[Ecco la cover della Antologia della poetry kitchen in via di allestimento, opera grafica di Lucio Mayoor Tosi, che segnerà il coronamento di un percorso di ricerca che dura ormai da vari anni. L’Antologia, ovviamente, comprenderà gli autori che con più continuità e determinazione si sono mossi in questa direzione di ricerca]
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Giorgio Linguaglossa
La nuova metodologia del poetico
C’è stato un lungo interregno dal post-sperimentalismo al minimalismo italiano (all’incirca dagli anni sessanta al 2000) durante il quale ci si è soffermati sul «significante in eccesso». I romanzi di Giorgio Manganelli ne sono il miglior esempio; il peggior esempio di questa metodologia lo ritroviamo nella poesia di Edoardo Cacciatore. Poi è avvenuto che questo «eccesso» di significanti in libera uscita ha provocato la fine di quella stagione letteraria, con alcuni rigurgiti di significanti imbottiti e forclusi nell’orfanatrofio di uno pseudo simbolismo tutto italiano quale è stata la auto sedicente poesia neo-orfica.
C’è un «significante eccedente» che caratterizza la poesia contemporanea, questo è indubbio, ma ciò che caratterizza la poesia della nuova fenomenologia estetica della poetry-kitchen o pop-corn-poetry è una particolare idea di «significante eccedente». Pensare questa idea soltanto nel senso semantico come ha fatto lo sperimentalismo e la poesia tardo novecentesca, a mio avviso è limitativo e fuorviante. Qui occorre pensare l’«eccedente» nella accezione di uno scarto e di un residuo non assimilabile ad alcun significato stabilito, che eccede, che infirma l’Ordine Simbolico. A questo punto si apre uno spazio di «gioco linguistico» nel senso di Wittgenstein sconosciuto alla poesia del Moderno, impensabile dalla poesia del modernismo del novecento. È questo salto mentale che bisogna fare, altrimenti si ricade inevitabilmente nella poetica del significato e del significante.
Scrive Slavoj Žižek:
«Tramite il coraggio delle avanguardie artistiche, dal futurismo a dada, dal surrealismo al ready-made, sino al loro prolungamento nel dedalo dell’arte concettuale post-bellica, la provocazione è divenuta oggi una pratica non più provocatoria e una forma codificata. [É] in grado forse di darci qualche segno, qualche storta sillaba intorno alla nostra contemporaneità».1
Fantasmi, avatar, sosia, diplopia, salti spaziali e temporali costituiscono una metodologia del poetico in cui coesistono e coincidono elementi assolutamente contraddittori del soggetto che trovano luogo nella testualità della poetry kitchen che così risulta essere un prodotto di ibridazione e di eterogeneo, implantologia di elementi estranei e disparati. Una prassi di liberazione dell’immaginario è l’impegno concreto della nuova poesia, un nuovo progetto di impegno etico per il presente e il futuro.
Scrive Žižek: «ll potere dell’immaginazione nel suo aspetto negativo, distruttivo, disgregante, in quanto potere che dissolve il continuum della realtà in una molteplicità confusa di oggetti parziali, apparizioni spettrali di ciò che in essa esiste solo come parte di un organismo più grande?»2
Una volta chiesero a Federico Fellini dove avrebbe preferito abitare. Lui rispose candidamente: «a Cinecittà». Ecco, io direi che noi oggi siamo fortunati ad abitare in Italia. Ditemi, quale paese è più simile a Cinecittà del nostro martoriato Paese? Qui c’è di tutto. Nell’Immaginario del Politico ci sono: mascalzoni, malvissuti, malmostosi, portaborse, corrotti, fraudolenti, tagliaborse, monatti, untori, mangiafuoco, stampellieri, domatori di giraffe, palyboy da strapazzo, parvenue, paparazzi, voltagabbana e vomitevoli lustrascarpe… L’ideale per una poetry kitchen.
1 I. Pelgreffi, Slavoj Žižek, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2014, p. 31
2 S. Žižek, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, tr. it. a cura di D. Cantone e L. Chiesa,Cortina, Milano 2003, p. 37.
Guido Galdini
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica. Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018).
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Un limerick in onore della copertina
C’era un pollo di Borgosatollo
occupato a difendere il proprio collo
così è andato a nascondersi in cucina
per non finire in un pasticcio di gelatina
ma non trovando neanche un chicco da beccare
gli è venuto il ghiribizzo di poetare
le rime le rivoltava sghembe e diritte
le strofe si facevano sempre più fitte
non aveva alcun freno né alcun controllo
quell’ispirato pollo di Borgosatollo.
