(Jacopo Ricciardi, Viaggio, 120×70 cm. pastello su carta, 2012)
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Marie Laure Colasson
Sono poesie iscritte nella “frattura metafisica della presenza”, là dove la presenza sconfina nella non-presenza.
Transtromer ha capito per primo in Europa che fare poesia moderna significa insistere e indagare in questa dimensione: il luogo-non-luogo. Penso che la condizione dell’essere senza parola sia la condizione ideale per fare poesia. Essere senza parola. Sostare in quel vuoto di significazione non vuol dire chiedersi che cosa implica il fatto che “io parlo” (che è la classica domanda che si pone il filosofo), ma chiedersi: perché mi trovo nel vuoto-di-parola?, sono nel vuoto della parola?, è in questo non-luogo dove io sono che la parola può apparire?. Occorre pensare ostinatamente la parola che non abita più in nessun luogo.
In questo momento di grande crisi dovuta al Covid, è impellente porsi delle domande ed è altrettanto impellente porsi delle risposte. Il Covid ha funzionato come un Grande Acceleratore della crisi.
«Nei libri scritti e in quelli non scritti, io non ho voluto pensare ostinatamente che una cosa sola: che significa “vi è linguaggio?”, che significa “io parlo”?» (G. Agamben 1978, p. X): così scrive Agamben, nella prefazione all’edizione francese di Infanzia e storia (Payot, 1989), intitolata Experimentum linguae.
Guido Galdini
Lavori domestici dieci. Il nastro adesivo
non è propriamente un lavoro domestico
ma è comunque una necessità casalinga
staccare l’estremo lembo del nastro adesivo
che aderisce cocciuto alla restante parte del rotolo
inizi a sfiorarlo con cura, a lusingarlo
avvertendo ai polpastrelli quel minuscolo gradino
che provvedi a scalfire con l’unghia, a sollevarlo
pian piano, prima che si mostri offeso e si laceri
conquista intera la sua fiducia
fallo partecipe di una necessità superiore
perché conceda qualche centimetro del suo corpo
alle tue mire di sigillare e rinchiudere
così urgenti quando non basta scolorire.
LAVORI DOMESTICI UNDICI. IPOTESI DI LAVORO
chiudere i cassetti o lascarli socchiusi
per distrazione o per scelta
è un’abitudine che diventa una teoria
man mano veniamo a patti con le maniglie
dentro i cassetti ci sono fatti che ci riguardano
tenerli a bada con tutti i nostri recinti
è certo la più opportuna delle conquiste
ma nemmeno dimenticarli è un’opzione da trascurare
specie quando le chiavi sono una forma di conoscenza
senza dover ricorrere all’astuzia dei grimaldelli.
I «lavori domestici» di Guido Galdini sono originalissimi, infatti non c’è niente in giro di simile, anzi, Galdini «chiude» il minimalismo all’angolo e apre così una altra strada alla «poesia da cucina» inventando un suo post-minimalismo delle cose da cucina e degli oggetti da cucina, di tutte quelle cose, documenti etc. che ci riguardano da vicino e sono indispensabili per la nostra esistenza giuridica e documentale.
Il lavoro destrutturante la razionalità della struttura lineare della poesia di Francesco Intini è altrettanto importante perché mette un alt, uno stop alla forma-poesia commento, alla glossa e alla interpretazione; è vero il contrario: che non tutto è interpretazione e che c’è un nocciolo duro che sfugge sempre alla interpretazione, mettendo così fuori gioco uno dei capisaldi del pensiero post-moderno.
(g.l.)
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Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica.
Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle.
Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018).
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Francesco Paolo Intini
IN ATTESA DEL GRANDE LITIGIO
Scorre magnesia nelle arene.
Osmosi prima di tutto e si richiamino i gladiatori
Al mercante di spade non dire il prezzo dell’acqua
consuma e uccidi da leopardo.
La bella spalanca i fiori gialli
gli stami trattano sperma a Wall Street.
Il leone parlò del 2100. All’epoca si era cuccioli abbastanza
Per vedere allegro il buon Sole.
Idrogeno alla crudaiola
E in quanto all’elio bastava farne una frittata.
Vedemmo albe e tramonti invertire
Raggi cadere pesantemente al suolo.
E su tutto un odore di pendolo bruciato.
Sarà un treno ma solo nel ‘74.
Agosto doveva essere il quadro nella camera da pranzo
Tra i mesi quello da portare a letto.
Oh gioventù che si danna di cenere e fulmini!
Ora, l’annichilirsi è nell’ agenda del prossimo consiglio.
E dunque l’ordine è perfetto.
Il 2021 è noto a tutti
Perse sangue dagli organi interni.
Lo ricoverarono a sirene spiegate
E quello si mise a bestemmiare sulla sfortuna.
Il bambino non fu mai riconosciuto.
Si sentiva un’ape ma senza giurarci sopra
ronzò fino al capoverso precedente.
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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: Natomaledue è in preparazione.
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La poesia di Francesco Intini mostra che non si dà alcun «dire originario» né alcuna «archeologia» nel linguaggio, che ogni sforzo volto al rinvenimento della struttura presupponente del linguaggio che innerva l’ontoteologia occidentale, a partire dal to ti en èinai e dall’ousia aristotelici, è destinato a cadere nel vuoto. L’ontologia classica con la distinzione aristotelica di dynamis ed enèrgeia, con la sua scissione della sostanza (ousia) in un hypokeimenon (soggetto sottordinato), è destinata a sbattere contro un vicolo cieco. Il linguaggio è un labirinto in cui tutte le strade si perdono in direzioni entropiche. Così stando le cose, il linguaggio poetico è destinato, per Intini, ad un perenne scacco di senso e di sensorietà. Il poeta pugliese è il più drastico (tra i poeti kitchen) sostenitore di questa tesi, non mostra mai ripensamenti o timidità nel proseguire in questa sua ricerca verso l’assoluto, ovvero, verso il nulla, ovvero, verso la ri-funzionalizzazione della lingua e il suo impiego contro la comunità dei parlanti precedenti e coevi.
(g.l.)
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Kitsch poetry di Giorgio Linguaglossa
Inediti da HORCRUX
Mario M Gabriele
http://mariomgabriele.altervista.org/inediti-da-horcrux-2/#comment-314
1
Le signorine del Banco dei Pegni
avevano da fare con l’Anti-Age.
Domenica, ridurremo Guernica
nella misura di 50×70
attivando i film cult nel backstage.
Susanna Clarke lasciò schizzi di fantasia
con Piranesi nella forma storytelling.
Con un account on line
riuscimmo a trovare la strada a nonno Vincent
illuminandogli la notte.
Non ci sono proposte avantgarde
dopo la fine di Baldus.
Riprendiamo a leggere le lettere
di Rilke a Magda von Hattingberg
per capire l’oscillazione del confidenziale.
Il violinista di Jacrek Kaspszyk
ha accompagnato Wagner con due sole note
come l’universo col Big Bang.
Erik ha spedito i fondamenti dell’Essere
a Klutz Nabof,
Editor, Klostermann Frankfurt a. M.
come linguaggio e tempo finale.
Ciò che accade ora
dipende da dove viene l’Abgrund?
Non a caso La bella Elena
si presentò a Offenbach à la Vie Parisienne.
2
Il libro aveva eccipienti verbali
per un cocktail frappè.
Il giorno in cui Kerry si avventurò nell’ermeneutica
dimenticò Lévi Strauss e Marx.
In area anglosassone recuperammo i lessemi
blockchain developer.
Tutto questo per suggerire a Molly
di non sfogliare il vocabolario
per cercare l’origine di culture europee.
Essendo chiusa la pinacoteca
ci fu con Antebellum la mostra degli orrori
del sottoproletariato in USA.
C’è una pandemia in giro che vuole aiutare la Morte
nel suo lungo cammino per il Mondo.
Siamo di nuovo a parlare di thriller
e di stagisti nel cercare i quadri falsi di Monet.
Beson si agganciò a Les Fleurs du Mal
per non essere metafisico come Padre Bernard.
Il papillon nero di Mister O’Briam
era per ricordare Fukushima.
La notte in cui scomparve il passero solitario
tornò l’effetto buio con le Centurie.
Dura ancora il Processo a Josef Kafka.
Nicol Bouvet è pessimista.
Jakobson ha messo in solitudine
i temi dichiarativi e metafisici
assieme ad Alexandre Radichtchev
e Bertolt Brecht
con i versi Kalashnikov.
Questa sera, se credi, ci fermeremo al Caffè Zaire
e avremo modo di contattare Antonin Artaud
con i suoi versi in Le Livre à venir.
Retro di copertina di Horcrux di prossima pubblicazione con Progetto Cultura di Roma
L’estraneazione è l’introduzione dell’estraneo nel discorso poetico; lo spaesamento è l’introduzione di nuovi luoghi nel luogo già conosciuto. Il mixage di iconogrammi e lo shifter, la deviazione improvvisa e a zig-zag sono gli altri strumenti in possesso della musa di Mario Gabriele. Queste sono le categorie sulle quali il poeta di Campobasso costruisce le sue colonne di icone in movimento. Il verso è spezzato, segmentato, interrotto, segnato dal punto e dall’a-capo, è uno strumento chirurgico che introduce nei testi le istanze «vuote»; i simboli, le icone, i personaggi sono solo delle figure, dei simulacri di tutto ciò che è stato agitato nell’arte, nella vita e nella poesia del Novecento, non esclusi i film, anche quelli a buon mercato, le long story… sono flashback a cui seguono altri flashback che magari preannunciano icone-flashback.
Altra categoria centrale è il traslato, mediante il quale il pensiero sconnesso o interconnesso a un retropensiero è ridotto ad una intelaiatura vuota, vuota di emozionalismo e di simbolismo. Questo «metodo» di lavoro introduce nei testi una fibrillazione sintagmatica spaesante, nel senso che il senso non si trova mai contenuto nella risposta ma in altre domande mascherate da fraseologie fintamente assertorie e conviviali.
Lo stile è quello della didascalia fredda e falsa da comunicato che accompagna i prodotti commerciali e farmacologici, quello delle notifiche degli atti giudiziari e amministrativi. Mario Gabriele scrive alla stregua delle circolari della Agenzia dell’Erario, o delle direttive della Unione Europea ricche di frastuono interlinguistico con vocaboli raffreddati dal senso chiaro e distinto. Proprio in virtù di questa severa concisione referenziale è possibile rinvenire nei testi, interferenze, fraseologie spaesanti e stranianti.
