Non è difficile capire il bisogno che Duška Vrhovac, poeta così sottile e significativo, ha espresso – dopo più decenni di scrittura letteraria, senza trascurare nemmeno la portata eccezionale del suo impegno giornalistico – di offrire all’attenzione del pubblico questo breviario poetico-filosofico, considerato quanto bene lei capisca la crudezza di una realtà che non cessa di ammonire
/che la vita è uno scrivere sulla sabbia la cui durata dipende dalla velocità del vento/.
Nella semantica delle Inevitabili Note, il lettore non può non cogliere le raccomandazioni che con efficace sinergia danno forma a un tutto speciale, in cui l’autrice, sul filo dell’ossimoro e, insieme stupefacendo, con la logica della filosofia e il calore umano della poesia pone l’accento su determinati fenomeni, esprimendo in sintesi la propria visione del reale e del possibile in contrapposizione alla sfuggente distruttività, ma altrettanto reale e possibile dello stile di vita attuale.
Pur costatando che tutto quanto sia grande, all’inizio viene marginalizzato, Duška Vrhovac non marginalizza proprio niente, bensì, prendendo a misura il proprio logos, indica al lettore i legami comparabili fra quanto si sarebbe dovuto dire e fare e l’effetto del vuoto in quanto conseguenza del non detto e del non fatto. Pertanto ciascuna di queste note inevitabili, queste perle di saggezza, che evidentemente sgorgano dalle convinzioni dell’autrice, è nel contempo messaggio umanista al mondo che si va disumanizzando in modo terrificante e raccomandazione affinché questa disumanizzazione debba e possa essere impedita o almeno rallentata, se siamo ancora homines sapientes e se ci contrapponiamo alla distruzione inamissibilmente galoppante.
(Vidak M. Maslovarić, critico letterario, giornalista e poeta, Beograd 2018)
In questo libro dal titolo inequivocabile, Inevitabili note, Duška Vrhovac compie il gesto decisivo: si libera dalla tirannia del pensiero apofantico, sposta lo sguardo dall’oggetto del pensiero all’analisi e alla indagine dei presupposti del pensiero tout court, piega l’interrogare su se stesso. Il principio logico fondamentale, il principio di non contraddizione non è negato ma limitato e condotto al suo luogo d’origine, il determinato. L’indagine della poetessa predilige l’ambito di ciò che non è ancora determinato, di ciò che non è ancora sedimentato, poiché il determinato non ha alcun valore per tutto ciò che è e resta incognito: per gli stati d’animo, le tonalità emotive, le angosce del quotidiano, gli innamoramenti, i gesti che sfumano e scompaiono, un sorriso che scompare, il sole che tramonta…
Scrive Duška Vrhovac:
«Aprite il cuore, aprite le finestre, allargate le braccia, aprite la porta, chiudete soltanto la porta del male. È questo il modo più semplice per non vivere nella prigione in cui si è tramutato il nostro mondo».
Duška Vrhovac è un poeta che ha fatto tesoro di una grande perdita: la fine del modernismo con il conseguente inizio di un nuovo eone. L’attenzione della Vrhovac verte su quanto è «prima» dell’atto di determinazione, quel «prima» che la stessa determinazione logica presuppone, e sul «poi», su ciò che segue. La dislocazione dello sguardo della Vrhovac si sposta dal contenuto del «dire», del logos, all’itinerario del logos. Questo tragitto porta la poetessa serba a scorgere il profilo di quel continente nascosto che Vico chiamò ingens sylva, l’indeterminato, ciò che appare non concluso e non definito. Siamo prossimi a quella problematica, l’angoscia di Sein und Zeit di Heidegger, che apre l’esserCi alla consapevolezza della «possibilità dell’impossibilità dell’esistenza in generale». Duška Vrhovac usa il linguaggio forse più inadeguato del nostro tempo, quello della poesia, in senso largo della poiesis, che parla della crisi in cui viviamo con la lingua della crisi. Ma quale crisi se tutto è in crisi? E qui sorge il problema: come fare per scorgere un fondamento nella crisi?, ma non è possibile alcun fondamento, e la riflessione della Vrhovac lo esemplifica chiaramente quando scrive: «Nel cielo il sole, dentro di te il sole, ma tutt’attorno il buio». Il genere prescelto è il Tagebuch, il diario, il luogo nel quale vengono appuntati i pensieri del giorno, ciò che pone all’“Io” il compito etico di rispondere all’ordine del giorno mediante dei pensieri che rispondono ad una situazione di incertezza e di pericolo.
