Aleksandr Aleksandrovič Blok, Poesie, La sconosciuta e altre poesie, nuova traduzione in italiano a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

foto spavento Il momento dello sbalordimento e del terrore è il momento in cui l'homo sapiens si accorge di avere un linguaggio.

Giorgio Linguaglossa: «Il momento dello sbalordimento e del terrore è il momento in cui l’homo sapiens si accorge di avere un linguaggio.»
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Aleksandr Blok (San Pietroburgo, 28 novembre 1880 – 7 agosto 1921) il maggiore poeta simbolista russo – era nato a Pietroburgo nel 1880. Esordì con il ciclo Ante lucem (1898-1900), di cui facevano parte poesie pubblicate più tardi nel volume Versi sulla Bellissima Dama (1905). In questi versi Blok, seguendo le dottrine del poeta filosofo Vladimir Solovjov (1853-1900), canta la quintessenza umana della femminilità eterna, invoca la Sposa celeste in un rapimento estatico, saturo di sensualità, di teneri sospiri, di sensazioni ineffabili.
Il fallimento della rivoluzione del 1905, in cui aveva creduto, infrange nel poeta le speranze di un rinnovamento spirituale e politico della società, e a partire dal 1906 la sua voce rivela delusione e amarezza. L’ironia, unita a un sentimento di rivolta e di insofferenza, trova posto nella sua anima ormai libera dall’estasi e dai sogni giovanili.
Nel dramma La baracca dei saltimbanchi, rappresentato a Pietroburgo nel 1906, Blok deride con spietato sarcasmo, in un susseguirsi di immagini grottesche e illusorie, le sue precedenti esperienze mistiche. Nei versi del ciclo Il mondo terribile, la Sposa celeste è ormai una creatura terrena, una prostituta. Pietroburgo è uno squallido aggregato di bettole fumose e sporche, di vecchi straccioni mendicanti, di vagabondi, di relitti alla deriva. Nel dramma La sconosciuta il sacro tempio si trasforma in una casa di tolleranza.
L’amore ideale, nebuloso, ormai svanito, lascia il posto all’amore per la Russia, che Blok vede come entità concreta e divina, come una creatura sofferente. «La Russia resta sempre la stessa: un’entità lirica», scriveva alla madre nel 1909, e aggiungeva: «Qualunque cosa accada, essa resterà sempre la Russia dei miei sogni». Da questo amore, dall’entusiasmo suscitato in lui dagli avvenimenti del 1917 e soprattutto dalle giornate di Ottobre, nacquero due poemi: I dodici e Gli Sciti, entrambi scritti nel 1918.
Blok sentì la «musica» della Rivoluzione, presagì l’ineluttabilità del cataclisma che avrebbe spazzato via tutte le ingiustizie del «mondo terribile», del vecchio mondo. Nei Dodici sono mirabilmente amalgamate le emozioni e i presentimenti dell’imminente lotta sociale. Nei giorni in cui lavorava a questo poema, il poeta incontrò alcuni noti esponenti del Partito comunista e così si espresse con loro: «A voi interessa la politica, il partito, mentre noi poeti cerchiamo l’anima della Rivoluzione. Essa è stupenda, e qui siamo tutti con voi».
A confermare il carattere «sacro» della Rivoluzione appare in chiusura l’immagine di Cristo, quasi in contraddizione con tutto il contenuto del poema. Cristo che avanza davanti alle dodici guardie rosse, simboleggianti gli apostoli, è un puro simbolo poetico che sta ad esprimere la benedizione etico-religiosa della Rivoluzione da parte del poeta. Tutto il poema è in movimento continuo, movimento irrefrenabile che ha un’unica direzione: «Avanti!». La ricchissima gamma di contrasti lessicali, la sequela di immagini come lampi di magnesio, le dissonanze, gli elementi polifonici che si fondono in un’armonia superiore, tutto ciò concorre a creare quel ritmo incalzante, terribile e continuo, che si fa particolarmente solenne nelle strofe finali. In questa creazione il genio musicale e pittorico di Blok raggiunge il vertice. In seguito, svanito l’ardente entusiasmo dei primi mesi della Rivoluzione, oppresso e deluso dall’arido e pedantesco apparato burocratico che lo circondava, avvilito da difficoltà e incomprensioni, il poeta si abbandonò a un cupo pessimismo. Stanco e isolato si spense il 7 agosto del 1921.
(Paolo Statuti)

Aleksandr Blok
Aleksandr Blok

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La sconosciuta

Nelle sere, nei ristoranti
l’aria calda è selvaggia e sorda
e governa le grida degli ubriachi
lo spirito dannoso e primaverile.

