foto Alvaro Siza, Museo Donnaregina Napoli
Giorgio Linguaglossa
Il Cambio di Paradigma
Scrive Emilia Margoni su “Doppiozero” recensendo l’ultimo libro di Carlo Rovelli, Relatività generale (Adelphi 2021):
«La grande rivoluzione avviata da Albert Einstein si basa su un principio analogico tutto sommato semplice: come nel caso dell’elettromagnetismo, così la gravità è descritta da una teoria di campo. Detto altrimenti, come il concetto di forza elettromagnetica viene superato da quello di campo elettromagnetico, così il concetto di gravità viene superato da quello di campo gravitazionale. Per chiarire il punto in poche e semplici parole, mentre la fisica che precedeva la nozione di campo articolava il proprio oggetto di studi in termini di interazione tra forze che agiscono a distanza, il campo riconcettualizza la forza in termini di proprietà fisiche assegnate a ciascun punto dello spazio.
Non ci sono più quindi corpi che cambiano le reciproche posizioni in ragione della loro mutua interazione, ma un’entità fisica reale diffusa, pensabile appunto proprio come un campo costellato di proprietà. Applicata alle nozioni di spazio e di tempo, una simile rivoluzione concettuale ha fatto strame di intuizioni che si erano sedimentate nel corso dei secoli e in particolare l’idea che lo spazio e il tempo siano entità assolute entro cui le forze interagiscono tra loro. Nella teoria della relatività non c’è un tempo assoluto, quale parametro universale in grado di individuare eventi simultanei che prendono corpo in una sorta di ampio contenitore definito spazio. L’intuizione di Einstein, che determinò quell’effetto a domino ancor oggi gravido di tante innovazioni scientifiche e tecnologiche, è che spazio e tempo sono il campo gravitazionale, che determina la velocità a cui ticchetta un orologio o la distanza che separa due estremità.»*
L’intuizione di Carlo Rovelli, un vero e proprio cambio di paradigma della relatività generale di Einstein, potrebbe essere applicata alla poesia sostituendo il concetto di forza semantica del linguaggio con quello di «campo sistemico semantico del linguaggio», con il che possiamo pensare al linguaggio poetico alla stregua di un sistema-linguaggio gravitazionale all’interno del quale non c’è il soggetto parlante (la phoné) come soggetto assoluto ma un «campo linguistico» (la phoné) nel cui interno la forza del linguaggio varia a seconda del punto nel quale si abita il linguaggio. Il linguaggio cessa così di essere pensato come un contenitore di forze per essere pensato come un «campo costellato di proprietà, di possibilità».
Il principio di ragion sufficiente di Leibniz si basa su questo tipico ragionamento: che non c’è fatto o entità reali che non possano ricondursi a una causa per cui essi sono quel che sono e non altrimenti. Alla base della fisica c’è quel rapporto di causa-effetto che, di contro agli esiti della relatività, ripropone il tempo come fondamentale, dato che esso altro non è che la catena lineare di cause ed effetti che ordina la struttura degli eventi secondo un prima e un dopo. È ovvio che la teoria del «campo costellato di proprietà, di possibilità» è un qualcosa che non contempla il «tempo» quale elemento fondamentale di un certo modello teorico, il «tempo» nel nuovo concetto di «campo» non è più necessario e dunque va semplicemente abolito. Per lo stesso motivo va riconsiderato anche il concetto di «spazio». Per Lee Smolin, nella struttura di fondo dell’universo, gli eventi sono legati da un ordine lineare di causalità, ma non occupano una posizione nello spazio, né quindi sono ordinati secondo rapporti di prossimità o di distanza spaziale. La prossimità tra eventi, pertanto, non è da intendersi in termini spaziali; all’opposto, possono dirsi prossimi quegli eventi che possiedono un numero ampio di proprietà in comune, ragione per cui si può dire che due eventi sono uno stesso evento quando possiedono le medesime proprietà in comune.
* https://www.doppiozero.com/materiali/la-relativita-generale-secondo-carlo-rovelli
Mauro Pierno
Hai tratto delle strane conseguenze. Fin troppo ammorbidente nelle proiezioni, nei panni sporchi.
