Archivi del giorno: 22 novembre 2020

La lalangue di Lacan e la sua funzione nella poetry kitchen, Poesie di Francesco Paolo Intini, Commenti di Marie Laure Colasson, Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa, La poesia di superficie, Il nastro di Möbius,Pittura di Giorgio Ortona

Giorgio Ortona Letizia celestina 42 x 70 olio su tela 2020

[Giorgio Ortona, Letizia celestina, 42×70 cm, olio, 2020]

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Giorgio Linguaglossa

La lalangue di Lacan e la sua funzione nella poetry kitchen
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Nel neonato il significante, inteso come elemento differenziale, proviene da una dimensione indifferenziata che dura almeno un anno. Il neonato acquisisce pian piano la struttura dell’opposizione e della differenza tra un significante e un altro. Nel frattempo vive in una dimensione pre-simbolica.
Per ogni essere umano, il primo contatto con il linguaggio è il contatto con un significante che non significa nulla, che non è distinguibile da altri significanti sul piano semantico. Soltanto sul piano libidico una differenziazione tra il piacere e il dispiacere può essere posta: alcuni suoni causano l’abbassamento del livello di tensione dell’apparato, altri lo innalzano. A questo livello corporale il significante scrive le sue proprie tracce, tracce che saranno le autostrade sulle quali si incanaleranno tutti i futuri significanti.
Del mondo di parole che circonda il neonato, quest’ultimo può fare esperienza esclusivamente sul piano libidico, cioè, sul piano del godimento. Suoni che incidono il corpo. Si può comprendere come questa preistoria del significante incida profondamente la sua “storia”: il significante non solo proviene ma contiene quel nucleo di “reale” che costituisce il suo proprio ineliminabile.
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La lalangue di Lacan è un dispositivo che continua a funzionare in maniera sotterranea nel linguaggio, ad agire in qualche modo, magari come disturbo del regolare funzionamento del significante, come shifter, come clinamen che incide il linguaggio.
In particolare, questa funzione, diciamo di disturbo, ha luogo nel linguaggio poetico e nei linguaggi artistici. Ma è nel linguaggio poetico che tale «disturbo» viene in evidenza come un elemento analogo a quelli che corrispondono, ad esempio a livello somatico, ai tic. Nei linguaggi poetici tale elemento di disturbo funziona come un clic, un pulsante che interrompe la fraseologia standardizzata, spezza la sintassi, frantuma la semantica del discorso.
Processo che è ben rinvenibile nella poetry kitchen.
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Topologia del Reale? Una superficie piatta, unidimensionale, priva di transito

