La pittura istantanea (la Instant picture) dello scimpanzé Congo, La ready poetry, il ready language, con l’orinatoio (1917) di Duchamp siamo entrati in un nuovo capitolo della storia dell’arte occidentale, Oggi siamo arrivati al punto che siamo invasi da «ready poetry» al pari di «ready novel» e di «ready picture». In tempi di sovranismi e di populismi ciò è perfettamente comprensibile

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La pittura istantanea (la Instant picture) dello scimpanzé Congo

Pittura gestuale, mirabile composizione coloristica, sfondo piatto, gesti radiali. È la pittura dello scimpanzé Congo. Un suo dipinto è al Musée de l’Homme di Parigi. La Mayor Gallery di Londra ha curato una sua personale nel 2012.
Le opere dello scimpanzé Congo (morto prematuramente di tubercolosi all’età di dieci anni, nel 1965) sono esposte in vari musei, tra i quali anche il Museo d’arte moderna di Roma. Il Natural History Museum di Londra ne ha una, ma anche il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino può vantare un suo lavoro. Suoi collezionisti sono il principe Filippo d’Edimburgo, Picasso, Miró, Dalí, Penrose…

In una settimana metà delle 55 opere (dipinti e pastelli su carta) esposte alla Mayor Gallery sono andate vendute in tutto il mondo, anche in Italia (prezzi dalle 1500 alle 6 mila sterline). All’asta del 2005, da Bonhams, una sua tela fu battuta a 14 mila sterline, mentre quelle di Renoir e Warhol rimasero invendute. La Mayor Gallery aveva esposto sempre nel 2005 anche i dipinti dello scimpanzé femmina Betsy.

L’etologo Desmond Morris si limitava a scegliere il colore della carta, Congo, con il pennello in verticale, praticava con gesti netti e precisi una pittura gestuale. Il risultato è uno stile composito, riconoscibile, ottenuto mediante una gestualità a “ventaglio”. Nei filmati su youtube si nota Congo che dipinge con passione e precisione non certo casuali; ad esempio, decide il momento iniziale e il momento finale dell’opera, facendo supporre di avere in mente una precisa idea del suo lavoro.

Scrive Felice Cimatti:

«Questa, e altre simili ‘immagini’, possono essere definite, dal punto di vista di chi le ha eseguite, delle immagini, ossia delle rappresentazioni? Morris osserva che, almeno nel caso di Congo, i suoi ‘dipinti’ sono il risultato di una serie di gesti radiali, che hanno approssimativamente come centro il corpo del ‘pittore’, e che paiono delineare i contorni di una sorta di spazio ‘proprio’.
Per Morris, in sostanza, non si tratterebbe di immagini, bensì della ripetizione dei gesti con cui uno scimpanzé prepara il nido sugli alberi su cui trascorre la notte. È un’ipotesi che vale quanto ogni altra ipotesi,tuttavia quello che sembra caratterizzare questo tipo di oggetti, è che in nessun caso sembrano avere un carattere rappresentativo . Cioè, sono gesti funzionali, non rappresentazioni. Non si tratta di negare il valore performativo delle immagini, il punto è che una immagine,come quelle di Monet e Picasso, è anche un segno di qualcos’altro.
Altrimenti è un gioco, un’attività motoria gratificante, ma non è una immagine.»1