In lontananza, sulla polvere dei vicoli,
sul tedio delle dacie fuori città
sembra quasi d’oro la ciambella del fornaio
e risuona un pianto di bambini.

Ed ogni sera, al di là delle sbarre,
con le bombette alla ventitrè,
passeggiano con le dame in mezzo ai borri
navigati bontemponi.

Sul lago scricchiolano gli scalmi
e gridolini femminili risuonano
e nel cielo, a tutto abituato,
senza senso si incurva il disco.

Ed ogni sera l’unico amico
nel mio bicchiere si riflette
e dalla misteriosa ed aspra umidità
è, come me, stordito e sottomesso.

Accanto ai tavoli vicini
se ne stanno assonnati lacchè.
E gli ubriachi con occhi di coniglio
gridano: ”In vino veritas!”1

Ed ogni sera, all’ora stabilita
(o è soltanto un mio sogno?)
una figura di fanciulla, avvolta nelle sete,
si muove nella finestra nebbiosa.

E lentamente, passando in mezzo agli ubriachi,
sempre senza accompagnatori, sola,
esalando profumi e nebbie,
si siede vicino alla finestra.

E sanno di antiche credenze
le sue elastiche sete
ed il cappello con le piume da lutto
e la sottile mano inanellata.

E, raggelato dalla strana vicinanza,
scruto dietro il velo scuro
e vedo una riva incantata
ed una incantata lontananza.

Profondi misteri mi sono affidati,
mi è stato affidato il sole di qualcuno
e tutti i meandri dell’animo mio
penetrò un aspro vino.

E le oblique piume di struzzo
dondolano nel mio cervello
e gli azzurri occhi senza fondo
fioriscono su una riva lontana.

Giace nella mia anima un tesoro
e la chiave solo a me è affidata!
Hai ragione, mostro ubriaco!
Lo so: la verità è nel vino!

1 In latino nel testo russo

(24 aprile 1906)

*

Aveva aspettato tutta la vita. Era stanca di aspettare.
E sorrise. E si chinò.
Una ciocca non raccolta di capelli
calò sulle spalle scure.

Il mondo non è né grande né ricco.
E non bisognerebbe guardare con sguardo scuro!
Ma la gente dice solo
che bisogna aspettare ed essere docili…

Ma qua un piffero
canta straziante, dolente, delicato:
“Dondola la culla di un’altra,
accarezza il bimbo non amato…”

Io anche sono qui. Col mio destino,
sulla lira adirata come una scure.
Così sottomesso e rabbioso.
Faccio affari nei mercati del mondo…

Credo alla foschia dei tuoi capelli
e alla tua magnificenza.
Il mio animo orfano – il tuo cane fedele,
fa risuonare ai tuoi piedi la catena…

Ed ecco di nuovo, ecco di nuovo,
incontrandomi con questo sguardo scuro,
voglio chiamarti per nome,
respirare e vivere con te accanto…

Sogno! Cos’è il sonno della via?
Veleno – dietro altro veleno…
Io tradirò te, come quel sogno
senza tradire, senza fingere…

E’ divertente vivere! E’ divertente sapere
che sotto la luna non c’è nulla di nuovo!
Che ad un morto è concesso di generare
una parola brulicante di vita!

E nessuno si preoccupa
di ciò che io darò alla gente, di ciò che tu hai dato a me
ma la gente – sulla lapide
scriverà come epitaffio – Poeta.

(13 gennaio 1908)

*

Oh primavera senza fine e senza limiti –
senza fine e senza limiti è il sogno.
Ti riconosco, vita! Ti accolgo!
E ti saluto col suono dello scudo!

Ti accolgo, fallimento
e, fortuna, a te il mio saluto
nella incantata regione del pianto,
nel mistero del riso non c’è vergogna!

Accolgo le dispute insonni,
il mattino nelle scure cortine della finestra
affinché i miei occhi infiammati
irriti ed inebri la primavera.

Accolgo deserti paeselli!
E pozzi delle città della terra!
L’illuminata vastità del cielo
e la sofferenza del lavoro dei servi!

E ti incontro sulla soglia –
col vento impetuoso nei riccioli di serpente,
col nome enigmatico di Dio
sulle labbra fredde e serrate…

In previsione di questo incontro ostile
non abbasserò lo scudo…
Tu non allargherai mai le spalle
ma sopra di noi – un sogno inebriante!