Stasera del resto resti immobile. E di Milaure la concezione immacolata ha la crema chantilly.
La porporina Covid ha soppiantato la lotta di classe,
la scala mobile e tutte le torte Sacher.
Eppure dopo il terzo tentativo la sorpresa divenne un placebo da undici settembre. Milaure,
tu si che sapresti cosa dire, cosa fare e a che ora spegnere, col tentativo estremo, le parole.
Marie Laure Colasson
Esplorare la potenza del linguaggio, i suoi enunciati, le sue espressioni vuol dire indagarne il potere propriamente in-significazionale. L’assioma secondo il quale compito del discorso poetico è la sua capacità portarci vicini alle cose, all’essere stesso si rivela un inganno, un effetto ottico del soggetto che indossa gli occhiali della intenzione significante. È proprio questo il punto. Infatti, il linguaggio poetico kitchen mina l’intenzione soggettiva, de-stabilizza il «luogo del soggetto»; la poesia kitchen segue il segno fin dove esso marca l’esplosione del linguaggio verso l’altro da sé, la sua apertura. Questa esplosione è il proprio della pratica kitchen, mostra l’assurdo, il fuori-luogo del «dire». Il luogo di questa esplosione è appunto il discorso poetico kitchen, lì infatti il linguaggio sfugge sempre a sé stesso e ci sfugge, e tuttavia è anche il luogo dove viene a sé stesso, il luogo dove il linguaggio mostra la sua incomprensibilità e la potenza del dire, mostra di dover tacere davanti a ciò che dice e di dover continuare a dire. La funzione ontologica del linguaggio originata dalla intenzione significante del soggetto, è questa assiomatica che la poesia kitchen deve ad ogni costo smobilitare e de-pauperare, è proprio l’intenzione significante che deve essere annichilita, altrimenti si ricade indietro nel «luogo del soggetto» e delle sue perifrasi, dei suoi enunciati sibillini.
«Il discorso poetico del prossimo futuro dovrà passare necessariamente attraverso la cruna dell’ago della presa di distanza dal parametro maggioritario del tardo Novecento».*
Mi sembra che la conclusione dello scritto di Linguaglossa che risale al 2013 sia molto preciso, indica con acuta consapevolezza che la poesia “del prossimo futuro” dovrà essere diversa. Mi sembra anche ovvio pensare che la poesia di prima del Covid19 e quella del dopo il Covid19 dovrà essere molto diversa, il mondo è cambiato, è entrato in crisi il neoliberalismo che ha dominato in Occidente ed è entrato in crisi il turbocapitalismo che di quel neoliberalismo ne è stato la messa in pratica. Da questa crisi se ne uscirà, forse, ma se ne uscirà soltanto con la consapevolezza che la poiesis di prima il Covid19 dovrà essere abbandonata.
Il mondo sta cambiando, anzi, è già cambiato. Chi non se ne è ancora accorto sono i piccoli letterati che continuano a scrivere come trenta e quaranta anni prima del Covid19.
* da Giorgio Linguaglossa, Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2013.
Mimmo Pugliese
LA VENTUNESIMA STELLA
La ventunesima stella ha fianchi di latte
l’aspettano tutti
sui ponti sui tetti
I piedi del letto
sporgono su trapezi intatti
tracce di nuvole distrutte
Baratta libri e ritratti
con un gilet a quadretti
la posidonia che insegue la notte
Per arrivare in vetta
Cappuccetto Rosso stipula un contratto
con uno sciame di cavallette
In città bambini moltiplicano per sette
la lunga fila di linee rette
che sposano le palafitte
Il vinaio di Barletta
ha tulipani sul petto
e tasche colme di confetti
Nel cortile piove a dirotto
danzano scatenati folletti
gli occhi di un gatto
FORMIDABILE
Formidabile è il laccio delle scarpe
il mare ha cambiato spiaggia
starnutisce l’ala nord del castello
Sei in ritardo per la partenza
la curva degli alberi
fa esplodere le ringhiere
Evade un vento poliedrico
Gianna aveva un coccodrillo ed un dottore *
tacciono gamberi e ortiche
Dorme poco l’inchiostro simpatico
la polvere del selvaggio West
si è posata tutta sui motori ibridi
il canarino inala un analcolico
Troppe sere attorcigliate
per arrivare dove vuoi tu
intorno al dorso della mano
navigano alte ciminiere
Svolazzi di Pentotal
sul cornicione del Pantheon
migrano nelle balere. Nel vulcano
e nessuno ne sa più nulla
* Gianna ( cit. Rino Gaetano,1978)
Tiziana Antonilli
L’abbiamo bevuta l’onda chiara
alla salute della città intera.