https://www.academia.edu/36179508/Arte_e_linguaggio_Il_problema_dellesp

Il ready poetry

Il ready-made esiste come ready-made in quanto e solo in quanto qualcuno, in possesso di una legittimazione, lo fa.  Duchamp lo definisce così. Ma una definizione è un atto linguistico, più propriamente, un atto performativo che assevera che una cosa è qualcosa.
È un ready-made ciò che, rebus sic stantibus, qualcuno (che è ritenuto in grado di profferire un tale enunciato) dice che tale manufatto è un ready-made. Nel caso famoso dell’orinatoio di Duchamp o del treno che entra o esce da una galleria (come nella gif sopra riportata), si tratta di un ready-made, di un ready language perché Duchamp lo definisce così e Linguaglossa definisce così la gif del treno che entra (ed esce) nella (dalla) galleria. Se oggi il ready-made è considerato un oggetto artistico (infatti, le repliche dell’orinatoio di Duchamp sono esposte in vari musei, infatti, una copia autorizzata dell’orinatoio è esposta anche alla Galleria d’Arte Moderna di Roma) ciò è un dato di fatto dal quale non si può più tornare indietro, ad una auratica intrinsecità del valore dell’arte; ne segue che un oggetto artistico è ciò che viene definito tale da persone deputate a farlo: dagli storici dell’arte, dai mercanti d’arte, dagli amanti dell’arte, da coloro che acquistano il manufatto, da coloro che vanno nei musei a vedere le opere d’arte. Né più né meno. In questo processo epocale di «democratizzazione», tutto può diventare «arte» se c’è qualcuno, dotato di legittimità e di autorità asserisce che quella «cosa» è «arte». Oggi siamo arrivati al punto che siamo invasi da «ready poetry» al pari di «ready novel» e di «ready picture». In tempi di sovranismi e di populismi ciò è perfettamente comprensibile, è il linguaggio dei nostri giorni. La ready language della instant poetry si inscrive in questo processo epocale di democratizzazione dell’arte. Direi: tutto è bene quel che finisce bene.

È doveroso prendere atto che con l’orinatoio (1917) di Duchamp, abbiamo fatto ingresso in un nuovo romanzo dell’arte occidentale. La poetry kitchen (la instant poetry e la ready poetry) assume questo fatto come incontrovertibile e indubitabile e ne trae tutte le conseguenze. Prima di Duchamp un orinatoio (1917)1 non sarebbe stato accettato come ‘arte’, per tante ragioni che non è più il caso di disquisire, come ben illustra Felice Cimatti nell’articolo sopra indicato. Dopo Duchamp anche un orinatoio – e quindi qualunque manufatto, luogo o evento – può diventare arte, è sufficiente che intervenga un «legittimatore». Duchamp ha rivelato il segreto dell’oggetto d’arte, a lungo ha prosperato nell’ equivoco che l’arte avesse a che fare con la bellezza, con la mimesi o con qualche misteriosa intrinsecità. È dunque arte ciò che «chiunque» abbia l’autorità per sostenere una tale tesi, ritiene che sia arte. Che questo «chiunque» sia l’artista autore del manufatto, il mercante d’arte, il filosofo, il droghiere sotto casa che acquista l’opera, il collezionista, il direttore di un museo, un investitore non fa differenza alcuna.

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1 Si tratta dell’opera nota come Fountain (un orinatoio maschile, acquistato nel magazzino Mott IronWorks Company di New York), presentato alla prima mostra, nel 1917, della Society for Independent Artists, ma che non venne mai esposto (in seguito l’oggetto è andato perso). L’immagine nel testo è la riproduzione di una fotografia di Alfred Stieglitz, pubblicata a tutta pagina (titolata come The exhibitrefused by the independents) sul secondo numero (maggio 1917: 4) della rivista The Blind Man

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«L’etica non si può formulare perché logicamente si colloca al di qua del linguaggio, prima di ogni particolare ‘vedere come’ e quindi prima di ogni ‘dire così e così’.
Il punto è che quando vedo ‘così’ o ‘così’, le scelte possibili sono già state fatte, ed è stata la grammatica della lingua che parlo a ‘stabilire’ l’alternativa fra ‘così’ o ‘così’ . L’etica in senso proprio è prima di queste scelte. Questo momento, che non è di questo mondo (per questo l’etica è trascendentale»), coincide con un momento affatto estetico, nel senso che si trova al di qua di ogni ‘vedere come’. Per questo, propriamente, l’estetica non ha a che fare con l’arte. Tuttalpiù viene dopo l’arte.»1

La migliore esemplificazione dell’etica è data dal filmato dove si vede lo scimpanzé Bonobo che, una volta liberato nella savana, appena uscito dalla gabbia torna indietro e abbraccia le due etologhe che lo avevano accudito e gli avevano salvato la vita. La riconoscenza, la gratitudine e l’affetto dimostrate dallo scimpanzé alle due etologhe sono un atto etico che dimostra che l’etica è prima del linguaggio. Così, la poetica è prima del linguaggio, prima dell’estetica. L’adozione di un linguaggio è forgiato e determinato da un atto etico preliminare, propedeutico.