Tutto questo armamentario retorico era già in auge nel lontano novecento, qui, nella poesia di Gabriele è nuovo; è nuovo, anzi, nuovissimo il modo con cui viene pensata la nuova poesia. (Giorgio Linguaglossa)
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Kitsch poetry di Giorgio Linguaglossa
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Mario M. Gabriele è nato a Campobasso. Poeta e saggista, ha fondato nel 1980 la rivista di critica e di poetica “Nuova Letteratura”. Ha pubblicato raccolte di poesia, alcune tradotte anche in inglese, monografie e antologie di autori italiani del Secondo Novecento e, in questa stessa collana, i volumi: L’erba di Stonehenge (2016), In viaggio con Godot (2017), Registro di bordo (2020) e Remainders (2021). Suoi versi sono presenti in numerose antologie poetiche, tra cui Critica della Ragione Sufficiente e Poesia italiana contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo di Giorgio Linguaglossa con traduzione in inglese di Steven Grieco-Rathgeb e prefazione di John Taylor. Alla sua opera, nel tempo, si è interessata la critica più qualificata. Cura il Blog di poesia italiana e straniera Isoladeipoeti.blogspot.com e mariomgabriele.altervista.org
Due parole sull’idea di «frattura della presenza». Agamben dice che ‘ la presenza è sempre la manifestazione di qualcosa che rimane nascosto’. E’ noto che è proprio l’assenza la più alta forma di presenza, possiamo sperimentarlo nella nostra vita quotidiano, quando a una cena, per esempio, chi manca è il più presente. Anche in poesia il non detto diventa più importante del detto. Penso ai versi di Emily Dickinson :Heavenly hurt it gives us /we can find no scar / but internal difference / where the meanings are. ( da ‘ There’s a certain slant of light ‘ ) dove l’internal difference può essere proprio la frattura in cui ci sono i significati , il ‘fondamento ‘ di cui parla Agamben.
Ultima osservazione, se è presente la parola ‘ come’ a mio avviso siamo in presenza di una similitudine, non di una metafora.
Il mondo era mutato radicalmente, e la forma-poesia non poteva restare ferma in attesa di tempi migliori. La crisi del capitalismo neoliberale mondiale e italiano del 2008 era lì, sotto gli occhi di tutti. E c’erano delle buone ragioni per non scrivere più alla maniera del soggettivismo esistenzialistico.
Ecco una mia poesia, inedita, del 2011 (avevo appena letto Tranströmer). Fa parte di una mia raccolta inedita dal titolo
Distretto n. 18
premo l’interruttore della luce.
luce accecante.
una stanza con i mobili stipati, costipati.
i divani coperti da lenzuoli bianchi
i tappeti polverosi
il corridoio
la toilette alla turca…
la porta spalancata, le pozze di urina…
gli scorpioni nei recessi polverosi
così numerosi…
“la maniglia, dov’è la maniglia?”
apro la porta, la spalanco. il pulsante rosso, a sx,
lo premo.
luce accecante.
“è soltanto una stanza vuota,
è bene che rimanga vuota, sprangata,
per sempre”
per chi è all’interno ogni effrazione riesce vana.
non ci si entra di straforo
non ci si entra due volte come nel Biferno
non ci si entra e non si esce gratis,
che diamine!
lo devi pur pagare il biglietto d’ingresso!
ci sono dei rumori, scricchiolii…
il pulsante bianco.
lo premo.
un cassettone, una bottiglia rovesciata, barattoli,
un attaccapanni, gli abiti dismessi,
il calorifero smontato, una lampada al neon…
comprendo tutto ciò nei minimi dettagli
nei minimi dettagli (!?)
sì,
nei minimi dettagli…
Provo una sensazione strana con questa poesia di Gabriele”Le signorine del banco dei pegni”, la vedo asciutta, non lascia spazio a fantasticherie o digressioni immaginative, ogni scena è una non scena, murata. Si ha un elenco netto e secco di ‘cose’ che appaiono al lettore in quanto contenitori vuoti (‘di vuoto’? No la presenza del vuoto sarebbe una immagine con una sua dinamica, invece sono proprio vuote, assenti nel loro interno). Non c’è viaggio possibile, epifania, immateriale: siamo al cospetto di una materialità di gusci vuoti (svuotati) accumulati in pile, due monticchietti di gusci del reale. Dove poggiano? Tra loro, ripensandoli come presenza vere, posso avvertire il vuoto, sentirlo ‘aleggiare’, sentirlo ‘parlare’, mostrarsi assente. Questi monticchietti poggiano sull’assenza che è vibrazione (espressione?) del vuoto. Questa presenza fatta di vuoto, questa energia negativa regge quei cumuli. Quale è questo mondo?
gentile Jacopo Ricciardi,
ritengo il suo commento critico molto adiuvato da una lettura finemente esfoliativa di tutti quei ricami che spesso vengono usati da chi li opera, senza entrare nel vivo del corpus poetico. Ci troviamo di fronte ad un apporto conoscitivo dell’ermeneutica che mette in riga l’orizzonte culturale e antropologico di un testo che, nella sua formulazione, ha una rete connettiva e aggregante di lampi di fantasmi che appaiono e scompaiono come le stelle nella notte di San Lorenzo. In questa mobilità trovano spazio la solitudine degli elementi, il loro nomadismo, la dispersione delle immagini riportate come in uno schizzo acrilico, termine quest’ultimo usato da Linguaglossa interpretando la pittura della Colasson. Ecco, io mi rivedo in tutto ciò che lei ha scritto e che per riconoscenza ho riportato negli appunti critici del volume Horcrux. Grazie e cordiali saluti.
Gentile Mario M. Gabriele, io ringrazio lei. È una gioia sentirla soddisfatta. Ciò che dice mi onora.
Buongiorno Giorgio, ti ringrazio per aver messo una mia opera nel post. Essendo pastelli su carta e non acrilico ti chiederei se ti è possibile di sostituire la didascalia, altrimenti non fa nulla. Un caro abbraccio,Jacopo
Inviato da Yahoo Mail su Android
In data odierna, il gatto Carneade manda un podcast
al Presidente Biden
c’è scritto:
«una pillola di Betaprotene
ogni 12 ore»
il triangolo scaleno è la figura geometrica
che il Presidente predilige
Il Signor Posterius invia un sms al mago Mandrake
c’è scritto:
«l’ukulele stasera va a Parigi»
Wanda Osiris a cavallo con il frustino ammorbidisce
la groppa ad un fantino
il pappagallo Totò spedisce una lettera al poeta Brodskij
gli scrive: «I like you, Bijou»
il poeta russo dall’al di là manda un sms a Putin,
c’è scritto:
«Il Green Pass è pronto per la presa della Bastiglia
fissata per il 14 luglio 1789»
*
Le fanfare disobbediscono al direttore d’orchestra von Karajan
assumono un anti dolorifico dopo cena
Wanda Osiris è in colloquio con il Signor K.
il quale è in smoking e in smartworking
Il dentifricio conosce il collagene e se ne tiene alla larga,
ma il colluttorio sì che lo conosce
K. abita la frattura metafisica della presenza
ha sposato un punto interrogativo
il gattaccio Behemoth saltella sui tasti del pianoforte a coda
di proprietà del mago Woland
preferisce così, non parla alle parole perché
dice che scavano dei cunicoli nel sotto pavimento
altre parole preferiscono andare a farsi friggere
ibidem le parole nere ibidem le parole bianche
La razionalità della struttura sintattica lineare della poesia del tardo capitalismo corrisponde ad una concezione «razionale» dell’economia e quindi del rapporto tra il soggetto e l’oggetto e del soggetto con la produzione di merci che corrispondevano ai bisogni e ai desideri del consumatore.
Con la crisi della produzione e del consumo che ha investito i paesi de capitalismo post-industriale dell’Occidente in questi ultimi due decenni, quel tipo di produzione artistica incentrata sulla razionalità della soggettività psicologica mette a nudo i propri limiti. Quella razionalità strumentale è avvertita adesso come costrizione, impedimento, intralcio; all’improvviso, diventa rigida e inflessibile. Al suo posto subentra l’emotività, che si accompagna alla ideologia della libertà quale mezzo per il libero sviluppo della persona.
Nella poesia di Tomas Tranströmer la libertà della soggettività entra in crisi irrimediabile già con l’opera di esordio del poeta svedese con 17 poesie del 1954. Il poeta svedese inaugura una poesia dell’esistenzialismo e si guarda bene dal fornire qualsiai glossa o commento a ciò che la sua poesia mette in evidenza, si guarda bene dal fornire una qualsiasi psicologizzazione dell’esistenza umana, anzi, de-psicologizza e oggettivizza la vita dell’inconscio attraverso fulminanti metafore e traslati.
Essere liberi implica dare libero sfogo alle emozioni. Ilcapitalismo finanziario dell’emozione strumentalizza la libertà: la libera esternazione (interiore ed esteriore) dell’emozione è salutata come espressione della libera soggettività interpretata come complessificazione emotiva ed emozionale della personalità.
L’ideologia del potere neoliberale strumentalizza proprio questa libera soggettività delle emozioni e della psicologia. La razionalità è contraddistinta da oggettività, universalità, era un tempo un argine all’emotività, che è qualità squisitamente soggettiva, situazionale e volatile. Le emotività emergono soprattutto nel mutamento degli stati psichici, nelle modificazioni della percezione; il razionalismo rappresentativo di un Tranströmer predilige una forma-poesia de-psicologizzata.
L’economia neoliberale, che abbatte sempre piú la continuità in vista dell’incremento della produttività e introduce una sempre maggiore instabilità e precarietà, accelera la trasformazione emotiva del processo di produzione. Anche l’accelerazione della comunicazione favorisce la mutazione emotiva, la precarietà e la volatilità dell’emotività.
Cosí, la pressione verso l’accelerazione porta a una dittatura dell’emozione e dell’emotività.
Il capitalismo finanziario fa sempre più riferimento agli aspetti emotivi della pubblicità, del design, della moda e del consumo; il consumo, strumentalizza e mette a profitto le emozioni e l’emotività inconscia il cui scopo è suscitare un maggiore stimolo all’acquisto e piú bisogni. Il design e la moda diventano emotivi, non si fanno scrupolo ad utilizzare la nostra predisposizione per le emozioni, plasmano modelli emotivi per massimizzare il consumo. È finito il capitalismo che invitava al consumo degli oggetti, oggi la produzione si affida piuttosto alle emozioni e alla libera emotività, per la semplice ragione che gli oggetti non possono essere consumati all’infinito, le emozioni invece sí. Le emozioni si sviluppano al di là del valore d’uso: aprono, in questo modo, un mondo, un nuovo e infinito campo per il consumo. Il capitalismo della società post-moderna, dove ogni «oggetto» ha il suo posto nel mercato ed è funzionale alla soddisfazione del consumo, è stato sostituito con il capitalismo emotivo costruito per rendere funzionali le emozioni, le emotività, funzionali al profitto.