I passanti fischiavano
da un lato all’altro del boulevard
per sentirsi meno pelle e ossa.
Bastava il sole
cibo a sazietà
tutti ai suoi pedi.
Ci consegnarono le chiavi della città
rispondevamo cosa?
Insistevano
una mail dopo l’altra.
“The Man with No Name”
La cyborg tgirl Molly Blum ha dato un bacio
sulla guancia
a Clint Eastwood an antihero character
portrayed by the actor in Sergio Leone’s “Dollars Trilogy”
of Spaghetti Western films:
“A Fistful of Dollars”, “For a Few Dollars More”,
and “The Good, the Bad and the Ugly”
ma Clint
preferisce smozzicare il sigaro cubano
che gli pende dalle labbra
mentre attraversa the little town with a revolver ready to flare
the street
«Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile
quello con la pistola è un uomo morto»
says Gian Maria Volonté nella famosa scena
del saloon pieno di bicchieri
«Clint ha due espressioni: una col cappello e una senza»
says il regista Sergio Leone
una vita impersonale con la colt nella fondina
quella di Clint
che pronuncia parole impersonali
«Here are 45 Clever tips to will inspire people
to have the closet organized»
says Clint Eastwood mentre esce dal saloon
with the hat on the head and the colt
in the holster
La poesia di Linguaglossa è una parodia della mimesis di secondo grado. Non è una parodia pura e semplice ma una parodia di secondo grado. L’effetto è tacito, si basa su un altro linguaggio, quello filmico che funge da linguaggio primario; sembra una poesia regolare, tradizionale, se non che si tratta di una mimesi della mimesi, una mimesis al quadrato. Questo procedimento può essere annoverato come un altro procedimento kitchen, rientra tra le modalità kitchen della poesia kitchen, fa risparmiare il linguaggio simbolico perché si appoggia ad un linquaggio, quello filmico, che è di per sé un linguaggio secondo, ricco di secondarietà. Linguaggio secondo di un linguaggio secondo per eccellenza qual è il linguaggio kitchen!
RESONANCE EFFECT
di Francesco Paolo Intini
Davvero una curiosa sensazione trovarsi in una di queste macchine. Sembra la vendetta di qualcuno a cui hai offeso il cuore e che adesso ha l’occasione di dirti chi sei e sputarti in faccia l’evidenza di un ammasso di nervi e relais. La musica di segheria semina il panico tra talamo, ipotalamo e cervelletto. Assomiglia al distico persino un colpo di martello su una porta. Strida si susseguono a squittii. Ogni gruppo organizzato di suoni sembra mandato a delinquere per le strade del cervello o ad organizzare lo sciopero generale delle parole contro lo sfruttamento del significato. Da un usignolo ti aspetti la serenità di un nido su un pesco in fiore ma ricevi un colpo di pistola. È così che s’interferisce nei fatti altrui? Sembra che però funzioni a meraviglia. Inutile a questo punto protestare la propria innocenza, lo scopo nobile del ricercatore che interroga la natura è messo alla gogna da questo Robespierre in camice verde. Si ha la sensazione a tratti che la cuffia da palombaro intorno al cranio tiri fuori la lista dei nuclei di idrogeno tormentati in questi anni dal Torquemada, per svelare le loro intimità, le riunioni segrete, la capacità di adattarsi a tutte le circostanze, il sale della terra. Che ne hai fatto del carbonio? Speriamo che non mi chieda del platino? Non ho tracce di azoto e fosforo da molti anni e dunque almeno loro dovrebbero star zitti. Eh si, l’odore di resina versata mi riempie le narici di peccati contro l’umanissima tavola periodica e il passato è un macigno sulla testa di elementi calpestati in nome dell’ingenuità e del significato ultimo di questo abitare l’universo. Che peccato è tradurre l’universo in una lingua indistruttibile? Invoco l’autorità della pagina scritta col lavoro di mani e fuoco vivo, ma mi accorgo che i