
gladiatores de Roma
Anonimo dell’Urbe
versi osceni
Pubblico qui questi versi osceni di un Anonimo vissuto a Roma a metà degli anni ottanta. Li ricevetti nel 1993 per pubblicarli sul quadrimestrale di letteratura “Poiesis”. La pubblicazione poi non andò in porto per le resistenze di alcuni cattolici allora presenti nella redazione della rivista. Però, a distanza di 35 anni, la freschezza di questi versi osceni mi sembra sia rimasta intatta, anzi, forse essi hanno beneficiato della distanza enorme che ci separa oggi da quegli anni nei quali era in voga, a Roma, la «parola innamorata» e il ritorno ai vezzeggiativi e al primitivismo degli orti coltivati in proprio. Oggi, in tempi di Covid e di bestiale propaganda live, in tempi di cianuro e di potassio di una comunicazione infetta e parossistica ad opera delle Agenzie pubblicitarie della idiozia di massa, mi sembra che questo derisorio incitamento alla trasgressione e all’osceno abbia una sua attualità. Sono versi crudi, diretti, memorabili.
Negli anni ottanta a Roma esistevano ancora i memorabili “Vespasiani”, i pisciatoi costruiti dall’Imperatore Vespasiano per i bisogni della plebe dell’Urbe. Erano manufatti magnifici e puzzolenti. Poi venne un tal Rutelli, sindaco di Roma, e i gloriosi “Vespasiani” furono divelti e dismessi.
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La poiesis è evento, l’aprirsi degli orizzonti storici entro cui gli enti vengono all’essere; essa non è nulla al di fuori del suo accadere come prospettiva del mondo. Dire che l’opera d’arte mette in opera la verità, significa che la verità si costituisce e si mostra nel mondo da essa fondato. Il rapporto tra opera e verità non è perciò estrinseco, ma interno, perché la verità non è se non il suo accadere secondo prospettive di mondo dischiuse dalla poiesis. L’accadere della verità nell’opera sfonda la verità, ne illumina il fondo di non-verità. Il reiterarsi dell’avverbio «oggi» di questi schizzi poetici enfatizza all’incontrario l’aprirsi degli orizzonti storico-destinali entro cui la verità diviene possibile. Ne viene illuminato, con luce frontale, lo sfondo di non-verità degli anni ottanta, del quadro politico riassunto nella formula Craxi-Forlani-Andreotti. Questi assiomi poetici illustrano bene l’«osceno», la impresentabilità di quegli anni di normalizzazione della vita sociale, politica e letteraria italiana. L’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza storica dell’Italia del welfare nutrito di inflazione e di corruzione viene smascherato da queste poesie che ricalcano, ribaltandolo in accezione «oscena» e derisoria, il modello penniano che in quegli anni conosce in Italia una notevole diffusione.
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Queste poesie sono esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito della normalizzazione di quegli anni, sospendono l’ovvietà di quel mondo normalizzato dalla politica craxiana e democristiana, inducono in uno «stato di spaesamento» nei confronti di quella normalizzazione.
L’arte moderna è da intendersi alla luce della nozione di «ornamento» e di «decorazione», cosa che l’anonimo ben conosce, nella nostra epoca infatti ogni arte assume un carattere decorativo, ornamentale, da intrattenimento in quanto oggetto di una percezione distratta, non di un atteggiamento estetico disinteressato. Nella stagione del post-moderno, dell’estetizzazione del mondo, e della diffusione di massa del kitsch l’ornamento è la forma in cui l’opera viene fruita, apprezzata, vissuta.
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Come scriveva un filosofo italiano in quegli anni, Gianni Vattimo, l’arte non è più al centro dell’attenzione del pubblico, ma, in quanto ornamento, decorazione e intrattenimento dell’esistenza umana, svolge un ruolo marginale e periferico. Poiché però l’esperienza postmoderna è quella della perdita del centro, il ruolo marginale e periferico dell’arte torna ad essere, paradossalmente, centrale. L’opera non è oggetto per un soggetto che in atteggiamento «disinteressato» trovi nella verità astratta dall’opera una verità più vera; ma ciò che decora, istituendole, le forme di vita che noi viviamo.
