Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, 40×23 cm., acrilico 2021
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La instant poetry è una struttura linguistica performativa in cui un enunciato linguistico non descrive uno stato di cose, ma realizza immediatamente il suo significato. In un certo senso nella poetry kitchen si rende evidente il «potere extra semantico della semantica»; quello che John L. Austin ha chiamato «performativo» o «atto verbale» (speech act). L’enunciato «io giuro» è il paradigma perfetto di un tale atto in quanto chiama la parola alla immediatezza del denotato il cui significato non può essere posto in dubbio da nessuno pena la infrazione del giuramento. Il linguaggio è quella cosa che presuppone il passaggio dalla langue alla parole, e cioè dalla parola nella sua mera consistenza lessicale, a prescindere dal suo impiego nel discorso, alla denotazione, a una istanza di discorso in atto. Il linguaggio è la struttura presupponente che fonda tutte le altre strutture del pensiero.
Possiamo dire che nella instant poetry la parola chiama a sé la veredizione del significato nel circolo della veredizione, con esclusione di qualsiasi dubbio; la poetry kitchen persegue la tautologia: è vero ciò che viene enunciato; esercita una espropriazione del significato nel mentre che maneggia il potere locutorio come atto di libertà assoluta dal significante e dal significato. La poetry kitchen non esegue nessuna appropriazione del linguaggio, non esercita alcun dominio sul linguaggio, lasciandolo lì dov’è.
Collegando l’analisi di Usener alla teoria di Austin, Agamben sostiene che gli enunciati performativi rappresentano nella lingua «il residuo di uno stadio (o, piuttosto, la cooriginarietà di una struttura) in cui il nesso fra le parole e le cose non è di tipo semantico-denotativo, ma performativo, nel senso che, come nel giuramento, l’atto verbale invera l’essere».1 La struttura denotativa e quella performativa del linguaggio sono caratteri storici della lingua umana, appartengono in toto alla storia della metafisica occidentale, non v’è nulla di originario o di eterno nella lingua. Non è un caso che nell’epoca del predominio della tecnica questa struttura denotativa abbia raggiunto il suo limite massimo raggiungibile, la tecnica pone fine alla metafisica dell’occidente assegnandole un compito diverso in concomitanza con la dissoluzione della struttura denotativa che ha caratterizzato le lingue umane.
Per poter essere in grado di agire, l’enunciato performativo deve sospendere la funzione denotativa della lingua e sostituire al modello della adeguazione fra le parole e le cose quello della realizzazione immediata del significato della parola in un fatto.
La poesia è proposta, in Il Regno e la Gloria, da Agamben, come paradigma della disattivazione del linguaggio, in essa il linguaggio è reso inoperoso: la poesia marca il punto in cui la lingua «riposa in se stessa, contempla la sua potenza di dire e si apre, in questo modo, a un nuovo, possibile uso», dove il soggetto poetico diventa «quel soggetto che si produce nel punto in cui la lingua è stata resa inoperosa, è, cioè, divenuta, in lui e per lui, puramente dicibile».2
Non a caso Agamben assume la poesia a modello di una parola che disattiva le funzioni comunicative e informative del linguaggio rendendo evidente la sua immediata «medialità», il suo essere mero «mezzo», dove il soggetto poetico diventa «quel soggetto che si produce nel punto in cui la lingua è stata resa inoperosa, è, cioè, divenuta, in lui e per lui, puramente dicibile».3 Il superamento della metafisica implica un nuovo modello del significare, e qui Agamben presenta, di sfuggita, un aspetto che costituirà uno degli assunti principali della sua soteriologia: che lo scioglimento della contraddizione della metafisica si fonda in un nuovo linguaggio, in una nuova parola, nella poesia, in «un dire che non ‘nasconda’ né ‘riveli’, ma ‘significhi’ la stessa giuntura insignificabile fra la presenza e l’assenza, il significante e il significato».4
L’experimentum linguae è nella poesia kitchen collegato all’«uso» del linguaggio come ricerca di un diverso e più profondo statuto della parola, di un’esperienza della parola liberata che apra lo spazio della gratuità dell’uso.
La poetry kitchen è, in tal senso, un modello di experimentum linguae, che trasforma e rivela le potenzialità insite nel linguaggio quando esso viene reso inoperoso.
Ecco una serie di esempi di strutture linguistiche performative.
(Giorgio Linguaglossa)
1 G. Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Roma-Bari, Laterza. 2008 pp. 74-75.
2 G. Agamben, Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo, Vicenza, Neri Pozza 2007, pp. 274-75
3 Ibidem, p. 274.
4 G. Agamben, 1977, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale,Torino, Einaudi, p. 165.
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Instant poetry di Giorgio Linguaglossa
https://twitter.com/i/status/1415959604782043136
Instant poetry di Gino Rago
Conservami i sandali Birckenstock,
la borsa K-WAY per i sogni in tribolazione,
le canzoni di Nora Jones su Radio Capital
e la foto di Amy Winehouse nell’ultimo picnic
con gli anni che restano come polvere d’asfalto
prima che le scarpine MEU
mi portino a letto a sognare le Galàpagos.
Scegli tu la vetrina più bella
dove sistemare il passato nel display
con le stories di Pussy Riot a piazza Kazan.
Si può affermare che la Instant poetry è un atto linguistico performativo e rappresenta nella lingua una sua antichissima potenzialità, dormiente nell’uso che si fa oggi delle lingue, che viene rimessa in potenza, in atto.
Scrive Agamben:
«Ogni nominazione, ogni atto di parola è, in questo senso, un giuramento, in cui il logos (il parlante nel logos) s’impegna ad adempiere la sua parola, giura sulla sua veridicità, sulla corrispondenza fra parole e cose che inesso si realizza» (G. Agamben p. 62). Con il passaggio al monoteismo il nomedi Dio nomina il linguaggio stesso, è il logos stesso a essere divinizzato come tale nel nome supremo, attraverso il quale l’uomo comunica con la parola creatrice di Dio: «il nome di Dio esprime, cioè, lo statuto del logos nella dimensione della fides-giuramento, in cui la nominazione realizza immediatamente l’esistenza di ciò che nomina».1 Questa struttura, in cui un enunciato linguistico non descrive uno stato di cose, ma realizza immediatamente il suo significato, è quella che John L. Austin ha chiamato «performativo» o «atto verbale» (speech act; (cfr. AUSTIN 1962); «io giuro» è il modello di un tale atto. Agamben sostiene che gli enunciati performativi rappresentano nella lingua «il residuo di uno stadio (o, piuttosto, la cooriginarietà di una struttura) in cui il nesso fra le parole e le cose non è di tipo semantico-denotativo, ma performativo, nel senso che, come nel giuramento, l’atto verbale invera l’essere».2
Per poter agire, l’enunciato performativo deve sospendere la funzione denotativa della lingua e sostituire al modello dell’adeguazione fra le parole e le cose quello della realizzazione immediata del significato della parola in un atto-fatto.