1 Felice Cimatti, art. cit.

7 commenti

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7 risposte a “La pittura istantanea (la Instant picture) dello scimpanzé Congo, La ready poetry, il ready language, con l’orinatoio (1917) di Duchamp siamo entrati in un nuovo capitolo della storia dell’arte occidentale, Oggi siamo arrivati al punto che siamo invasi da «ready poetry» al pari di «ready novel» e di «ready picture». In tempi di sovranismi e di populismi ciò è perfettamente comprensibile

  1. Gino Rago

    Vicissitudini della gallina Nanin e del critico Viktor Borisovič

    Il famoso critico Viktor Borisovič pende a testa in giù,
    cerca di aggiustarsi il nodo della cravatta.

    Alain Delon invita Angelica ad un valzer,
    mentre all’Hotel Excelsior fa apparizione il Signor K.

    Il piccione sul ramo del ciliegio è l’amante segreto di Nanin,
    la gallina della cover dell’Antologia Poetry kitchen.

    Accade però che il mago Woland rubi la cravatta
    dal collo del critico letterario,

    la mette in una busta affrancata e la spedisce
    al poeta Giorgio Linguaglossa all’Ufficio Affari Riservati
    di via Pietro Giordani.

    Succede però, ancora una volta, che il postino,
    per errore, recapiti la busta
    in via Giordane, lo storico del tardo impero, e così

    accade che la cravatta venga intercettata dal servizio segreto
    di Sua Maestà Britannica
    che la rispedisce al mittente, cioè al critico Viktor Borisovič

    Il quale sta ancora attaccato al ramo di ciliegio
    a testa in giù per aver stroncato il lavoro di un poeta

    di Mediolanum che, notoriamente, si auto pubblica
    ogni anno presso la Mondadori…
    E così arriviamo all’anno domini gennaio 2021
    proprio mentre a Roma è in corso la 67ma crisi di governo.

    Ma non c’è di che allarmarsi perché
    ci pensa la gallina Nanin a risolverla con un gabinetto

    Di larghe intese, con dentro anche il Cavalier Berlusconi
    poi va ad appollaiarsi sul cannone del Pincio
    e aspetta il colpo a salve di mezzogiorno.

    Ma proprio sulla piazza del Quirinale, accanto alle statue dei Dioscuri,
    atterra un disco volante
    dal quale sbarcano degli omini verdi con delle cravatte
    anch’esse verdi…

    «Sono arrivati i marziani!», gridano i cittadini dell’Urbe
    che se la danno a gambe e invece sono delle semplici comparse

    ingaggiate dal Servizio di Informazioni Riservate
    di Putin con sede a San Pietroburgo in via Nikolajevna 77…

    Ma non è finita qui perché la storia continua
    con una crisi diplomatica tra il governo Conte ter

    e il nuovo zar del Cremlino, con scambi di minacce e contumelie
    finché non interviene, ancora una volta, il Nucleo Armato

    dell’Ombra delle Parole con a capo
    il poeta Mauro Pierno
    in divisa da aviatore il quale si getta nella mischia,

    arresta gli omini verdi, mette i sigilli ai dischi volanti,
    perimetra il luogo dell’atterraggio e dice:

    «Tutto è bene quel che finisce bene».

    Ewa Tagher
    FASCIATURA

    Ha piovuto ovunque, tranne che per strada.
    Le scarpe oramai non servono più.

    Chi può, citofona al Dottor Dapertutto
    nel tentativo di portare ordine nel Caos.

    I veri disperati nascondono brandelli di
    di coscienza sotto le ascelle,

    non ne possono più di bandierine
    agitate dai difensori della verità a tutti i costi.

    Un terzo della popolazione non si accorge di nulla.
    Per loro è solo una distorsione. Basta una fasciatura.

    “Se si sente soffocare, stringa il mio braccio,

    io capisco e smetto”.