Questi cambiamenti epocali hanno influito sulla forma-poesia e sugli oggetti d’arte rendendo le forme ancora più instabili e precarie. È la stessa struttura del discorso della poiesis che è diventata instabile e precaria.
L’egemonia economico -neoliberale ha preso posizione sulla nostra temporalità introducendo per il profitto ogni condizione di supermercato colmo di yogurt, superfood e probiotici per il nostro colon già irritabile, mentre ci avvelenano con i prodotti saturi di glifosate free e pesticidi attraverso la pubblicità televisiva con le avanguardie culinarie, come concetto principale di gourmet. Come eravamo, e come sognavamo di essere non lo siamo più, I nostri oggetti ideali non ci sono più, ma avanzano i multifactorials di “lampade IC Lights, i Coffee tables Tray in alluminio, marmo e noce”,e tanti altri prodotti, che se servono a qualcosa è solo per buttare ciò che resta nella raccolta differenziata. Ci stanno abituando ad essere topolini di mercato che masticano di tutto. Ogni settore della produzione ha il suo tempo libero per scalarci l’anima,
Vintage e design si arricchiscono di assurdi Puzzle packaging, creando il nuovo consumismo. Mi piace, caro Giorgio, la tua seconda poesia, dove vedo l’incorporazione del linguaggio Web come collante pluriestetico, che non crea allarmismi, ma fa della poesia un mix di nuove aperture lessicali, indicative anche per i nuovi volontari della NOE.
Caro Giorgio,
trovo queste queste tue prove estremamente convincenti ed emblematiche dell’evoluzione raggiunta dalla “Poetry kitchen”: è una creatura ormai adulta grazie agli scritti di tutti i grandi poeti del nostro collettivo. Le tue poesie riescono a colmare egregiamente la frattura statutaria del nostro tempo, raccogliendo senza fronzoli o circonlocuzioni vane, lavorando (come amo dire parafrasando il linguaggio della scultura) per sottrazione, asciugando sempre più il tuo registro linguistico. La tua capacità di spaziare tra segmenti di varie epoche storiche, trovando la “connessione tra gli eventi” (utilizzo una formula di Isabel Allende) andando a rovistare nei cassetti e negli armadi di varie epoche per tesserne i residui, è straordinaria. La sutura tra il pappagallo Totò, Wanda Osiris, l’sms a Putin, la green pass e la presa della Bastiglia è strepitosa.
Dietro di essi ci si rivela un intero cosmogonia. Chapeau, Giorgio.
“Il linguaggio è un labirinto in cui tutte le strade si perdono in direzioni entropiche.” G.Linguaglossa
Penso che Giorgio abbia individuato davvero la forza propulsiva nei miei versi.
Come dargli torto? infatti qual è il limite della scrittura? Una volta che l’Io collassa portandosi dietro ogni tema, scopo, significato attraverso i quali in qualche modo si rapportava col mondo, non rimane che un rumore\bagliore di raggio che raccoglie altri rumori\bagliori, frammenti di rumori tra porte improvvise che si aprono sul percorso per un’immagine del tutto nuova, impensata all’inizio dell’opera, in grado però di portarsi altrove, nell’impensato, mai esperito. È in questa proprietà delle parole di andare oltre, trascendere, non chiudersi in un unico raggio monocromatico che confido per non tornare indietro a trovare il filo di Arianna. Ci fu un tempo che confidavo molto nella possibilità di ritornare all’aperto, Commisi il peccato di voler piegare i versi di poeti come Transtromer, Celan e Plath alla linearità dell’interpretazione e di riflesso anche le mie prime composizioni patirono questa malattia, almeno fino all’incontro con la NOE di qualche tempo fa. Bisogna soggiornare all’interno del prisma per cogliere la costituzione del bianco con il piacere della curiosità che mai s’appaga e non c’è nulla di più spontaneo e naturale di un discorso che si frammenta e si disperde irreversibilmente e infine diventa nulla. Ciao e grazie.
Franco
Buonanotte amici,
ne approfitto per sottoporvi di seguito un mia nuovo scritto “kitchen”.
Latte di mandorla con ghiaccio sui tavoli del “Cafè de la guèrre”.
Lamarmora e Mancini decidono la formazione per la trasferta di Magenta.
“Sarà importante mantenere l’equilibrio tattico. Dal nostro ombrellone vista-mare sapremo guidarvi all’immancabile vittoria”.
“Se avessi previsto il Narodni Dom, non avrei dipinto “Il Bacio””
confidò Hayez alla Signora Päffgen in una camera del Chelsea Hotel.
Il caffellatte nello scaldavivande in un ufficio della Zentralstelle in Wien.
Eichmann arriva di primo mattino canticchiando “Rhapsody in blue”.
“Il grande bulino è già in azione. Non pioveva sabbia da secoli
sul Danubio,
ma abbiamo già fatto saltare in aria il rapido 904 con le rane a bordo”.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
A Theresienstadt in inverno si sta come in primavera.
“Si sieda rabbino; posso offrirle del latte nero?”
“Who by fire? Who in the night time?”
Sulla soglia della stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
Alle spalle, Marcuse gusta dell’uva fragolina sotto un pergolato
in Abbey Road; davanti
il deserto del Negev: dobbiamo affrontarlo per intero
per approdare alla stanza-dimora di Mario Gabriele.
Da tempo ormai, non legge più “Satura”: ascolta heavy metal
e sorseggia Bourbon.
Tra poco, si festeggeranno le idi di marzo.
Il Signor Dobermann all’alba
accompagna i pochi vaccinati che si riuniscono nelle catacombe.
Pompei deflagrò quando chiuse l’ultimo cocktail bar.
“Le campagne sono tetre ed insicure signor generale: ci affidiamo alla Vostra guida”.
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.
Da piazza Mazzini sede della RAI
alla nube di Magellano
– distante dalla Terra 158.200 anni luce
su su fino alla costellazione di Orione
Situata a circa 1.300 anni luce dal nostro pianeta
incontro un nano
che sta prendendo il caffè seduto su una nuvola à place Vendome
litiga con degli esquimesi
perché – sostiene –
sono posiziocentrici, non amano Andy Warhol,
l’anidride carbonica e il metaldetector…
il nano asserisce di parlare un perfetto italiano
ma dice sempre e soltanto una sola parola:
«Mai»
«Tuttavia – disse K. dopo un girotondo attorno al tavolo –
il secondo è l’intervallo di misura del tempo in cui un atomo di cesio, opportunamente eccitato, compie 9 192 631 770 oscillazioni. Nascosto da qualche parte in una di queste oscillazioni c’è il Signor dio».
«Sotto vuoto – replicò Z. –
la sfera è sotto vuoto»
«Il primo orologio atomico – riprese K. – NIST-F1 è entrato in funzione nel 1999, ma nel 2014 è stato soppiantato dal suo successore, tre volte più accurato, il NIST-F2, l’orologio che non sgarra neppure in un milione di anni.
Dieci milioni di atomi sono raggruppati in una sfera e raffreddati ad una temperatura di – 193° C, in modo da eliminare il più possibile le vibrazioni termiche e isolare l’oscillazione naturale degli atomi».
E lanciò un bergamotto in direzione del pallone aerostatico che conteneva il nulla compresso in una scatoletta di tonno
«I fotoni vengono intercettati da un metaldetector.
Il valore 9 192 631 770 Hz coincide così con la frequenza naturale del cesio, ed è quella oggi utilizzata per definire il secondo»
Così chiuse la questione il Signor K.
Tre dobermann sbranarono Odoacre impedendogli di dichiarare la fine dell’Impero romano d’Occidente
caro Vincenzo Petronelli, sorprende il modo in cui hai metabolizzato il linguaggio della poetry kitchen mettendo il meglio del suo lessico, pervenendo a risultati veramente sorprendenti per il lettore, dopo la retroguardia poetica da te lasciata negli scaffali di remainder. Auguri per i prossimi testi e buon lavoro. Mario.
Grazie infinite per il tuo apprezzamento, caro Mario. Sai benissimo che non c’è in me alcuna forma di piaggeria o di “captatio benevolentiae” (credo peraltro che siano elementi che non abbiano alcuna ragion d’essere in chi come noi è alieno alle logiche delle lobby da salotto, altrimenti non saremmo qui) nell’evidenziare come le tue considerazioni mi facciano particolarmente piacere, essendo stato per me il primo punto di riferimento Noe. In seguito il mio percorso si è arricchito con tutti gli altri contributi Noe e con il mio itinerario generale, ma la tua poesia è stata senza dubbio il mio punto di partenza, anche per le tue critiche pertinenti e fustiganti alla pubblicazione delle mie prime poesie (quelle “d’ancien règime”) su questo blog. Posso dirti che questa frattura, rispetto ai miei schemi precedenti, era in me già rintracciabile e il mio approdo all'”Ombra” non è stato casuale, essendoci giunto sulla scorta della lettura di vari interventi di Giorgio: naturalmente il difficile era impadronirmi di quelle tracce ed è per questo che apprezzo particolarmente le considerazioni positive che mi giungono dagli altri amici dell'”Ombra” e da te per la genesi stessa del mio cammino nella Noe.
Un caro saluto.
da Gino Rago, I platani sul Tevere diventano betulle, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2020
Dio chiede una recensione…
Il femminile di Dio, il Suo lato destro,
ha chiesto una recensione ai poeti della «nuova ontologia estetica».
Di certo le poetesse dell’ombra lo sanno che Dio è dappertutto,
che rovista con garbo nella pattumiera.
Il maschile di Dio, il Suo lato sinistro,
frequenta le bische clandestine, i ricoveri
aperti tutta la notte, staziona tra le vetrate,
gli slums delle periferie di Hopper.
Ci ha provato anche con Lucio Mayoor Tosi,
Francesco Paolo Intini, Pino Gallo e Pino Talia,
ma non gli hanno dato retta, andavano di fretta,
per una recensione sulla sua creazione
perché i tre lasciano di sé frammenti dappertutto
e cercano il tutto in ogni frammento:
in un seme di cocomero, in un chiodo, in un filo di spago.