Che dire?, a distanza di 35 anni questi appunti poetici registrano l’invecchiamento come un evento positivo, che si inserisce attivamente nel determinare nuove e inusitate possibilità di senso dei testi.
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(Giorgio Linguaglossa)
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Poesie erotiche ed oscene
Il vespasiano è un gran secchio di merda
ma io non ho nulla da ridire
ché anch’io sono uno stronzo.
*
Il vespasiano è l’iconostasi,
il mio scrittoio…
ivi incontro il frocio, la checca, il guardone.
È la mia stasi, il mio purgatorio.
Il mattatoio.
*
Nel cesso alla turca del vespasiano
di Tor di Nona ho pisciato allegramente
sopra un nugolo di mosche verdi, azzurre
e dorate.
*
Nel lutulento vespasiano all’incrocio
di viale Manzoni e via Merulana…
anche là ci ho lasciato uno stronzo.
*
Voglio star con la più laida
voglio amar sol la più brutta.
Ahimè, che odor di faida
per l’onor della combutta.
*
Voglio star con le baldracche
tutte sizze tutte pacche,
voglio darmi un pò di lustro
ritto il sigaro, ritto il busto.
*
Un cancro disperatissimo mi rode:
la più laida, la più atroce.
*
*
Mi conquide la puttana
tra le latte e il pattume,
mi sorride l’africana
con le tette di bitume.
*
Vivon bene le puttane
senza fisco e senza grane,
vivon lievi e senza ambasce
intere frotte di bagasce.
*
Vado appresso alle puttane
bianche, gialle e africane,
vado mesto e poi ritorno.
Ahi, che già s’è fatto giorno.
*
*
Voglio star tra le mignatte
voglio amar sol le bagasce.
Ahi che gioia, ahi che ambasce!
giorno, notte, vespro e dì.
*
Una doccia fredda
è la tua carcassa di sozza bagascia,
di me la cui ambascia
mi ottunde, mi preme e mi sfascia.
*
Lo zinale della notte
sulla luna illuminata.
Senza ingiurie né offese,
preferisco la puttana
senza ambasce e senza grana.
*
Se mi sento un poco inglese
noleggio la cipriota
e corteggio la cinese.
*
Non mi odiate, capirete,
sono solo come un prete.
*
Odiatemi, capirete,
sono stronzo come un prete.
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Sono stanco e senza grana,
oggi ho voglia di africana.
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Sono stanco di poetare,
oggi voglio solo latrare.
Caligola
*
Sono stanco di latrare,
oggi voglio solo spetazzare in faccia alle checche
e ai froci.
*
Sotto l’Arco de Costantino
ar Colosseo ce steva ‘na frotta de travestiti,
de checche, de froci, de paparazzi,
c’erano pure li pervertiti e li guardoni…
passaveno de là puro i piedipiatti.
Io puro ce stavo.
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Alle Terme di Caracalla
in mezzo ai chioschi caracollava un centurione
con tanto di spadone sguainato…
un frocetto passava di lì
gli chiese: «passa di qui il bus 23?».
*
*
Al mercato di Traiano ce steva la mia amica Clodia
la lesbica bisessuale che si fa pure i frocetti…
io le ho chiesto:
«l’hai saputo della strage di Teutoburgo?»;
lei mi ha risposto che sì ma che non gliene fregava
un emerito cazzo.
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Quando entro nella Suburra nascondo nella cintura
della tunica il pugnale col manico di avorio che mi ha donato Clodia
o dei narcotici in un sacchetto;
no, non per commettere un crimine, ma per gustare
il profumo che l’accompagna.
*
Fasullo è il mio frocetto preferito
Clodia la mia migliore amica
Aristide il filosofo che seguo con interesse
Evenemero è spassoso, disdegna la morte,
dice che è una lettera senza mittente,
ti arriva e basta.
Quanto a Craxi lo detesto,
il suo faccione impomatato mi dà ai nervi.
Aristide dice che è un energumeno,
io sono di diverso avviso,
è un malmostoso, malavitoso azzeccagarbugli,
spende e spande il maltolto destinato alla plebe
e si gode l’avvenente Modica,
la sua amante.