Fatti il segno della croce.
Taci.
Grida.
Muori subito.
Sopravvivi a tutto.
Cammina.
Vai.
Fermati.
Fotografati.
Entra nella storia
Rompi lo specchio.
Rifinisci l’aureola.
Oppure cancella il tuo volto.
Tanto fa.
Questo è il caos.
E tu nel caos solo un grido.
Sono parole «pesanti» queste della Vrhovac, la voce è impostata al centro del petto ed esce sonora, forte, baritonale, improvvida. La voce dei poeti italiani invece è posizionata nella glottide, esce in falsetto, miagola, squittisce a metà tra la glossa e l’ammenda, la vetrina e l’isoglossa ubiquitaria in un connubio indecente che sa di argumentum, da dottor sottile. È questa la differenza.
L’attenzione della Vrhovac verte su quanto è «prima» dell’atto di determinazione, quel «prima» che la stessa determinazione logica presuppone, e sul «poi», su ciò che segue. La dislocazione dello sguardo della Vrhovac si sposta dal contenuto del «dire», del logos, all’itinerario del logos. Questo tragitto porta la poetessa serba a scorgere il profilo di quel continente nascosto che Vico chiamò ingens sylva, l’indeterminato, ciò che appare non concluso e non definito. Siamo prossimi a quella problematica, l’angoscia di Sein und Zeit di Heidegger, che apre l’esserCi alla consapevolezza della «possibilità dell’impossibilità dell’esistenza in generale».
Duška Vrhovac usa il linguaggio forse più inadeguato del nostro tempo, quello della poesia, in senso largo della poiesis, che parla della crisi in cui viviamo con la lingua della crisi. Ma quale crisi se tutto è in crisi? E qui sorge il problema: come fare per scorgere un fondamento nella crisi?, ma non è possibile alcun fondamento, e la riflessione della Vrhovac lo esemplifica chiaramente quando scrive: «Nel cielo il sole, dentro di te il sole, ma tutt’attorno il buio».
Il genere prescelto è il Tagebuch, il diario, il luogo nel quale vengono appuntati i pensieri del giorno, ciò che pone all’“Io” il compito etico di rispondere all’ordine del giorno mediante dei pensieri che rispondono ad una situazione di incertezza e di pericolo.
Se sapere è porre in luce significati a partire da presupposti che restano in ombra, scrivere un diario è non sapere ciò di cui si scrive, un tentativo di inoltrarsi tra le ombre dei significati che sono essi stessi nell’ombra e quindi che non possono essere condotti alla piena luce dell’evidenza. Il diario è propriamente questo, un tentativo di gesticolare nell’ombra dei significati ossificati, un tentativo di compiere dei gesti che aprano degli spazi nei significati in ombra.
Scrivere un diario è, letteralmente, storiografare se stessi e il procedere della propria scrittura. Scrivere è osservare. Si tratta perciò di mettere a tema il problema della collocazione storica dell’osservatore il quale sembra essere al di qua della pagina mentre invece è sempre al di là della pagina, nel pieno della luce dei significati già dati. Ed è questa l’aporia del diario, la sua finzione è la sua funzione, il voler dare ad intendere che chi scrive è l’osservatore che osserva la scena, mentre invece è un intruso, un ospite nel teatro dell’esistenza, un ospite che fa parte dell’esistenza che scorre ma che non può vedere dall’esterno come il diario vorrebbe.
Il pensiero poetante deve farsi costellazione di pensieri. Andenken è «memoria», è il pensiero che s’indirizza a ciò che si manifesta, a ciò che si dà come oggetto di conoscenza, ovvero ai significati, ma che nello stesso tempo ne rievoca anche la provenienza; «ricordo» che essi si danno in presenza a partire da un’assenza, da uno sfondo che va a fondo. Rievocare la provenienza non significa rendere presente ciò che è assente, portare a manifestazione ciò che, come tale, non si manifesta, ma esplicita l’attuare un mutamento dello sguardo, una diplopia: vedere ciò che si mostra come ciò che è in presenza, ma guardarlo, in un certo senso, anche dal lato dell’assenza, vederne il limite.