Dio si è rivolto ai cacciatori di immagini,
perché i quattro in poesia rapinano banche.
La poesia è una rapina in banca: si entra,
si spiana la rivoltella, si cattura l’ attenzione,
si prendono i soldi, si scappa
e si scompare,
per poi ricomparire in altre banche.
Ebbene, questi versi annoiano Dio, l’Onnipotente
non sopporta questi ladruncoli che giocano a fare
scaccomatto.
Cicche e carte stracce sui marciapiedi,
dalla tavola calda aperta tutta la notte odore di cipolle,
Charles Simic si rivolge ai tre della «nuova ontologia estetica»:
«Voi tre, vi riconosco, siete cacciatori di frodo».
L’appendivestiti dà al cameriere la mancia,
alla scarpa servono un piatto di caviale,
la sedia sa dialogare con i clienti,
diventa un tavolo e si prende in giro.
Un fiore nel vaso parla con lo specchio:
«E’ perfettamente inutile che Lei caro signore si ecciti,
faccia quello che sa fare. Faccia lo specchio».
Sospetto che Franco Fortini, ma non solo lui, anche tutti gli intellettuali di fede comunista e materialista, avrebbero condannato seduta stante queste nuove poesie di Giorgio Linguaglossa; per il disimpegno, le parole nomi gettate con tanta noncuranza, il linguaggio irrazionale… Quindi, ho pensato, Giorgio sta compiendo una operazione coraggiosa, stimabile, perché quelli sono fantasmi difficili da ridimensionare.
Allora, quando leggeremo il libro di Giorgio con queste novità?
La poesia di Linguaglossa “Da piazza Mazzini sede della Rai” appare lo spazio un poco dilatato del racconto con il “gusto” per una narrazione. Il momento spassoso del nano che parla con gli eschimesi e li rimprovera. E nella seconda parte della poesia i dati scientifici riportati in un discorso usati come dati del vuoto – definendo per di più nello “spazio” del testo la misura del tempo, in un gioco di rapporti e dimensioni che travalicano realtà mentale e realtà apparente del mondo, quasi trovando un cunicolo di collegamento tra i due stadi.
Mi appare questo procedere stilistico con una dinamica più lenta di Gabriele e Intini, più circospetta, vicina alle situazioni ancor più articolate di Rago. Qui si va per salti, e ne è un esempio la strofa finale su Odoacre.
Ciò che mi preme dire è che evidentemente la scrittura quando si autogenera può utilizzare tutti i suoi livelli, dal più ristretto al più ampio, ossia di parola (Intini), di “cosa” (Gabriele), di scena (Linguaglossa) o di racconto (Rago). Alla lettura accade un godimento distinto, dal più dinamico al più rilassato: che la mente senta su di sé un flash o invece si raffiguri una scena, e goda della sorpresa o del proprio lento aprirsi, non cambia l’esito finale della lettura ossia un verificarsi identico di una voragine di vuoto che sta sia nelle spaccature del testo sia nel modo dell’apparire del testo stesso. E ciò che appare esiste o non esiste? Esiste e non esiste. Sono un pieno e un vuoto? Sono due vuoti, lo stesso vuoto formicolante di apparenze di vita.
L’apparire del nano dal vuoto del salto di strofa in una frase continua, rende, quel vuoto bidimensionale e materico, tridimensionale, anzi, proprio perché resta vuoto che diventa formicolante, multidimensionale, e il nano ha quel modo o dato dimensionale (di vuoti) che lo rende fisicamente reale e attivo; nel vuoto esiste il vivo perché non è mai morto, e il morto non è mai morto.
Quel che mi sorprende del “vuoto” è che sia percepibile, quasi si trattasse di un luogo o un fatto. Invece è quel che precede e sopravanza il logos e non si può dire perché è niente, zero. Il vuoto ha a che fare con il linguaggio. Ma, esistenzialmente, a me sembra sopravvalutato. Mentre l’Io, il famigerato, ha il difetto di creare identificazione: chi ne fa uso si identifica e, quel che è peggio, tenta di creare identificazione. George Gurdjieff ha insistito molto sulla “non-identificazione”. Non sei coinvolto, come se i tuoi pensieri fossero di qualcun altro. Capito questo, ci sta che l’io possa fare la sua parte. Nelle poesie di Mario Gabriele non se ne trova, invece Tranströmer a volte ci gioca.
caro Lucio,
la poetry kitchen scardina e dissesta l’ordine del discorso e l’ordine del pensiero unilineare e unigenito, noi della poesia kitchen pensiamo lo spazio come ciò che può essere moltiplicato, tellurizzato e frantumato: è la condizione delle eterotopie tipica del nostro modo di vita, ovvero, quella sorta di «contro-spazi» di cui le culture dispongono e «in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura, sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati».1
Tali eterotopie sono talvolta luoghi fisici (la nube di Magellano, la Costellazione di Orione etc.) più spesso sono luoghi fantasmatici, onirici, irreali o semplicemente letterari, che esistono solo sulla carta, come nel caso dell’«enciclopedia cinese» di Borges da cui prende idealmente avvio l’intero progetto teorico de Le parole e le cose. Quello che a ogni modo a noi interessa è che le eterotopie svolgono un ruolo epistemologico unico, nella misura in cui mettono in evidenza lo scopo strategico del nostro discorso poetico, e del discorso filosofico che ne deriva, proprio «perché devastano anzi tempo la “sintassi” e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa “tenere assieme” (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose».2
Quanto a Fortini, comunista e materialista, lui fa parte di un mondo che è collassato, chiuso… penso che leggere la poetry kitchen lo avrebbe spaventato ma forse lo avrebbe anche meravigliato. Del resto io sono un marxista eclettico, come lo deve essere qualsiasi pensatore del nostro tempo, non posseggo nessun dogma, sono alla continua ricerca di nuove idee (le idee sono gratis, chi le vuole non ha che da prenderle), e sono anche dell’opinione che la formula del plusvalore di Marx equivalga alla formula della relatività di Einstein per importanza capitale. Non sono così sciocco da sostenere che occorra una poesia e un’arte impegnata alla maniera di Fortini e della Terza Internazionale, quella roba lì è da antiquariato, io penso che la poetry kitchen sia una forza che dispiega il massimo impegno critico nella lettura del mondo di oggi («lo stato di cose esistente» di Marx e di Fortini). La poetry kitchen ha una carica di libertà e di vivacità veramente rivoluzionaria, e mi fa piacere leggere questa magnifica espressione di libertà, intendo la poesia di Vincenzo Petronelli e di Francesco Paolo Intini, ma anche i panegirici minimal di Guido Galdini che mettono all’asta il minimalismo svelandone l’arcano: che chi cerca il minimo prima o poi finirà con il trovarlo. Ma noi non cerchiamo il minimo, semmai, il massimo esperibile.
Circa tre anni fa Roberto Bertoldo osservò che scrivevamo tutti allo stesso modo. Mah, penso che si tratti di un pregiudizio, che a sfatarlo sia sufficiente leggere gli ultimi cinquanta post che abbiamo pubblicato.
1 M. Foucault, Le parole e le cose, op. cit. p. 8
2 Ibidem
La poetry kitchen è una struttura della simultaneità di spazi e di tempi (reali e immaginari).
C’è una corrispondenza fra la sintassi e la semantica: la semantica inaugura un movimento di sensi e di significati, costruisce una narrazione, una storia; la sintassi dipana un ordine, definisce uno stato, edifica una metafisica.
La fine di una metafisica produce una lontananza, un distacco fra le cose, fra le parole e fra le parole e le cose; telos della poiesis è di stabilire un diverso ordine tra le cose, fra le parole e fra le parole e le cose. La fine della metafisica si preannuncia con grandi sommovimenti e rivolgimenti dello stato di cose esistenti, e la poiesis non può che riflettere le forze soverchianti della storia che la producono. Così stando le cose, perorare la continuità della poiesis dello stato di cose esistenti, significa accontentarsi di salvaguardare la sua funzione ancillare e decorativa.
.
Un ippopotamo saltò sul deltaplano che era in volo
verso il pianeta azzurro
K. prese la funivia del San Gottardo,
si sporse dal finestrino e disse:
«Il segnale GW190521 è stato generato da una enorme collisione di due o tre buchi neri 66 e 85 volte più densi del nostro sole, si sono avvinghiati l’uno sull’altro e hanno prodotto un buco nero 142 volte più denso del nostro sole»
dopodiché si sistemò alla meglio sulla seggiovia e accese un sigaro italiano.
«La catarifrangenza del nulla è il nostro cibo quotidiano»,
gli rispose Z.
dalla carlinga del motopattino
«È come passare un dito attraverso la fiamma di una candela
che brucia a 1000 gradi Celsius
– disse K. –
è la singolarità debole
potremmo trovarci proiettati in un’altra galassia…»
Azazello chiamò in causa il Maestro Woland
obtorto collo
Il mago cincischiò, tossì, si sistemò le bretelle a righe
che sospendevano dei pantaloni da cavallerizzo
ingurgitò tre pillole di Fripass da 100 milligrammi
e una confezione di Fernet Branca
«Costui è un acchiappafantasmi!,
potete convocarlo!», gridò Woland
Così, una nuvola di borotalco fuoriuscì
dal balcone
Complimenti a tuti i partecipanti a questa bottega di lavori in corso, in particolare a Guido Galdini, Francesco Intini, Mario Gabriele, Vincenzo Petronelli e alle ultime cose di Linguaglossa. I commenti sono sempre pertinenti e profondi, le riflessioni aiutano a capire i testi e viceversa. Ho apprezzato molto il pastello di Jacopo Ricciardi, lui si muove nella direzione dei colori, impiega i colori come cose della mente, cose mentali, quintessenze, atmosfere, li impiega come fa con le parole, le sue parole sono delle entità mentali che hanno sede nella intercapedine della mente. Vorrei partecipare a questa conversazione collettiva con la penultima composizione della mia raccolta in corso di stampa,
45.