Gino Rago
Gino Rago, nato a Montegiordano (Cs) nel febbraio del 1950 e vive tra Trebisacce (Cs) e Roma. Laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza di Roma è stato docente di Chimica. Ha pubblicato in poesia: L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005), I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia italo-americana curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019) e nella Antologia Poesia all’epoca del covid-19 La nuova ontologia estetica (Edizioni Progetto Cultura, 2020) a cura di Giorgio Linguaglossa. È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole”. È redattore delle Riviste on line “L’Ombra delle Parole”.
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Backstage n. 23 sulla Antologia Poetry kitchen
La gallina si è risentita con l’autore della copertina
dell’antologia della poetry kitchen
tale Lucio Mayoor Tosi.
«Lei, Lucio Mayoor Tosi, è un tiranno,
un carnefice, un dittatore, un maniaco!
ne ho le tasche piene del giallo della copertina,
ho bisogno di aria, voglio essere libera!,
perciò caro Signore, esco dalla sua cover…».
Detto fatto.
La gallina va a passeggio per la Circonvallazione Clodia,
entra nel “Notturno n.8” di Marie Laure Colasson,
dice: «che roba è? », mette lo scompiglio nei colori, butta il viola,
raschia i neri, abbatte gli stipiti illuminati, rompe i vetri,
poi entra nella collezione della principessa Ludovisi Boncompagni,
allarga i tagli nelle tele di Fontana,
fa cadere il girasole di Van Gogh, toglie tutte le ombre
dalle piazze metafisiche di de Chirico,
si posa sulla testa di gesso del cavaliere di Marino Marini
e ci fa la cacca.
Qualcuno avverte il critico Giorgio Linguaglossa
responsabile del Servizio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani.
«La gallina è uscita dalla copertina della poetry kitchen,
è impazzita!, sta facendo danni a una pinacoteca!
È una questione della massima urgenza, intervenite subito!».
Due piedipiatti inseguono la gallina
la quale è entrata nel caffè letterario bar pasticceria di via Ostiense n. 101
dove ci sono due poeti che inneggiano alla poesia elegiaca,
fa un coccodè e la cacca su un vassoio,
vola sul buffet e fa volare cornetti,
brioches, croissants, marmellate di cedri,
bottiglie di Bourbon, l’amaro medicinale Giuliani
e anche due bottiglie di Petrus Bonekamp.
Poi fa la pipì sulle confetture di visciole e amarene, sulle ricottine,
sulle cassate, becca i tramezzini di tonno con i cetrioli,
il tutto mentre i poeti gorgheggiano…
I due agenti: «Si fermi, ha già fatto troppi danni,
non peggiori la situazione!».
La gallina allora va ad appollaiarsi sulla cima
del platano più alto di piazza Testaccio dalla quale spicca il volo
e atterra a piazza dell’Emporio,
dove i gabbiani la scovano, le girano intorno, la immobilizzano
e la fanno catturare dagli agenti.
La sera stessa presso il Servizio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani
viene messa in padella con pinoli e peperoni
per il gaudio del poeta Gino Rago, del critico Linguaglossa
e della pittrice Marie Laure Colasson.
Gino Rago
Nel suo taccuino René Magritte scrive: « I miei quadri sono pensieri visibili».
Il mistero, il “mistero più grande” per l’artista belga risiede nel dire la verità ed essere al contrario scambiati per cultori dell’assurdo; penso che valga anche per Lucio Mayoor Tosi e per la sua arte raffinata. Prima di pensare alla sua gallina, avevo pensato a lungo agli omini volanti di Golconde, dello stesso Magritte, perché credo che l’artista belga e Lucio Mayoor Tosi abbiano in comune una cifra etica ed estetica: l’ambiguità del «tutto è possibile». La gallina di Lucio Mayoor Tosi sulla cover dell’Antologia Poetry kitchen è simile agli omini sospesi della tela Golconde di Magritte sul cui movimento la mente (ascensionale? Discensionale? Saranno sospesi per sempre o vogliono uscire dalla tela, come la gallina fa con Lucio Mayoor Tosi, ribellandosi alla signoria di Magritte…?
Marie Laure Colasson
caro Gino,
mi sono molto divertita e seguire le peripezie della gallina di Lucio… indubbiamente ha fatto una brutta fine, ed io mi rifiuto di mangiarla, quindi la lascio a voi… Ho l’impressione che presto questa gallina sostituirà la famosa “pallottola” e ne vedremo di belle! Questa è davvero poetry chiken!
Ewa Tagher
“I saw a kitten eating chicken in the kitchen”. Guardando la copertina ideata da Lucio Mayoor Tosi ho pensato allo scioglilingua inglese: ma Lucio è un geniaccio! Poetry kitchen with a chicken! Simpatico il gioco di parole, e anche il rimando all’animale che come sottolinea Linguaglossa, va beccando qua e là scarti, rimasugli, generando, però, da quegli scarti, l’uovo, l’origine della vita, lo stato embrionale, il concentrato proteico, simbolo di rinascita, di abbondanza, di fortuna. Perciò, che questa antologia abbia tanta fortuna!