  2. Guido Galdini

    In tema di creatività dei nostri colleghi primati, mi sono ricordato di questo limerick che un po’ di tempo fa avevo tradotto, senza appuntarmi l’autore.
    In rete lo si attribuisce a Arthur Eddington, un astrofisico inglese che fu tra i primi a riconoscere il genio di Einstein, o addirittura a Ezra Pound.
    Eccolo qui, originale e tradotto:

    There once was a brainy baboon,
    Who always breathed down a bassoon,
    For he said, “It appears
    That in billions of years
    I shall certainly hit on a tune”.

    C’era un tempo un solerte babbuino
    Che soffiava a casaccio in un clarino
    Tra un miliardo di secoli, un mattino,
    Ripeteva a chi gli era più vicino
    Ne uscirà un contrappunto sopraffino

  3. milaure colasson

    devo dire che guardando queste pitture astratte di Congo sono rimasta stupefatta e senza parole. Sarei curiosa di conoscere il parere di Lucio Mayoor Tosi in quanto pittore astratto. Questi quadri sono la prova che il fare pittura non è una prerogativa dell’homo sapiens ma che noi sapiens abbiamo in comune con i primati superiori una certa qualità e quantità di fare arte, e quindi che non c’è alcun bisogno di ricorrere a categorie della teologia per giudicare l’arte, il fare arte dell’homo sapiens precede di duecentomila anni le categorie della teologia che appartengono al demanio delle religioni monocratiche. Il fare arte non ha nulla in comune con il “sacro”. Congo, con la sua gestualità, raggiunge quella di tanti pittori sapiens, tra i più bravi nel campo della pittura.

  4. Bisogna capire che nella follia, oggi, possiamo entrare ad occhi aperti e con atteggiamento scientifico. Per me la differenza tra lo scimpanzé Congo e un artista dell’Action painting – o altri, come Basquiat, o che sono alle prese con segno e gestualità, anche zen – è tutta qui, nell’atteggiamento scientifico. Scientifico e meditativo.
    I bravi artisti lo hanno sempre fatto… anche figurativi fantastici come Rousseau, il Doganiere, il quale sbagliava prospettive e proporzioni, al punto da sembrare naif, ma lo faceva coscientemente. Rousseau sapeva di non sbagliare affatto. Anche Picasso, nella ricerca di forme primitive compie un’operazione critica. Quasi tutta l’arte del ‘900 è all’insegna di scientificità e conoscenza – senza per questo aprire fredda e metodica; tranne che negli ultimi tempi, quando si è portato a logica conclusione, con l’arte concettuale, il percorso intrapreso a inizio del secolo scorso.
    Abbiamo avuto in Italia artisti come Vedova, impegnati a mostrare tensione esistenziale (l’angoscia è il sentimento più diffuso nell’arte moderna occidentale); ma Vedova si rifaceva al barocco, al particolare movimento e l’intensità di quei chiaro scuri. Dal ‘900 in poi, nessun artista che si rispetti ha mai operato affidandosi puramente all’improvvisazione. Ovviamente, nemmeno nei secoli precedenti… nemmeno i nostri antenati nelle caverne!
    Io dipingo pochissimo, nel senso che lascio passare molto tempo tra un’opera e l’altra. Il fatto è che non amo provare, sovrapporre, accorpare; preferisco il segno assoluto, ma per questo serve tempo; l’opera va concepita, e si passa più tempo a osservare che a dipingere… poi si può fare in un attimo. Sempre che abbia ancora senso fare pittura.

    L’artista guarda, vede, il poeta nomina e dice: sono linguaggi radicalmente differenti. La poetry kitchen nasce da lucide e coraggiose analisi critiche, non è il festival dell’improvvisazione. Però c’è divertimento, piacere che si spera possa essere condiviso. Anche leggerezza.