La instant poetry è quindi un atto-fatto, un fatto-significato, un fatto-non-significato. La instant poetry è vera se legata ad un istante, se è il prodotto di un istante, dopodiché scompare nel non-istante che chiamiamo, per consuetudine, passato.
(Giorgio Linguaglossa)
1 G. Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Roma-Bari, Laterza. 2008, pp. 71-72
2 Ibidem p. 74-75.
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
36 twitter instant poetry di Vari Autori europei, La instant poetry è una struttura linguistica performativa in cui un enunciato linguistico non descrive uno stato di cose ma realizza immediatamente il suo significato, Il potere extra semantico della semantica viene così ad evidenza, Il linguaggio reso inoperoso acquista smagliante auto evidenza, La poetry kitchen è un modello di experimentum linguae che trasforma e rivela le potenzialità insite nel linguaggio
sono, penso, utilissimi per ingenerare una sensazione di febbrile, anarchica vitalità del linguaggio (non era Leopardi che diceva che una poesia deve aumentare la «vitalità»?, asserzione poi ripresa da Alfredo Giuliani nella prefazione alla Antologia, I novissimi, del 1961?).
Bene. Se si ha la pazienza di terminare la lettura si può avvertire una sensazione di déjà vu, o meglio, di déjà oui; ovvio rimane il richiamo ai sostantivi tropici (e ai salti tropici), i cui significati vengono disabitati e sostituiti con significati ipotetici, probabilistici, immaginari, casuali: in una parola, convertiti in significati impossibili. Questo strizzare l’occhio e l’udito al lettore rimanda alla polimorfia semantica propria della instant poem e della poetry kitchen.
Le ricadute (o le risalite?) semantiche sono rese possibili dall’arrembaggio di nominazioni del tutto sconclusionate (ma non arbitrarie), o forse anche arbitrarie (chi lo può dire con certezza matematica?). Ci muoviamo nel campo del probabilismo, nell’incertezza del seme, del semantico, nel campo semantico del Capitalismo che ha fatto fare le valigie alla metafisica.
E quello che resta sono queste cose qui.
tutto il resto, quello che resta… è falso, posticcio, imbonitorio, e chi si contenta delle ubbie dell’io, gode e perde il treno.
Il postino della verità non passa né due volte né una volta, non passa mai. Non c’è alcuna verità nella soggettività, non c’è alcuna verità nel canto degli uccelli nel bosco che tanto piaceva all’estetica kantiana. Oggi, in pieno vigore del Covid19, con l’implosione calorifera del pianeta e l’erosione dei ghiacciai del polo Nord, parlare del canto degli uccelli come fa la poesia agrituriistica invalsa oggi in Europa è un atto non solo di consolazione ma anche di barbarie e di falsa coscienza.
Leggiamo questi versi terribilmente semplici
di Anna Ventura (1936-2020):
Siete nella tazza di caffè
vuota sul tavolo,
nelle carte sparse, nel cerchio
di luce della lampada
INTERFERENZE PER INGRID
E intanto che una barca in cielo va..fiu.. fiu,
cresce ancora il fico nell’ acacia
René cita Casablanca. Nel becco la canzone d’ Ingrid.
-Quanti l’amano, hanno polluzioni notturne e non prendono l’aereo.
Il carbonio, unico tra gli dei, smise gli abiti di dongiovanni
Riempì un calice di champagne e sposò Violetta.
-Capisce cosa sono le stelle fisse?
Le idee di Alighieri più Stanlio e Ollio.
I sedili divennero spettatori.
Il Rio delle Amazzoni attraversò gli spogliatoi
E da San Pasquale partì il 21 per l’Eldorado.
Con i punti coop si è promossi in serie A
Con un cucchiaio si imbocca Crollalanza
Con un cucchiaio si versa il sole in mare.
Ieri un corvo ha attraversato la strada
Perché volava orizzontale
E batteva le mani ai pali.
Ma in senso stretto si atteneva al protocollo
Un che di sacro e maledizione
Qualcosa che assomigliava all’albume d’uovo.
Un lavaggio per auto divenne lavanderia
Chi ha messo mano alla scheda della centrifuga?
Nacquero rose che chiusero i battenti
e non vollero saperne di contribuire al Bello.
Alcune molecole svolazzarono nell’azzurro
Un privilegio davvero il becco d’avvoltoio
Un vanto riconoscere tra i passeggeri personaggi austeri.
Albanese con la coppa in mano.
E, allacciati ai sedili, indistinguibili dalle pelose
Una forca, gli obici delle fucilazioni, un pesce spada.
Si decolla alle 10, 30. Arrivo a Napoli in un piatto d’argento
Ospiti di Nelson. Crudo naturalmente e al sangue.
Dal basso di una clessidra si risale il Mare Nostrum
il progetto di una battaglia tra impalatori.
Lepanto e Costantinopoli.
Pronti a rivoltare vongole nella clessidra
Disposti a risalire sui gommoni e sbarcare tra gli ulivi
La formula delle radici da rivedere
Il brevetto dei tronchi a girocollo
La potatura a barboncino nel gilet
Chi ha vinto alle Midway?
Due a zero per il Giappone, ovvio.
(Francesco Paolo Intini)
😂😂😂😂😂
di Giorgio Linguaglossa
di Francesco Paolo intini
Penso che la mia poesia sia afanica, drasticamente materica, diafana e diafanica.