E guardo e misuro l’ostilità
odiando, maledicendo e amando!
Nonostante la sofferenza, la morte – lo so –
fa lo stesso: io ti accolgo!

(14 ottobre 1907)

*

Aleksandr Blok 6

Quando voi state sul mio cammino,
così viva, così bella
ma così tormentata
parlate sempre di tristezza,
pensate alla morte,
non amate nessuno
e disprezzate la vostra bellezza –
Cosa dire? Potrò mai offendervi?

Oh, no! Ma io non sono un violentatore
né un ingannatore e nemmeno un superbo
anche se so molto,
penso troppo fin dall’infanzia
e sono molto preso da me stesso.
Ecco, io sono un poeta,
un uomo che chiama tutto col nome,
che sottrae l’aroma ad un fiore vivo.

Per quanto voi parliate di tristezza,
per quanto riflettiate sulle fini e sugli inizi,
tuttavia io oso pensare
che avete soltanto quindici anni.
E per questo io vorrei
che vi innamoraste di un uomo semplice
che ama la terra e il cielo
più che i discorsi in rima e non in rima
sulla terra e sul cielo.

Veramente, sarò felice per voi
perché solo un innamorato
ha diritto al titolo di essere umano.

(6 febbraio 1908)

*

Lei venne dal gelo,
rossa in viso,
riempì la stanza
dell’aroma dell’aria e dei profumi,
con la voce squillante e con ciance irriguardose
a paragone del mio lavoro.

Senza indugio lasciò cadere sul pavimento
il poderoso tomo della rivista d’arte
e subito cominciò a sembrarmi
che nella mia grande stanza
c’era molto poco spazio.

Tutto questo era vagamente spiacevole
ed abbastanza assurdo.
Eppure lei ebbe voglia
che le leggessi “Macbeth” ad alta voce.

Arrivando appena fino alle bolle della terra,
di cui non posso parlare senza agitazione,
io avvertii che anche lei era emozionata
e guardava attentamente nella finestra.

E’ venuto fuori che un grande gatto colorato
stesse appiattito sul bordo del tetto
in agguato dei colombi che si baciavano.

Io mi arrabbiai soprattutto perché
non ci baciavamo noi ma i colombi
e perché se n’erano andati i tempi di Paolo e Francesca.

(6 febbraio 1908)

*

Aleksandr Blok 8

Ricordo le lunghe sofferenze:
al di là della finestra la notte finiva di consumarsi;
le sue mani serrate
albeggiavano appena alla luce del giorno.

Tutta la vita, vissuta invano,
torturava, umiliava, bruciava.
Ma là, crescendo come un fantasma,
il giorno abbozzò le cupole;

e sotto la finestrella si infittirono
i passi veloci dei passanti;
e nelle grigie pozzanghere si scatenavano
i cerchi sotto le gocce di pioggia;

e il mattino durava, durava…
ed era pesante una inutile domanda
e nulla fu risolto
dall’acquazzone primaverile delle lacrime burrascose.

(4 marzo 1908)

*
Sono inchiodato al banco di una trattoria.
Sono ubriaco da un bel po’. Per me – è tutto uguale.
Ecco la mia felicità – sulla troika
è stata portata via verso un fumo argentato…

Vola sulla troika, annegò
nella neve dei tempi, nella lontananza dei secoli.
E sommerse soltanto l’anima
con un velo argentato da sotto i ferri dei cavalli.

Nel buio sordo lancia scintille
per tutta la notte, per tutta la notte luce grazie alle scintille.
Un sonaglietto balbetta sotto l’arco
sul fatto che la felicità se n’è andata via.

E soltanto la bardatura dorata
si vede per tutta la notte…per tutta la notte si sente…
ma tu, anima…anima sorda…
sei ubriaca fradicia…sei ubriaca fradicia…

(26 ottobre 1908)

*

Il coraggio, le imprese, la gloria
dimenticavo sulla terra piena di dolore
quando il tuo volto nella semplice cornice
brillava davanti a me sul tavolo.

Ma venne il momento e tu andasti via da casa.
Io gettai nella notte l’anello nuziale.
Ad un altro avevi consegnato il tuo destino
ed io dimenticai il volto tanto bello.

Volavano i giorni, turbinando come sciame maledetto…
Il vino e la passione tormentavano la mia vita…
E ti ricordai davanti al leggio
e ti chiamai come chiamavo la mia giovinezza.