Une tour de livres placés dans le frigidaire
livrent un féroce combat avec des aubergines
un camembert et des cervelles gélatineuses
Eredia s’introduit dans une toile d’araignée cosmique
pour décrypter le sens spécifique
de six paires de mamelles d’une truie
en transit pour Vénus en compagnie d’Antonin Artaud
Sel et poivre se mélangent
pour un métissage à Chinatown
et improvisent “Kong Neptune”
sur le sax ténor de Dexter Gordon
sous une pluie torrentielle
La blanche geisha trouve dans le sac
crocodile d’Eredia le revolver au pommeau de nacre
impulsive tire sur une ombre qui chante
“Quand j’étais petit je n’étais pas grand
je montrais mon cul à tous les passants”
un passéiste en moins dit-elle
*
Una torre di libri posti nel frigorifero
consegnano un feroce combattimento con delle melanzane
un camembert e delle cervella gelatinose
Eredia s’introduce in una ragnatela cosmica
per decriptare il senso specifico
di sei paia di mammelle d’una scrofa
in transito per Venere in compagnia di Antonin Artaud
Sale e pepe si mischiano
per un meticciato a Chinatown
e improvvisano “Kong Neptune”
sul sax tenor di Dexter Gordon
sotto una pioggia torrenziale
La bianca geisha trova nella borsa
coccodrillo di Eredia il revolver con l’impugnatura di madreperla
impulsiva spara su un’ombra che canta
“Quando ero piccolo non ero grande
mostravo il culo a tutti i passanti”
un passatista in meno dice
Cara Marie Laure, la tua poesia è per me sempre una rivelazione straordinaria ad ogni episodio. Amo la tua capacità eidetica – ovviamente particolamente sviluppata nel tuo modello poetico grazie alla tua formazione di scultrice – la tua qualità nel fissare i versi per immagini, sempre incisive, nette, inappellabili. Analogamente, il tuo lavoro sulla sonorità delle parole (a mio avviso esaltata dalla tua straordinaria lingua madre) ed il taglio ironico sempre presenti nella tua poesia sono dei valori aggiunti incommensurabili. L’ironia, nella misura in cui una caratteristica fondamentale della nostra ricerca è la destrutturazione dei modelli tradizionali, è una componente di straordinaria incisività per la quale ti considero un assoluto punto di riferimento.
Un caro saluto.
La cyborg Molly è uscita da Playboy con un mini dress a bretelline
condivide il pavimento con la crypto crossdresser Bananas Gin
al 37° piano del Manhattan Skyscraper
Si scambiano baci in videoclip, parlano la lingua hurgh:
«Term of exasperation used to command somebody to do something when one is particularly livid – but at the same time amused – about something»,
recita the English Dictionary
«Is it light here?, no, it is dark!»
dice la Molly Bum
mentre copula in diretta streaming con il Macho Zozzilla, Nembo Kid
e il mago Mandrake
Tex Willer spara a Kit Carson
e uccide Paul Newman nel film Butch Cassidy del 1969
diretto da George Roy Hill
«Never forget to check your background… before clicking
a picture here»,
says Sharon Stone rivolgendosi a Paul Newman
in another film 40 anni più tardi.
Renzi, mon amour,
deltaprotene complex is your ideal dentifrix!
«I have the Green Card in my pant and one bypass
in my heart but I am not died»
disse il Presidente del Consiglio Conte2
rivolgendosi al Conte1
«Che Guevara is alive in the last graphic novel of Philip Dick
do you know?»
disse Molly quella sera che indossava il famoso vestitino rosso
di Marilyn
Questa tua Kitsch Poetry, caro Giorgio, corrisponde pienamente al modo di vedere e fare poesia abrasiva, colliquativa, assemblativa, ricostruttiva, trainante e
fenomenica; una sorta di listing, caratterizzata da una successione di scene, frasi, e personaggi, come un mix di plots, che arricchiscono la struttura del testo. Ho altri aggettivi in mente da aggiungere, ma ad evitare di essere prolisso, mi associo, con buona compagnia, al tuo testo che ha tutta la mia ammirazione. Spero solo che non sia un tentativo isolato, ma che tu ne aggiunga degli altri in modo da solarizzare il percorso poetico.
caro Mario,
detto da te è un un apprezzamento che mi dà coraggio. sto mettendo assieme una raccolta di Kitsch poetry che avrà per titolo: Una giraffa seduta sul sofà chiede un Campari.
Allora, Auguri! Scusami, ma il titolo dell’opera : “Una giraffa seduta sul sofà,” è già un titolo eccellente, non ha bisogno di altro. Prova a rileggerlo più volte e te ne innamori.
Cos’ha fatto la giraffa per non meritare il suo pseudolimerick?
c’è una giraffa seduta sul sofà
che ha ordinato una coppa di Campari
a chi le chiede: dimmi, come va
risponde: mica male i miei affari
vieni a sederti un poco qui vicino
che ci facciamo un giro di ramino
ma la giraffa è animale assai ingombrante
per alzarla ci vuole un carro ponte
così il malcapitato che ha subito
l’onore di ricevere l’invito
si è dovuto ridurre alla metà
per non essere invaso e stritolato
da quell’ampia giraffa sul sofà.
Grazie cari Mario e Guido,
ecco la poesia di apertura della raccolta:
Una giraffa seduta sul sofà chiede un Campari
Una modella scende dalla cabriolet
Un topo salta dall’oblò della lavatrice
Il cameriere indossa un pantalone bleu a righe gialle
Dal tablet android spunta un direttore d’orchestra
che spara alle Termopili
Dalle scale mobili della Stazione Termini
scende una lumaca con l’ombrello
Letizia Castà chiede a Raffaella Carrà
una dichiarazione di autenticità
mentre i bersaglieri a cavallo entrano a Porta Pia
senza segnale acustico e interferometro
L’Ufficio Informazioni Riservate
dispone però di saturimetro e prosimetro
Le fanfare squillano, il campanello trilla
Risponde la segreteria telefonica:
«Gentile Signore, dopo il segnale acustico
registri il suo messaggio»
Nella Kitsch poetry, al pari della Instant poetry, varianti della Poetry kitchen (e a quest’ultima legati nel rapporto di genere a specie), è in opera la categoria dell’uso, ovvero, del ri-uso di disparate fraseologie del linguaggio che, in quanto rescisse dai contesti originari, possono essere ri-usate, anzi, sono predisposte al ri-uso, al re-impiego in un diverso registro qual è quello del linguaggio poetico. L’impiego intensificato nell’ambito del linguaggio poetico di questa categoria consente l’attingimento di risultati di estraneazione e di spaesamento al massimo grado, in quanto il linguaggio viene semplicemente «esposto» in virtù della mera potenzialità della significazione, finalmente liberata dalla costrizione al denotatum.
Ne Il tempo che resta del 2000, Agamben, analizzando in particolare l’uso paolino dei verbi chráo (usare) e katarghéo (disattivare, rendere inoperativo), costruisce una teoria dell’uso considerato come il risultato di una disattivazione e neutralizzazione dei «dispositivi» tradizionali del linguaggio.
L’experimentum linguae trova qui una collocazione nell’uso come ricerca di un diverso e più originale statuto della parola, di un’esperienza della «pura parola» che apra lo spazio della «gratuità dell’uso».1 Quest’esperienza è di fondamentale importanza perché
« – senza legarsi denotativamente alle cose né valere essa stessa come una cosa, senza restare indefinitamente sospesa nella sua apertura né chiudersi nel dogma – si presenta come una pura e comune potenza di dire, capace di un uso libero e gratuito del tempo e del mondo».2
Scrive Carlo Salzani:
Ma cosa potrebbe mai essere una tale parola, al di là di queste indicazioni un po vaghe ed evocative? Agamben risponde con un esempio, che rimane invariato per tutta la sua lunga carriera: la poesia. Uno dei marcatori della continuità sostanziale del suo pensiero è proprio il suo interesse per la poesia, non tanto come fenomeno linguistico-letterario, ma come un modello dell’experimentum linguae, che trasforma e «rivela» il linguaggio. Come già abbiamo notato, fin dagli anni Settanta e Ottanta, da Stanze a Il linguaggio e la morte a Idea della prosa, e in modo preponderante nei saggi di Categorie italiane, la poesia è presa a modello di una parola che disattiva le funzioni comunicative e informative del linguaggio ed espone così la sua immediata “medialità”, il suo essere “mezzo puro”. Nel progetto politico di Homo sacer questa connotazione messianica viene enfatizzata e la poesia è proposta, ad esempio in
Il Regno e la Gloria, come paradigma della disattivazione: essa marca il punto in cui la lingua “riposa in se stessa, contempla la sua potenza di dire e si apre, in questo modo, a un nuovo, possibile uso”, dove il soggetto poetico diventa “quel soggetto che si produce nel punto in cui la lingua è stata resa inoperosa, è, cioè, divenuta, in lui e per lui, puramente dicibile”».3 (G. Agamben, Il Regno e la Gloria, 2007, pp. 274-75)
[…]
«Riassumendo un’analisi assai complessa e articolata: la deissi (indicazione o dimostrazione) nel pronome marca un “segno vuoto”, che diventa “pieno” non appena il locutore lo assume in un’istanza di discorso, e cioè non appena lo articola in un “messaggio”. Questo vuol dire, per Agamben, che ciò che la deissi indica o dimostra nei pronomi non è un oggetto o una realtà, ma un “luogo di linguaggio”: “l’indicazione è la categoria attraverso cui il linguaggio fa riferimento al proprio aver-luogo” (Agamben Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, terza edizione accresciuta, Torino, Einaudi 2008, p. 35). Questo “evento di linguaggio” a cui la deissi si riferisce ha luogo in una “voce”, che non è più mero suono (come negli animali), ma non è ancora un significato: essa è l’intenzione di significare che coincide con la pura indicazione che il linguaggio ha luogo. Come tale, essa è ciò che deve essere tolto affinché il discorso significante abbia luogo, ed è quindi una dimensione negativa; è il fondamento che “apre” il luogo del linguaggio, ma lo fa in modo negativo, scomparendo, ed è quindi il fondamento negativo su cui poggia tutta la struttura della metafisica occidentale, un fondamento “muto” che resta rigorosamente informulabile ed è perciò “mistico” (G. Agamben, Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo dellanegatività, terza edizione accresciuta, Torino, Einaudi, 1982, p. 114). Questa radicale negatività del fondamento ha decisive e drammatiche conseguenze per l’etica e la politica, per cui il superamento della metafisica e del suo nichilismo è necessario. Questo superamento consisterebbe nel “trovare un’esperienza di parolache non supponga più alcun fondamento negativo” (Ibidem p. 67), e Agamben la cerca, come già in Stanze (e in tutto il progetto trentennale di Categorie italiane [1996 e 2010], ma anche nella successiva elaborazione più propriamente politica) nella poesia. Questo superamento comporta la “fine” del linguaggio comelo conosciamo, e questo tema “messianico” (anche se il termine non è qui usato) informa l’epilogo del libro, “La fine del pensiero”, che riproduce un volumetto apparso lo stesso anno de Il linguaggio e la morte in cui Agamben propone, in modo aforistico ed evocativo, il tema del “compimento” del linguaggio come una voce che non ha più nulla di dire, più nulla da “significare”. Una tale parola, senza origine esenza destino, liquiderebbe il mistico, e cioè il fondamento indicibile, e con esso avrebbe fine anche il legame tra linguaggio e negatività, tra linguaggio e morte.4
1 G. Agamben Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai romani,Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 126.