Che cosa dunque rievoca il pensiero poetante? Esso «rammemora» l’Evento. Rievoca quella zona d’ombra che è l’accadere stesso della luce; l’andare a fondo in quanto far emergere qualcosa non al fine di gettare luce sull’ombra e cancellarla come ombra, ma al fine di «sospendere» la cogenza dei significati.
Si tratta di mostrare che quei significati che vengono alla presenza non sono verità assolute nel senso di ab-solutum, sciolto, svincolato da un contesto, ma appartengono sempre a una cornice, sono figure che appaiono in primo piano a partire da una condizione che, subito, retrocede sullo sfondo. Rammemorando questa condizione, i significati vengono «storicizzati», mostrati nel loro limite, ossia nella loro contingenza storicamente determinata e nella loro dipendenza da un orizzonte.
Heidegger ha ragione quando afferma che il corpo umano è affatto diverso da tutte le altre cose del mondo perché è un corpo, cioè il corpo di un soggetto che dice di sé di essere un “Io”, e di conseguenza di avere un corpo.
L’Homo sapiens è questa separatezza. E come l’umano è separato dal suo stesso corpo così è separato dalle cose e dal mondo. L’ecologia non risolve questa frattura interna all’umanità dell’umano, può al più mitigarne e dilazionarne gli effetti. Heidegger parte da questa constatazione antropologica. Si tratta ora di capire fino a che punto, questo strano vivente che nega il suo stesso essere corpo,che è questa stessa negazione, può spingersi verso il mondo delle cose, fra cui c’è anche il ‘proprio’ stesso corpo che gli è estraneo quanto una galassia distante miliardi di anni luce.
La poetessa serba aprendo l’“Io” al mondo scopre una galassia dentro l’“Io”, questa complessità inestricabile fatta di tempo, di spazio, di eventi e di storia; il suo è un pensiero riflettente che pensa intimamente il reale, e il diario è la cronografia di questo singolarissimo pensiero riflettente.
Duška Vrhovac scrive di «inevitabili note» che rispondono ad un imperativo categorico. Esige di entrare nel mondo del senso, spinge per entrarvi. La vita umana non si nutre solo di oggetti, non è solo fatta della sostanza del godimento, del carattere acefalo della pulsione, ma esige di entrare nell’ordine del senso. Il genere diario è questa procedura di accesso al senso, senza questo accesso, la vita si disumanizza, resta vita animale, cade nello sconforto provocato dall’assenza di risposta.
(Giorgio Linguaglossa)
– Duska Vrhovac – Душка Врховац
Someone – Neko
Every morning someone steals my thought
Someone wounds my heart every day
Every night someone tricks my soul
Someone has made a pact with my time
Arbitrarily, roughly, without asking me.
NEKO
Svakog jutra neko krade moju misao
Neko ranjava moje srce svakog dana
Svake noći neko vara moju dušu
Neko je napravio pakt sa mojim vremenom
Proizvoljno, grubo, ne pitajući me ništa.
Qualcuno
Ogni mattina qualcuno ruba il mio pensiero
Qualcuno ferisce il mio cuore ogni giorno
Ogni notte qualcuno inganna la mia anima
Qualcuno ha fatto un patto con il mio tempo
Arbitrariamente, all’incirca, senza chiedermelo.
Poesie di Duška Vrhovac – Душка Врховац
da Inevitabili note
Invece del Prologo
Stanotte la pioggia mi ha svegliata. Il vento ha gonfiato la tenda e gocce d’acqua sono cadute fino al letto, fino sul mio viso. Mi sono alzata e ho chiuso la finestra. All’alba mi sono risvegliata, il giorno stava appena nascendo. Mi sono alzata e per prima cosa ho spalancato la finestra. È vero, può entrare qualche insetto, ma un insetto lo puoi cacciare, buttar fuori senza ucciderlo. Anche quando lavoro tengo aperto almeno un vetro della finestra. Così sto contemporaneamente fuori e dentro. Percepisco il mondo mediante il fluire dell’aria. I suoni rivelatori della città disturbano il mio innato silenzio. Non recepisco il cinguettio degli uccelli, ma mi arrivano echi di risate, richiami, passaggi di automobili.