*
Sozzo, lardoso, panciuto, il console Craxi
si fa portare in lettiga da quattro schiavi mori
a dorso nudo…
dice il balordo che addomesticherà i Cherusci con frotte
di frocetti e di lesbiche,
che non servono le legioni,
che non introdurrà nuove tasse
che non promulgherà nuove leggi
che nominerà senatore il suo cavallo
se necessario…
che per iniziare promulgherà cento giorni di ludi circensi
e di combattimenti di gladiatori…
Tutto ciò, ovviamente, per il nome
e la grandezza dell’Urbe.
*
Il cirenaico Egesia insegna ai giovani a darsi la morte
il sannita Musonio li incita alla gentilezza dei costumi
i cristiani inneggiano al loro dio onnipossente
che abita in un fumoso aldilà…
io, da romano, incito i giovani ad essere virili
ad educarsi ad agape e ad Eros,
a frequentare i vespasiani e le terme, la suburra,
i festini di Anfitrione,
e, perché no, anche la corte dei miracoli di Craxi
e dei suoi loschi faccendieri
e dei pretoriani di merda che lo acclamano
e lo inneggiano
*
Se non ci fosse il Cesare panciuto e lardoso
lo dovrei inventare
perché è spassoso da morire questo demiurgo
che gorgheggia parole oscene
con i suoi scavezzacolli che lo attorniano,
il battimano degli adulatori,
i filosofi da rotocalco che lo inneggiano…
il borseggiatore dell’Aventino, il roscio, adesso
si gode gli ozi dell’Urbe
si pavoneggia con il laticlavio…
dice che i romani che hanno conquistato il mondo
sono diventati tutti checche e froci
e così raccoglie consensi e battimani
il sordido…
*
Secondo me questi versi sono stati scritti dal papa Ernesto, eretico, che ha abiurato la fede cattolica. Un apostata che ha abbracciato il paganesimo che passa le sue nottate a copulare con maschietti e zoccole africane e cinesi… che dire? Penso che l’Anonimo avesse una cognizione profonda dei preti e degli ibridi copulatori dei vespasiani di Roma.
Personalmente, mi sono molto divertita alla lettura di questi versi osceni che nulla hanno di osceno in quanto oscena era la realtà italiana di quegli anni. Ho apprezzato, in particolare, il rovesciamento stilistico delle quartine del Metastasio e di Sandro Penna in senso derisorio e osceno.
Finalmente, un poeta italiano che sbeffeggia direttamente e indirettamente la poesia istituzionale di quegli anni. Queste brevi poesie sono uno staffile sulle guance degli italiani di quegli anni imbottiti di becero postruismo.
(Marie Laure Colasson)
…i gustosissimi “versi osceni” propostici da Giorgio, che trovo particolarmente stimolanti (e per niente osceni: ma del resto è un concetto che non mi appartiene, per lo meno nell’accezione corrente dell’aggettivo, legata al linguaggio o ad atteggiamenti di discendenza popolare: trovo molto più oscena ad esempio, certi atteggiamenti di alcuni poeti da salotto dei giorni nostri); come ho avuto modo di evidenziare in un intervento precedente, ho una particolare predisposizione e coinvolgimento verso il comico (nella trasposizione più ampia del termine) e trovo che in poesia l’elemento comico contribuisca da par suo alll’operazione di destrutturazione e rinnovamento del linguaggio – rispetto agli impaludamenti in cui ormai versa il quadro prevalente della produzione poetica italiana – che è uno degli obiettivi fondanti della Noe. Ovviamente, nel momento stesso in cui produce quest’effetto di straniamento e sovvertimento, sostiene altresì quella ricerca delle connessioni profonde che sottendono la realtà apparente ed ufficiale, finendo per farsi paradossalmente (ma neanche tanto) partendo da una condizione di metastoria, paradigma del proprio tempo storico. Buona serata ed un abbraccio a tutti voi.
(Vincenzo Petronelli)
Quando scrivi un fuori senso è per aggirare il prevedibile ristoro (parola che torna in questo periodo) di un capriccio estetico o esistenziale; o per dire che il resto di ogni verso lo sai già, caro lettore. Evitiamo queste inutili e scontate fatiche, ben altre sono le gemme che il caso di vivere ci può offrire.