L’arte oggi attraversa tutti i suoi momenti senza poter mai giungere a un’opera che esprima il positivo, giacché non può mai identificarsi con alcuno dei momenti del positivo. Nella mia poesia non troverete mai un momento in cui si dice il positivo di un enunciatoe né il positivo di una negazione. Affermazione e negazione facevano parte di quella metafisica che intendeva le parole che contenevano una intenzionalità verso […] una direzione verso […]. Non troverete mai le parole che diventano la «potenza» della negazione o la «potenza» della affermazione, che vogliono il reale come Nulla, e sono quindi Nihil, nichilismo. Il termine non è ovviamente hegeliano ma post-heideggeriano, come post-heideggeriana è la conclusione del concetto dell’arte nella surmodernità: Oggi la nuova metafisica che è la Tecnica nuda non dà alcun nichilismo, non ci consegna alcun Nihil ma ci fornisce il Pieno in grandissima quantità: il Pieno dei markettifici, il pieno di benzina, il pieno del negotium che ha sostituito l’otium. Tutto ciò non coincide con nessuna essenza dell’arte nel punto estremo del suo destino (hegelianamente inteso); in entrambe le soluzioni l’essere dell’arte si destina all’uomo come un qualcosa che non può essere pronunciato, chiamato, definito. Probabilmente, finché il nichilismo governerà segretamente il corso della storia dell’occidente, l’arte non uscirà dal suo interminabile crepuscolo, un crepuscolo pieno di «cose piene», ovviamente.
La bella interiorità? Beh, mettiamo le cose in chiaro e guardiamo le cose bene in faccia: tutta la pseudoarte dei giorni nostri ha il valore dei colori che giacciono al fondo di un lavabo sporco, è pattumiera con del miele intorno per attirare le api, e i gonzi.
Gli avatar a mezzanotte si persero le scarpine
i sacramenti e le sottovesti.
Si imbobbinarono maggiormente tra le sette e le quindici quando la lezione del prof. Intini terminò.
Si successero alle stalattiti le stalagmiti e alle stalagmiti le stalattiti.
Come le mazurche, i foxtrot e i valzer
che a mezzanotte per forza di cosa scomparvero.
Poi al centro restarono gli affluenti di destra e di sinistra, solo disastri.
Sui divani, sugli altari delle sacrestie si corressero
le diottrie di galassie sfuggite al laccio. Scalzi però.
GRAZIE OMBRA.
Sotto l’albero tutto si copre
di petali di ciliegio,
pure la zuppa e il pesce sottoaceto.
Matsuo Basho
Il punto che sfugge alla mia comprensione è l’istante, perché indica una dimensione temporale (frammento, distico, polittico sono forma e spazio). Il tempo, nell’istante, ha carattere ontologico. Da qui in poi non riesco a ragionare.
A tratti, provo per l’Instant p. lo stesso interesse, la stessa attenzione, che do una email che mi riguarda…
… penso anche la definizione di “poesia istantanea” ci porti fuori strada.
caro Lucio,
penso anch’io che l’istante abbia carattere ontologico. Nell’istante ci raccordiamo al «nulla», l’istante è un non-esistente, che esiste. È qui il paradosso. È un concetto auto contraddittorio. Una aporia.
Con la instant poetry si vuole attingere un extra semantico con gli strumenti della semantica, la condensazione in un istante di un Evento. Ma noi non siamo giapponesi, non facciamo haiku, non ne siamo capaci, noi facciamo un’altra cosa…
L’esopianeta TYC 8998 760-1b
Super-Giove
è 150 volte più lontano dalla stella madre
rispetto alla distanza Sole-Terra
ha una circonferenza doppia di quella di Giove
e una massa 14 volte quella del gigante gassoso del nostro sistema solare
ospita l’isotopo Carbonio 13
È la casa di Dio.
È vero quanto dici, l’haiku è risultato di un particolare atteggiamento verso l’esistenza – zen è più prassi che filosofia – ma senza questo atteggiamento, come accade in occidente, la poesia haiku si riduce a mero esercizio estetico. Però contiene delle indicazioni che andrebbero considerate; ad esempio in apertura, il primo verso è sul luogo, l’atmosfera, il qui… poi viene l’ora, quel che accade, dentro e fuori.
Di fatto la poesia haiku è insuperabile instant poetry. E sappiamo che la sperimentazione, il verso libero, in poesia va spontaneamente verso la composizione strutturata… quel che sia. Il fatto è che la poesia occidentale, in forma di missiva o testimonianza, aneddoto o gioco, è quasi sempre eterodiretta. Della poesia dell’ “Io” si è già detto, che è ingenua menzogna. Tuttavia resto dell’idea che l’indagine introspettiva abbia valore di urgenza nell’epoca delle macchine. Ma su questo siamo impreparati.
La forma contradditoria dell’ istant poetry è la scommessa vulnerabilità del concetto quantistico affidato alla parola. Prova a prendere un istante poetico e la quantistica del linguaggio ti si rivolterà contro. La poesia ha qualcosa di antropologicamente
esatto, un deposito fitto di emozioni, giacimenti di ogni singola personalità cito da Stige di M.R.Madonna:…
“Noi camminiamo sulla riva del mare.
È ieri. È oggi. Ci si accosta, ci si sorride.
Precipitiamo. Pioggia. Sole. E di nuovo pioggia.
Sappiamo che l’inverno non è lontano.
È ieri. È oggi. Rammento soltanto le tue mani.
Sappiamo che ieri è già domani, che l’anima e immortale/
È ieri. È oggi.”
…che al momento opportuno, adesso potrei citare Vincenzo Petronelli, si fa casa, conchiglia da abbandonare.(Un caloroso saluto!)
Ecco appunto abbiamo perduto una casa, viviamo le residenze di un linguaggio de antropologizzato.
Cerchiamo case collabenti, con finiture minime, una sorta di minimalismo storico, di piccoli soggetti andati, così come le cose. Fintiamo gorilla, apprezzandoci fenicotteri o rondini. L’agguato lirico come scarto quantistico.
Chiudo ancora con M.R.Madonna, sempre da Stige:
“Dove i treni non si fermano
lì è il luogo ove sostare.”
Grazie Ombra.
Caro Mauro, intanto ricambio con grande affetto il tuo saluto. Ti ringrazio per avermi menzionato e naturalmente non puoi che trovarmi d’accordo nel senso che proprio questo spaesamento antropologico è una delle cifre caratterizzanti il nostro tempo ed una poesia ed un’arte che vogliano realmente definirsi tali, non possono che fare i conti con questa situazione. Come insegna proprio l’antrolopogia, può anche essere una strada stimolante in quanto dischiude all’arte ed all’uomo in generale, delle nuove possibilità, che poi sta a noi cogliere e sfruttare.