meriti adesso sono diventate colpe. Leonora vede il Monitore ritorcersi contro lo stesso dito che incoraggiò la penna. Una pace serena di parecchi secoli prende però piede adesso tra occhi e orecchie. I nervi cranici si sono messi d’accordo ed è bastata qualche scaramuccia per risolvere la questione. Metternich non è mai morto e ora minimizza tutto. Mai una Marengo, nessuna Austerlitz soltanto Waterloo e sant’Elena. Ma detta tra noi qual era in fondo? Diplopia che vuol dire? Che c’è un difetto nella visione. L’Io e il suo doppio alle spalle. Se guardi Caino non sei certo che Abele stia fuori dall’obiettivo , ma anche il poeta sguazza nel cuore di Faust. Un fiammeggiare di imprevedibilità circonda il Sole ed osservare non risolverà il mistero di essere osservati. Almeno per questa volta.
Si affacciò come una ragazza curiosa
di uno stallone sopra la giumenta.
D’altro canto la Terra è calva
e nessuno sbuffo esce dalla marmitta.
L’NMR posò il becco e cominciò a mangiare.
Di geco il sapore in bocca.
Tutti all’inseguimento di Mengele. E Pasolini?
Dove sono i rimasugli del 68?
In qualche Bar c’è un messo dell’ottocento.
La caffettiera, poeta maudit, alza il vapore.
A quella marmaglia sopravvisse Robespierre.
Dove lo metti uno che non sa fare il dolce?
Una nuvola parla a nome di un’aquila.
Un dito solleva una questione interno all’uovo.
E dunque cosa nascerà da questi manufatti senza fondo?
Se la crema da barba vale un bombardamento
Al massimo avremo una diagnosi col casquè.
Tra le grondaie germogli di senecio.
E l’autunno? Urla di camoscio spinto in giù.
Un cammeo, la poesia di Tiziana Antonilli. Sapiente la frammentazione del linguaggio, che restituisce e interpreta l’accadimento frammentato del pensare. Mi sento vicino a questa procedura, che in qualche modo è narrazione – quando la si vuole fare, perché altrimenti è astrazione, puro linguaggio, pregevole divertissement (che però non fa male, anzi).
caro Franco Intini,
«I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo», afferma Wittgenstein, delineando una ontologia materialistica.
Lo stare al mondo del soggetto si dispiega come linguaggio e attraverso il linguaggio.
Qualsiasi fenomeno che esuli dalla trasferibilità linguistica non ha alcuna valenza ontologica. Quando Wittgenstein parla di «mondo» si riferisce a un concatenarsi di fatti o stati di cose, che possono trovare immagine nel pensiero. «L’immagine logica dei fatti è il pensiero». Tuttavia, perché il pensiero operi correttamente è necessario che sia costituito come una proposizione dotata di senso, ovvero che abbia una funzione veritativa rispetto al mondo esterno.
L’alternativa a tutto quanto non è elaborabile come linguaggio della logica e del senso compiuto è il silenzio.
«Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere».
Dovremmo concludere che esiste solo ciò che è riducibile alla parola? Il filosofo austriaco, ben conscio della critica cui poteva andare incontro l’esasperazione del suo pensiero, prende le distanze dal «mistico». Il «mistico» è fuori dal linguaggio e quindi non può essere glossato. Ci sono però situazioni che, contrariamente a quanto fin qui asserito, rivendicano un preciso diritto di realtà, sebbene non ne sia possibile una fedele trasposizione linguistica. È il caso dei sentimenti, degli stati d’animo o di particolari vissuti. Di fronte a questi fenomeni – che sono cose diverse dai «fatti» che per Wittgenstein costituiscono il «mondo», la parola si fa immediatamente personale e peculiare: non è più il mondo, ma il mio mondo. Il linguaggio è ridotto alla sua funzione di segno e diventa irriducibile la sua valenza logico-scientifica. Il «mistico», così come citato dallo stesso Wittgenstein, è linguaggio che non si lascia significare dal linguaggio.