Io ti chiamavo ma tu non ti voltasti,
versavo lacrime ma tu non hai avuto indulgenza.
Ti avvolgesti malinconica in un impermeabile blu,
te ne andasti via di casa nella notte umida.

Non so dove rifugio alla tua superbia
tu, cara, tu, dolce, hai trovato…
Io dormo profondamente e sogno il tuo impermeabile azzurro
nel quale nella notte umida te ne andasti…

Ma quale sognare la tenerezza, la gloria,
tutto si è compiuto, la giovinezza è passata!
Il tuo viso nella sua semplice cornice
con la mia mano ho tolto dal tavolo.

(30 dicembre 1908)

*

Lentamente impazzivo
a quella porta che bramo.
La tenebra sostituiva il giorno primaverile
e accendeva soltanto la sete.

Io piangevo, stremato dalla passione,
e cupamente smorzavo i gemiti.
Ormai si è sdoppiata, muovendosi appena,
l’anima folle, malata.

E si introduceva nel silenzio
della mia anima ormai folle
e colmò la mia primavera
di un’onda nera e silenziosa.

La tenebra sostituiva il giorno primaverile,
si raggelava il cuore sulla tomba.
Lentamente impazzivo,
freddamente pensavo all’amata.

(marzo 1902)

rivoluzione-d'ottobre

rivoluzione d’ottobre manifestazione bolscevica

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Sulla ferrovia
A Maria Pavlovna Ivanova

Sotto il terrapieno, in un fosso non falciato,
giace e guarda, come fosse viva,
col fazzoletto colorato, gettato sulle trecce,
bella e giovane.

A volte andava con passo cerimonioso
incontro al rumore e al fischio oltre il bosco vicino.
Percorrendo tutta la lunga banchina,
aspettava, agitata, sotto la tettoia.

Tre occhi luminosi in arrivo –
rossore più delicato, una ciocca più riccia:
forse qualcuno dei passeggeri
guarderà più attentamente dai finestrini…

I vagoni andavano lungo la consueta linea,
sobbalzavano e cigolavano;
tacevano quelli gialli e azzurri;
in quelli verdi piangevano e cantavano.

Si alzavano in piedi assonnati dietro i vetri
e abbracciavano con sguardo uniforme
la banchina, il giardino con gli arbusti smorti,
lei, il gendarme che le stava accanto…

Solo una volta un ussaro, appoggiandosi
con mano disattenta sul velluto scarlatto,
la sfiorò con un tenero sorriso,
la sfiorò – e il treno sfrecciò via.

Così sfrecciava la giovinezza inutile,
sfinendosi in vani sogni…
La tristezza della strada, della ferrovia
fischiettava, facendo a pezzi il cuore…
Che importa – ormai da tempo è stato strappato il cuore!
Quanti inchini fatti,
quanti sguardi bramosi lanciati
negli occhi deserti dei vagoni…

Non avvicinatevi a lei con domande,
per voi è tutto uguale ma lei – ne ha abbastanza:
dall’amore, dalla sporcizia o dalle ruote
lei è schiacciata – fa male lo stesso.

(14 giugno 1910)

anna achmatova

Ad Anna Achmatova

“La bellezza è terribile” – Vi diranno –
Voi getterete svogliatamente
lo scialle spagnolo sulle spalle,
una rosa rossa – nei capelli.

“La bellezza è semplice” – Vi diranno –
con lo scialle variopinto goffamente
coprirete il bambino
la rosa rossa – sul pavimento.

Ma, ascoltando distrattamente
tutte le parole che risuonano attorno,
Voi diventerete tristemente pensosa
e ripeterete tra voi:

“Non sono né terribile né semplice;
non sono così terribile da uccidere
semplicemente; non sono così semplice
da non sapere come è terribile la vita”.
16 dicembre 1913

Io sono Amleto. Si gela il sangue
quando la perfidia intreccia le reti
e nel cuore il primo amore è
vivo per colei che è unica al mondo.

Ofelia mia, il freddo della vita
ti portò via lontano
ed io, il principe, muoio nella terra natale
trafitto da una lama avvelenata.

(6 febbraio 1914)

Z. N. Ghippius

Quelli che sono nati in anni sordi
non ricordano il proprio cammino.
Noi – figli degli anni terribili della Russia –
non abbiamo la forza di dimenticare nulla.

Anni che inceneriscono!
C’è in voi un messaggio di pazzia o di speranza?
Dai giorni della guerra, dai giorni della libertà
c’è sui volti un riflesso sanguigno.