Grazie anche per aver citato nei compostaggi un passo di una mia poesia d'”ancien régime” (non immaginavo potesse ispirarti come passaggio da “instant poetry”) ed infine mi congratulo per aver citato Otello Celletti che recita “Pio bove” a Sylva Koscina, momento indimenticabile!
Un abbraccio.
Una scopata consapevole gli fece dire dieci volte poesia, l’alfabeto delle traduzioni e dei sentimenti
affiorò nei dintorni di Capodichino, Accattone si diresse in quella direzione. Nel trambusto della
primavera. Negli angoli degli spogliatoi, nei firmamenti, al mercato, ad uno scasso.
Con la mano le sfiorò il culo. Le recitò tutto Carducci.
Da t’amo pio bove a Silvia Koscina ne il vigile Celletti.
Grazie OMBRA.
Prima, una bella vacanza, poi l’abitudine.
– Eh.
LMT
… e poi c’è l’effetto “traumatico” del linguaggio:
l’atto soggettivo della «parole» trova modo di realizzarsi soltanto sullo sfondo di una mancanza di fondo. E questa mancanza è, appunto, la mancanza di una metafisica.
A pensarci bene, ci troviamo in un momento straordinario della storia umana, ci troviamo nel primo annunzio di un’epoca priva di metafisica, che fa a meno della metafisica. È un fatto che nella storia dell’homo sapiens non si era mai verificato almeno nelle dimensioni attuali. E questo pone un problema alla poiesis.
Innanzitutto, la prima domanda è:
è possibile una poiesis priva di metafisica?
Penso che la poetry kitchen sia la risposta più acuta e consapevole a questa domanda.
Oggi non resta che ripensare il soggetto disinnestandolo da ogni orizzonte antropocentrico, metafisico, e rappresentativo. Se esso è produzione di Reale non dev’essere più subordinato alla finitezza e alla mancanza che costituiscono l’espressione più intima del negativo quale modello fondativo per l’esperienza dell’essere. Il soggetto va de-localizato, de-rubricato, de-positivizzato. Là dove c’è la Legge – quella di Edipo e quella simbolica della castrazione (il Significante) – in quanto espressione derivante della dialettica hegeliana del negativo, là non ci sono io, c’è un soggetto barrato, un vuoto di significazione. Edipo, infatti, è quel dispositivo che registra la mancanza ad essere nel desiderio, che lo iscrive nel segno del negativo. Esso è parte di quella rappresentazione metafisica che incontra l’esperienza e l’essere sul fondamento del nulla. L’imperialismo di Edipo cede il posto ad un vuoto di significazione. L’Edipo non significa più niente. Si volatilizza. Edipo è parte integrante di quella metafisica che è tramontata.
La de-colonizzazione della poiesis dall’apparato metafisico
Poetry kitchen (e la Instant poetry) è scrittura di scarti simbolici, di scarti dell’Immaginario, di scarti della produzione, di scarti dello scarto. Appunto perché «Ciò che resta lo fondano i poeti» (Hölderlin). Con buona pace del poeta tedesco, oggi la poesia è divenuta discarica abusiva di materiali inerti, ipoveritativi, iperveritativi, ipodesiderativi, iporadioattivi. Se c’è una attività per eccellenza ipoveritativa nel ciclo della produzione e del consumo è l’attività di prodotti deiettati dal consumo. Oggi, chi voglia essere un poeta «innocente» cade nell’ipoveritativo e nel pensiero pacificato della parola che ci salva, nel «divino», nella mistica, nelle misticherie; il meccanismo automatico della produzione poetica odierna, quella ipo o iperveritativa che oggi viene scambiata per «poesia», è rigurgito della a costo zero del kitsch.
Ha scritto di recente Mario M. Gabriele:
«Le misture, tra parole semplici e additivi surreali, rivelano un disordine psicogeno. L’ES è in rotta con la sfera volitiva. C’è chi predilige forme e oggetti di varia natura, tra cui si annotano materassi, letti, tavoli, armadi, cassettiere, scaffali, divani, poltrone, sedie, carrozzine, girelli, culle, televisori, videoregistratori, lavatrici, frigoriferi, elettrodomestici da incasso, condizionatori, stufe e mascherine Covid, assieme a materiale chimico ed edile, come amianto, colori, vernici, bombole di gas e ossigeno, provette con idrogeno, elio, litio, boro, azoto, antimonio, argon, bismuto, cobalto, cripto, per creare un polittico? Una pala sacra? O una scuola primaria per poeti del futuro? Ciò significa mettere in scena figure e oggetti apocrifi nel tentativo di creare un camaleontismo linguistico di elevazione così bassa in cui il lettore si perde nel gioco smaliziato di significati e feuilleton. E chi lo pratica non abiura i propri solipsismi, e grovigli letterari e scientifici, che in molti casi si autodistruggono da soli, bloccando la poesia dalla sua funzione d’Arte. Svuota poesia? Sì! Ma anche svuota cantina!»
scrive il filosofo Slavoj Žižek:
«Non è che falliamo perché non riusciamo a incontrare l’oggetto, piuttosto l’oggetto stesso è la traccia di un certo fallimento.
Per questo Freud ha avanzato l’ipotesi della pulsione di morte – il nome giusto per questo eccesso di negatività. E il mio intero lavoro è ossessionato da questo: da una lettura reciproca della nozione freudiana di Todestrieb e di quella negatività auto negativa tematizzata dagli idealisti tedeschi. Insomma, questa nozione di auto-negatività relativa, così come è stata regolata da Kant fino a Hegel, filosoficamente ha lo stesso significato della nozione freudiana di Todestrieb, pulsione di morte – questa è la mia prospettiva fondamentale. Ovvero, la nozione freudiana di pulsione di morte non è una categoria biologica ma ha una dignità filosofica.
Cercando di spiegare il funzionamento della psiche umana in termini di principio di piacere, di principio di realtà e così via, Freud si rese conto via via sempre più della presenza di un elemento disfunzionale radicale, di una distruttività radicale e di un eccesso di negatività, che non possono essere spiegate.»1
1 Slavoj Žižek e Glyn Daly, Psicoanalisi e mondo contemporaneo. Intervista a Žižek, Dedalo, 2004 p. 92
Cambia il contesto. Dipende dove lo vai a mettere un pensiero veritativo. Di certo, non più tra le ideologie. Andrà nella concettualità spicciola, normale, discorsiva; pensiero debole, ben disposto a lasciarsi contaminare, che va in mille rivoli. Una metafisica da cucina, appunto. Quotidiana. Anche di relazione.