Quindi il fuori senso è l’opposto della rinuncia al caro prezzo, come pure al sottocosto. E’ piuttosto il fuori ordinanza e moralità, dove appunto vivacchiano persone con piumaggi diversi; non allineate, volenterose a vivere e fare quel che gli pare e piace; o quel che natura dispone in base al proprio umore e la necessità. Oscene sono tutte le opere d’arte, se oneste sono nude. Vivere nella formalità è fermarsi al preambolo, come vivere una mezza poesia soltanto.
Caro Giorgio,
in qualità di Direttore della Rivista L’Ombra delle parole fai bene a riportare ogni evento poetico. E’ compito della cultura inglobare i tempi del pensiero e delle forme poetiche tra le più disparate, altrimenti si fa censura. Non dimentichiamo che illustri poeti hanno trattato poesie erotiche tra cui Saffo, Neruda, Shakespeare, Dickinson, Kavafis, e perchè no, anche il Cantico dei cantici che rimane una tra le più eleganti forme espressive e poetiche sul tema che qui si parla.
Certamente ci sono gusti diversi nel rifiutare o accettare ciò che si propone come immondezzaio e Arte poetica.Tuttavia è importante nella crisi di rappresentazione della poesia in cui ci troviamo oggi, tra pandemia e decessi, non fossilizzarsi su aree monocentriche, ma aprirsi ad ogni identità poetica mobile e pluritematica.
Vedi lettore non ti scandalizzare
questo Autore pure gliele ha mandate a dire
di nome ricordalo rimarrà per sempre Alfredo.
Da PARADIGMA -Costellazione anonima-
ALFREDO DE PALCHI
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A ondate d’organo/
mi ributto nel primo acquitrino/
di/
torrenziali coinvolgimenti/
rimestio di combustione/
squassamenti tellurici;/
il miasma aumenta e nutre della sua violenza/
la carnalità che insorge con il suo spirito di magma/
e la bellezza che propinata di veleno/
esplode sulle strade, su fiumi senso di asfalto,/
su tronchi di boschi-
Questa poesia di De Palchi la dedico a Linguaglossa, Giorgio degli incompresi.
(Il grande ALFREDO ha fatto una sintesi magica
tra Carducci e l’anonimo che citi)
GRAZIE OMBRA.
“Giorgio degli incompresi”
Verso e Pay Off da sottoscrivere.
Grazie, Mauro.
caro Mauro,
non è affatto un caso che nel 1993 siano stati dei cattolici a sminuire l’importanza di questi schizzi poetici e a non pubblicarli sulla rivista “Poiesis”. I cattolici, come tutti coloro che sono sudditi del significato codificato, sono sempre stati avversari dei significati fuori del significato, ovvero, dei trasgressori del linguaggio. L’Anonimo era senz’altro un trasgressore del linguaggio (idest: dei significati stabiliti), e queste poesie lo dimostrano. Come in ogni trasgressione che si rispetti, il trasgressore voleva abbattere il Totem della sua epoca: Craxi, per far questo opera una deviazione traslazione tra due epoche storiche, la nostra, quella dell’attualità (per noi il passato) e quella posizionata in un passato molto lontano: la Roma imperiale di data incerta. In questo modo il gioco dei significanti viene ad essere moltiplicato e rinforzato, appunto, dal lontano passato che si è solidificato in simboli concreti e definiti. L’Anonimo forza la langue (il linguaggio poetico in vigore in Italia negli anni ottanta) e lo buca, ne mostra il fondo bucato, riutilizzando la quartina in rima regolare e irregolare e il verso libero della nobile tradizione italiana (Metastasio, Penna, Betocchi, Bertolucci etc.), per profanarlo con lessico e contenuti osceni (ob-sceni). La trasgressione viene sempre consumata sul piano del linguaggio poetico, mostrando il precedente linguaggio come fatto notorio e inscrivendo in esso una cifra derisoria.