  5. caro Gino Rago,

    gli scarponi di van Gogh sono preistoria, oggi abbiamo montagne, miliardi di scarpe e scarponi che vengono gettati nella spazzatura, la cultura stessa è diventata spazzatura, il museo stesso è diventato raccolta ed esposizione di spazzatura. Oggi i creatori (si dice così?) si sono fatti furbi, non adoperano certo gli scarponi schizzati di fango, quella lì è roba che non fa notizia (scandalo), preferiscono rivolgersi ai cadaveri. Ad esempio con von Hagens i cadaveri, da mezzo di studio e ricerca, si trasformano in opera d’arte.Nel 1997 egli ha scoperto un metodo, la plastinazione, che consente di conservare corpi umani tramite la sostituzione dei liquidi con dei polimeri di silicone, in grado di renderegli elementi organici rigidi e inodori e di mantenere inalterati i colori; ma quando ha deci-so di applicare i suoi studi medici in funzione artistica ha sollevato scandalo e polemiche.Infatti, come nel caso delle le mummie egizie, anche qui dei corpi senza vita sono sottratti al precipuo contesto rituale per essere esposti come opere d’arte. Ma se nelle mummiele bende celano il corpo alla vista, nei cadaveri di von Hagensorgani, muscoli e tessuti,simili alle immagini che si adoperano negli studi di medicina, sono esposti senza pudore e ricordano gli effetti speciali adoperati nel cinema.Nel febbraio 2012 Body Worlds, ilsuo corpus di opere più elaborato ed estremo, è stato esposto per la prima volta in Italianegli spazi delle Officine Farneto a Roma.

    José Ortega y Gasset (Meditazione sulla cornice, in id., Lo spettatore, a cura di C.Bo, Milano, Guanda, 1984, p. 85) considera la funzione di delimitazione, assolta dalla cornice, come una “soglia” attraverso la quale accedere alla dimensione dell’immaginario, luogo di passaggio tra realtà e finzione: «il quadro è un’apertura di irrealtà che avviene magicamente nel nostro ambito reale. Quando guardo questa grigia parete domestica, lamia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un’attitudine di pura contemplazione».
    Ovvio, quindi: occorre fare una poiesis che non contempli la presenza della «cornice». Nella poetry kitchen la «cornice» viene abolita, così come le paratie tra cronaca del mondo reale e cronaca del mondo fittizio, tra il mondo e la pagina da scrivere, si può entrare ed uscire da un romanzo di Tomasi di Lampedusa in frac e trovarsi seduti al bar di via Pietro Giordani dell’Ufficio Informazioni Riservate di Roma nel 2021 come se nulla fosse, si può passare dalla grigia parete domestica alla fantasia più sfrenata senza soluzione di continuità, i tramezzi, i confini, le cornici, le differenze vengono abolite per recuperare la continuità dei tempi e degli spazi, si può passare da una invasione di marziani (come nella tua poesia kitchen) alla 67ma crisi di governo della repubblica italiana. Tutto è consentito. Tutto è permesso.

    * Sui rapporti tra la popular culture e le arti cfr. A. Mecacci, Estetica del pop, Roma,Donzelli, 2011.

  6. Tosy: “io dipingo pochissimo, nel senso che lascio passare molto tempo tra un’opera e l’altra.”

    *
    Questo tempo che conviene ad un albero di fico dimenticato, appoggiato alla parete.

    Questo odore un ombra. Passano tra gli anni, le fioriture a mare. Joseph sventola le pietre del Kashmir.

    I muri non convergono, i dipinti raccontano marine predisposti per il giorno. La cena adoperata.

    Tra un fuga ed una prospettiva la gallina Nanin.
    Le ferie adoperano i sensi costruiti. Affittasi.

    Hanno testato tute le canzoni, i bordi scapigliati.
    i rintocchi di un campanile, la messa continua.

    La visione del scimpanzé Gongo sono l’età dell’innocenza, usa la pittura come un orinatoio.

    Grazie OMBRA.

  7. Felpa, divano e tè caldo
    «Sogno con i piedi appoggiati sulle nuvole»
    Disse Ennio Flaiano

    «L’importante è Maramaldo»
    rispose Calvino a Franco Fortini
    dimenticando Ennio Flaiano

    Nella poetry kitchen, versione della instant poetry, il mero fatto di linguaggio è factum loquendi, che è l’aver-luogo del linguaggio, dare un primato alla lettera (gramma) rispetto alla Stimme (voce), un elemento del negativo: non più mero suono e non ancora significazione.

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