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L’inconscio funziona come una topologia, il sapere dell’inconscio è un sapere topologico.
La topologia ci dice che si dà un luogo che è un non-luogo. L’esemplificazione più avvincente di questa teorizzazione è il nastro di Möbius, uno dei più celebri esempi di superficie non orientabile, della quale non è possibile stabilire un sopra o un sotto, un dentro o un fuori. Per averne conferma non ci resta che attraversare questa figura, di percorrerla, in un senso o nell’altro.
Il nastro di Möbius ci rende evidente il paradosso dell’inconscio. L’inconscio è la dimensione più propria e intima del soggetto, ma è anche quel qualcosa che gli resta sempre escluso, esterno al soggetto, bersaglio mancato, luogo nel quale l’incontro con il reale avviene nella forma del trauma. Avviene così che l’extimità è quel qualcosa di più intimo del soggetto che però si trova al di fuori di esso; la superficie topologica del nastro di Möbius ci fornisce una perfetta rappresentazione della scissione del soggetto, l’estraneità del soggetto nei confronti del suo reale più proprio ed intimo.
Quel vuoto causativo del reale al centro del soggetto è intimamente intimo ed estraneo al soggetto medesimo. Nel nastro di Möbius il sopra è immediatamente il sotto, il dentro è immediatamente il fuori, il vuoto è immediatamente il pieno. Si dà un transito continuo: il sopra diventa sotto, il dentro diventa fuori, il vuoto diventa pieno. Lo svolgimento di questo divenire è un accadimento immediato, senza soglia, mediante un transito continuo. Un effetto quasi magico.
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Tutto accade in un continuum non dialettico, non oppositivo. Tutto accade in quanto ogni dimensione diventa un altro da sé in uno svolgimento senza scambio né attraversamento di soglie o discontinuità. Nel nastro di Möbius ogni dimensione spaziale precipita nel suo opposto senza superare la soglia del cambiamento
Così nella poesia kitchen di Gino Rago o di Marie Laure Colasson tutto accade in virtù del continuum, per via della genesi non dialettica del Reale, dove si passa da un personaggio all’altro attraversando i secoli (Antonio e Cleopatra), oppure mettendo in comunicazione telepatica e geografica, oltreché storica, gli autori della nuova poesia (Mario Gabriele, Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa), facendo interagire oggetti disparati come la pallottola, la gallina Nanin e la giacca di Magritte… Sono questi oggetti a costituire l’orditura del Reale. O meglio, è per il tramite della ribellione degli oggetti che possiamo gettare uno sguardo all’interno del Reale. Nella poesia di Marie Laure Colasson abbiamo un gioco di maschere di di sosia che si scambiano il posto e le identità (Eredia, la bianca geisha, Francis Bacon etc.) in una fantasmagoria che segue le leggi dell’inconscio e, in particolare, quel vuoto causativo del Reale che si rivela essere la soglia più intima (ed estranea) della soggettività.
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Gli oggetti e i personaggi della nuova poesia kitchen sono come situati su un tappeto volante o nastro magico che, scorrendo, mettono in scena gli scenari di un Reale che non conoscevamo, gli scenari di un retro-Reale o sopra-Reale.
La configurazione topologica di questo nastro magico è dunque tale per cui in esso non c’è una cosa che si rovesci nel suo altro, perché prima non c’è alcuna cosa, ma solo un piano assoluto di un continuum senza opposti, senza contrari, senza discontinuità.
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Leggendo la poesia di Lucio Tosi, quella di Gino Rago, Mario Gabriele, Mauro Pierno, Francesco Intini e altri… mi sono resa conto di come la poesia kitchen si muova lungo la superficie, che poi sia una superficie toroidale o di un nastro di Moebius non cambia nulla. La superficie ha sostituito la verticale e la verticalità. Voglio dire che la poesia di Ungaretti de Il porto sepolto (1916), poi L’Allegria di naufragi (1919), è una tipica poesia della verticalità e del thaumazein; ancora la poesia del primo periodo di Maria Rosaria Madonna (Stige, 1992 e 2018 Tutte le poesie), si muove sulla verticalità, ma già la seconda sceglie la superficie, così il primo Montale abbraccia la verticale, il secondo opta per la superficie. Dunque, c’è una forza storica che spinge in questa direzione, verso la superficie, la superficie x la superficie, ma quello che differenzia la poesia kitchen o pop poetry dalla poesia tradizionalmente novecentescaè la scelta deliberata e consapevole verso la poesia di superficie unica, estesa ed infinita.
E mi sembra che la differenza è quella che fa questione.

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(Marie Laure Colasson)
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Francesco Paolo Intini

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. 
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Caro giorgio, la superficie dunque!
Penso che il metro quadro debba subentrare al metro cubo. Abolita questa unità di misura non si sa come comportarsi con i volumi. La terra è piatta dunque. Dov’è finito l’argomentare scientifico, quel mettere in luce le profondità dell’universo, le mille manifestazioni di un dentro che suggeriscono un centro unico delle forze fondamentali? Con l’abolizione di un centro di gravità tutte le macchine di Mobius prestano il percorso all’infinito movimento. Esistono velocità e uffici raccordati da un tempo che non gestisce gli affetti e con essi gli andamenti naturali all’interno della comunità umana ma sempre di più le superfici delle persone, la pelle, il tessuto oculare, il movimento degli arti e della bocca traducendoli in ansia da prestazione, paura del fallimento in un compito, parametri dell’ efficienza industriale. Non c’è nessuna tregua nel mondo Covid dove si sta collaudando il futuro fondato sul metro quadro. Gli orologi di ognuno scricchiolano di fronte allo strapotere dei sacerdoti della tecnologia. Il bilanciere continua ad oscillare ma non trasmette il movimento perché il tempo che conta si fida solo delle sfere che vede e può spostare avanti e indietro, non di ciò che sta sotto lo schermo. Tra un mondo e l’altro non si sa come comunicare semplicemente perché tutto ciò che occorre è visibile, consumabile, tastabile, agguantabile, sostituibile e dunque non necessario e fa parte di una dimensione piatta, senza ombre, tramonti o albe diventate incolori. Il mondo schiacciato sull’ angstrom è infinito e dunque non c’è inizio-fine per il sole che viaggia senza sapere dove appollaiarsi. La poesia non è che una conseguenza. Strozzata sul nascere di quella che un tempo si chiamava ispirazione, diventa un filo steso, come dici acutamente tu, su cui appendere cose ridotte a fare il verso a mutande, giacche, storia umana, scoperte scientifiche, teatro, persino il DNA. Cose irriconoscibili, impronunciabili. “Fare il verso” per dire l’insensatezza in cui è caduta la parola che un tempo era magica, per quella capacità sorgiva di esprimere il pathos e la meraviglia, la bellezza e il bene così come la profondità del male, la sua dannazione e la resurrezione, ben consapevole di avere di fronte una entità umana, un referente altro da sè. Non mi sorprenderei se un giorno subentrasse un universo in cui al metro quadro si sostituisse il metro lineare e la natura si esprimesse semplicemente contando gli atomi, uno dopo l’altro, senza soluzione di continuità.
Che poesia scriveremmo?