Recalcati, commentando Lacan, scrive:
«Non c’è parole senza langue, senza sistema della langue». «Lacan», commenta ancora,«ha sempre mostrato che se la parola, cioè il soggetto, dipende dal sistema della langue, […] è vero anche che la parola del soggetto è sempre la possibilità di […] sovvertire il sistema della langue». Ciò consiste nel fatto che quando un soggetto parla, nonostante si rifaccia alle leggi linguistiche delle quali è prigioniero, il linguaggio rimane ignarodella direzione che la parola si appresta a seguire; «la parola va sempre in una direzione singolare che il codice del linguaggio non può prevedere, nonostantela parola sia impossibile senza quel codice».1
1 M. Recalcati, Vocabolario Lacaniano: immaginario, reale, simbolico , in https://www.youtube.com/watch?v=uYqPa4sAtq8
Collocherei l’Anonimo romano che Giorgio Linguaglossa ci ha fatto conoscere tra Ennio Flaiano e Mario Lunetta, di Flaiano ritroviamo ritroviamo i costituenti primari del suo modo di essere, psicologico e letterario: il pessimismo lucido e dolente; la coscienza del nulla vissuta attraverso la quotidiana consunzione dei volti, dei luoghi, dei ricordi; la percettività del moralista dell’umanista militante (di scuola francese), nella maestria dell’aforisma che non si lascia dimenticare, di Mario Lunetta, d’altro canto, il rifiuto della idea di poeta come “addetto alle pulizie” e come tale inadatto a rovinare la digestione serena del ben pensante piccolo borghese, appagato, abitudinario e pantofolaio.
Real thing come componente decisiva della Poetry Kitchen, secondo la visione di Giorgio Linguaglossa ( che poi è da tutti noi, Francesco Paolo Intini, Mario Gabriele, Mayoor Tosi, Colasson, Mauro Pierno, Guido Galdini, lo scrivente, Linguaglossa, in parte Giuseppe Gallo, di certo Ewa Tagher e Alfonso Cataldi, tanto per restare ai lavori poetici di recente proposti su L’Ombra condivisa, e praticata, ognuno con la propria sensibilità poetica e con il proprio temperamento linguistico)? Sì real thing e poetry kitchen si ibridizzano e credo che sia proprio questa la cifra stilistica ed estetica dell’Aninimo romano, anche quando egli scrive :
“Alle Terme di Caracalla
in mezzo ai chioschi caracollava un centurione
con tanto di spadone sguainato…
un frocetto passava di lì
gli chiese: «passa di qui il bus 23?».”
caro Gino Rago,
condivido la tua formula: l’Anonimo romano degli anni ottanta si posiziona a metà strada tra Ennio Flaiano degli anni cinquanta e il Mario Lunetta della «scrittura materialistica» che negli anni ottanta si prodigava per una poesia dell’Opposizione e della Contraddizione permanente contro gli elegiaci e i mitocondri dei minimalisti. I vincitori sono stati questi ultimi, ma si è trattata di una vittoria di Pirro perché il tempo è un buon giudice e presto tutte quelle loro scartoffie che ci parlano dell’io rotoleranno nel dimenticatoio.
Nell’Anonimo romano il conflitto fra segno (Simbolico) e scarto (Reale), costringe il poeta a parlare per sintomi, per singulti, per esantemi psichici sul corpo della pagina bianca: è il paradosso e il conflitto di segni indicibili, improcrastinabili, la paradossalità di un’estraneità intima e di una intimità estranea che si esprime per ulcerazioni e per blasfemità. Il tratto Reale del reale è il rapporto conflittuale con il proprio tempo e con i contemporanei che l’Anonimo romano intrattiene, nella sua poesia il sintomo del furore si accende all’improvviso, come una fiammata, per opposizione e contraddizione con il proprio tempo. È una poesia della «contraddizione» e della blasfemia questa dell’Anonimo.
Ne l’Interpretazione dei Sogni Freud presenta una visione radicalmente nuova dello psichismo. «L’Io non è più padrone in casa propria». l’ombra dell’inconscio si allunga definitivamente sul mito della Ragione.
Lapsus, sogni e atti mancati giungono a interrompere la continuità dell’Io e a mettere in discussione l’integrità monadica della sua sostanza.