2 Ibidem p. 125.
3 Cit. in C. Salzani, https://www.academia.edu/14325340/Il_linguaggio_%C3%A8_il_sovrano_Agamben_e_la_politica_del_linguaggio?email_work_card=interaction-paper
4 Ibidem.
Se l’obiettivo, oltre a quello di non darsi obiettivi, era fare kitsch con premeditazione e consapevolezza assoluta, allora direi che ci siamo. Mandrake, Sharon Stone e Kit Carson, le parole in inglese, ecco. Il kitsch si fa da sé. Poesia gestuale, dove occorre rompere; anche qualcosa in sé, del passato. Leggendo le poesie di Giorgio, a volte mi sembra di essere in una mensa per nobili decaduti. Bene accolti nella comunità dei vivi.
Meglio non essere obiettivi, specie se gli altri stanno sparando.
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Un dubbio atroce, la comparazione, lo studio, l’analisi dei testi qui proposti, hanno fatto nascere inequivocabilmente, il pollice in raffigurazione del mi piace. 👍👍👍. Mi piace questo post.
Rasserenano davvero i likes.
Diciamolo pure a gran voce i mezzi di comunicazione, i social sono perfetti.
Troppi stimoli, troppi frammenti, troppe citazioni, troppe pubblicità…
Se della poesia di Gabriele, Ricciardi, parla di ,”gusci vuoti (svuotati)”, nella poesia di Petronelli avverto lo spazio vuoto, di uno spazio che non ci appartiene:
“Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.”
Inizierò di qui per una compostaggio Kitsch…
Infondo questo è ora il comunismo…lo adopero sull’OMBRA come imbastitore di pensieri…
Grazie OMBRA…
cari amici,
ieri ho letto ad un amico di lunga data le composizioni di questo post… devo dire che è rimasto sbalordito, ha esclamato:
«Ma davvero voi scrivete queste cose spacciandole per poesie?».
Io ho risposto: «caro… noi pensiamo che questo sia l’unico modo di fare delle poesie, oggi».
E lui: «Ma non c’è musica! Non ci sono versi! C’è solo rumore di parole senza senso!».
Ed io: «Mi dispiace, caro che tu te la prenda… ma perché, chiedo, la poesia ipnagogica, la poesia della cellula dell’io, dell’anima bella o brutta che sia, quella roba lì, tu pensi che sia la poesia del mondo di oggi?».
Lui mi ha risposto, candidamente: «Sì».
E qui la nostra conversazione ha avuto fine.
caro Lucio,
io per la verità, non avevo intenzione di fare poesia kitsch, non avevo intenzione di andare in quella direzione, la mia poesia precedente, che è iniziata nel 1992 con Uccelli ed è finita nel 2018, con Il tedio di dio, andava ancora alla ricerca di un «senso», di un «significato». Poi, come sappiamo, la nostra ricerca si è indirizzata verso il «fuori-senso» e il «fuori-significato». La strada successiva, che abbiamo percorso tutti insieme, la strada capitanata da Mario Gabriele che ci precedeva in vedetta, ci ha portato in questa direzione. Certe cose non possiamo prevederle, anzi, spesso, lottiamo per evitarle ma, in fin dei conti, non potevamo arrestare la ricerca, non potevamo fare marcia indietro.
È Wittgenstein che ci ricorda la vacuità della ricerca di un senso:
«il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso alcun valore – né, se vi fosse, sarebbe un valore. Se un valore che abbia valore v’è, esso dev’esser fuori d’ogni avvenire ed essere-così. Infatti, ogni avvenire ed essere-così è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev’essere fuori del mondo (…) Tautologia e contraddizione sono prive di senso».1
Carlo Marx scopre che la riproduzione del capitalismo come sistema economico e sociale non è mai una riproduzione semplice, ma sempre una riproduzione allargata, e che proprio per questo la «cosiddetta accumulazione originaria» è al di fuori di essa, si converte in «riproduzione allargata»; analogamente, c’è una merce che eccede il sistema economico vigente e richiede un sistema allargato, un mercato di merci dove essa può trovare collocazione. Se tutto si risolvesse in un sistema a riproduzione semplice, cesserebbe il capitalismo perché si limiterebbe ad auto riprodursi eguale a se medesimo. Un sistema culturale funziona allo stesso modo, esso tende a riprodursi e ad impedire che una idea nuova possa trovare accoglienza, ma in questo modo si sclerotizza e muore. È allora che una nuova idea, una nuova merce, prima o poi può trovare accoglienza.
Nell’ambito della poetry kitchen, qualcuno si è fermato, qualcun altro è rimasto nelle retrovie in attesa di fare chiarezza, qualcun altro si è volatilizzato. È comprensibile, avviene in tutte le buone famiglie, qualcun altro si è aggregato; gli ultimi poeti come Jacopo Ricciardi e Giuseppe Petronelli si sono aggiunti al gruppo di ricerca
Cmq, resto dell’idea che sia la Instant poetry che la Kitsch poetry siano delle varianti del virus-base: la Poetry kitchen. E nella Poetry kitchen ci può stare anche la poesia post-liminal di Guido Galdini che azzera il minimalismo, e va oltre, ci può stare anche la “Ferula” di Giuseppe Talia, che annichila la poesia di paesaggio, per sempre, e la mette in soffitta; ci può stare anche la story telling di Gino Rago, che mette fine allo story telling del vero e del verosimile della tradizione novecentesca con tutte le adiacenze di riguardo, ci può stare anche il «compostaggio» di Mauro Pierno, che mette fine alla autorialità dell’autore e a tutto ciò che richiama la cellula monastica dell’io; ci può stare anche un guastatore del «significato» e del «senso» come Francesco Paolo Intini armato di cesoie e bombe incendiarie; ci può stare la Instant poetry di Lucio Mayoor Tosi; ci può stare una eretica della poesia francese come Marie Laure Colasson che fa della distassia e della dismetria la sua parola d’ordine…
La Poetry kitchen mette un punto al teorema della specificità della forma-poesia, dichiarando quest’ultima quale genere specifico della poesia innica e della poesia elegiaca (Contini), tesi questa che è stata sconvolta dalla rivoluzione internettiana delle emittenti linguistiche. Nel mondo di oggi non ha più senso alcuno compiacersi di avere un linguaggio speciale, quello della poesia (dotato di ambiguità e di ambivalenza qualsivoglia) a propria disposizione. Vecchia petizione, oltre che infondata filosoficamente anche palesemente superata dal corso degli eventi storici.
Nella Poetry kitchen ognuno deve cercare da sé la propria strada, non c’è alcun dogma, alcun verdetto.
L’unico assioma da seguire è che ciascuno deve porsi nella condizione di voler abitare stabilmente il vuoto. Il resto verrà da sé.
1 Wittgenstein, Tractatus Logico-philosoficus
Gli artisti visivi danno grande importanza alla scala cromatica, che penso sia equivalente al linguaggio per chi scrive poesia. Dico in breve: dal 1930 al ’45, i colori in voga erano terre, marroni, neri (es. Sironi, Carrà…). Poi, come per reazione, vennero i colori base, di stampa, giallo rosso blu (Mondrian, la pop art). Negli anni ’80 il rosa prese il posto dei grigi, anche l’azzurro. Poi venne l’arte concettuale, la parabola della pittura sembrava finita. Ma no, ora noto una ripresa della pittura, ma con colori luminosi, leggeri, anche per narrare vicende drammatiche o angoscianti. C’è humor, disimpegno, come a voler semplificare, e non sempre è per mancanza di memoria. Però se sei cupo sei out, se sei problematico sei out, se fai astrattismo dove non si capisce niente sei out… I colori di oggi sono finti, e stanno nella gamma degli esclusi da sempre: giallo e verde acido, rosa ingrigito; e sì, molti grigi. Celesti, gialli. In questo clima va a posizionarsi la poesia kitchen, che è poesia finta, cioè marcatamente estetica. Oh, non so risolvere questo parallelismo…
Noto, e credo di non sbagliare, in questa poesia di Marie Laure Colasson “Une tour de livres placée dans le frigidaire”, un’attenzione particolare all’aspetto del tono in quanto umus della costruzione del testo. Ossia il tono sottilmente ironico permette una velocità tra le immagini paradossalmente vorticosa (un esempio è il rapporto ravvicinato tra le parole ‘livres’ e ‘livrent’). Ne è un dato il luogo che si allunga in altri luoghi con immediatezza, o l’abbandono di un luogo decentrato istantaneamente in un altro dalla durata altrettanto breve. Il filo conduttore sono salti tra condizioni che si provocano: i libri nel frigo discutono con gli ortaggi ma ci sono anche cervelli, per cui si salta dentro e fuori dai luoghi, e questo forse li rafforza e li rende abitabili, ne sancisce la presenza: il loro assere impossibili. Un’ironia piacevole, godibile, atletica, e soprattutto tagliente, tutto è tagliuzzato, e se il dramma e la tragedia possono abitare i rapidi rivolgimenti di queste apparenze, lo sono in quanto trattati dall'”assenza” del vuoto. Il tono quindi non è un accessorio del testo, ma l’unico piano di apparenza che si spezza in piani e apparenze.
Ringrazio Marie Laure per le sue parole sul mio lavoro pittorico e letterario, che ho salvato per future riflessioni.
Caro Jacopo,
la tua lettura della mia poesia è centrata, l’in put primo è l’ironia e non potrei altro che essere ironica, ma è una ironia che poggia sul vuoto, abita il vuoto. Oggi fare pittura o fare poesia significa dover abitare il vuoto (con i colori e con le parole), condizione drammatica che noi volgiamo in Kitsch e in Kitchen, non abbiamo altra scelta che questa.
La realtà è talmente cupa che viene spontaneo tenersi al corrimano della leggerezza, il che non significa superficialità, ma superficie, stare in superficie e galleggiare finché si può. La poesia kitchen è un po’ il nostro salvagente. La poesia non è né autentica né inautentica. Complimenti a Mauro Pierno per il suo Compostaggio e a tutti coloro che hanno arricchito questa pagina con i loro testi e commenti.
