[Lucio Mayoor Tosi, Segni, 2020]
Lucio Mayoor Tosi
[Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York. Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti.]
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Spero si capisca, dall’immagine che vi allego, come intendo muovermi in pittura nella narrazione per frammenti. I frammenti possono essere disposti sulla parete in serie infinita di combinazioni. Ciascun frammento è completo in sé. Questo che vedete è un esempio tra i tanti che si potrebbero fare. Per me questo è ciò che rimane dell’opera d’arte unica. Lo sapevo già dieci anni fa, quando facevo arte digitale, che sarebbe andata così.
Era già chiaro a Benjamin, ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – anche se è un libro che oggi possiamo considerare a dir poco obsoleto – il resto lo ha fatto Duchamp, insieme a certa critica d’arte: la pittura sembra morta. A questo penso sempre. Ma è perché la società si sposta, come un grande elefante. Una mandria di elefanti… Se c’è qualcosa di sbagliato, non sta nella pittura o nella poesia ma nella testa di chi non si rende conto.
In pittura l’opera unica è scomparsa, ha perso cioè ogni altro valore oltre a quello di essere decorativa. Ecco quel che ne resta: frammenti. Ma sono frammenti che possiamo comporre liberamente nello spazio per creare, non una ma un’infinità di opere nuove. Così facendo, l’artista che compone per frammenti, finisce con l’adottare il chiacchierio della comunicazione odierna; ma lo fa selezionando, ponendosi obiettivi di qualità. E’ un passo avanti rispetto al Pop di Andy Warhol. Anche se ne coglie il messaggio.
In Artscape.
«Le parole recano qualcosa di ciò che abbiamo visto e ci ha colpiti».
«Come le piante anche noi ci uniamo alle radici».
Alla fine mi sono inceppato. Non che questo crei problemi
più di quanti già ne abbiamo. Poca è la memoria.
Amen. Ma ho interrotta la catena dei sogni al portatore.
Non ci sento più da un’orecchio. Quello stanco di sorridere.
«Cosa possano ispirare queste parole, dipende da dove si è stati,
se in bianco e nero, o all’attenzione dei migliori specialisti».
Muovo un gatto a ridosso dei monti. Ne scende un’autostrada
a sei corsie; amaranto il dorso dei pesci. Significa aspetterò.
Hotel Notte chiara, Svizzera. Sui divani della reception,
nascosto in un libro; scoiattoli alla finestra, ecc. Un bonzo.
Ai lati un colore dimenticato, dove camminano
sempre più astratte fanciulle. In fila indiana, recando doni
che la madonna traduce in variopinte lettighe.
(May ott 2020)
[Lucio Mayoor Tosi, segni retrostanti il vetro della stufa pellet]
Francesco Paolo Intini