Ieri sera a passeggio per la città non ho visto una finestra aperta. Mentre mettevo a letto mio nipote, mia figlia mi raccomandava di chiudere la finestra. Anche adesso, che sto seduta al computer a scrivere queste parole, la finestra dietro le mie spalle è aperta. Una finestra aperta è come un cuore aperto. Aprite il cuore, aprite le finestre, allargate le braccia, aprite la porta, chiudete soltanto la porta del male. È questo il modo più semplice per non vivere nella prigione in cui si è tramutato il nostro mondo. Nonostante tutte le facilitazioni, i confort, le esaltazioni della libertà, le compagnie, i viaggi, le nostre vite non sono che prigioni. Non arrendetevi alla prigione. Aprite le finestre. Aprite i cuori.
La vita e il tempo
Sono poche le persone che recepiscono quanto sia grande il dono che ricevono da chi con loro passano il proprio tempo; eppure il tempo non può mai essere restituito perché è quella parte della vita che si dona.
Durano in eterno solo gli attimi fermati.
È vero, il tempo vola e per di più in una sola direzione. L’unica cosa che tu puoi fare è comportarti da buon pilota del tuo velivolo.
Anche questa è un’epoca di pane e giochi: tempo di giochi grandi e sporchi, le cui regole pone il Diavolo in persona e un’età di indigenza del Pane.
Talvolta anche la solitudine è capace di fermare il tempo.
La nostra anima non invecchia, come non invecchiano i nostri ricordi. Solo i nostri corpi si consumano e la memoria s’indebolisce.
È inutile continuare a cercare se stessi dentro di sé, se là già da tempo c’è solo un buco nero in cui non vedi niente. Esci e cerca te stesso fra gli altri, dietro monti e mari: là sono disperse le parti di te che ti mancano, che non conosci, e che possono completarti, se saprai riconoscerle.
È quasi incredibile il rapido trascorrere dei giorni, come fuggissero! Io, al contrario, credevo che passassero più velocemente in gioventù piuttosto che nell’età avanzata.
Senza la poesia la vita sarebbe atrocemente prosaica.
Nel cielo il sole, dentro di te il sole, ma tutt’attorno il buio.
Se la festa non la sentite nel cuore, è inutile la celebrazione.
L’uomo non può vivere solo di cibo.
Nessuno è finora riuscito a contare i propri giorni, né ha individuato l’ultimo. Perciò è inutile contare. I giorni vanno vissuti uno per uno.
Non capisco proprio tutta questa frenesia del ringiovanimento. Avere un aspetto giovanile è diventata un’ossessione delle donne come degli uomini di tutte le età. Sembra non si rendano conto che, qualsiasi cosa facciano, non diventano più giovani, ma solamente e soltanto sembrano più giovani. Dolce autoinganno.
L’eliminazione delle immondizie dalla vita è un obbligo igienico quotidiano di chiunque desideri rimanere sano, fisicamente e psicologicamente.
Per quanto si adoperi e faccia l’uomo non può scappare da se stesso.
Tutte le battaglie della vita servono a insegnarci qualcosa, anche quelle che perdiamo.
La vita è uno scrivere sulla sabbia, la cui durata dipende dalla velocità del vento.
Si scrive molto sui pericoli che ci minacciano dagli alimenti, un veleno dopo l’altro, tutti letali. In un certo senso questo è vero. Quanto più a lungo viviamo e mangiamo, siamo sempre più vicini alla morte.
Se non ci fossero guerre di conquista, asservimento e motivate economicamente non esisterebbero neppure le guerre difensive.
Il cervello umano è imprevedibile. All’improvviso un clic, un crac e tutto si stravolge inaspettatamente. L’oscuramento del cervello è quanto di peggio possa accadere all’essere umano.
Quando avete una sensazione come di buio attorno a voi, e che tutto intorno è torbido, non cedete, continuate a cercare la luminosità che vi guida e certamente riuscirete ad accendere una qualche luce.
Dalla storia s’impara ben poco. È inutile che la storia sia una buona maestra se pessimi sono gli scolari.
Se il mattino vi ha svegliati con la luce e un debole sole, cercate di aggiungere da soli quel poco che vi manca perché il vostro giorno sia colmato dal senso e dalla bellezza dell’esistenza stessa.
Compito e diritto del poeta è porre le domande, purché non dimentichi che la vita richiede anche le risposte.