Penso che il limerick possa entrare a pieno diritto nella poetry kitchen o pop corn poetry. Il limerick vuole rendere manifesto che il rechnende Denken, il pensiero calcolante, che il valore di scambio nel quale è svanito l’essere, che la ratio complessiva del Tutto che riecheggia la famosa sentenza hegeliana «il Tutto è il Vero», è stata capovolta dal celebre assioma di Adorno che dice che «Il Tutto è il Falso».
Il limerick di Guido Galdini non è soltanto un mero gioco di parole ma vuole indicare la sproporzione tra un pensiero intrinsecamente falso e apologetico rappresentato dalla poesia ufficiale e un pensiero poetico che non accetta nulla del senso telefonato della poesia maggioritaria, quella che fa della cellula monastica dell’io il rifugium peccatorum della colpa e del mistero, e del sublime…
Grazie di cuore a voi tutti/tutte, mille auguri e un saluto con tutta la mia stima e amicizia,
Mariella (Bettarini)
In una poesia X puoi rilevare che c’è un ordine dei significanti e un ordine dei significati, e che tra i due ordini c’è un nesso.
In ogni poesia degna di questo nome si dà una ratio dell’economia politica dei significanti e una ratio dell’economia politica dei significati. Ma ratio + ratio, il risultato non è una ratio al quadrato ma una irrazionalità complessiva del sistema. È questa irrazionalità complessiva della ratio che la poetry kitchen vuole scardinare. E questo è un atto politico.
Per comprendere alla radice l’operazione di Mario Gabriele e della poetry kitchen penso che si debba pensare intensamente alla parola come una rappresentazione a-patica, sostanzialmente non-emotiva, priva cioè della sua funzione emozionale.
Qualcuno si chiederà legittimamente: Ma perché occorre far questo?. È perché se noi intendiamo il linguaggio come un qualcosa che consente l’empatia tra il soggetto e la parola, allora siamo fuori binario, ricadiamo nelle poetiche del novecento italiano e di questi ultimi due decenni epigonici. Nelle versioni della nuova poesia (che vanno da Mario Gabriele a Vincenzo Petronelli), l’empatia risulta barrata, barrata dal soggetto barrato. L’empatia risulta sbarrata, impossibilitata.
Questa scissione che si è introdotta tra la parola e il soggetto è un fenomeno del novecento, ma le prime tracce di questo fenomeno si trovano in The waste land di Eliot (1922).
Se ci ragioniamo un momento, questo fenomeno di Spaltung, di Scissione, ha reso evidente una seconda manifestazione: il raffreddamento delle parole, le parole tendono a perdere progressivamente risonanza emotiva. Questo è un dato di fatto inoppugnabile tipico delle società dell’ipermoderno telematico. Questa fenomenologia indica un mutamento delle condizioni ontologiche in cui si trovano i linguaggi, e i linguaggi poetici non possono non percepire questo lento e profondissimo bradisisma che interviene, giorno dopo giorno, a determinare enormi mutamenti del linguaggio e del linguaggio poetico.
Guido Galdini
1 ottobre 2020 alle 8:01
Restando in cucina (il nostro ambiente naturale) questa è la cottura passiva: come far cuocere gli spaghetti a fuoco spento.
Quando l’acqua raggiunge il bollore, gettare gli spaghetti e dopo due minuti mettere il coperchio e spegnere il gas. Il tempo necessario alla cottura è lo stesso di quella tradizionale, ma, in questo modo, oltre a risparmiare il gas, si evita la dispersione di amido e di glutine, la pasta assume un gusto più corposo e nello stesso tempo è più digeribile.
E’ da provare sia in cucina sia in poesia.
Giorgio Linguaglossa
caro Guido,
il principio del risparmio energetico (del gas nel caso degli spaghetti), è sicuramente un principio degno di essere seguito. Pescare tra gli ingredienti che ci sono in cucina per fare una poesia significa proprio questo. Gettando nella discarica il Sublime, l’io, l’epifania e il significante dispotico dell’Edipo…
Caro Giorgio, hai ragione quando descrivi ‘ L’Immaginario del Politico’ nel nostro ‘martoriato Paese’.Penso, però, che ci siano altri Paesi che non possono invidiare il nostro circo. Inghilterra e Stati Uniti, con Boris Johnson e The Donald, ,hanno dato e danno uno spettacolo degno di Cinecittà, il grande Fellini avrebbe concepito un film indimenticabile.Anche io mi sono divertita leggendo la fuga della gallina, ma concordo con Marie Laure Colasson, non la mangerò. Complimenti per il tuo articolo,per l’antologia, per gli interventi e i per i commenti, mi sono gustata tutto.
a proposito del soggetto mancante
Il soggetto per Zizek viene situato all’interno dello spazio vuoto (tra Simbolico e Reale) che viene a crearsi, spazio vuoto privo di contenuto in cui emerge un soggetto a sua volta vuoto, che però è fondamentale per il passaggio da un ordine all’altro. È questo divario il luogo della soggettivazione, se non ci fosse alcuna discrepanza tra un oggetto e la sua rappresentazione simbolica (la parola), allora non ci sarebbe nemmeno il soggetto perché ci sarebbe totale identificazione.