C’è mutismo – il rumore di una campana
costrinse a serrare le labbra.
Nei cuori, un tempo entusiasti,
c’è una fatale vacuità.

E che sul nostro letto di morte
si alzi uno stormo di cornacchie gridando –
e che quelli che sono più meritevoli,
Signore, Signore, vedano il tuo regno.

(8 settembre 1914)

Dalla raccolta Stichotvorenja 1878-1921 edita a Mosca 2018

11 commenti

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11 risposte a “Aleksandr Aleksandrovič Blok, Poesie, La sconosciuta e altre poesie, nuova traduzione in italiano a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila Gayazova

  1. Simbolismo, post-simbolismo, acmeismo, adamismo, Futurismo nella Russia di inizio novecento

    L’arrivo del simbolismo in Russia segna l’arrivo del modernismo e il rinnovamento della poesia russa di inizio novecento che, da una posizione arretrata si aggiudicherà una posizione di punta in ambito europeo. Aleksandr Blok è il poeta russo universalmente riconosciuto dai suoi contemporanei come il maggiore e più influente poeta russo della sua epoca. La fioritura del simbolismo russo dura fino al 1910 quando irrompono sulla scena poetica gli acmeisti che fondono la rivista “Apollon”. Da questa data in poi ha inizio quella che è passata sotto il nome di l’epoca d’argento della poesia russa.

    Il 1910 può davvero essere considerato l’anno in cui nuove spinte emergono sulla scena letteraria russa; Etkind lo considera addirittura l’anno di nascita dell’acmeismo (Etkind, 1989: 549), anche se questa data è anteriore alla parola acmeismo stessa. Inoltre, nel 1910 non esistono già più le riviste letterarie maggiormente legate al simbolismo: «Vesy» («La bilancia») e «Zolotoe runo» («Il vello d’oro») avevano chiuso i battenti nel 1909, sostituite sulla scena letteraria da «Apollon» («Apollo»), la rivista che, nata sotto l’egida dei simbolisti, finirà per ospitare sulle sue pagine i manifesti acmeisti di Gumilëv e Gorodeckij. Il 1910, infine, è l’anno in cui M. Kuzmin pubblica, proprio su «Apollon», il manifesto O prekrasnoj jasnosti (Sulla magnifica chiarezza), che invoca un ritorno della scrittura alla logica, alla chiarezza espositiva e alla chiarezza della metafora.
    Nell’ottobre del 1911 viene fondata la «Gilda» che riunisce tutti i poeti che si consideravano genericamente post-simbolisti, tra di essi ci sono varie inclinazioni e direzioni di ricerca ma il distacco consapevole dalla poetica simbolista si verificherà con il vero e proprio superamento del simbolismo con gli acmeisti Gumilëv, Achmatova e Mandel’štam.
    Nel marzo del 1912, per iniziativa di Sergej Gorodeckij e Nikolaj Gumilëv, ha inizio l’acmeismo, di cui fanno parte, secondo il canone, Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, Michail Zenkevič e Vladimir Narbut, oltre ai due promotori.

    «Le scuole letterarie non vivono di idee, ma di gusti: portare con sé un mucchio di idee nuove, ma non portare nuovi gusti significa non formare una nuova scuola, ma solo iniziare una polemica. Al contrario, si può fondare una scuola con i soli gusti, senza nessuna idea. Non le idee, ma i gusti degli acmeisti si sono rivelati mortali per il simbolismo». (Mandel’štam)
    Quello che suggerisce Mandel’štam, dunque, è di non interpretare le correnti letterarie come “visioni del mondo”, perché la differenza in ambito poetico, e letterario in generale, si marca sul gusto, sullo stile, sui testi. L’adamismo non è sopravvissuto proprio perché si pretendeva portatore di una particolare visione del mondo, e mirava a restituirla in forma poetica, mentre l’acmeismo era una vera e propria scuola poetica. Se si guarda anche il manifesto di Mandel’štam, si vede come in uno dei suoi punti cardine, in cui si esprime con più forza l’opposizione al simbolismo, non si ragioni su un piano di visione del mondo, ma su un piano puramente letterario. Il punto in questione è la dichiarazione «A=A: che tema poetico meraviglioso» (Mandel’štam, 2016b); A=A non è, nel manifesto, un precetto filosofico, ma un tema poetico.
    Il gruppo acmeista non nasce intorno a una dichiarazione programmatica di poetica, né si dà inizialmente delle regole di poetica elencate in un manifesto, ma parla direttamente con i testi poetici.