In un certo senso, il «mistico» inteso in senso wittgensteiniano è il luogo della poetry kitchen che adotta la logica del linguaggio per andare oltre la logica del senso e del significato. La poetry kitchen ha una ben precisa funzione veritativa rispetto al mondo esterno, allarga il mondo esterno, ci fa vedere cose che prima non vedevamo.
Žižek afferma che l’ideologia «comporta che gli individui ‘non sappiano quello che fanno”»; che finché c’è, lacanianamente, il grande Altro, ovvero, l’ordine simbolico, scopo dell’ideologia è rendere gli uomini ingannabili e governabili; l’ideologia comporterebbe sempre un quantum di inganno, di cecità, un quantum di falsa coscienza. Vale a dire che la falsa coscienza è indispensabile affinché sorga e si stabilizzi una ideologia. E una ideologia è indispensabile affinché nasca uno stare nel mondo, un’etica e una estetica. La modalità kitchen è, a mio avviso, un atto di consapevolezza della cecità e della falsa coscienza nella quale siamo immersi. E questo è il punto a vantaggio della poetry kitchen rispetto alle modalità del senso e del sensorio che una poiesis illusoria e mimetica pone in essere in quanto dotate di una minore consapevolezza della falsa coscienza nella quale tutti i linguaggi sono attinti e del carattere illusorio di ogni algebra del senso e del sensorio.
Mimmo Pugliese (stavo per scrivere Mimmo Lucano!) ha scritto questi tre versi:
Gianna aveva un coccodrillo ed un dottore *
tacciono gamberi e ortiche
il canarino inala un analcolico
* Gianna (cit. Rino Gaetano,1978)
dove è evidente che il lessico della canzonetta (vedi Rino Gaetano) era molto avanzato mentre quello della coeva poesia italiana era semplicemente stazionario, nel senso che si era fermato nella stazione ferroviaria principale: il lessico di Bertolucci da una parte e quello di Raboni dall’altra.
Certo, ci sono delle ragioni ben precise che hanno causato la stazionarietà della poesia italiana dagli anni ottanta in poi, quelle ragioni le abbiamo esplicitate in più occasioni, è lì che la poesia italiana con il suo lessico, la sua lessicografia, si è sclerotizzata.
Mimmo Pugliese riparte da lì, da quella stazione dove i linguaggi si sono fermati a prendere un caffè e poi hanno smarrito la strada del futuro. I linguaggi artistici sono sempre irrelati con il futuro più che con il passato, guardano al futuro, sono costretti a guardare al futuro, pena la auto nullificazione, la tautologia e il protagonismo dell’epigonismo.
Anche la poesia di Tiziana Antonilli si è mossa, dopo il suo libro Le stanze interiori (2019), che comunque segnavano un approdo sicuro, la poetessa di Campobasso aveva bisogno di inalare un po’ di ossigeno, di rinfrescare il suo lessico e il modo di disporlo sulla pagina, e c’è riuscita, segno evidente che la frequentazione dell’Ombra delle Parole dà i suoi frutti.
La modalità kitchen è, a mio avviso, un atto di consapevolezza della cecità e della falsa coscienza nella quale siamo immersi; innanzitutto, quando leggiamo una poesia il suo lessico rivela immediatamente a quale mondo è imparentato. Quei significati di quel lessico si sono derubricati da soli, oggi non significano nulla più che nulla. Quel senso e quel sensorio erano telefonati, erano già invalidi. Occorre prenderne atto.
E questo è il punto a vantaggio della poetry kitchen rispetto alle modalità del senso e del sensorio che una poiesis illusoria e mimetica pone in essere in quanto dotate di una minore consapevolezza del carattere illusorio di ogni algebra del senso e del sensorio.
Sulla voce
Dispositivi poietici e dispositivi politici sono solidali e conflittuali, hanno luogo nella medesima polis e presuppongono sempre una metafisica. L’articolazione originaria tra la Phoné (la voce che si toglie, viene meno e precipita nel negativo) e il Logos (il discorso articolato in un linguaggio), fonda la phoné come il negativo e il logos come positivo.