Il soggetto si caratterizza come la risposta del Reale alla domanda del Grande Altro; è il vuoto dell’impossibilità di rispondere alla domanda che l’Altro pone.
Se non ci fosse un vuoto da colmare non ci sarebbe nemmeno la possibilità di un processo di soggettivazione, se ci fosse piena coincidenza tra i due ordini che cosa si dovrebbe soggettivizzare? Nulla.
Zizek riprende un saggio di Aron Bodenheimer dal titolo
Perché? Sull’oscenità del domandare.
La tesi che qui viene sviluppata ci mostra come nell’atto del domandare ci sia qualcosa di osceno, indipendente dal contenuto della stessa domanda. Se non, è il contenuto ad essere chiamato in causa, è la forma in quanto tale ad essere oscena: la domanda denuda il suo destinatario, invade la sfera della sua intimità ed è per questo che spesso la reazione è quella di un sentimento di vergogna. Anche se una domanda si riferisce ad un dato di fatto, rende sempre il soggetto formalmente colpevole: colpevole per la sua impotenza di fronte a questo dato di fatto.
Se dunque la domanda ha il potere di esporre la vulnerabilità del soggetto significa che, nel momento in cui viene posta, ha il compito di mirare al punto di impotenza presente nell’individuo. Ne segue il fatto che è nella sua stessa natura generare sentimento di vergogna nel momento stesso in cui viene posta; questo accade perché mira al nucleo più intimo del soggetto1.
1 S. Zizek, L’oggetto sublime dell’ideologia, tr. it. a cura di C. Salzani, Ponte alle Grazie, Firenze 2014, p. 218
Ispirata dagli ultimi interventi di Linguaglossa e dalla vivace partecipazione sulla rivista, farfuglio tentativi.
SCENA 16. TENTATIVO PER UN FILM.
“Le rive del Tevere dopo il tramonto:
nient’altro che trappole per topi”.
“Viktor! Dovresti ripetere la battuta,
la T di Tevere aveva echi calcistici.”
Oltre i ponti, al di là della città
Ewa incornicia fiori secchi, cocci, disfonie.
Dopo l’ultima mareggiata
resta in campo solo il malessere
l’entropia delle parole ha fatto sparire
ogni possibilità di fuga in avanti.
“Luci! Ma non vi accorgete che alla scena manca il delitto?
Portate assi, chiodi, sangue finto e curatéle”.
Occasionalmente Viktor parla alla regia
che ascolta solo le “r” le “s”, mai una vocale.
Ewa ha sentito dire che cercano una comparsa
così non perde l’occasione di farsi suora.
“Spostate il punto di vista! Così più in alto,
ecco finalmente viene fuori lo zenit!
Non una parola in più, il regista
si lascia morire sotto l’orsa maggiore.
Oltre il Danubio il film viene censurato,
troppa violenza a ridosso del break
oramai gli spettatori preferiscono
perdere tutto al primo giro di carte.
Ewa e Viktor con i cestini del pranzo in mano
intonano l’Internazionale, con accenni pop
il corrimano del metrò che lascia Cinecittà
tiene stretti i denti fino a frantumarli.
cara Ewa Tagher,
quello che viene in rilievo leggendo la tua poesia è proprio quello che dicevo poc’anzi: il raffreddamento delle parole, l’ibernazione delle parole, il loro perdere progressivamente l’alone affettivo, la risonanza emozionale che le apparenta all’uomo. Perché è avvenuto tutto questo? Diciamo innanzitutto che la soggettività è linguisticamente articolata. Prima del linguaggio c’è l’animalità. Dunque la parola, il discorso, il logos è quella potentissima istanza di mediazione che permette all’umano di diventare umano, ma questo progressivo diventare umano lo si raggiunge mediante una de-soggettivazione, attraverso l’articolazione linguistica che si insinua nel vivente e nel parlante, e lo fonda come entità umana.
È ciò che è nella voce – come dice Aristotele – che è importante, non la «voce» in sé. Ciò che è nella voce lo conserva la poesia. Ma oggi ciò che è nella «voce» è questo vuoto a cui diamo il nome di nulla, e il poeta non ha alcun diritto di mettere della zavorra nel nulla, zepparlo, riempirlo di parole estranee e improvvide. Le passioni dimorano dentro la «voce», sono loro che danno forza, timbro ed alone alle parole. L’uomo può fare esperienza delle passioni solo in quanto fa esperienza della propria «voce», solo in quanto è in grado di oggettivare la propria «voce». Nell’«aver luogo del linguaggio» – dizione di Agamben – si ha anche il luogo della «voce». Non c’è linguaggio senza voce articolata.