Cercando il titolo
Da giorni le parole mi perseguitano,
grandi, policrome e sonore,
ubique; in ciò che ho desiderato
o che non ho saputo dire,
gradevoli, aggressive,
chiare, sfuggenti,
quelle a tre facce
o del tutto comuni, ingannatrici.
Cerco di inventarmene una nuova,
per forgiarla come filo d’oro,
incandescente, ardente, tagliente, grave,
che da sola penetri memoria e senso.
Inseguo e perseguo questa parola
che possa contenere
tutto questo libro chiuso,
tutto questo caos e questo grido,
ma dal primo attimo,
dal primo brivido e dal primo
verso, e ancora prima.
Solo una batte in mezzo alla fronte
anzi dentro,
sporge dalle tempie,
vaga attraverso la mia insonnia,
scambia i nomi dei piatti che ordino
e delle strade che percorro,
i nomi degli amici che chiamo,
dei conoscenti che saluto mentre passo,
dei momenti preziosi di cui ho memoria,
impressi bene in mente,
dell’amante che desidero.
Ecco che lei, implacabile e brillante,
prevale su di me; si scrive da sé
e subito si accresce all’infinito,
battente come pioggia torrenziale,
come neve fatale o funerei banchi di nebbia,
fino a inondarmi tutta, a pervadermi e assorbirmi,
questa sola e unica parola, come una bandiera,
come fosse in lei tutto racchiuso: Resistenza.
CAOS E GRIDO
Disturbi dell’aria condizionata.
Uno stato di emergenza.
Non è ignoranza
non una manipolazione.
Amico, sei vivo!
Vivo – morto.
Morto – vivo.
Il cuore batte.
Il nastro cerebrale gira.
Un film senza fine.
Nessun inizio.
Nessun dramma.
Con foto su foto.
Il sangue crollato scorre.
Una diagnosi globale.
Casi individuali.
Cadendo a pezzi.
Un dolce ricordo
su me stesso ex.
Non si può descrivere.
È un casino.
Ogni tanto
fai un respiro più profondo,
si scrive un verso.
Con te,
o senza di te,
tutto scorre,
non si ferma.
Trova un’altra nuova parola.
Prendi il ritmo.
Significa quello che c’è da menzionare.
Tiralo su.
Punti salienti.
Sviluppa una metafora.
Attenti alle foto.
Trattieni la lacrima.
Congelato.
Fai un sorriso.
Stringi la tua mano.
Apri gli occhi.
Ancora una volta.
Dagli un’occhiata.
Fatti la croce.
Stai zitto.
Grida.
Muori ora.
Sopravvivere a tutto.
Fai un passo.
Vattene via.
Aspettate.
Fatti una foto.
Fai la storia.
Rompi lo specchio.
Disegna l’aureola.
Oppure cancella il tuo personaggio.
Non importa.
È un casino.
E tu urli nel caos.
CAOS E URLO
Guasto ai climatizzatori.
Stato di allarme.
Non è ignoranza
e nemmeno manipolazione.
Uomo, ma tu sei vivo!
Vivo – morto.
Morto – vivo.
Il cuore batte.
La corteccia cerebrale pulsa.
Un film senza fine.
Senza inizio.
Senza drammaturgia.
Un’immagine sull’altra.
Il sangue scorre coagulato.
Diagnosi globale.
Casi singoli.
Sfacelo.
Un tenero ricordo
di quel che sei stato.
Non si può descrivere.
É il caos.
Di tanto in tanto
respiri più a fondo,
annoti un verso.
Con te
o senza di te,
tutto scorre,
non si ferma.
Trova un’altra parola nuova.
Entra nel ritmo.
Dillo quello che c’è da dire.
Sottolinea.
Accentua.
Sviluppa una metafora.
Forgia una rima.
Trattieni una lacrima.
Ghiacciata.
Sorridi.
Fa’ un gesto di saluto.
Apri gli occhi.
Rifallo.
Impreca.
Fatti il segno della croce.
Taci.
Grida.
Muori subito.
Sopravvivi a tutto.
Cammina.
Vai.
Fermati.
Fotografati.
Entra nella storia
Rompi lo specchio.
Rifinisci l’aureola.
Oppure cancella il tuo volto.
Tanto fa.
Questo è il caos.
E tu nel caos solo un grido.