Quando, come e perché sorge una nuova «voce» è un Evento che rivela una nuova metafisica. Una nuova «voce» può sorgere soltanto dal perire della vecchia «voce».
La dizione «voce senza linguaggio» significa questo emergere della voce nel e dal linguaggio, nel e dal linguaggio che sta emergendo. La «voce» è sempre alla ricerca del linguaggio più appropriato che possa ospitarla. Il linguaggio è la «casa» della «voce».
Quando la «voce» abbandona un linguaggio, ciò avviene perché quella «casa» è diventata inospitale: ci piove dai tetti, le finestre e le porte non chiudono bene alle intemperie e vi penetra il gelo d’inverno e la calura in estate. Allora, la «voce» deve abbandonare l’abitazione e si mette in viaggio alla ricerca di una nuova abitazione.
La poiesis è quell’ente per il quale ne va, nel suo esistere, del suo aver nome, del suo essere un fare nel linguaggio.
Human Navigator BW (Bio-Watch)
Meccanismo biologico. – Skyline.
Meraviglioso meccanismo biologico.
Mente, Corpo e Testimone Cosciente.
Corpo è Home. Mente è Futur. Testimone
è ITSELF (ha in carico il proprio sé).
Il meccanismo consente:
di essere – di non essere – di essere altrove.
LMT
il discorso sulla nuova poesia è inscindibile da quello di una nuova voce, la voce nasce prima delle parole, è il presupposto per la nascita delle nuove parole.
Sì, a costo di scrivere con traduzione automatica alla mano. Anche Gabriele aveva avanzato questa necessità.
In genere non provo un particolare interesse per le etichette. Preferisco considerare le poesie per ciò che esprimono. Qui come qualità ci siamo e questo per me conta. Cordialmente.
Lettura di poeti
Alfredo de Palchi (1922-2020)
Poesia tratta da Sessioni con l’analista (1967, Mondadori)
4
strumenti: ben
disegnati precisi numerati
non occorre contarli: hanno già l’osseo colore;
nella cava il paleontologo
scoprirà la scatola blindata di lettere
che dissertano l’uomo, alcuni ossi
su cui sono visibili tracce
delle malefatte — e nel libro
spiegherà che gli strumenti automatici
erano (sono) necessari ai robots primitivi
“spiega”
lo so, il mio dire
non mi esamina o spiega, eppure . . .
(la segretaria incrocia le gambe sotto il tavolo
e vedendomi in occhiali neri
“interessante”
commenta “ma ti nascondi”)
è chiaro
— sono ancora nascosto —
non più per paura benché questa sia . . . per
autopreservazione
“perché” paura, accetta i risultati,
affronta . . . difficile
l’autopreservazione,
capisci? se tu mi avessi visto allora
nel fosso, dopo che il camion . . .
(il camion traversa il paese
infila una strada di campagna seminata
di buche / ai lati fossi filari di olmi /
addosso alla cabina metallicamente
riparato pure dai compagni che al niente
puntano fucili e mitra)
— capisci che si tratta di strumenti —
(ho il ’91 tra le gambe)
di colpo spari e io
— già nel fosso —
alla mia prima azione guerriera non riuscii . . .
me la feci nei pantaloni kaki
l’acqua mi toccava i ginocchi. Sparai quando
“leva la sicurezza bastardo” urlò il sergente Luigi
— fu l’ultimo sparo in ritardo —
dal fosso al cielo di pece
strizzando gli occhi
la faccia altrove — risero:
”sono scappati
hai bucato il culo bucato dei ribelli”
— capisci? se la ridevano —
mentre io non pensavo
no, alla preservazione.
La intuivo nel fosso —
La modernità della poesia di Alfredo de Palchi penso risieda nel fatto che lui interviene nel contesto dei linguaggi letterari correnti degli anni sessanta con una carica de-automatizzante che frantuma il tipo di comunicazione in vigore in quei linguaggi letterari, e lo frantuma perché quel suo linguaggio si pone al di fuori dei linguaggi del cliché letterario vigente negli anni sessanta.