  2. Mimmo Pugliese

    DAVANTI CASA

    Davanti casa c’era un albero
    rigido padre di fiori mai nati
    il citofono sembrava muoversi
    da parte a parte lo tagliava una formica.

    Molte auto corrono veloci
    non spaventano più la volpe rossa
    da quando convive con gatti e rane
    nel quadro appeso in veranda.

    Uno sciocco sbadiglio fa rumore
    nel silenzio che era di carta
    il film che ti ritorna in mente
    lo volevi con un finale diverso.

    Le labbra del sole schioccano baci
    truccano i garofani sul balcone
    si illumina il display del cellulare
    non era per te la chiamata…

    Hai le ciglia lunghe
    un filo di polvere risalta sui lucchetti
    senti respirare l’aria
    addosso ai comignoli che resistono.

    Potevi chiudere la porta
    nascondere cuscini e lenzuola
    ma tu che ne sai del vento sul mare
    di quanto in alto vola il gipeto.

  3. Maria Grazia Ferraris

    presentazione chiara e brillante, comprensibile ed aperta anche ad un pubblico meno avvezzo alla lettura di autori stranieri. Grazie

  4. milaure colasson

    Complimenti alla traduttrice per la resa in italiano delle poesie di Blok, che sembrano scritte direttamente in italiano.
    Ricordo di aver letto da qualche parte una frase di Mandel’štam che riconosceva pubblicamente Blok come il più grande poeta della sua epoca, tanto che evitò di criticare direttamente il collega simbolista limitandosi a criticare, per interposta persona, un altro simbolista, un certo Konstantin Bal’mont, poeta del primo simbolismo a quel tempo molto in voga.
    Ma si tratta di giganti che, pur su posizioni distanti, si rispettavano e si riconoscevano a vicenda.
    Altri tempi!

  5. milaure colasson

    Molte auto corrono veloci
    non spaventano più la volpe rossa
    da quando convive con gatti e rane
    nel quadro appeso in veranda.

    Splendida quartina. Complimenti a Mimmo Pugliese. la definirei una natura morta.

  6. – Il dandismo nell’era della cultura di massa –

    L’essenza del camp è il suo amore per l’innaturale, per l’artificio, per l’eccesso. (…)
    Il camp è una forma particolare di estetismo. È un modo di vedere il mondo come fenomeno estetico. Questo modo, il modo camp, non si misura sulla bellezza, ma sul grado d’artificio e di stilizzazione. Mettere in rilievo lo stile significa trascurare il contenuto o introdurre un atteggiamento neutrale nei confronti del contenuto. Ovviamente la sensibilità camp è disimpegnata e spoliticizzata, o perlomeno apolitica. (…)
    Camp è una visione del mondo in termini di stile, ma di uno stile particolare.È l’amore per l’eccessivo, per l’eccentrico, per le cose-che-sono-come-non-sono. L’esempio migliore è l’Art Nouveau (…). Gli oggetti Art Nouveau trasformano, e questo è tipico, una cosa in qualcos’altro (…).
    L’androgino è certo una delle immagini della sensibilità camp.Esempi: le figure svenevoli, sottili e sinuose della pittura e della poesia preraffaellite; i corpi esili, fluidi,asessuati delle stampe e dei manifesti Art Nouveau presentati in rilievo su lampade e portacenere; l’ossessionantevuoto androgino dietro la bellezza perfetta di Greta Garbo. (…)
    Camp è trionfo dello stile ermafrodita. (La convertibilità tra “uomo” e “donna”, tra “persona” e “cosa”.) Ma lostile, cioè l’artificio, in fondo è sempre ermafrodita. La vita non ha stile. E neanche la natura. (…)
    È per questo che oggetti tanto apprezzati dal gusto camp sono antiquati, scaduti, démodé. Non c’è un amore peril vecchio in quanto vecchio.Ma è un fatto che il processo d’invecchiamento, di deterioramento tra il necessario distacco, o suscita unanecessaria simpatia. (…)
    Il distacco è prerogativa di un’élite; e come il dandy era nell’Ottocento il surrogato dell’aristocratico nellefaccende della cultura, così il camp è il dandismo contemporaneo. È una soluzione al problema di come essere dandy nell’epoca della cultura di massa. (…)
    Il camp – il dandismo dell’era della cultura di massa – non fa distinzione tra l’oggetto unico e quello prodotto inserie. Il gusto camp supera la nausea della ripetizione.
    .
    Paola Colaiacomo, Vittoria Caterina Caratozzolo, Cartamodello, le parole sono di Susan Sontag, cit., p. 114.