Il «cogito ergo sum» di cartesiana memoria, ripreso con tre secoli di distanza dai minimalisti digiuni di pensiero, viene rovesciato da Lacan nel monito «penso dove non sono, dunque sono dove non penso».
L’assunzione di questa concettualizzazione non-lineare della rappresentazione e della soggettività sarà una costante della nuova ontologia estetica e della nostra poetry kitchen.
L’investimento di energie nella ricerca di antenati e capostipiti vicini e remoti della poetry kitchen è una necessità e una opportunità da non mandare al macero. Ennio Flaiano e Mario Lunetta sono due poeti di primissimo piano, la loro poesia non può essere rimossa, sono poeti che devono essere rivalutati lungo la linea della poesia non istituzionale che attraversa in diagonale, ma in maniera visibile, la storia della poesia della seconda metà del novecento.
Caro Giorgio Linguaglossa,
lo sai bene, e da sempre, come lo sappiamo anche noi, che, per dirla proprio con Mario Lunetta:
«Il mondo gira, e giriamo anche noi, magari in senso contrario».
E ciò se non altro per fare lunettianamente il “contropelo alla storia”, in un convinto andare controcorrente ma sorretti anche da quella che i francesi dicono la “illusion comique” in cui il tragico si rovescia nel grottesco e viceversa, come nelle mie pallottole o come nella mayoortosiana gallina della cover dell’Antologia poetica della poetry kitchen, perché sappiamo, proprio con Ennio Flaiano, con l’Anonimo romano dei Vespasiani e soprattutto con Mario Lunetta che la lingua in fondo non è altro che una stratificazione di una infinità di residui, di scampoli, di frammenti, di terricci di risulta, di materiali di scarto…
Ma tutti però in grado di farsi materiale poetico da trasformare in linguaggio, in linguaggio dell’assenza, nell’attesa della catastrofe, in armonia con quanto Mario Lunetta ha sempre detto e scritto:
«È proprio vero che la vita è una gran pattumiera nella quale si può pescare di tutto, e di cui non si butta via niente…».
caro Gino,
Lacan scrive che «ogni verità ha una struttura di finzione». Che significa? Significa che se la poesia è «la messa in opera della verità» (Heidegger) per mettere in opera (in scena) la verità dobbiamo, appunto, apprestare una scena con degli attori che recitano. Ed è quello che fa la grande poesia, dalla Commedia di Dante ai drammi di Shakespeare, fino alle nugae dell’Anonimo romano e alla poetry kitchen. Per diventare regista di questo Teatro della verità bisogna essere preparati, non basta vergare delle parole-cateto o delle parole-ipotenusa, pensare che una qualche divinità delle parole ci venga in soccorso… non ci sono scorciatoie…
Ho letto e riletto i versi che Giorgio Linguaglossa ci ha proposto… Versi osceni? Non credo! A me paiono, piuttosto “infingimenti”, avvisi: personaggi e fatti, (quali fatti, poi?) sono pura invenzione dell’autore. I componimenti brevi e lunghi, a volte epigrammatici, a volte icastici, ma sempre tesi ad esprimere un rifiuto della quotidianità… una specie di erosione provocata da ciò che si accetta…
Ebbene, termini come “Iconostasi” che gioca con “stasi”, “lutulento”, “mi conquide”, “lo zinale della notte”; e versi come “Sono stanco di poetare/oggi voglio solo latrare”, “l’hai saputo della strage di Teotoburgo?”, “Fasullo è il mio frocetto preferito/Clodia la mia migliore amica/Aristide il filosofo che seguo con interesse/Evenemero è spassoso…”, “dice il balordo che addomesticherà i Cherusci…”, “che nominerà senatore il suo cavallo”, “Il cirenaico Egesia…” “il sannita Musonio…”, “si pavoneggia con il suo laticlavio”, presuppongono un autore di forte formazione storico-filosofica…
Sarà un “apostata che ha abbracciato il paganesimo…”, come suggerisce la Colasson? Ho i miei dubbi!
Ma chi potrebbe usare ” le quartine di Metastasio e di Sandro Penna in senso derisorio…”?