L’uomo «è la soglia centrale attraverso la quale transitano incessantemente le correnti dell’umano e dell’inumano, della soggettivazione e della desoggettivazione, del diventar parlante del vivente e diventar vivente del logos». (Agamben)
Nel tuo verso «Ewa incornicia fiori secchi, cocci, disfonie» c’è tutto quello che ho detto sulla «voce», questo disseccarsi delle tonalità e del timbro della voce corrisponde a questo assottigliarsi della soglia dell’umano. È così che va recitata la tua poesia, con una voce afona, disfonica, secca. È l’esistenza anarchica degli uomini di oggi (l’anarchia del capitalismo) che induce ciò nel linguaggio rendendolo asemantico, afono, cacofonico, atonico. Ciò è iscritto nell’antropogenesi linguistica dell’uomo, nella sua dimensione asociale e olistica indotta dal modo di vita del capitalismo; in fin dei conti le passioni corrispondono all’antropogenesi linguistica dell’uomo, ed essa non presuppone alcun fondamento ulteriore. È mera esistenza anarchica. L’esistenza dell’androide umano.
Sulla posizione poetica come Stimmung.
“Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi.”
“La pagliuzza nel tuo occhio è la migliore lente di ingrandimento.”
“L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità.”
“Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine.”
Caro Francesco Paolo Intini,
Questi aforismi di Adorno, tratti da Minima moralia del 1951 sono il miglior commento che io possa fare alla tua poesia. Ai quali ci aggiungerei quest’altro di mia produzione: «Le parole hanno dimenticato le parole».
«Ciò che resta lo fondano i poeti» (Hölderlin)
E infatti, ciò che resta sono i materiali combusti, le scorie radioattive, il compostaggio, materiali inerti, non riciclabili, biossido di carbonio, scarti della combustione, scarti della produzione, le parole sporcificate…
Acutamente, Ewa Tagher afferma che le sue poesie «sono errori di manifattura», errori della catena di montaggio delle parole biodegradate, fossili inutilizzabili… Sono queste parole che richiedono la distassia e la dismetria, sono le cose combuste che richiedono un nuovo abito fatto di strappi e di sudiciume. Non siamo noi i responsabili.
La poesia nasce sempre da una «posizione». L’uomo prende una «posizione» nella vita di tutti i giorni. Ed intona un accordo, una voce. Prima o poi è necessario prendere una «posizione», non ci si può sottrarre a questa esigenza, non possiamo sottrarci tutta la vita a questa necessità. I poeti che si sottraggono a questa necessità, in realtà fanno chiacchiera, producono parole superflue e imbonitorie, polinomi frastici. L’esserCi è già sempre situato emotivamente in una «posizione», siamo ciò che la posizione ci dice di noi.
Oggi va di moda restare nella «posizione» che si ritiene più idonea di vantaggi immediati, ma si tratta, appunto, di vantaggi immediati, che reclamano visibilità, vetrina, applausi, I like, auto storicizzazione. La produzione di polinomi frastici (in politica, nella comunicazione, nell’arte) ha oggi raggiunto livelli di allarme, si tratta di un rumore di fondo che cresce ogni giorno di più.
Ricevo e leggo molti libri o PDF di poesia. Gli autori mi chiedono un parere. Io di solito rispondo che si nota che l’autore ha cessato ogni ricerca. Di solito gli autori restano sbigottiti e allora io gli chiedo di rispondere prima a questa semplice domanda: «Quale poesia scrivere dopo la fine della metafisica?».
La risposta è sempre il silenzio.
Quello che io intendo è una «posizione» esistenziale, una modalità, una Stimmung, un modus non una «posizione» utilitaria, o comunque sinallagmatica e privatistica, è di una posizione metafisica ciò di cui io parlo, che abita il passato remoto, che poi è la dimensione dove regna l’Assoluto, e la dimensione del futuro dove regna l’Aleatorio, colui che verrà e di cui nulla sappiamo. È difficile inoltrarsi nel passato dell’Assoluto, ma solo sondando quella soglia di cui non vi sono orme ma solo tracce che noi possiamo attingere ciò che è a noi proprio e ciò che è di più intimo a noi.