  7. antonio sagredo

    L’anno 1910 è anno cruciale per la poesia russa che rivela due anime sempre in moto e in lotta: da una parte il classicismo, dall’altra un nuovo rivoluzionario movimento; il futurismo.
    Così il commento di A. M. Ripellino dal Corso monografico su O. Mandel’stam, 1974\75;

    “L’anno 1910 è l’anno in cui il Simbolismo si va lentamente trapassando in due nuove scuole; l’Acmeismo ed il Futurismo; quest’ultimo nelle sue varianti: l’Egofuturimo, il Cubofuturismo ed altre. Il solido in arte, in letteratura riprenderà il sopravvento sul fluido. Il Simbolismo russo era stato fluidità, perdita di contorni (il verbo Nel Simbolismo c’era tanta bruma, il mondo era un luogo indefinito fra due universi; terra-alberi-cielo non avevano più esistenza propria, ma erano riflessi; ciò che contava era il fluire, e le cose erano più frequente in Blok è fluire) riverberi fragili, come tuffati nell’acqua, ed anche canore. Fondamento del Simbolismo russo è la vibrazione luminosa impalpabile in Bal’mont, in Blok, in Belyj.”
    ———————————————————————————-
    Segue la mia nota 40 a pag. 15
    -“Questo fluire andava di pari passo con una qualità che colpì moltissimo Pasternàk, che scrisse: ”l’impetuosità di Blok, il suo modo di scrutare ovunque, la rapidità delle sue osservazioni”; Boris Pasternàk, Autobiografia, Feltrinelli 1967, p. 37. Mandel’štam scrive su Blok nel primo anniversario della morte il 7 agosto 1922 alcune pagine dal titolo La tana del tasso (in Osip Mandel’štam La quarta prosa, op.cit. pp. 87-91), dove, come Pasternàk coglie lo stesso centro, e cioè che Blok “ampliava e approfondiva avidamente scavando nel proprio tempo, il suo mondo interiore, come un tasso che scava la terra sistemando il proprio abitacolo e aprendovi due vie d’uscita… approfondiva la sua conoscenza del secolo XIX, assimilava il romanticismo inglese e germanico, il fiore azzurro di Novalis, l’ironia di Heine, lo tormentava da tempo una sete quasi puskiniana di avvicinare le sue labbra brucianti alle fonti dissetanti, nella loro purezza e molteplicità, dell’arte popolare europea: inglese, francese, germanica”. Del lavoro di scavo di Chlebnikov nella lingua russa dirà che è simile a quello di una talpa.(vedi nota 132, p.46). L’ironia, la dissacrazione e la irriverenza di Heine furono forse la base da cui ebbe inizio la dissacrazione di Blok verso i valori del simbolismo. A Heine si rifece spesso lo stesso Majakovskij, che lo stimava e gli fu utile per accentuare la propria rivolta!”
    ——————-
    Questo “fluire”, questa fluidità viene interrotta in primis da Chlbenikov che stabilisce le fondamenta del nuovo movimento, pur non rinnegando affatto il passato, anzi da questo prendere nuova forza per la nuova poesia, specie dal punto di vista della filologia arcaica (massimo studioso di questo aspetto è R. Jakobson), ma l’azione di Chlebnikov, morto troppo presto e giovane nel 1921, sarà ripreso da un poeta molto più impetuoso di lui, che riuscirà a distruggere il “fluire” troppo debole e inadatto ai tempi nuovi, e dalla fluidità si accede con rumori e rumoracci ultrasonori che testimonia la natura dei tempi nuovi,ed è davvero la rottura.
    Ma ci vuole davvero un altro poeta, un grande poeta, per poter riequilibrare e poter salvare il salvabile della vecchi poesia russa, e questo è Osip Mandel’stam… la nuova classicità rivoluziona quella vecchia, dà a questa una tale vigore tecnico-sitlistico, perché tra l’altro è capace di assorbile le nuove istanze rivoluzionare, e poiché è poesia anche assai colta le riesce più facilmente di cantare classicamente in maniera nuova e moderna la poesia del nuovo secolo.