Giuseppe Gallo
Queste poesie mi sono piaciute subito. Non c’è nulla di indecente. C’è di più. Penso di aver capito perché in quel periodo e per circa un ventennio smisi di scrivere. Si poteva scrivere in maniera non decorativa solamente in questo modo. Lo ricordo bene il faccione di chi ci governava raffreddando i conflitti sociali, smobilitando energie che si erano accumulate negli anni precedenti. Occorrevano nani e ballerine di corte, non certo poeti. Bisognava essere all’altezza del nostro anonimo e avere la sua potenza dirompente per azzardare qualcosa, ma i miei erano mezzi di “fanciullino” e al massimo potevano sortire un like. Ciao
BISANZIO
Cominciò con un passaggio sotto l’Arc de Trionphe
Mettere a tacere il vapore in una caffettiera.
L’arrampicata al pozzo,
la chiusa di gemme sui papaveri.
Lazzaro lasciò il lapsus
Per un capriccio dell’intestino.
La lingua di una banca giunse a lambirci.
I parametri sparati da cassieri Tze-Tze
Mostreremo le lacune nel De Rerum
L’immortalità comprerà quote di marmo
Leggiamo il Corriere di Bisanzio:
La città è salva dal fuoco greco.
Se sale un turco in cucina,
ci difenderà l’odore d’ uovo marcio
Il discorso interrotto riprese a masticare
Si mise addosso le parole di J.F.K
Tutti gli alveoli a disposizione.
Quale il limite dell’ orrore?
Due torri bruciavano a notte
sbadigli di cielo nel giallo.
Nacque una Berlino al minuto
Spari sui semafori:
il rosso partorisce celerini
Saltella un ramarro nei duemila
Non basta il Tempo
Ma monetine al secondo
una muta di serpi
riprende le spire
una conferenza dell’acqua calda
sulle bollicine in sciopero
Un’altra sull’ortica col pifferaio
Sotto palpebra. E i topi?
Sorridono i mezzobusti
Mentre annegano nel verso sbagliato.
Francesco Paolo Intini
e.c. mezzibusti per mezzobusti.
I versi sono ben scritti, la rima ne esce nobilitata. Ma di contro la rima conduce al pieno senso, che altrimenti sarebbe di nuova poesia.
Concordo con Francesco Paolo Intini che in tutti quegli anni, nel ventennio ottanta e in quello novanta, era diventato impossibile scrivere poesia di una certa forza. l’Italia iniziò molto velocemente la discesa economica, politica e intellettuale… ma all’epoca la cosa non era vista da alcuno, Pasolini era morto nel 1975, Fortini sempre immerso nei suoi sogni utopistici non riusciva a vedere con chiarezza la situazione. Poi la crisi del Paese divenne sempre più profonda.
Io all’epoca ne ebbi contezza, vedevo le cose, facevo considerazioni ma la pressione del conformismo era davvero pesante. Lo Specchio Mondadori e la collana bianca di Einaudi cominciarono a pubblicare pseudo poeti a raffica, e tutto divenne più confuso… infine, nel 1995 uscì la Antologia dei poeti italiani a cura di Cucchi e Giovanardi, e il buio si fece totale. Nel frattempo erano uscite e uscivano miriadi di Antologie che seguivano logiche corporative e di singole consorterie letterarie.
Oggi, a distanza di quaranta anni possiamo iniziare a vedere le cose nella loro dimensione reale: per tutti quegli anni era diventato davvero difficile scrivere poesia non telefonata. Così le poesie dell’Anonimo romano vennero bocciate con argomenti speciosi e archiviate.
Mi fa piacere che oggi finalmente queste poesie «oscene» possano essere lette con una mente aperta e libera da pregiudizi.
Nel cesso alla turca del vespasiano
di Tor di Nona ho pisciato allegramente
sopra un nugolo di mosche verdi, azzurre
e dorate.
Questi versi hanno una delicatezza giapponese.
Anche Beppe Fenoglio, nei suoi epigrammi, non andava troppo per il sottile.
Eccone un esempio:
Hai, dicono, la bocca come il culo,
Ma di culo sei stitico, talvolta.