Mosè stava ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio.
C’è una pandemia in giro che vuole aiutare la Morte
nel suo lungo cammino per il Mondo.
è un’abitudine che diventa una teoria
man mano veniamo a patti con le maniglie
Agosto doveva essere il quadro nella camera da pranzo
“la maniglia, dov’è la maniglia?”
apro la porta, la spalanco. il pulsante rosso, a sx,
lo premo.
luce accecante.
Penso ai versi di Emily Dickinson :Heavenly hurt it gives us /we can find no scar / but internal difference / where the meanings are. ( da ‘ There’s a certain slant of light ‘ )
siamo al cospetto di una materialità di gusci vuoti (svuotati) accumulati in pile, due monticchietti di gusci del reale. Dove poggiano?
Essendo pastelli su carta e non acrilico ti chiederei se ti è possibile di sostituire la didascalia, altrimenti non fa nulla.
preferisce così, non parla alle parole perché
dice che scavano dei cunicoli nel sotto pavimento
Cosí, la pressione verso l’accelerazione porta a una dittatura dell’emozione e dell’emotività.
Vintage e design si arricchiscono di assurdi Puzzle packaging, creando il nuovo consumismo
“Il linguaggio è un labirinto in cui tutte le strade si perdono in direzioni entropiche.”
Un fax ingiallito del 476 D.C firmato Flavius Odovacer.
“Delenda Roma est”.
Sospetto che Franco Fortini, ma non solo lui, anche tutti gli intellettuali di fede comunista e materialista, avrebbero condannato seduta stante queste nuove poesie di Giorgio Linguaglossa
L’apparire del nano dal vuoto del salto di strofa in una frase continua, rende, quel vuoto bidimensionale e materico, tridimensionale
Non sei coinvolto, come se i tuoi pensieri fossero di qualcun altro. Capito questo, ci sta che l’io possa fare la sua parte.
Inizierò di qui per una compostaggio Kitsch…
Infondo questo è ora il comunismo…lo adopero sull’OMBRA come imbastitore di pensieri…
Une tour de livres placés dans le frigidaire
livrent un féroce combat avec des aubergines
un camembert et des cervelles gélatineuses.
Grazie OMBRA
Beh, questo «compostaggio» è il meglio del peggio o il peggio del meglio che si poteva compostare.
Complimenti a Mauro Pierno. Anche lui ha inventato una variante del Virus della poetry kitchen: il Compostaggio kitsch.
Mauro Pierno chiude, per sempre, l’accesso alla poesia non come espressione di una soggettività «autentica», chiude anche la porta in faccia ai sostenitori della soggettività «inautentica», entrambe categorie della poesia della Anti tradizione novecentesca, la sua non è una operazione di circoscrizione della regione entropica dell’inautentico, è ben altro: è vociferazione plurale di disparate autorialità che non sono neanche Autori, lo stesso concetto di «autore» viene dissacrato e, quindi, antologizzato, ossia, manducato, digerito, ed espulso con le feci, come del resto avviene per ogni atto di «parole» durante la vita di relazione dell’homo sapiens dell’epoca cibernetica. Quello che interessa Pierno è, ogni volta, la rinnovata risorgenza della parola (acting out e atto performativo), quale affiora negli scambi più banali ed elementari della vita quotidiana, come avviene, ad esempio, negli scambi della poetry kitchen. Il terreno prediletto dell’inventio poetica è quindi la raccolta degli «stracci» di benjaminiana memoria, degli atti degli enunciati passati dalla intenzione di non-significare all’atto di parola, che non è certo privilegio della poesia, ma condizione generalissima della vita di relazione. Quindi, la poesia si fa democratica, rivendica (derisoriamente) il proprio ruolo democratico in quanto, in realtà, ancora pseudo aristocratico, rivendica così in pieno il diritto di accalappiare appieno il linguaggio derisorio della poetry kitchen per farlo convolare a nozze nel «compostaggio» ilare, spregiudicato e derisorio dei testi compostati.
…di in ordine di apparizione:
Petronelli, Gabriele, Galdini, Antonilli, Ricciardi, Linguaglossa, Gabriele, Linguaglossa-Intini, Petronelli, Tosy, Ricciardi, Tosy, Pierno, Colasson.
Questo siamo, è siamo L’OMBRA DELLE PAROLE.
GRAZIE.👏
Cosa dobbiamo farcene, insomma, della lirica più tradizionalmente soggettiva, nell’epoca (per citare Epstein) del remix e del mash-up? La risposta è tanto meno scontata quanto più si guarda “cinicamente” (alla Sanguineti, ancora una volta) a un mercato editoriale che deve rinunciare all’antitesi “eroica” con la funzione-museo, del tutto anacronistica a petto dell’accumulo e al contempo della volatilità e transitorietà di materiali nell’internet. Proprio la crisi conclamata dell’industria culturale può aprire nuovi spazi alle declinazioni meno omologate e seriali della “poesia”. E se Balestrini aveva scritto poesie col calcolatore (e finanche un romanzo, per giunta d’amore), possiamo farcene qualcosa anche del barattolo di Tarkos, a voler allargare lo sguardo dal campo ristretto dell’appartenenza di area e genere alla nuova messa in opera della realtà all’interno del campo cognitivo “espanso” (ai nuovi media, ai nuovi linguaggi e strumenti e alle mutazioni post- o trans- genere conseguenti). Riadattando il genere e i suoi materiali a un’idea non differenziale (rispetto ai linguaggi correnti o al livello denotativo della comunicazione), non sarà la prosa della scrittura, ma la prosa del mondo a diventare l’oggetto cruciale della rappresentazione e della riconversione del contemporaneo in poesia. La poesia che c’è nel parlato comune, piuttosto che l’interdetto del parlato dalla poesia, come nella poetic diction di tradizione romantica. Posto che il mondo si presenti già come testo, o conglomerato di segni «inconciliabili», mutando quel che c’è da mutare (o perpetuando, al contrario, ciò che in forza di contagio può ancora replicarsi), il genere «de-genere» riuscirà come la poesia novissima a penetrare le rigide bipartizioni di nicchia e mercato e ad allargare il circolo degli happy few che vi hanno avuto finora un ruolo grazie ai luoghi e ai contesti apparentemente democratici garantiti dall’iperconnessione (ma viceversa settoriali e blindati tanto quanto i recinti sacrali della poesia laureata). D’altra parte, se possiamo ipotizzare che del googlism si dovrà obbligatoriamente dar conto nelle antologie di poesia a venire, ciò si deve anche all’evidenza che nemmeno il più estremista dei googlist o dei flarfist può eradicare in modo definitivo l’afflato-ispirazione o il moto perpetuo della scrittura soggettivamente orientata, dall’opera “letteraria” e nemmeno da quella “letterale”. Forse si tratterà di non chiamarle più “emozioni” (nell’accezione televisiva e di massa), senza per questo considerarle estinte.
(Gilda Policastro, http://www.leparoleelecose.it/?p=42174#sdfootnote4sym)
Di Nathalie Quintane:
A volte, quando entro dentro una macchina, ho un attimo di esitazione: quale parte devo far passare per prima, la gamba o la testa?
[…]
Ogni giorno, quando le sorpasso o quando mi sorpassano loro, vedo parecchie persone soltanto di profilo.
A volte, un dosso che non ci aspettavamo taglia una frase a metà.
[…]
Tirando fuori un braccio dallo sportello, faccio la freccia.
[…]
Quando, in successione, ho visto il parafango destro di una macchina, la fiancata destra e la parte posteriore, è perché mi ha superato (O, pp. 14-15).
A volte, voglio appoggiare un gomito sul bordo del tavolo, e il gomito mi scivola nel vuoto (da Remarques del 1997)
Di Chistophe Tarkos:
Mi prenderò un caffè, un cornetto, un fagottino al cioccolato, un paio di scarpe, un biglietto della metropolitana, un panino, un altro caffè, un paio di stringhe nuove, un giornale, un altro paio di scarpe, una sciarpa, un maglione, un altro caffè, un altro biglietto della metropolitana.
*
guardiamo sulla tavola e vediamo un barattolo che non esce fuori dalla tavola
[…]
se ne rimane sulla tavola, è tutto vuoto
quello che succede è solo un barattolo sulla tavola
[…]
è un barattolo d’olio che sta sulla tavola appoggiato sulla tavola
[…]
abbiamo un barattolo che se ne sta da solo che è appoggiato sulla tavola che se ne sta tranquillo e che non se ne esce fuori.
Commenta Gilda Policastro:
[…] Quello di Tarkos può considerarsi un comico anticlassico: non si dà all’interno di una cornice codificata, né a partire dalla rappresentazione di un evento eccezionale (c’è anzi un banalissimo oggetto, a fare da perno concettuale e immaginifico), e neppure scaturisce dal rovesciamento di un topos o dall’applicazione di un automatismo o di un cliché. È la stessa inerzia del discorso a restituire l’impressione di un piano reclinabile che prima o dopo produrrà un movimento narrativo (di per sé godibile, in quanto movimento): l’attenzione coartata dalla scansione monotona della voce riesce suo malgrado e contro l’intenzione oggettivante a insufflare l’attesa di un finale in qualche modo rivelatore o sovvertitore. Finale poi puntualmente disatteso con la conferma della sola e mera presenza del «petit bidon sur la table», che tutt’al più possiamo ritenerci fortunati ad avere lì, e ringraziare: «merci le petit bidon, merci le petit bidon». L’adesione all’oggettivismo si caricherà di una valenza esplicitamente ideologica nel pamphlet in versi L’argent, del 1999 (I soldi, nella traduzione di Michele Zaffarano).
Il comico contemporaneo non ha più bisogno di scoronare idoli e feticci, piuttosto di scontornarli come col Photoshop: il barattolo di Tarkos, separato dallo sfondo, dopo l’orinatoio di Duchamp o la zuppa Campbell di Warhol, può riferirsi “letteralmente”, per citare Gleize, al giro a vuoto della percezione e della scrittura. Ciò vale per la maggior parte dei fenomeni, nel loro essere impercepiti all’interno di un flusso di insignificanza.
per Emmanuel Hocquard il dibattito sull’avanguardia è obsoleto, per il critico francese quello che occorre oggi è una radicale ridefinizione del concetto. Scrive Hocquard, nell’introduzione di un’antologia francese da lui curata (Tout le monde se ressemble. Une anthologie de poésie contemporaine, P.O.L., 1995), “Mentre una volta il poeta versava il suo pensiero nel calco della forma-poesia perfettamente identificabile come tale (…) oggi inventa la sua forma di pensiero. (…) Queste linee sono ancora dei versi? Anche se ciò assomiglia ancora, per certi aspetti, a della poesia, potrebbe darsi che non lo sia più. Allora come dire questa cosa? Io penso che ci sia oggi un malinteso intorno alla parola poesia. Non continuiamo noi ad usarlo per dire qualcosa d’altro, in una situazione differente?”