Quando Giorgio Linguaglossa, partendo da Heidegger, pone il problema dell’essere numano che nega il suo stesso essere corpo , corpo che che gli diventa estraneo, invita alla riflessione su un argomento quanto mai vasto e controverso. Da un lato, non è possibile parlare di corpo senza parlare anche di genere , ce lo hanno insegnato le filosofe Luce Irigaray e Adriana Cavarero, solo per citare i primi nomi che mi vengono in mente. Ai nostri giorni Margaret Atwood, nel suo romanzo distopico The handmaid’s tale (noto in Italia con il titolo di Il racconto dell’ancella ) ha posto al centro della sua riflessione proprio il corpo delle donne in una società teocratica, in un futuro cupo . Il nostro presente, inoltre, rimodellato dalla pandemia, è ancora intorno al corpo che gravita, che si interroga sul rapporto tra il potere , i media e il nostro corpo.
Ho avuto il piacere e il privilegio di conoscere personalmente Duska Vrhovac a Banja Luka all’Unione scrittori della Repubblica Srupska nel 2018. Già il suo aspetto, la sua fisionomia, timida e imponente, in modo involontario mette l’interlocutore in leggera apprensione; quando sei davanti a lei hai la netta percezione di trovarti davanti ad un poeta. E’ una sensazione inequivocabile, inevitabile. Penso che Duska abbia con la poesia un rapporto intenso e drammatico, in una parola: totale. L’espressione del suo viso è la stessa delle sue poesie. A volte può apparire scontrosa o altezzosa, ma è la scontrosità della intima ritrosia, della incertezza e della insicurezza che accompagnano l’atto creativo. La poesia di Duska si pone davanti al lettore in modo frontale, non ammette né concede alibi o esitazioni: o la si accetta o la si respinge, o di qua o di là. Lei e Bjelosevic formano la coppia di assi della poesia serba. Sono diversi ma simili, appartengono ad un piccolo paese che ha determinato la storia d’Europa. In un certo senso Duska sa che la sua poesia rimarrà nel ricordo dei suoi lettori come una cosa inevitabile. Pur così diversa da me per esperienze e per cittadinanza, sento per Duska e la sua poesia un affetto profondo, la sua è una poesia integra, la sua voce è autentica, non ha mai pose, non gioca mai con le citazioni, le citazioni sono sangue, le pose sono orribili, il frutto avvelenato dei poeti modesti. Un poeta lo devi temere prima di avvicinarti, devi sentirti intimamente a disagio in sua presenza, Duska ha questa facoltà, ti fa sentire a disagio se ti avventuri con troppa familiarità tra le sue parole. E’ il suo modo di difendersi dalla invasività e dalla promiscuità del mondo.
Duška Vrhovac usa il linguaggio forse più inadeguato del nostro tempo, quello della poesia, in senso largo della poiesis, che parla della crisi in cui viviamo con la lingua della crisi. Ma quale crisi se tutto è in crisi? E qui sorge il problema: come fare per scorgere un fondamento nella crisi?, ma non è possibile alcun fondamento, e la riflessione della Vrhovac lo esemplifica chiaramente quando scrive: «Nel cielo il sole, dentro di te il sole, ma tutt’attorno il buio».
Il genere prescelto è il Tagebuch, il diario, il luogo nel quale vengono appuntati i pensieri del giorno, ciò che pone all’“Io” il compito etico di rispondere all’ordine del giorno mediante dei pensieri che rispondono ad una situazione di incertezza e di pericolo.
Una volta un autore di poesia mi ha detto:
«La tua posizione è palesemente di parte e quindi il tuo giudizio è palesemente di parte, come fai ad apprezzare una poesia come (Omissis) che è lontanissima dalla tua posizione di militanza e di gusto?».
Io gli ho risposto semplicemente che «essere di parte non equivale necessariamente ad essere partigiano di una sola parte. Essere di parte significa comprendere che possono esistere anche altre parti che possono fare una poesia diversa dalla mia. Seguire la Poetry kitchen non è un atto di partigianeria, il nuovo non esclude il vecchio ma lo invera».
Corridoio bianco. L’occhio insegue la curva a gomito.
Svolto a destra. Una porta. La apro.
Dietro la porta verniciata in rosso, un’altra porta.
Bianca.
Il Re di coppe sulla soglia.
Entro. Il sole tramonta sul mare azzurro.
Una parete a destra e… un abisso, qui a sinistra (!?)