  8. Grazie Antonio Sagredo per questa messa a punto.
    «Oggi mi sento un genio»: così disse Aleksandr Blok, solitamente modesto, terminando il suo poema I dodici, il 29 gennaio 1918, il suo capolavoro. Ma il simbolismo russo fu un’epoca di straordinaria ricchezza e originalità, uno dei protagonisti indiscussi del simbolismo fu Vjaceslav Ivanov.
    Vjaceslav Ivanov (1866-1949) del simbolismo russo Ivanov fu creativamente uno dei maggiori rappresentanti accanto a Blok e a Belyj. Fu attivo anche come pensatore religioso Tradusse poesie di Pindaro, Alceo, Saffo, Bacchilide ed Eschilo.

    Cominciò a poetare in russo nel 1898 ma pubblicò poesie originali solo nel 1903. Nel frattempo avevano esercitato influsso su di lui da una parte Nietzsche, dall’altra il filosofo e poeta russo Vladimir Solov’ev. Formulò la teoria nota nelle due formule: “a realibus ad realiora” e “a realioribus ad realia” che, applicata all’arte, deve indicare come compito dell’artista sia “liberare e trasfigurare la realtà in modo tale che l’arte si dispieghi in un mondo di simboli che rivelino l’inesauribile pienezza della realtà interiore”. Sulla base di questa concezione nacque anche nella poesia di Ivanov, come in quella di alcuni altri simbolisti, l’idea dei miti. Il simbolo esprimerebbe una realtà superiore della cosa, dando luogo al simbolismo realistico di colorito religioso che fu il vero e proprio simbolismo russo. Fu appunto con Ivanov che esso si allontanò da quella che era stata la sua fonte prima, cioè il simbolismo francese. Il poeta è per Ivanov un sacerdote, un annunziatore della verità che può essere soltanto intuita ed è perciò simbolica e mitica.

  9. antonio sagredo

    …..chiedo venia alle traduttrici che avevo incolpevolmente dimenticato di elogiare le traduzioni dei versi di Blok… scorrevoli,i recitative in alcuni tratti,
    e musicali come loro stessi richiedono al traduttore, e puntigliosi tanto da ricordare passaggi pasternakiani come quando si dice di stazioni ferroviarie, treni e binari.
    ———————————–
    la foto su pubblicata di soldati russi che issano la bandiera comunista alla sommità di un palazzo è una foto della seconda guerra mondiale e non della prima.
    —-
    grazie

  10. Senza le rime Blok perde molto, anzi moltissimo!

  11. antonio sagredo

    Caro Paolo (Statuti),
    questi versi che riporto sono del 1908:, e fferama AMRipellino:

    “Questa è una delle prime poesie, e delle più semplici, anche quelle che dimostrano come Mandel’štam sia ancora nell’ambito del simbolismo, come non si sia del tutto staccato dall’esempio di Blok.

    Brillano di similoro
    nei boschi gli abetini di Natale;
    nei cespugli lupi da giocattolo
    guardano con occhi terribili.

    O profetico mio dolore,
    o serena mia libertà
    e cristallo eternamente ridente
    di un orizzonte non vivo!

    1908

    Ancora la parola non ha trovato la sua tangibilità, la sua pienezza di frutto maturo, che ha sempre in Mandel’štam; qui la parola è ancora alonata e musicaleggiante, sul tipo di quella dei simbolisti, la parola sfioccata in musica, ma non percettibile e passabile, come è solito la parola dell’acmeista.
    Qui siamo, più che nella parola, nell’alone che la parola genera, questa cantilena, questa musicalità perduta, sognante… e poi questo mondo bambinesco è il mondo di Blok, soprattutto c’è la musicalità simbolistica.
    Dunque non si vuole dire qualcosa di molto preciso, di molto inquadrabile, ma ci si affida al fascino del prolungamento del suono: la parola nelle sue frange musicali.
    Si capisce non è il caratteristico, è il Mandel’štam ancora alle prime prove.”
    ———
    Riporto questo come testimonianza di come avviene il passaggio graduale e faticoso dal linguaggio simbolista a quello acmeista. Mandel’stam spezza una volta per sempre la musicalità-cantilena di Blok, appunto con la tangibilità (concretezza) della parola stessa.
    —————
    La rima è essenziale a Blok perché gli facilità il fluido sognare, ma non è più tempo di sognare in questo modo. Lo stesso Blok se ne accorge in tempo e nei tre drammi lirici distrugge quello che lo aveva sostenuto..
    i drammi: Il re sulla piazza- Balagancik (il piccolo baraccone) e La Sconosciuta.
    Con questi tre drammi Blok pone definitivamente una pietra tombale su tutta la poesia dell’800, il resto è continuato da Mandel’stam , Majkaovskij, Pasternak e tutti gli altri.

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