Per me, la instant poetry non risiede nella descrizione, ma nell’impressione suscitata in chi legge dalle immagini le quali si svincolano dagli occhi dell’autore/autrice per aspirare a diventare universali.
Anche le più piccole e insignificanti manifestazioni del reale, del quotidiano trovano il loro posto nell’instant poetry e, fermate in un istante, con i loro suoni e i loro profumi interni, si sottraggono allo scorrere del tempo. Così, l’istante in sé racchiude l’eternità. La semplicità e l’immediatezza raggiunte in questi versi non sono frutto della improvvisazione ma di un’attentissima elaborazione formale; all’interno di una struttura non rigida ma polifonica il poeta della instant poetry fa collidere dimensioni differenti in modo che l’attualità del messaggio sgretola il codice di un’intera koiné di tanto banalissimo politichese.
di Gino Rago
Tennis. Qui per sognare. A Wimbledon.
O di quando in crociera, dieci anni fa. Col marito.
LMT
Instant poetry, poesia nell’istante – tempo scelto a caso in quel che capita, poi incasellato in provvisoria e personale scala dei valori; dipende dalla distanza con cui guardiamo il mondo, nei dettagli rubati al tempo. Ma possiamo anche fare pasticci, guardi maestra la poesia che ho scritto…
Ciascuno ha diritto di fare una propria instant poetry. l’istante è soggettivo…
Ecco una collezione da puristi dell’istante.
Salvaguardia,
limite della ricerca. Una comparazione sul realismo terminale.
Rebus e parole crittografate. Oldani ascolta.
Goccioline di salsedine depositate sui boxer dell’esercito di mammuth sprofondati nelle ciabatte
(S. Racanati)
Laura aveva 10 anelli: uno per ogni dito
quanti i figli nati anche con i cesarei.
(M.M.Gabriele)
Il mare dall’oblò.A Venezia il parrucchiere per signore von Aschenbach
(M.Pierno)
La rotta degli alluci
coincide con il prossimo anticiclone
che trafùga oggetti alla primavera.
(M.Pugliese)
Michal Ajvaz
Le relazioni verticali in poesia
sono fittizie
In realtà ogni verso è parte
diun lungo testo orizzontale
Poetry kitchen
Francesco Paolo Intini
Sopravvivere all’attacco dei versi.
Pandemia che provoca vomito e bifida la lingua.
Optare per l’uno o l’altro.
Mario M. Gabriele
inedito da HORCRUX
Buon Giorno Signor Klister.
Ha risolto il problema?
con tutto il materiale indiziario
in suo possesso,
dovrebbe giungere a conclusione
il contezioso con le parti offese
Mauro Pierno
Il piano finale è senza interruzione. Le divise corte,
con calzoncini alle ginocchia. Le magliettine estive.
Gino Rago
Venite in vacanza qui
Comfort, camere sanificate, picnic,
Colazione a buffet, piscina con idro, sale relax
e penne bic
Instant poetry
Giorgio Linguaglossa
La Ladyboy Aris fa sesso con il Macho Zozzilla
Gli dice: «Il Green Pass passerà»
Instant poetry
di Iosif Brodskij
la confusione che parte dalla A,
la speranza che parte dalla B.
Due viaggiatori, stringendo ciascuno una torcia,
si muovono contemporaneamente nell’oscurità
Mi è partito…il file non è completo!
milaure colasson su 18 luglio 2021 alle 19:31
tutto il resto, quello che resta… è falso, posticcio, imbonitorio, e chi si contenta delle ubbie dell’io, gode e perde il treno.
Questo il finale…adesso lo ricompongo…
E poi manca Lucio! (Eccolo…)
instant… poem
di Lucio Mayoor Tosi
Prima, una bella vacanza, poi l’abitudine.
– Eh.
…e poi il finale:
Instant poem
Linguaglossa
Ciò che conta è quello che manca, ciò che manca è quello che conta.
Sta scritto nel thriller.
È ora che ti scegli un marito se non vuoi superare la trentina e trovarti nel dimenticatoio.
Anche questo sta nel thriller.
(Mi manca un Petronelli…aspettate un po’)…
…eccolo qua:(Petronelli)
“Non abbiamo già abbastanza guai,
da andarceli a cercare a tutti i costi? Cosa c’è, ti puzza
l’aria, che vuoi andar via da qua?”, con gli occhi accesi.
Tra un po’ arriva la versione rivisitata e corretta.
Grazie Ombra, scusatemi.
Bene, la campionatura è fatta. Scriviamo tutti per frammenti, non è difficile trovarne. Vediamo se ne arrivano di nuovi, non è detto.
Ne facciamo una versione cartacea per il Mangiaparole?
Medusa, la rubrica.
Grazie OMBRA.
(Chi mi racconta il mito?)
ciao Mauro,
fai il compostaggio di tutti i frammenti nostri e poi Giorgio lo inserirà nel prossimo numero de Il Mangiaparole!
Bravo!
caro Mauro,
Entrò nella stanza all‘ora della pausa pranzo,
si è seduto sulla sedia a dondolo,
– il Signor K., in maniche di camicia –
«un Campari?»
guardò la finestra aperta
dalla quale un vento sporco rimestava gli angoli della stanza come alla ricerca
di una refurtiva nascosta.
«Non c’è fretta, caro Linguaglossa, c’è posto per tutti
per le visioni, le revisioni e le permutazioni…»
gli impiegati di banca entravano ed uscivano dai bar,
sembravano preoccuparsi di qualcosa d’altro;
li percepivo nella nebbia, come se ci fosse un filtro,
i polsini delle camicie con i gemelli in finto oro, le spille, i fermacravatte
con le cravatte dozzinali,
il fumo delle sigarette tra gli scaffali
le mani che si stringono alle maniglie…
non saprei dire…
ricordo il profumo di un vestito femminile…
Esteves è uscito dalla tabaccheria, s’è voltato, mi ha visto,
mi ha salutato con un cenno,
io mi sono alzato dalla sedia, sono andato alla finestra,
e gli ho risposto: «ciao Esteves!»,
poi la nebbia gialla è entrata nella stanza.