Direi che il linguaggio di de Palchi in Sessioni con l’analista (1967) ha la forza dirompente del linguaggio effettivamente parlato in un contesto di lingua letteraria che non era in grado di sostenere l’urto di quel linguaggio che poteva apparire «barbarico» per la sua frontalità, perché si presentava come un «linguaggio naturale», non in linea di conversazione con i linguaggi poetici dell’epoca. Questo fatto appare chiarissimo ad una lettura odierna. E infatti il libro di de Palchi fu accolto dalla critica degli anni sessanta in modo imbarazzato perché non si disponeva di chiavi adeguate di decodifica dei testi in quanto apparivano (ed erano) estranei all’allora incipiente sperimentalismo ed estranei anche alle retroguardie dei linguaggi post-ermetici. Ma io queste cose le ho descritte nella mia monografia critica sulla poesia di Alfredo de Palchi, penso di essere stato esauriente, anzi, forse fin troppo esauriente.
Ad esempio, l’impiego delle lineette di de Palchi era un uso inedito, voleva significare che si trattava di un «linguaggio naturale» (usato come «rumore di fondo») immesso in un contesto letterario. A rileggere oggi le poesie di quel libro di esordio di de Palchi questo fatto si percepisce nitidamente. Si trattava di un uso assolutamente originale del «rumore» e della «biografia personale» che, in contatto con il«linguaggio naturale» reimmesso nel linguaggio poetico dell’epoca che rispondeva ad un diverso concetto storico di comunicazione, creava nel recettore disturbo, creava «incomunicazione» (dal titolo di una celebre poesia di de Palchi); de Palchi costruiva una modellizzazione secondaria del testo che acutizzava il contrasto tra i «rumori di fondo» del linguaggio naturale, «automatico», in un contesto di attesa della struttura della forma-poesia che collideva con quella modellizzazione. Questo contrasto collisione era talmente forte che disturbava i lettori letterati dell’epoca perché li trovava del tutto impreparati a recepire e percepire questa problematica, li disturbava in quanto creava dis-automatismi nella ricezione del testo.
Mario M. Gabriele
inediti da Horcrux
Aspettavo per il mio compleanno un tuo regalo,
i fumetti di Curzio Maltese,
un Rolex
o qualche poster di Julie Mehretu.
Invece, che fai?
Mi doni pantaloni Stretch Workwear:
bucati alle gambe
come quelli dei ragazzi nel quartiere di Queens.
*
Ti guardo. Cerco di ragionare.
Possibile una coesistenza con l’Universo.
Affondo il dito nell’uovo sbattuto.
Tu non sei colpevole.
Vai a trovare Priscott e le sue donne
se sono pronti con i parapendii!
Dimmi di cosa hai bisogno?
Bel risultato! Non rispondi.
Non credo sia tardi
far uscire il serpente dalla bocca.
Mia adorata sono il tuo lumino,
l’orchestra di Parsifal
nella notte di Halloween.
Guarda un po’ qui.
C’è un lenzuolo di polvere sotto il letto.
Nessuno ti vieta di dormirci sopra.
E tu la sera fai la Croce
per me, per Billie Holiday
e Amy Winehouse
e i giocattolini di Winny
con i nostri status symbols
finiti chissà dove?
E’ l’ora del Comfort Food
e del french toast!
Spiega a Corbin
che la Confraternita si è dimezzata
e che altra cosa sono i discorsi,
le profezie del pastore Ben Hill.
Le fughe all’estero erano psichedeliche,
attenuate dal delorazepam.
Oggi ho letto:
The Life and Morals of Jesus of Nazareth.
Ma mi manca il tuo kiss, my love!
Da Alfredo de Palchi degli anni sessanta a Mario Gabriele oggi si può misurare il legame e lo scarto tra i linguaggi poetici pre-sperimentali e quelli post-sperimentali. Il problema di fondo che si pone oggi alla nuova fenomenologia del poetico o poetry kitchen, o comunque a chiunque voglia creare una «nuova poesia» è esattamente questo, ed è sempre lo stesso: come riuscire a creare dis-automatismi, dis-allineamenti semantici, disformismi nel contesto dei linguaggi poetici ossificati di oggi e del lessico de-politicizzato di oggi.
