
Esecuzione di 56 civili polacchi a Bochnia durante l’occupazione della Germania nazista della Polonia; 18 December 1939
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Il rifiuto del soldato Josef Schulz
Il soldato tedesco Josef Schulz del plotone di esecuzione che doveva eseguire la condanna alla fucilazione di 15 giovani serbi, dichiara semplicemente: «io non sparo», e getta a terra il fucile. Schulz viene ritenuto colpevole di insubordinazione ed è condannato a morte a sua volta mediante fucilazione immediata.
Il gesto del rifiuto segna una linea divisoria tra l’autenticità e l’inautenticità. Posto dinanzi alla scelta se obbedire ad un ordine che la sua coscienza rifiuta e sparare o disobbedire decidendo di non sparare condannandosi così a morte certa, il soldato Josef Schulz sceglie la seconda possibilità con un formidabile atto di decisione anticipatrice della morte.
La morte è una possibilità dell’esserci, è la sola via di uscita dinanzi ad una situazione che la coscienza non può accettare, è la possibilità più propria (concerne l’esserCi), incondizionata (l’uomo vi si trova davanti da solo), insormontabile (si eliminano tutte le altre possibilità), certa.
Con la anticipazione della morte, l’esserCi comprende autenticamente se stesso. Gettato nella situazione emotiva dell’angoscia, che lo pone di fronte al nulla della morte, il soldato Josef Schulz opta per la morte, annullando ogni altra possibilità che lo avrebbe mantenuto in vita ma condannandolo alla inautenticità.
Dunque, l’uomo scopre di Essere-per-la-morte quando la situazione storica concreta lo pone dinanzi alla scelta radicale: vivere inautenticamente o morire in modo autentico.
La morte non va rifuggita, ma affrontata con la decisione anticipatrice, sostiene Heidegger: non il suicidio o l’attesa (forme di realizzazione che tolgono il carattere di possibilità) la soluzione, ma la scelta consapevole dinanzi al Potere opprimente, questa possibilità c’è sempre. Accettare con la decisione anticipatrice la possibilità della morte, ci richiama al nostro destino di mortali.
C’è qui una mia poesia nella quale viene affrontato problema del rapporto tra il Potere e il singolo cittadino, da da How the Trojan War Ended I don’t Remember (trad. ingl. di Steven Grieco, 2018). Il protagonista, Gaio Cornelio Gallo, scruta i volti dei suoi contemporanei e, con allarme, vi legge i primi indizi della sottomissione e del conformismo di massa dei suoi concittadini.
da Facebook
Mi ha sorpreso la citazione di Giorgio Linguaglossa quando nel suo Blog, ha citato il nome di Josef Schulz, la cui storia, eroica e personale, è quella di un soldato tedesco durante l’ultimo conflitto mondiale, chiamato a far parte di un plotone di esecuzione per fucilare quindici ragazzi slavi partigiani a Smederevska Palanka in Serbia, ma che al momento di sparare, si strappa le mostrine buttando a terra il suo fucile, dicendo al Comandante: “Io non sparo”, il cui testo è rintracciabile ne il piccolo almanacco di Radestzkj, Milano, 1983, riportato su Poesia Civile e Politica dell’Italia del Novecento, a cura di Ernesto Galli della Loggia, Bur, saggi Rizzoli, 2011. Ringraziandovi sinceramente dei vostri commenti e della vostra sensibilità di lettori e poeti. Un caro saluto a tutti.
(Mario Gabriele)
caro Mario Gabriele,
Scrivere una poesia lo considero un gesto non diverso da quello fatto dal soldato Josef Schulz che si strappa le mostrine e getta il fucile a terra rifiutandosi di sparare su 15 giovani partigiani serbi.
(Giorgio Linguaglossa)
Giorgio Linguaglossa
I pensieri del poeta Gaio Cornelio Gallo a proposito del suo collega Druso
Druso ha sempre i piedi sporchi nei calzari di cuoio,
il ventre prominente e parla un latino infarcito di dialettismi della Sabina;
inoltre, a tavola non è mai sobrio, ama l’eccesso
in libagioni e in amorazzi con le sue schiave
e con i mori che acquista al mercato al suono di sesterzi d’oro.
Nel Foro non prende mai una posizione
univoca, chiara, ciò che dice in
privato non lo ripete certo in pubblico.
È abile, sfuggente come una biscia, oleoso
come la resina del Ponto Eusino,
dire che non lo amo sarebbe un eufemismo,
una ipocrisia, ma ciò che è più grave,
non riesco neanche a detestarlo.
Mi dico: «Druso è un codardo, un mentitore,
un fingitore, un voltagabbana» ma, ciononostante,
non riesco a detestarlo. Forse che dovrei rimproverargli
il suo faccione impolverato di cerusso?
In fin di conti è un mio simile: un teatrante, un attore,
ha un mento, due occhi, un naso aquilino, proprio come me.