La nebbia gialla strofina il petto sui vetri della finestra,
la pioggia fitta sui vetri,
le persone negli autobus vorrebbero dire qualcosa,
si tengono ai ganci;
una donna si ripassa il rossetto sulle labbra, fa una smorfia,
si osserva allo specchietto retrovisore…
Rivedo Giusy come attraverso un acquario,
appoggiata allo stipite della porta,
mi getta un’occhiata, sorride, si volta all’indietro,
«Ricordi, Albert?, ero con il mio terrier, “Coccobill”,
al luna park, all’Eur, sulla grande ruota!
stavamo così stretti!, poi venne il buio, una pioggia fitta…
lo ricordi Albert?»;
io mi schernii: «no, non lo ricordo…»,
dissi,
però non le ho detto che non ero io…
La pioggia cadeva fitta,
mi venne in mente che fosse una estranea.
dissi semplicemente:
«un caffè, ti va?», così,
per prendere tempo.
«chiudi la porta, Giusy»,
– aggiunsi –
«non dimenticare di chiudere sempre la porta alle tue spalle»…
mi sporsi dalla finestra per vedere se gli alberi erano ancora lì.
«c’è troppo caldo qui, non si respira…»
– dissi –
La incontrai molti anni dopo sulla Berkeley street,
la spider rossa parcheggiata tra gli alberi.
il tubino aderente,
il décolleté rosso fuoco.
Cadeva una pioggia fitta sullo Stanbergersee.
«ripariamoci, andiamo via di qui,
fa freddo…»
– dissi –
La rappresentazione, kitchen, di questa composizione è il movimento
persecutorio delle porte chiuse in continuazione alle spalle dei protagonisti e degli oggetti.
La narrazione kitchen, questa la poiesis non è altro che Il tentativo di dare nuovamente vita agli oggetti, alle persone, riappropriandosi della storia, l’instant poetry.
Mi rendo conto di esprimere un concetto quasi miniaturizzato. Ma questo è.
Pratichiamo una respirazione artificiale ad una pulce. Giorgio passami la pompa a pedale!
il corollario a tutto questo è che il realismo terminale è già tutto codificato, un cruciverba per esperti di poesia. Praxis.
Un abbraccione. Grazie Ombra.
Chiedo: Qual è la «verità»? C’è una «verità» diversa per ogni attore che recita sul palco della storia Ezio: Galla Placidia, Bonifacio.
Chiedo: Qual è la «verità» della poiesis? C’è una «verità» per i sostenitori della poesia dell’io, del quotidiano, e un’altra «verità» per i sostenitori della poesia kitchen. Quale delle due «verità» è più «vera» dell’altra? Qual è l’Autorità che può stabilire la validità di una «verità» nei confronti dell’altra? Se e quando si stabilisce una Autorità, il gioco è fatto, quella avvalorata dalla Autorità è la «verità» vera.
Noi, sostenitori della poetry kitchen non dobbiamo esercitare alcuna moral suasion, il nostro compito è un altro, è mettere sul tavolo la questione della «verità»: Quale «verità» è più «vera» dell’altra? La risposta è elementare. Noi pensiamo che la poetry kitchen contenga un nocciolo di «verità» più «vera» di quello della poesia di accademia perché il suo contenuto di «verità» è posticcio, falso, imbonitorio, irrisorio.
1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino,, 2017, p. 28
I fantasmi presenti nella poetry kitchen
hanno la consistenza di un buco, di un vuoto di senso, essi assumono appunto il carattere di una fantasy, di una story telling, qualcosa che non è semplicemente illusorio o ingannevole. Occorre dunque distinguere attentamente – cosa su cui Žižek torna ripetutamente – tra “realtà” e Reale: la prima è strutturata simbolicamente e costituisce la struttura reticolare in cui viviamo nel quotidiano, mentre il secondo è il trauma che interrompe questo normale fluire. Di più: la realtà simbolicamente strutturata non è un sistema dominante dispotico, ma una «fragile ragnatela» transitiva, fluida, ostacolata internamente proprio dal blocco del Reale traumatico – e proprio per questo sostenuta dalla fantasia, che quindi svolge anche un’altra funzione, quella di «sostegno ontologico».
Il capitalismo produce continuamente merci, cioè real things e ready made. È questa la sua forza. La ricezione degli «oggetti» nell’arte era un atto storicamente dovuto, prima o poi essi avrebbero fatto irruzione nell’arte. Anche una fantasia è un «oggetto» e, in quanto tale, essa produce un significato, più significati, un significante, più significanti. La catena dei significati e dei significanti non può mai essere arrestata, pena il crollo del Reale. La Fantasia può sì fungere da sostegno alla realtà, ma solo come cornice, come spazio vuoto ontologico intorno al simbolico. In questa accezione penso al vuoto ontologico della poetry kitchen, nel senso che tutto ciò che è contenuto in essa non può che ruotare intorno al simbolico.
La risposta data da Duchamp di riabilitare l’oggetto, il ready made, come oggetto d’arte rende evidente ciò che fino ad allora era rimasto occultato sotto le pastoie ideologiche e apologetiche del «bello». Siamo ancora oggi inchiodati al ready made di Duchamp. Tutta l’arte di questi ultimi decenni è appena un codicillo al ready made di duchampiana memoria, ma esserne consapevoli è già un piccolo passo per oltrepassare il ready made, per andare oltre la parola come segno.
Io penso invece che lo scacco matto del capitalismo globale risieda nell’aver rimosso la pulsione di morte, averla addomesticata e averla cancellata e rigenerata sub specie del feticcio della «merce»; la merce sarebbe la resurrezione della pulsione di morte con segno invertito: da pulsione di morte a pulsione di vita. La pulsione di morte sarebbe il motore segreto di cui si alimenta il capitalismo che lo convoglia sulle merci come un mana, un sistema semiotico e semantico, un sortilegio che accalappia tutti gli umani post-umani. Qui ci viene in soccorso un pensatore certo non marxista come Heidegger il quale scrive: «l’essere svanisce nel valore di scambio». E, aggiungo io, con l’essere, anche la pulsione di morte svanisce nel valore di scambio.