La seconda porta. A destra. La apro. Wagner e Mozart
conversano e suonano il pianoforte a quattro mani.
[è arrivato un tuo sms vuoto: c’era il buio
delle parole non scritte]
La terza porta. Tasto la parete, cerco l’interruttore della luce.
«Ah, è qui», giro la maniglia.
Il corridoio conduce a un’altra porta.
Un forestiero dice: «Ho baciato la gondola
e sono diventato un’ombra!».
C’è anche il barbiere François, sta tagliando la zazzera
al Signor Cogito sulla poltrona girevole…
[rispondo al tuo sms con un sms vuoto…]
A tentoni, nel corridoio.
Una finestra aperta. Mi sporgo.
Il corridoio verticale dell’ascensore.
Funi intrecciate, ruote dentate, scale mobili, in movimento.
Mi tengo al corrimano come all’ultima delle certezze.
In qualche modo arrivo sul terrazzo.
Mi sporgo dalla ringhiera davanti al mare.
Pavimento del terrazzo a losanghe, verdi e azzurre.
Un tavolo. Bianco.
Due Signore giocano a scacchi.
E la terza osserva.
*
«Come si fa a catturare il nulla?»
Il Signor K. fece alcuni passi avanti e indietro.
Girò in tondo, in senso contrario all’ordine del tempo,
per la stanza soffiandosi il naso e starnutendo.
Una gardenia sullo sparato bianco. Brillava.
Frugò nell’armadio, esaminò con attenzione tutti i cassetti,
gettò all’aria camicie, calzini e polsini.
Poi, afferrò una sputacchiera degli anni sessanta,
ci spense il torzolo del sigaro toscano
e mi osservò da dietro il fondo di bottiglia degli occhiali.
Scrive Duska Vrhovac:
“sto contemporaneamente fuori e dentro”.
E’ questo il segreto che Heidegger ci ha nascosto. Per raggiungere l’autenticità occorre stare contemporaneamente fuori e dentro, non dentro le cose, e nemmeno fuori delle cose. Lì ci sono gli stiliti, i preti e i menzogneri, i vessilliferi della menzogna.
Capisci le cose soltanto quando ti posizioni esattamente tra il fuori e il dentro. Soltanto un poeta poteva avere questa chiarissima conoscenza della posizione che si deve occupare nel mondo. E Duska Vrhovac è, senza dubbio, un grande poeta.
Della poesia di Linguaglossa datata 2013 si capisce che la posizione dell’io è posta drasticamente in un non-luogo, un luogo che non sta né fuori né dentro. Dalla postazione di un non-luogo si possono percepire nettamente i singoli fotogrammi che si succedono e si intersecano in tempi rigorosamente distinti…
Nel laborioso comune di Sassuolo l’assessore all’istruzione ha proposto alla sua amministrazione di finanziare, presso le scuole superiori, un corso sull’argomento, attualmente in gran voga, della presunta efficacia dei vaccini, tenuto da esperti di chiara fama, contro “la dittatura del pensiero unico”, per difendere la pluralità delle informazioni
Dato che la pluralità del pensiero è in cima ai miei pensieri, proporrei al benemerito assessore un ciclo di conferenze per non riempire la testa dei ragazzini di idee troppo uniche.
Ecco una prima bozza.
Astronomia tolemaica, con un’appendice di astrologia caldaica.
Medicina ippocratea, con approfondimenti sulla teoria dei quattro umori.
Fisica aristotelica, contro le recenti innovazioni galileiane.
Buon lavoro all’assessore e a chiunque vorrà dare il suo aiuto in questa benemerita iniziativa.
PS: L’importo del contributo è stato fissato in 12.000 euro, prelevati dalle casse comunali, e quindi dalle tasche dei cittadini, sicuramente orgogliosi di come andranno spesi i loro denari.
caro Guido,
l’Italia, il mondo, sono già kitchen… noi non abbiamo inventato nulla che non c’era già da lungo tempo. l’Italia avrà probabilmente Berlusconi come Presidente, e questo sarà l’apice del kitchen! Sono kitchen le posizioni filo no-vax di Cacciari e Agamben! il senatore Renzi che prende lo stipendio da una delle più sanguinarie dittature del mondo! Il disastro antropologico del paese ha raggiunto l’apice… per fortuna oltre non sarà possibile andare! Una volta toccato il fondo, non potremo che risalire! (questa è la mia ultima speranza!!!)