Chiunque legga ad esempio la poesia di Mario M. Gabriele proverà sorpresa e disorientamento nel recepire un tipo di «composizione» che impiega i rottami e gli stracci, i lessici dismessi, le fraseologie della civiltà letteraria e mediatica trascorsa e presente, i «rumori di fondo», le interferenze, come un mosaico di specchi rotti che configgono e collidono nel mentre che rimandano all’esterno, cioè al lettore, una molteplicità di riflessi e di immagini riflesse creando nel lettore una sorta di labirintite, di spaesamento.
Questa è la poetry kitchen.
(Giorgio Linguaglossa)
di Mimmo Pugliese pubblico un inedito
Era l’ultimo airone
dopo sere di cenere
campane sul tavolo
eleggono torce votive
Online trasmettono il diluvio
il drive-in ha i menischi consunti
Qualcuno ha il lunedì al guinzaglio
gerani di fosforo
affollano lavatoi a pedali
I ripiani della libreria sono un fiume
una pietra a forma di toga
sopravanza le lucciole
il confine è un lampo
Guardi una foto un pò sfocata
improvviso il vento spalanca la porta
i pesci non rispondono
Nella baraonda del dopocena
capannelli di moscerini
radono al suolo l’emicrania
la notte è un brufolo
Una delle prerogative e dei meriti fondamentali della visione poetica della Noe è aver strappato la poesia all’impaludamento in cui si è trovata insabbiata – specie nel panorama italiano – gradualmente negli ultimi cinquant’anni, riducendosi ad un pantano vischioso, arenata in una concezione oscillante tra operazioni di puro marketing e solipsismi da salotto. Il concetto espresso da Giorgio in quest’articolo definisce esattamente il punto cruciale dell’evoluzione operata dalla Noe e cioè il cambiamento di paradigma introdotto nel linguaggio e nella semantica poetica.
Proprio come mostratoci da quest’articolo, l’elemento fondamentale della sistematicità, del valore strutturale dell’operazione Noe nelle sue varie declinazioni – che trovano nella Poetry kitchen la formulazione per adesso più compiuta, ma il nostro è un cantiere in perenne movimento – è dato del reinserimento del dibattito e della ricerca poetica in un contesto di confronto scientifico più ampio, laddove per anni la poesia in Italia è rimasta confinata in una sorta di limbo – ma in realtà potremmo dire di ghetto – alienante rispetto alla produzione intellettuale coeva, quasi fosse un puro orpello da decorazione, annientadone di fatto la legittimità come veicolo di conoscenza ed espressione artistica, ancorché si continuasse a sottolinearne la pretesa supremazia rispetto alle altre arti della parola.
Il concetto di un campo linguistico anteposto al soggetto, non solo fa piazza pulita di tanti rami secchi abbarbicatisi in questi anni sull’albero della poesia, ma soprattutto resitituisce alla poesia la sua qualità fabrile, demiurgica nei confronti della parola, quell’alchimia magica che le permette di scomporre e ricomporre universi e cosmologie semantiche. Esattamente come dimostrano i due esempi emblematici riportati da Giorgio, di Alfredo De Palchi e Mario Gabriele, due superlativi artigiani della parola, capaci di forgiare una nuova impalcatura lessicale per la stinta espressività della poesia italiana, demolendone le sue dimore ormai diroccate, basate sulle esilei fodamenta dull’idioletto da “talk-show”; De Palchi e Gabriele cone la loro opera, le hanno restituito invece la piena dignità della sua nobiltà storica.
De Palchi e Gabriele, come Transtromer, cui si aggiungono tutti i vari poeti che arricchiscono quotidianemente il nostro percorso, sono i punti numinosi da cui partire, crocevia ineludibile verso la palingenesi della nostra poesia.
Credo che questo sia un merito che la poesia italiana dovrebbe riconoscere – e speriamo riconoscerà in futuro – alla Nuova Ontologia Estetica.
Grazie Ombra:grazie Noe.