Già Marcuse nei tardi anni cinquanta affermava che oggi le categorie psicologiche sono diventate categorie politiche. Che io chioserei così: oggi le categorie del politico sono diventate categorie della nuova psicanalisi e dei versanti cognitivisti della psicologia contemporanea. Ad esempio che cosa sono i «negazionisti» di Auschwitz, del Covid19, del vaccino anti-Covid, dello sbarco sulla luna, gli asserzionisti del terrapiattismo etc.?, se non delle persone che hanno seri problemi di psicopatologia; queste persone sotto il regime del capitalismo diventano sempre più numerose, sono una «massa» e, quindi, diventano una questione «politica». La politica fa leva sulle psicopatologie di massa diffuse un po’ ovunque.
Giorgio Linguaglossa:
“Non sono propriamente delle cose quanto delle tessere,
segmenti di RNA, simulacri iridescenti, accattivanti
albedini di sostanze un tempo floreali diventate esiziali e virali”.
Perché no a un siffatto linguaggio? Degno di Borges; ma senza le cortesi postille, le puntuali precisazioni, le virgole, del grande scrittore argentino. Una delizia, per l’Instant poetry.
Goccioline di salsedine depositate sui boxer dell’esercito di mammuth sprofondati nelle ciabatte
Laura aveva 10 anelli: uno per ogni dito
quanti i figli nati anche con i cesarei.
Il mare dall’oblò. A Venezia il parrucchiere per signore von Aschenbach.
La rotta degli alluci coincide con il prossimo anticiclone che trafùga oggetti alla primavera.
Dove i treni non si fermano
lì è il luogo ove sostare.
Le relazioni verticali in poesia sono fittizie. In realtà ogni verso è parte di un lungo testo orizzontale
Sopravvivere all’attacco dei versi. Pandemia che provoca vomito e bifida la lingua.Optare per l’uno o l’altro.
Buon Giorno Signor Klister. Ha risolto il problema?
Con tutto il materiale indiziario in suo possesso,
dovrebbe giungere a conclusione il contezioso con le parti offese.
Il piano finale è senza interruzione. Le divise corte,
con calzoncini alle ginocchia. Le magliettine estive.
Una giraffa dialoga con il tempo sul tempo del tempo
prende il suo tempo seduta su uno sgabello da bar
gesticola e discute con un corvo che fuma un sigaro avana
Ed un becco di pappagallo che noi perdemmo nel ventitré, pre, preprepreprepre pre pre
Venite in vacanza qui
Comfort, camere sanificate, picnic,
Colazione a buffet, piscina con idro, sale relax
e penne bic
La Ladyboy Aris fa sesso con il Macho Zozzilla
Gli dice: «Il Green Pass passerà»
Prima, una bella vacanza, poi l’abitudine.
– Eh.
Ciò che conta è quello che manca, ciò che manca è quello che conta. Sta scritto nel thriller.
È ora che ti scegli un marito se non vuoi superare la trentina e trovarti nel dimenticatoio. Anche questo sta nel thriller.
“Non abbiamo già abbastanza guai,
da andarceli a cercare a tutti i costi? Cosa c’è, ti puzza
l’aria, che vuoi andar via da qua?”, con gli occhi accesi
Noi camminiamo sulla riva del mare
È ieri. È oggi. Ci si accosta, ci si sorride
Precipitiamo. Pioggia. Sole. E di nuovo pioggia
Sappiamo che l’inverno non è lontano
È ieri. È oggi. Rammento soltanto le tue mani.
Sappiamo che ieri è già domani.
(Questo è quanto. In ordine di apparizione :
Racanati, M.M.Gabriele, Pierno,Pugliese, Madonna,Ajvaz, Intini, M.M.Gabriele, Pierno, Colasson, Carosone, Rago, Linguaglossa, Tosy, Linguaglossa, Petronelli, Madonna.
Grazie OMBRA.
.
Su Altervista di questa mattina
http://mariomgabriele.altervista.org/percorso-critico-poetico/
ho inserito un appunto critico e una poesia. All’inizio ho riportato una macchina fotografica con proiezione sul mondo. Questa macchina la vedo nei versi di Giorgio e mi fa piacere che sia giunto a tanto, -degno di Borges-, scrive Lucio Tosi. E non si sbaglia!.
posted 22 luglio 2021
Si può dire che ogni testo poetico è un corpo dalle diverse interazioni linguistiche e sensoriali, che pone il critico come un anatomopatologo con tutti gli attrezzi culturali di fronte alla dissezione del paesaggio interno dell’autore.
Questo processo di identificazione della scrittura non può che trasformare in effigie i siti occulti del subconscio.
Il periscopio biologico, temporale ed esistenziale, ma soprattutto l’intraducibilità di quel grande Papiro che è l’Universo, porta ad un destino fallimentare chiunque voglia fare una crociera filosofica o metafisica, tra centralità riflessiva e status religioso. La visione nichilista porta ad una ratio completamente dissonante con le istruttorie diocesane e conventuali.
“Cercare il senso della vita? E’ il modo consolatorio che tutti in certi momenti adottiamo per bisogno appunto di consolazione. Ma trovare quel senso è precluso dalla conformazione stessa della mente, è domanda alla quale non c’è risposta. Il senso della vita è la vita che non ha alternative. La natura si pone forse quella domanda?
La natura vive e basta. E noi non siamo forse natura, a meno di non compiere un atto di luciferino orgoglio che ci vorrebbe far superiori al resto della natura? Noi siamo diversi ma non superiori. Diversi solo in alcuni aspetti, ma anche noi natura per tutti gli altri.”(Eugenio Scalfari, su la Repubblica del 24 gennaio 1996, pag. 30, in risposta al Vescovo di Como, il quale alle tesi razionalistiche del suo interlocutore, gli risponde che: “Senza la Chiesa, senza Cristo, quanto è difficile mantenere salda la ragione).
Il che non mi può esimere dal citare Heidegger ed altri filosofi positivisti, compresi Vattimo e Nietzsche con la concezione del soggetto-uomo reso debole sul piano dell’etica e dell’ontologia.
Questi spunti si sono resi necessari per includere elementi poetici, semanticamente polimorfi, di fronte a un Decalogo e ad un Codice non sottoposti a revisione, dove chi va oltre -non lascia traccia-, a meno che non si citi Derrida che vede nella sola Scrittura, l’unica fonte del nostro Essere.
Il supporto ermeneutico apre nuovi squarci interpretativi, ne allarga i confini di un dire poetico riflessivo attraverso un PIN critico per entrare nello schema, nella immagine e nei simboli sotterranei presenti nei testi.