La poesia kitchen, dove si tenta di strutturare la chiacchiera (scarti, rifiuti, ecc.) non può avere molto in comune con le poesie di Duška Vrhovac, che alla chiacchiera sono decisamente avverse.
Nella poesia di Giorgio, un osservazione allibito, privo di pensieri, immerso in realtà marziane, cerca illuminazioni filosofiche da salvare…
… è vero quanto dice Lucio la poesia kitchen non ha nulla da spartire con quella di Duska Vrhovac, però la sua posizione:
“sto contemporaneamente fuori e dentro”
la trovo azzeccata. La posizione di un poeta oggi, qualsiasi sia la sua poetica, non può che essere questa. Simile a quella di un acrobata che cammina sul filo o di un trapezista che volteggia tra le piattaforme sospese sul vuoto. E’ una posizione instabile, molto precaria, ma è da qui che può nascere la nuova poesia.
La posizione di un poeta oggi, qualsiasi sia la sua poetica, non può che essere questa. Simile a quella di un acrobata che cammina sul filo o di un trapezista che volteggia tra le piattaforme sospese sul vuoto. E’ una posizione instabile, molto precaria, ma è da qui che può nascere la nuova poesia. (Mailaure Colasson)
Astronomia tolemaica, con un’appendice di astrologia caldaica.
Medicina ippocratea, con approfondimenti sulla teoria dei quattro umori.
Fisica aristotelica, contro le recenti innovazioni galileiane. (Guido Galdini)
…suggerirei di aggiungere alla lista anche la ” generazione spontanea”
ciao
LA FARFALLA JONAS CHE SOFFRIVA LA GUERRA DEL PELOPONNESO
Disse che avrebbe buttato via la carta
Perché era martedì
Prendere e lasciare suonò lo spartito
Liberare il vento e gracidare rane
A far serena l’Orsa il Nulla suggeriva
Gobbo.
Maldivivere all’uno orizzontale
completo in verticale.
Finita la raccolta del fanciullino?
A Blek E Blanc I Joker
E dunque Fantozzi a centro tavolo
più Soldino per elettrone Genova per noi,
Akim e Super Pippo sui bordi della via lattea
L’eredità si riprese il malloppo
Malmenando nonna Abelarda.
Tutti staccati gli indicatori, sigilli sulla luce.
Dal mascara riconosci il pianeta Terra.
Galeotto fu il COVID?
La strega disse di voltarsi
Ma Antonius non vide nulla
Il circo della Luna montato dai crateri
cubisti il Sole e le altre stelle.
Partita a golf con meteorite.
Beep…Beep… Willy in buca.
Una pallottola brilla in ciel:
Da quando colpisci le capanne?
(Francesco Paolo Intini)
La poesia di Duska Vrhovac è senza dubbio una poesia che scuote, non scivola via in una serie di capriole di immagini, tuttavia presenta momenti dai ritmi molto legati alla prosa e proprio in certi commenti su queste pagine ho visto affermare che indulgere alla prosa per la poesia rappresenta una debolezza. Mi chiedo perché questo non viene rilevato negli scritti della Vrhorac…
Ancora una volta, la poesia non solo proveniente dall’area della ex Jugoslavia, ma direi in generale di area slava (pur considerando tutte le differenze tra le varie tradizioni linguistiche e culturali interne) e da quella sterminata e variegata galassia che è l’Est Europa, si dimostra particolarmente incisiva nell’individuazione di un modello di fare poesia pertinente alla rappresentazione, agli equilibri del mondo odierno ed alle pulsioni dell’uomo dei nostri tempi.
Come rilevato anche per altri poeti di questo versante geografico (ad esempio per Bjelosevic, suo conterraneo) la poesia della Vrhovac va dritta al punto, senza fronzoli inutili, con una rara capacità di saper “curvare” le parole, camminando in equilbrio su di esse.
Mi piacciono molto, in questo senso, le sue poesie fatte di versi paratattici o addirittura di singoli lessemi, che mostrano una straordinaria qualità di “scavo” sulla parola, frutto evidentemente di una certosina ricerca sull’universo dei significati e del senso poetico,
Trovo che questa componente della poesia della Vrhovac possa essere incisivo nel quadro di una visione “kitchen”.
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