Se c’è un aspetto che la poesia buffet o la poetry kitchen mette alla berlina è il cinismo posiziocentrico. I cinici di oggi scrivono una poesia comunicazionale e istrionica, paperonica pensando di apparire à la page, non sono cinici e neanche disperati, sono semplicemente neutri, raggomitolati attorno all’io, raffreddati…
Ormai siamo tutti quanti affetti da raffreddore, un raffreddore invisibile, impalpabile, incorporeo… un po’ come le parole che abitiamo ed impieghiamo: parole neutre, raffreddate, congelate se non ibernate. Con quelle parole non possiamo costruire che cattedrali di carta che un alito di vento …
La poesia posiziocentrica che fanno i cinici di massa di oggi, i produttori di polinomi frastici che va di moda oggi è piena di un io ipertrofico, piena di sarcasmo narcissico. Ebbene, quella poesia non ci riguarda, non ci riguarda il gesuitismo destrista e postruista dei «poeti» di comunione e liberazione …
«…Una sindrome sociale psicopatologica che è stata definita dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk col nome di Zynismus per distinguerla dalla corrente della filosofia antica che in tedesco si chiama Kynismus.
Il cinico dei giorni nostri sarebbe, secondo Sloterdijk, un melanconico ancora in grado di controllare i suoi sintomi depressivi, mantenendo una capacità produttiva. Mentre il cinismo antico era una forma estrema di individualismo in lotta con la società del suo tempo, il cinismo moderno è qualcosa di così capillarmente diffuso nella società occidentale da costituire la vera garanzia di integrazione in qualsiasi ambito d’attività. Quanto al rapporto che l’individuo ha con sé, esso si riduce a un lavoro di auto rappresentazione, di costruzione di un’immagine di se stessi che sia conforme ai modelli suggeriti dalla pubblicità, dalla moda e dall’industria culturale.
In questo vuoto intellettuale, spirituale e affettivo sono le provocazioni del consumismo sfrenato e del neonazionalismo ad avere la meglio su qualsiasi progetto razionale…»,1
1 M. Perniola, Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, 2009, p. 107
Alcuni nodi della storia dell’arte, della Letteratura italiana post-bellica, della filosofia estetica, della chimica-fisica, della nostra storia politica recente, e di altro,interpretati da una pallottola.
Ovvero, l’arte, la letteratura, la filosofia estetica, la scienza, la politica condiderate dal punto di vista di una pallottola.
La quale ripudia il tempo e sceglie lo spazio.
Da qui la poesia verso lo spatial turn, verso il “terzo spazio”.
Gino Rago
Backstage n. 22 storie di una pallottola
Ilia Prigogine dice:
«Non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni».
E infatti il macinacaffè della poesia elegiaca ha preso la direzione sbagliata
ed è finita fuori campo.
La sedia di van Gogh ha traslocato,
adesso è finita in un quadro di De Chirico.
La «sartoria teatrale» di Montale ha lasciato il campo alla poetry kitchen.
La notizia viene udita da uno scrittore di Urbino
mentre litigava con la vecchia moglie.
Il fatto viene incriminato dal commissario don Ciccio Ingravallo.
I primi sospetti cadono su un’amica di famiglia
dell’agente di pubblica sicurezza che addestrava il cane poliziotto
esperto in droghe di ogni tipo
amico del commissario.
Il veterinario che ha fatto l’autopsia ne parla con i giornalisti
con voce stentorea nel corso della conferenza stampa
davanti all’obitorio del Policlinico.
«I poeti elegiaci sono tutti delle carogne!»
gridano gli elettori delle sardine
riuniti a piazza San Silvestro a Roma.
Al Commissariato di P.S.
e all’Ufficio Affari Riservati
di via Pietro Giordani regna il trambusto,
sospettano sui servizi deviati dei poeti di Mediolanum
per tenere in vita il «mini canone»,
una costola di Il Canone Occidentale di Harold Bloom.
Misteriose indagini portano ad una scatoletta di carne Simmenthal
responsabile del sequestro dell’Onorevole Moro nel 1978.
Il dott. Linguaglossa dice che la gelatina è fatta con il brodo di carne
al quale si aggiungono delle tracce di Marsala
e un gelificante per la consistenza del tutto …
Il governo è nella bufera, si cerca l’onorevole nel lago della Duchessa.
Leonardo Sciascia telefona al critico poeta Giorgio Linguaglossa
dell’Ufficio Affari Riservati,
gli dice di cercare la valigia di pelle di bisonte con doppio fondo,
lì ci sono delle sorprese.
Dice anche:
«Caro Linguaglossa, troverai il bandolo di questa matassa
in un verbale di Edoardo Sanguineti
scritto alla fine del terzo giorno di lavori del Gruppo 63, a Palermo.
Ne sa qualcosa anche Alberto Arbasino …».
Gesualdo Bufalino è al Caffè Notegen di via del Babuino
per la presentazione del suo romanzo Dicerie dell’untore.
Dice che nel suo romanzo ci sono tracce del Covid19…
Lucio Mayoor Tosi dice: «3 + 3 fa 7. Signor commissario,
la responsabile del sistema instabile è Madame Colasson
con le sue “Strutture dissipative!” … Arrestatela!».
Moravia e la Morante al Caffè Canova a Piazza del Popolo.