L’ermeneutica costituisce oggi un primo piano, se non il principale, che colleghi il lettore alla poesia dandone una rappresentazione significativa, attraverso una catena di elementi mai isolati ma aggiuntivi, in grado di spaziare con un discorso che è anche un percorso intellettuale. Mario M. Gabriele.
……………………………..
L’estate portò profumi di bosco
senza Talofen per Madame Le Monde.
Fu una breve pausa
per un bouquet
preparato da due floral guru
di un vecchio store di periferia.
Resistevano al pensiero
le ragazze affiliate
alla Community shop le Bebè.
Tu non curi le guarnigioni,
le mandorle cinesi,
il fronte per derattizzare
la clinica dei moribondi.
Questa sera ci sarà una cena
senza MasterChef e Julianne.
Un luna park entrò nella mente
come un pamphlet in eclisse.
Ora spetta a Joe portare a casa un pit bull
per salvare quadri e poetry kitchen.
Il tweet si commenta da sé,
ma ci sono punti da chiarire.
La Fondazione Angel’s Group
ha rivisto la struttura dell’Universo
rivelando spazi oscuri.
Andiamo negli Stores
perché tutto rinasca d’accapo.
Su ZOOM ci sono distanze
di un mondo che tarda a venire.
C’è Molly Bloom che ci guarda da lontano
per dirci pretty quando si parla di lei al Whisky Bar.
42 anni, sociosanitaria
con contratto, a tempo determinato,
Olivia Zilescky curava due ragazzi
con sclerosi multipla,
senza avere nostalgia della Slovenia.
-Sa- lei disse a chi la ospitava in casa,
-oggi è difficile fare letteratura,
creare Social Warning,
far sorridere i ragazzi cerebrolesi-.
Vedere ciò che gli altri non vedono
è scoprire il velo di Maya.
La Warner Bros Pictures
ha messo in circolo
film per l’estate
spegnendo la luce in sala
e il buio dentro l’anima.
L’incipit e il finale sono degni di un poeta che riesce a dire cose alle quali nessuno penserebbe.
Il vero linguaggio biodegradabile è il linguaggio poetico di accademia
Una vita sempre più biodegradabile e ridotta alla sua misura puramente biologica e a una parola sempre più svuotata di significazione segnano il momento critico in cui la metafisica, e con essa la sua politica e il suo linguaggio, giungono ad una soglia radicale e ad una completa delegittimazione in cui l’uso che si fa del linguaggio è privo di significatività (che si parli di vaccini, di diritti delle minoranze, di legittima difesa, di Green Pass appare svuotato di contenuti significativi, non si riesce più a poter distinguere la verità della significazione dalla sua falsità). Questo processo investe in pieno anche il linguaggio poetico e letterario in genere il quale appare in tutta la sua natura biodegradabile, insufflabile di opinioni maldestre e fasulloidi.
1) L’uso del linguaggio
il raffreddamento e l’espropriazione del linguaggio nella tarda modernità segnano il punto di non ritorno nel compimento della metafisica e della biopolitica delle moderne società post-democratiche
Buona sera cari amici della Noe,
riprendo con piacere quest’articolo di Giorgio di una ventina di giorni fa, poiché lo ritengo un passaggio fondamentale per la definizione del percorso compiuto nel tracciare lo sviluppo dell'”instant poetry”, che mi pare possa ormai essere considerata un’articolazione espressiva assolutamente matura e pienamente autonoma nei suoi lineamenti.
Mi ha colpito la messe impressionante di testimonianze emerse dall’encomiabile e meticoloso lavoro di compulsazione di Giorgio ed anche di Mauro con i suoi inimitabili “compostaggi”: pur essendo molti, brani o parti di brani già editi, la fecondità che si evince da questo percorso è palpitante e dimostra la legittimità, la pregnanza poetica del concetto di “instant poetry”.
Mi sembra che si possa ben dire che all’interno del progetto Noe, l'”instant poetry”, pur essendo geneticamente in rapporto filiale con la poetica del frammento e la successiva evoluzione della “Poetry kitchen”, assuma un rilievo peculiare, nella misura in cui il suo fulmineo sgorgare, contribuisce a rompere in maniera definitiva gli schemi della stantia, logora, poesia tradizionale: anzi, vi garantisce un apporto incisivo in termini di destrutturazione di quei modelli, proprio per la fulmineità catartica del suo sgorgare dal mondo intelligibile a quello sensibile (ovviamente facendo il verso a Platone), evidenziando nitidamente il passaggio dall'”oggetto” alla “cosa” della sua osservazione. L’ “instant poetry” e la “Poetry kitchen”, recuperano così la prospettiva dell’evento, quell’orizzonte metafisico, cui come giustamente ribadisce Giorgio, la tecnica – al soldo della deriva del capitalismo del xx sec. – ha sottratto il suo ruolo, grazie a quella sua natura ontologica che ci ricollega al nulla.
E proprio questo statuto ontologico dell'”instant ptry” rafforza sempre più la mia convinzione – già espressa in alcuni miei altri interventi precedenti – che oltre ad essere intesa come “poesia dell’istante” e non come “instant document”, nella sua capacità di saper rinvenire le tracce poetiche tra gli scarti del sottosuolo del quotidiano, restituendoli alla luce e ri-semantizzandoli, riesca ad esaltare un altro intento della “Poetry kitchen”, vale a dire di riuscire anche matericamente a farsi documento del nostro tempo, altra funzione cui la poesia dominante di questi ultimi cinquant’anni ha ormai totalmente rinunciato.
La Noe, anche tramite la “instant poetry” si pone sempre più come referente soteriologica per la poesia moderna.
Un caro saluto a tutti.
Quanta poesia! Talmente tanta che alla fine lo stordimento prevale. Un senso di pubblicità e di urgenza. Sì: indagine introspettiva. La preoccupazione persiste.
Rispetto alla tematica dell’istante mi è venuta in mente la poesia dei contrari o dei contrasti o delle contraddizioni di Louise Labé (vivo, muoio… Etc.)
Forse, al di qua o al di là o sopra o sotto o fuori o in mezzo dell’alternativa tra significante e significato si intravede il significativo.
L’essenza precede la parola o la segue? La Scolastica era convinta che la precede. O no? A me pare che consegue.
Ricordo che Enomis diceva che la poesia è la proposta di una nuova oralità.
Grazie, come sempre, per gli innumerevoli spunti e… Spuntini. Cibo per pensare.