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(Francesco Paolo Intini)
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Scatto dopo scatto

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Sul maniglione era scritto: “QUI SI VIVE”.
Meglio non aggiornare il tasso d’ateismo.
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A ogni tocco uno scatto di mamba.
Ma qualcosa andava storto.
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Cruscotto in moto. Uteri allevati da feti.
Secondo scatto, chiusura della cataratta.
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Gli uomini del porto cavalcarono alici
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muovendo il vento
distillarono cobalto.
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Da qui non si passa.
Se guardi bene troverai una galassia.
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Costruirono la Luna di Flaiano riciclando caffettiere
Così prese a pendere sugli intellettuali.
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Restavano versi a sé, nudi del racconto
Senza alcun ritegno, urati del dolore
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Vista sulle Alpi con bagnanti
Mossa di caffè che gira cucchiaini.
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Nessuno sapeva come trasformare un po’ di massa
in termini di Io.
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Il rischio di rimanere sepolti
da una pioggia radioattiva.
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Tra chi lascia l’ostrica con la perla al collo
e i forzati della parola,
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Il pesce nuvola di Hiroshima.
Esploso di una brocca.
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Ad oganesso sotto controllo
Il Dio delle previsioni toccava ferro.
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A suffragio e per ogni evenienza arcimboldo
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Sottoposto a grandi esperimenti non ha retto alla prova.
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La “macchina del desiderio” s’è inceppata. Senza fumo.
Non è bello vederla invenduta, diodi e schede perforate introvabili.
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Il mercato dei polacchi (a Japigia) mostra zloty di granturco
e chi doveva integrarsi ha venduto i suoi tentacoli.
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Dell’io invece una radiazione di fondo pervade le cantine
ha memoria di tutto perché è ghiaccio e Sole.
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A gusci concentrici procede contro i muri
Cresce fiori di stramonio. Mescola cingoli del ‘56 a quelli del ‘68.
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Trump e Kruscev, quale differenza? Entrambi odiano la cipolla
E mettono un’epoca sotto chiave per non sentirla agli occhi.
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Il rimescolio delle onde compie il miracolo.
Il Tempo riempie vuoti che appartennero alle orecchie
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Grandi angurie completano la bocca.
Lo Spazio ottura la gola.
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Plank scolpì la cappella Sistina completa di Michelangelo
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Onore alle onde del Nulla.
Ci gratifichi la sua imitazione dei 2000.
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Columbus way

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Abitava a piazza Moro,
tre salti in là dall’ufficio sinistri.
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Accanto alla Stazione c’è una galleria
Porta Paradiso, illuminata a salsa d’aglio.
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Fulmini colpiscono lattine
col vespasiano sotto il letto
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Già, perché di lì a poco nacque un colombo
Che fu scaraventato nel senso vietato
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Puzzava e saltellava da un predellino all’altro
Beccando polvere da sparo
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Il cerchio ha un profumo di anaconda
rotatoria che ingoia la fontana.
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E dunque esaminato all’infradito
Dava un senso di freschezza l’ erba all’ uncinetto
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Monterò un pullman tutto per me
Vorrei un nodo nell’intestino un orbitale per le ali
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C’è un posto per le zie accanto al guidatore?
Un sedile sniffa coca.
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Un finestrino risponde si.
La pratica è in disuso se non virtuale.
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Lei crede alle vecchie zie?
Io credo ai salti dell’urina.
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Alla cava degli orizzonti
Una lama di Sole puro.
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Le zie assistono i passanti ciechi
ognuno fa Tiresia a casa sua
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E almeno una volta ha visto far l’amore
Perché dunque un capoverso alla fermata del 21?
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Odora di Benedetto, posso giurarlo
E da qualche parte lo scheletro dei Tarocchi.
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Musica di Schubert suonata a becco
Oggi si vola, domani fiore d’ asfalto.
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C’è da menar le mani tra vecchie zie
Cornacchie e murattiani, blatte e persiani
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Uno yogurt salito in cattedra
Pontifica di un cucchiaio a testa in giù.
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Alla chiusa di piazza Moro
Respirare baygon. Una bontà.

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