Bevono un chinotto con un cubetto di ghiaccio,
uno spicchio di limone e un rametto di rosmarino.
Tano Festa e Franco Angeli litigano con Pignotti e Isgrò sulla poesia visiva.
Madame Colasson espone le sue «Strutture dissipative»
alla galleria Al Ferro di Cavallo
di Agnese De Donato a via Ripetta n.67.
Dice:«Come sappiamo,
la forma poliedrica dei cristalli consegue
dalla sua velocità d’accrescimento
la quale si manifesta come proprietà anisotropa discontinua,
cioè con valori diversi
nelle varie direzioni di accrescimento.
La “struttura cristallografica”
è una struttura a risparmio energetico massimo».
Sulla sedia di van Gogh si siede Mario Lunetta.
E’ alle prese con la «scrittura materialistica».
Interviene Linguaglossa:
«Il programma della poetry kitchen è liberare la “differenza”
e la “divergenza”,
dar vita a un pensiero poetico privo di contraddizione …
Qui il principio di ragion sufficiente è fuori gioco …»
*
ROTA o NIENTE.
Non è così che funziona ma se vuole
le mostro le primizie del cortile.
Una ricetta fa cortese omaggio di ticket.
Lei non è esente, ha becco di pinguino e non abbaia.
Rosso o bianco? Schizza un tuorlo, si sente l’ interno d’uovo
Rosicchiare carne umana. Spezzatino al burro e salvia.
Il delitto è stato compiuto in TV ma fa lo stesso.
Tutte le password sono nel libro di cucina di tua moglie.
Si è Filini abbastanza a tre passi dalla concezione.
Quante dimensioni ha lo stomaco?
Un eldorado sempreverde mai toccato dalle fiamme
Una medusa con tentacoli di padovana.
E poi un gallo si fa sentire. Non è mica il caso
di alzare la cresta e svegliare un caseggiato intero.
Se sfugge qualche brandello di ebola o di vibrione non è Congo.
E’ rimasto belga e fa finta di essere Italia.
Ci sarà alla prima di 8 e 1\2 su TEAMS?
E alla tesi di Giovanna d’Arco sulle visioni del 2020?
Il delfino ha qualche secolo nelle squame,
ma fa lo stesso se ha un’elica e sa fare coccodè.
Anche la bocca è bloccata nell’ inquadratura,
C’è un male nel digitale, un credersi puzzle e chiocciare buche.
Non potrà più beccare in cielo, farsi spazio nel vapore
e mangiarsi il poco tempo riciclato.
Metterà giudizio a novembre, bacerà versi alla chitarra
porterà in un tram denti cariati e li sostituirà con un ponte d’oro.
Pronto? Qui è via Omodeo, mi passa Brooklyn?
Dov’era il cinema di sesso c’è solo un listato di coscia lunga.
Ci sarà un miracolo non appena gli occhi indicheranno
un uovo pronto alla catena di montaggio.
Mettetelo nell’ East River a primavera.
Il piumaggio è delle cariatidi che sostengono il cartongesso.
Dov’è finita Sparta? Ci sono nuove offerte a Lesbo.
La pentola è piena, sostiene il metano nella performance.
Emerge una zampa di Leonida alla Persiana.
Ci sarà una ragione per cui nel 1963 un pulcino del Peloponneso
rimase imprigionato per tre ore nello scolo del terrazzo.
Dovette intervenire Pericle per zittire un cardellino
Che non lodava le baccanti.
Un delitto alla volta. Aspettiamo la grandine e avrete soddisfazione.
Vale la pena vivere sotto il tavolo e lasciare che i bicchieri cozzino da soli.
A quel tempo si brindava a missili e la lingua sbatteva di qua di là.
Come a Komodo ma più Dumbo.
Lei mi cita Walt Disney (che non sa nemmeno pronunciare)
quando dovrebbe sapere almeno una frasuccia di Sartre.
-Una gallina è sempre incinta, un manovrare di ali che rasenta il volo
La meccanica di Leonardo in una caduta di elettrone.
Dal primo piano in palcoscenico
Filini è Fellini più un fotone, ovvio.
(Francesco Paolo Intini)
COME DIMENTICARE?
Fasti dei mattini di albe in bottiglia.
Tempi di feste. Battiti di cuore e
Fiamme di baci. Sporche verità
Di stagioni celesti frutti d’oro assaporano
Tessono lontano voci tremolanti
Mari e oceani di notti pallide
Nei paesi arcipelaghi ove i capelli
Donne d’ambra e lava si lavano
Col balsamo della luna e uomini
Frutti della passione nelle palpebre
Di angeli ubriachi si mutano.
Bigiotterie. Colori. Fate. Flauti.
Feste. Cuori bagnati di lacrime.
Amori. Senza fuoco. Morti dimenticati
nel buco nero della memoria oscura del creato.
Attese. Popolazioni di speranze.