«Non c’è alcuna differenza – mi dico – tra noi».
Druso ha gli occhi foderati di cerone da teatro
il volto scivoloso di biacca, il mento leporino
e gli occhi cisposi per il vino in eccesso
bevuto la notte innanzi, ascolta
ciò che gli torna immediatamente utile,
quando non gli conviene fa il pesce in barile;
dei nostri discorsi sulla res publica
dice «che sì, che no, che forse, che insomma…».
Del resto, sto molto attento quando
nei conviti privati mi porge il cratere colmo di vino,
fingo di bere con un sorriso sordido…
mentre con la coda dell’occhio
sbircio sempre in allarme la porta d’entrata.
Evito di guardare in volto il capo delle guardie
quando fa ingresso in casa di Mecenate
con il suo codazzo di pretoriani e di ottimati profumati.
Anch’io parlo sempre meno in pubblico
dei miei pensieri privati, e in privato
dei miei pensieri pubblici…
(2013)
Il volto
I greci definivano lo schiavo, colui che non è padrone di se stesso, «aproposon», letteralmente «senza volto». Soltanto l’uomo fa del volto il luogo del suo riconoscimento e della sua verità. L’uomo è l’animale che si osserva allo specchio e, allo stesso tempo, si riconosce e non si riconosce nella immagine del proprio volto; torna a specchiarsi e di nuovo si riconosce e non si riconosce, vede nel se stesso l’altro che vi è celato, il proprio demone, e torna a specchiarsi di nuovo senza potere avere la conferma di riconoscersi eguale a come era ieri o un minuto prima. È la maledizione dello specchio che qui ha luogo, Borges docet. L’uomo maledice lo specchio che riflette la sua immagine che, giorno dopo giorno, invecchia e diventa la caricatura della immagine della giovinezza. L’uomo è l’unico animale che maledice lo specchio che gli rivela questa obbrobriosa verità, e poiché l’uomo è l’animale che rifiuta la verità è anche l’unico animale che maledice se stesso, che rifiuta se stesso. Il volto è sia la similitas, la somiglianza, che la dissomiglianza. L’uomo è l’unico animale che non ha volto, perché ogni giorno, ogni minuto, ogni attimo il suo volto cambia impercettibilmente, e lo specchio glielo rivela con crudeltà.
Un uomo senza volto è un mostro. Per questo il volto è il luogo della politica come dialettica della verità e della menzogna. Le informazioni che gli uomini si scambiano attraverso l’osservazione del volto altrui sono necessariamente menzognere, l’uomo vuole celare dietro il proprio volto le proprie reali intenzioni. Se gli uomini sapessero davvero leggere il proprio volto e il volto altrui saprebbero anche leggere la menzogna che il volto cela e rivela. Gli uomini hanno innanzitutto da comunicarsi la loro verità e la loro menzogna; il loro riconoscersi l’un l’altro in un volto, è il riconoscere la menzogna che hanno rivestito di verità. Il luogo del volto è il luogo della politica come luogo in cui gli uomini si scambiano messaggi di menzogna travestiti da verità. In questo senso il volto è il luogo politico per eccellenza. Guardandosi in faccia gli uomini possono mentire reciprocamente, e così si riconoscono e si appassionano gli uni agli altri, percepiscono menzogna e verità, distanza e prossimità.
Gli uomini sono sempre nella menzogna perché sono sempre nella verità, è questo il modo che gli uomini hanno per riconoscersi. Il volto lascia intravvedere questa commistione tra verità e menzogna, ma soltanto per un attimo a chi sappia guardare veramente, perché gli uomini sono sempre nella menzogna e sono sempre nella verità.
(Giorgio Linguaglossa)
Inedito di Mario M. Gabriele
da Horcrux
Le ragazze di Kabul sognavano le Pussy Riot
per uscire dal Ramadan.
Crescere alla pari era il sogno
di Zaira Jasin.
Scriverò, lei disse, alle amiche
che hanno visto Shailene
nella Trilogia Divergent,
per dire che qui le strade sono senza Street Art
e Coverstory.
Questa sera tornerò ad essere poltrona,
sedia,
divano,
altalena di giardino,
e poi polvere,
sepolcro,
tristezza,
prologo ed epilogo,
e nessuno mi vedrà piangere
in piena estate e con i veli,
senza skin care, e le Beauty Stars
di Madison Square.
Ieri sera il mio compleanno è morto
mentre cercavo cappotti di lino e shorts
di MOI MIMI’ in WhyNot.
Tutte le volte che canto
brucia l’ugola,
con Don’t Be That Way,
di Norman Granz
riportato sul lato A e B
del long playing.
L’esagono domestico non ha le armi
per far fuori i regni mefistofelici.
Per questo leggo il Talmud,
prego Giuda e Maria
e l’inferno è come nei racconti
di Bulgakov e Gogol’.