L’Agenzia per la sicurezza nazionale
ha dichiarato la liberazione dai trigliceridi
nel 740
L’analisi vaccinale di Letizia Castà è risultata negativa
per deficit immunitario
E allora chiudiamo i bambini a scuola in una scatola di plexiglas
trasparente
prima di andare al termopolio a prendere il caffè
Il caffè è sul tavolo
Anche Sharon Stone è sul tavolo
ha le gambe accavallate sulla famosa sedia del film “Basic Instinct” del 1992
nella scena dell’interrogatorio, dice:
«The capital gain is food
per quel film ho ricevuto un assegno da 500 mila $…
Fui ingannata sulla scena dell’interrogatorio,
in “The Beauty of Living Twice”, svelo cosa è accaduto nel backstage prima di girare la famosa scena in cui accavallo le gambe senza le mutandine»
The Generation Q’ cast is caught between marriage and monogamy
in Season 2
«Perché in fondo la vita è un’infinita sliding doors come è scritto su un’insegna di Hollywood»,
disse l’aiuto regista durante la recitazione del movie
L’Agenzia dell’Erario ha dichiarato podcast tutti i reati contro il patrimonio
e anche quelli contro il matrimonio
«Il goniometro è il vero competitor del sinusoide in 4D.
broadcast»
c’è scritto nella rivista populista “Science and Fiction”
«La temperatura sulla superficie del pianeta Venere è di 600 gradi Celsius»,
ha detto la sindaca Raggi uscendo dal plenilunio,
aggiungendo che
«Il catamarano è una astronave che può viaggiare nello spazio intergalattico ad una velocità prossima a quella della luce»
Caro Giorgio,
ecco tracciato il perimetro ideale per la tua voce. Avessi ragione, ne sarei felicissimo. È la voce orecchiata di un linguaggio radiofonico; quindi una voce esterna, che, recepita, incontra un’altra voce: quella interna – ironica, poche parole ed è il tutto. Perfetto. Fantastico.
Kitchen: nel senso che una voce radiofonica può dire quel che gli pare, apparire e scomparire, esattamente come hai scritto in poesia.
La storia ha subito un irrimediabile stop. Nelle tue parole l’ironia che che questa sorte ci riserva. Davvero tanto più gli accadimenti nelle tue poesie si avvicinano al presente, tanto più le parole che la comprendono se ne allontanano. Una forza uguale e contraria. Questa la poesia del presente.
Linguaglossa che forza!
Grazie OMBRA.
ricevo da Adriana Gloria Marigo questa riflessione:
In LAVORI DOMESTICI individuo una diversa ontologia della relazione: Guido Galdini si appropria degli oggetti funzionali ai luoghi domestici per problematizzare il tema del rapporto con il mondo – in altre parole, con diverse parole, inusuale semantica –: i luoghi intimi, in particolare, dimostrano il basso continuo del tema che attraversa i millenni dell’individuo, dei gruppi sociali, delle più vaste società, per cui l’impiego di oggetti dell’uso comune per delineare il tema e il suo svolgimento nei modi partecipati dall’autore è la caratteristica che sovverte l’ordine fin qui consueto alla poesia dell’esistenza: l’inquietudine della domanda di senso è abbandonata, non è più quanto connota di dignità e invera il problema della relazione. Galdini frequenta in tal modo il vuoto della parola, ne porta le insegne e al tempo stesso ne dimostra la necessaria esemplarietà.
Nel Distretto n. 18 (di Linguaglossa) è evidente il distanziamento dal “soggettivismo esistenzialistico”, la chiara e inevitabile assunzione di conoscenza sulla frammentazione dell’intero (comprendo tutto ciò nei minimi dettagli), la denuncia che la polverizzazione non è tanto circostanza, quanto realtà diffusa: su di essa si principia – prima – il lavoro di ricognizione, – poi – la costruzione (non la ricostruzione!). Aderendo alla evidenza dei materiali detritici discende una forma versificatoria molto prossima alla sceneggiatura di un ambiente chiuso, procedendo secondo un crescendo nell’ordine della psicologia percettiva: dal distale (premo l’interruttore della luce) – la presenza fisica dell’oggetto –, al prossimale (luce accecante) – l’informazione – A mio avviso questo procedere poetico implica un fattore necessitato: eliminare dal reale ogni possibilità di illusione; porre il reale nella evidenza di tutta la sua materica consistenza, evitandogli la collusione con strutture di tipo metafisico.
(Adriana Gloria Marigo)
In un giorno di freddo siberiano
si presentò agli stagni Patriarsci il poeta Mario Gabriele
il quale discuteva animatamente
con il critico Linguaglossa e il poeta Mauro Pierno
intorno alla consistenza della kitsch poetry
Giunti che furono presso il noto chiosco dall’odore di paraffina
si avvicinarono ai tre esponenti della NOE
(la nuova ontologia estetica)
due personaggi:
il critico letterario Ivan Bezdomnyj e un Signore magrissimo e altissimo
i quali si intromisero nella discussione:
«Gentili poeti – esordì il Signore Altissimo – l’asteroide Psyche
210 kilometri di diametro
contiene al suo interno enormi quantità di trizio, deuterio, nichel, plutonio
e altri metalli più preziosi dell’oro
stimati in 10 quadrilioni di dollari il che renderebbe
ogni abitante della Terra un vero nababbo,
c’è un piccolo problema però, che viaggia nella fascia di Kujper
da 30 a 50 UA dal Sole
(1 UA, o unità astronomica,
è la distanza dalla Terra al Sole equivalente a 150 milioni di chilometri)».
Detto questo, si allontanò nella nebbia, o meglio,
la figura venne assorbita dalla foschia degli stagni Patriarsci
«Felpa, divano e tè caldo,
è preferibile accontentarsi del pianeta Terra»,
pronunzia il critico Bezdomnyj innalzando un bicchiere
colmo di liquido con della schiuma gialla
davanti al chiosco bolscevico
«Ella sogna con i piedi adagiati sulle nuvole»
gli risponde il critico Linguaglossa il quale notoriamente
non amava i voli pindarici
«Per fortuna il meglio è passato»
gli fece eco il poeta Mario Gabriele
«L’importante è Maramaldo»
replica per le rime Italo Calvino nel 1978 a Franco Fortini
facendo proprie in qualche modo le osservazioni
della poetry kitchen
Avvenne così che il Linguaglossa ingollò due bottigliette
di Amaro Medicinale Giuliani
trasecolò e venne ricoverato presso il pronto soccorso
dell’Opificio nazionale della Pasta Barilla
«Il diegetico però fa rima con aritmetico»,
commentò Mario Gabriele rivolgendosi
a un sarchiapone leghista
mentre usciva dal tubo del dentifricio
Mentadent Plus anti placca
caro Giorgio,
questo tuo nuovo Kitsch mi sbalza da un punto a un altro e la cosa che più mi viene in mente è trovarmi di fronte a un poeta-regista che conosce molto bene l’esterno, l’interno, l’inquadratura, l’inserto, il montaggio, alternato da dialoghi e panoramiche, tra primissimi piani, e dissolvenze incrociate: tutti elementi di un produttore di Standy-cam che con la propria macchina da ripresa, apre sceneggiature inconsuete alla Stephen King. La poesia di oggi non include metodi convenzionali, per questo, si dà il caso che il luogo e il linguaggio poetico qui rappresentati, sono da considerare come nuove aperture estetiche che tendono a cambiare le carte in tavola.
cari amici,
ho letto ad un amico di lunga data le composizioni di questo post… devo dire che è rimasto sbalordito, ha esclamato:
«Ma davvero voi scrivete queste cose spacciandole per poesie?».
Io ho risposto: «caro… noi pensiamo che questo sia l’unico modo di fare delle poesie, oggi».
E lui: «Ma non c’è musica! Non ci sono versi! C’è solo rumore di parole senza senso!».
Ed io: «Mi dispiace, caro che tu te la prenda… ma perché, chiedo, la poesia ipnagogica, la poesia della cellula dell’io, dell’anima bella o brutta che sia, quella roba lì, tu pensi che sia la poesia del mondo di oggi?».
Lui mi ha risposto, candidamente: «Sì».
E qui la nostra conversazione ha avuto fine.
La Kitsch poetry
caro Mario,
io per la verità, non avevo intenzione di fare poesia kitsch, non avevo intenzione di andare in quella direzione, la mia poesia precedente, che è iniziata nel 1992 con Uccelli ed è finita nel 2018, con Il tedio di dio, andava ancora alla ricerca di un «senso», di un «significato». Poi, come sappiamo, la nostra ricerca si è indirizzata verso il «fuori-senso» e il «fuori-significato». La strada successiva, che abbiamo percorso tutti insieme, la strada capitanata da Mario Gabriele che ci precedeva in vedetta, ci ha portato in questa direzione. Certe cose non possiamo prevederle, anzi, spesso, lottiamo per evitarle ma, in fin dei conti, non potevamo arrestare la ricerca, non potevamo fare marcia indietro.
Cmq, resto dell’idea che sia la Instant poetry che la Kitsch poetry siano delle varianti del virus-base: la Poetry kitchen. E nella Poetry kitchen ci può stare anche la poesia post-liminal di Guido Galdini che azzera il minimalismo, e va oltre, ci può stare anche la “Ferula” di Giuseppe Talia, che annichila la poesia di paesaggio, per sempre, e la mette in soffitta; ci può stare anche la story telling di Gino Rago, che mette fine allo story telling del vero e del verosimile della tradizione novecentesca con tutte le adiacenze di riguardo, ci può stare anche il «compostaggio» di Mauro Pierno, che mette fine alla autorialità dell’autore e a tutto ciò che richiama la cellula monastica dell’io.
Nella Poetry kitchen ognuno deve cercare da sé la propria strada, non c’è alcun dogma, alcun verdetto.
L’unico assioma da seguire è che ciascuno deve porsi nella condizione di voler abitare stabilmente il vuoto. Il resto verrà da sé.
Una mia kitsch poetry