Orizzonti di eventi. Aliti di lirismo e alibi.
Come dimenticare?
Riporto un stralcio di saggio su Leopardi che avevo scritto un po’ di tempo fa (mai pubblicato). La figura della gallina ha radici profonde, in Italia!!!
Si tratta di un brano inserito nell’analisi del canto La vita solitaria.
“Ecco dunque che si è riportati nuovamente al motivo della figura del sovrano, cioè di quella figura che racchiude e riassume, o che si trova tra, la figura del monarca, dalla violenta vita letteraria, più che letterale, e la figura del tiranno, dalla violenta vita letterale, più che letteraria. Questa contrapposizione tra monarca e tiranno (che trova soluzione nel sovrano) corre in parallelo a quella più popolare, rurale, primitiva, fra, da un lato, l’abitatore dei campi e il cacciatore, dalla vita più letteraria che letterale, e, dall’altro lato, il ladro e il vile drudo, dalla vita più letterale che letteraria (le due compartecipano sempre, in misura magari diversa ma sempre, sempre, compresenti, a partire, per esempio, dall’iscrizione della nascita nel registro civile). Che la figura intermedia fra questi due lati sia quella della gallinella? che si possa dunque delineare un altro parallelismo (invertito) fra il sovrano poeta ispirato, dalla vita più letteraria che letterale, e la gallinella che esultando batte le ali, dalla vita più letterale che letteraria? Potrebbe apparire un’operazione piuttosto ardita, ma come non ricordare che lo stesso Leopardi si paragona a Il passero solitario? e che scrisse due Operette morali, una dal titolo Elogio degli uccelli e l’altra Cantico del gallo silvestre? E come non ricordare L’albatro del Baudelaire? e quello del Nietzsche? A ognuno l’uccello suo … (Cfr., a proposito del parallelismo fra una o più bestie e il sovrano: N. Machiavelli, Il principe, Milano 2008, e J. Derrida, L’animal que donc je suis, Paris 2006 o anche La bête e le souverain, Paris 2008). Per conchiudere il discorso su questo scabroso e scomodo argomento, non si può non rimarcare la differenza fra volatili scelti da questi vari autori citati; anzi, il Leopardi non sceglie, per questa poesia, nemmeno un vero proprio volatile: la gallina è, notoriamente, un uccello che non vola. Che dietro queste scelte si riveli un diversissimo modo di intendere la figura del poeta moderno? Nella cultura anglosassone il poeta si percepisce, evidentemente, come un essere superiore agli altri (l’albatros è l’uccello marino dalle grandi ali che vola altissimo nei cieli), i quali altri sono colpevoli di attirarlo a terra senza dargli al possibilità di riprendere il volo. La gallina leopardiana, invece, soffre di una sorta di mancanza naturale e non è a causa di altri umani che essa non riesce a staccarsi dal suolo, se non per pochi secondi: la figura del poeta risulterebbe così rappresentare un essere inferiore agli altri viventi.
Innanzitutto ringrazio infinitamente Giorgio per avermi citato nel contesto dei poeti Noe – ormai la mia dimora poetica, – peraltro accanto ad un punto di riferimento assoluto per me come Mario Gabriele. Grazie davvero per la stima, caro Giorgio. Come ho già scritto nel mio intervento dell’altro ieri, trovo che il concetto di “Poetry kitchen” costituisca il raggiungimento del diapason dell’opera di destrutturazione del linguaggio poetico italiano convenzionale cui è protesa la Noe, attraverso l’immagine di fabrilità del laboratorio poetico, di una sorta di artigianato creativo, direi sartoriale, che sottosta a questo progetto, di cui si è persa traccia nella poesia italiana salottiera degli ultimi decenni. Mi fa particolarmente piacere in tal senso, la sottolineatura della forza espressiva insita nel limerick, poiché personalemente ho sempre nutrito una grande passione anche per la poesia comica, che a mio avviso trova la sua estrinsecazione più compiuta in forme come il limerick, il calembour, il pastiche linguistico. Come insegna la tradizione della grande comicità teatrale o cinematografica (a cominciare dalla stagione della commedia italiana del secondo dopoguerra), essa è probabilmente lo stumento più alto di ricostruzione del mondo grazie alla sua capacità di destrutturare e ricostruire il mondo di significati convenzionale, grazie lla sua corrosività, che presuppone alla base una profonda comprensione dell’emprico per poterlo trasfigurare nel surreale, alla ricerca delle concrezioni profonde del fenomeno umano. Ho molto apprezzato il limerick di Guido Galdini e la lettura della vicissitudini della gallina della “Poetry kitchen” di Gino Rago e lo scritto di Ewa Tagher. Ringrazio Giorgio per questo spunto di notevole spessore ed intuizione poetica. Posso dire di sentirni davvero nella cucina di casa mia. Buona serata a tutti voi, cari amici della Noe.