del reale in fantasy. La fenomenologia delle odierne società delle immagini non è esperibile entro le coordinate della ermeneutica. La fantasy si è internalizzata, è diventata una adiacenza della psicopatologia, nelle società de-politicizzate anche la fantasy si è de-politicizzata: non c’è una fantasy di destra e una di sinistra, qui vige l’egualitarismo di una fantasia egalitaria. La fantasy è apparenza, prospera dietro il giubbotto anti proiettile dell’interno.

    Il tema dell’immaginario de-politicizzato si inserisce come un dato da immettere nel «montaggio» del materiale poetico in quanto indizio di una inversione radicale, nella quale il pensiero poetico si disidentifica da se stesso per farsi fantasy, filmografia; la fantasy si disidentifica da se stessa, per divenire pensiero-filmografico, filmografia, truismo grafia dell’immaginario. In sé la fantasizzazione è innocua. Questo spiega perché la pratica del «montaggio» kitchen non è inscrivibile nelle consuete estetiche novecentesche, dal detournément situazionista, alla «macchina desiderante» di Deleuze-Guattari, e chiarisce anche il motivo della importanza capitale del «montaggio dell’immaginario», della della coppia Reale immaginario/Immaginario reale.

    La riduzione del Reale da trauma a spettro, e dell’Immaginario da riflesso narcisistico e scenario fantasmatico a categoria ontologica, è uno dei punti decisivi e più importanti della modalità kitchen e del suo modo di operare. In questa ottica, il fantasma che inerisce al soggetto (fantasy) differisce di molto dalla ideologia (social fantasy) delle società della rappresentazione, esempi ne sono la moda e la letteratura di intrattenimento, ma può dispiegare un livello di fantasizzazione del reale come autentica dimensione trascendentale intersoggettiva. L’immaginario è la determinazione di un momento dialettico.
    Il montaggio del materiale poetico non è un mero succedaneo del momento dialettico ma è il momento dialettico stesso nel suo operare attraverso la fantasizzazione del reale.

    L’immaginario è il colpo di bacchetta magica capace di trasformare il nulla della fantasy in qualcosa, in un ente: il nulla della fantasy, pur restando nulla, può produrre effetti reali diventando un sostegno del reale in quanto il reale è insufficiente a colmare le lacune del soggetto. La dialettica che si svolge nell’inconscio del soggetto comporta una implicazione decisiva: che per creare un oggetto immaginario anche il soggetto debba «irrealizzarsi», diventare immaginario.

    Non c’è alcuna fantasia fondamentale perché, se ci fosse, una volta realizzata si dissolverebbe. Non è la verità fondamentale ma la menzogna fondamentale, la bugia secretata, ben nascosta, che tiene oscenamente insieme i frammenti sparsi della soggettività.

  23. milaure colasson

    Ha scritto Giorgio Linguaglossa:

    A mio avviso la poesia kitchen non parla più con nessun interlocutore, perché la storia è stata derubricata in storialità e il soggetto postedipico è diventato il nuovo superconduttore mediatico che si consegna integralmente ad una autoassegnazione narcistica in via di dissoluzione verso forme di razionalizzazione paranoiche e psicasteniche.

    E Francesco Paolo Intini:

    Porsi il problema dell’interlocutore non è di poco conto. Esso implica che in qualche modo ci sia una direzione dei propri versi, lungo la quale si muova una specie di tir col carico di significati e che alla fine dell’autostrada si trovi qualcuno a cui consegnare la merce. Penso che gran parte della poesia moderna sia riconducibile a questo schema lineare che vede le vicissitudini dell’io coincidere con le aspettative di chi legge.

    Per conto mio condivido quanto scrive Giorgio:

    “Non è la verità fondamentale ma la menzogna fondamentale, la bugia secretata, ben nascosta, che tiene oscenamente insieme i frammenti sparsi della soggettività.”

    Sigillare la verità con molteplici giri di scotch e spedirla al mittente e alle anime belle, la poesia è nient’altro che una pratica discorsiva dove ci può entrare di tutto, con i conglomerati e i compostaggi, le omeomerie e le dissimmetrie, con il fattore F e il fattore K. Le anime belle mi fanno venire i brividi, i loro alleluja con tanto di hula hoop mi atterriscono, gli psicologi alla Hillman sono i più acrilici e tossici, intontiscono i lettori con i paragrafi encomiastici sull’anima, sul bello e sul buono.

  24. milaure colasson

  25. milaure colasson

    dimenticare Montale, dis-mettere il montalismo e l’antimontalismo, dis-mettere le poetiche usufritte giunte anzitempo al capolinea, i Gruppi 63, 93 2003, 2033, le poetiche pseudoorfiche e le poetiche regionali, fare tabula rasa di tutte le manifatture e di tutte le ergonomie onanistiche. Ricominciare da sotto zero, perché lo zero era già qualcosa.
    Ecco una mia poesia :
    Instant poetry
    per Lucio Mayoor Tosi e Giorgio Linguaglossa

    Salvini: “darei due Mattarella in cambio di metà Putin”

    (da una frase stampata su una maglietta indossata dal capitano della Lega lombarda alcuni anni fa.)

  26. milaure colasson

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