Petr Král (1941-2020) Quattro poesie inedite, traduzione di Antonio Parente, Sulla poetry kitchen

Král nasce a Praga il 4 settembre 1941 da una famiglia di medici e muore il 17 giugno 2020. Dal 1960 al ’65 studia drammaturgia all’Accademia cinematografica FAMU. Nell’agosto del 1968 trova impiego come redattore presso la casa editrice Orbis. Ma, con l’invasione sovietica, è costretto ad emigrare a Parigi, la sua seconda città per più di trent’anni. Qui, Král si unisce al gruppo surrealista, che darà un indirizzo importante alla sua poesia. Svolge varie attività: lavora in una galleria, poi in un negozio fotografico. È insegnante, interprete, traduttore, sceneggiatore, nonché critico, collabora a numerose riviste. In particolare, scrive recensioni letterarie su “Le Monde e cinematografiche” su “L’Express”. Dal 1988 insegna per tre anni presso l’”Ecole de Paris Hautes Études en Sciences Sociales” e dal ‘90 al ’91 è consigliere dell’Ambasciata ceca a Parigi. Risiede nuovamente a Praga dal 2006. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti: dal premio Claude Serneta nel 1986, per la raccolta di poesie Pour une Europe bleue (Per un’Europa blu, 1985), al più recente “Premio di Stato per la Letteratura” (Praga, 2016).

Tra le numerose raccolte poetiche, ricordiamo Dritto al grigio (Právo na šedivou, 1991), Continente rinnovato (Staronový kontinent, 1997), Per l’angelo (Pro Anděla, 2000) e Accogliere il lunedì (Přivítat pondělí, 2013). Curatore di varie antologie di poesia ceca e francese (ad esempio, l’Anthologie de la poésie tcheque contemporaine 1945-2002, per l’editore Gallimard, 2002), è anche autore di prosa: ricordiamo “Základní pojmy” (Praga, 2003), 123 brevi prose, tradotte in italiano da Laura Angeloni nel 2017 per Miraggi Edizioni. Attivo come critico letterario, cinematografico e d’arte, Petr Král ha collaborato con la famosa rivista “Positif “e pubblicato due volumi sulle comiche mute. Antonio Parente ha tradotto di Král molte poesie in italiano pubblicate da Mimesis, Tutto sul crepusculo nel 2015.

petr kral

Nei giorni invernali

Una mano nell’oscurità preme
l’interruttore, il neon lampeggia esitante. Il buio dormiente
soltanto da lontano striato da un’opaca apparizione: per metà un tremulo locale e per metà forse anche l‘intero paesaggio cinereo, con un mucchio fumante di abiti
– forse carne –
umidiccio di stelle e della colpa occulta. E di nuovo l’oscurità, di nuovo chiedere
soltanto: di cosa è impallidito il sangue, cosa di nuovo annega di notte
sotto la superficie delle parole. Tanto a lungo finché la luce s’impietrisce
e immota rivela
l’estensione originale di una scena cenerina, vuota.

(Per l’angelo, 2000)

Hotel Mercurio

Questa volta senza barba su ritratti illustrissimi
bussa qui nudo alla sua porta
forse ha in mano la chiave
e i bambini devono fare il giro fino al ponte
È autunno, i pescatori seduti sul ramo
gridammo la data odierna vendevano i biglietti di ieri
quei ragazzi però volevano vedere solo il culo della moglie del consigliere
che irradiava l’azzurro della sera dalla porta della stanza
dove pulisce il sangue

(L’era dei vivi, 1989)

È qui

Buoni a nulla
e battifiacca, ah,
è qui, il giorno,
getta il suo sguardo su di noi.

Il giorno odierno, non chiede
nulla,
è qui, raccoglie il bucato,
aduna i resti delle famiglie.

Dimenticate il pudore
e le pretese, è qui,
veglia
ai piedi delle vie.

È qui il giorno,
mi conosce
quanto voi, apre in noi
gli stipiti,

scrive sulla nostra pelle
i messaggi per gli altri.
Il giorno,
è qui più di noi,

e in noi fa luce
da lontano, date pure
un’occhiata intorno,
travi, pennoni abbattuti;

alzatevi,
è giunto il giorno,
sdraiatevi,
è qui,

scarica la luce
sul marciapiede,
in piedi, lui stesso chiede
del giorno,

incede
senza vanto,
sale d’attesa, prestiti,
recessi,

capannelli vari,
grassi.
È qui il giorno,
avvicinatevi adagio,

senza lampada
e impacco,
passate
accanto agli attrezzi,

voltatevi
di spalle;
è ovunque,
ovunque gemono

i cardini, ristagnano
le acque ad alto fusto,
siete dappertutto inastati
nel giorno,

issate la bandiera, deponete
le valige,
vuoti e pervasi
dal giorno.

(Accogliere il lunedì, 2013)

Alla sconosciuta fulva del treno per Parigi, agosto

Con occhio cisposo scrivo
nel tuo
di biglia verde piena di bava e silenzio
di un mare straniero

spaccata dal rugginoso sole mentre la fai rotolare
verso il muro bianco
Fessura di bocca Zazzera arruffata contro il deserto
candore come uno scoppio e un grido

Il tempo scalpiccia qua e là
sulle assi I convogli
militari sospirando
avanzano tra i vagoni

Sollevati da un’ondata da un antico
terrore sei un animale di trasporto
Una lampada del corpo inestinto
raggiante nella casa ignuda degli anni del saccheggio

(Per l’angelo, 2000)

Giorni

Piedi nudi che continuano a vivere limpidamente
sfiorano leggermente la fresca notte
nella pietra

(Il continente rinnovato, 1997)

Giorgio Linguaglossa

La poetry kitchen, la buffet-poetry, la poesia pop-corn è una spettrografia

un’azione ibridante di simulacri e avatar, di luoghi, personaggi e situazioni disparati. La spettrografia è la condizione irriducibile della singolarità umana giunta al punto della esistenza meramente bio-logica, un dispositivo di registrazione e trasmissione a distanza di qualcosa che non può più essere un messaggio, fors’anche in bottiglia. La poesia di Petr Král è un antecedente importante di ciò che noi pensiamo sia una poesia kitchen, fatta in casa, con gli strumenti e gli ingredienti che troviamo a disposizione nella dispensa, una poesia che viene dopo la fine della metafisica.

La morfologia di questo tipo di  scrittura spazia entro un’ampia gamma di sottogeneri: journal intime in forma epistolare, autoritratto, autobiografema, autobiologia, témoignage fictif, dialogue fictiv, intervista biografica, commento di cronaca e ready made, video documentario, testo testimoniale. Ma è anche vero che tutte queste sono categorie già codificate dagli specialisti del “genere”, ma è che qui si trovano a dover coabitare tutte insieme. È vero anche che si tratta di uno stile frammentato, densamente popolato di rinvii, di momenti cripto-autobiografici, di notizie di cronaca, di maschere, di auto-correzioni, di tentativi di autocritica, di iperboli cioè tutte articolazioni che limitano la presentazione di sé entro un’estetica del mero montaggio e che rinviano ad una struttura testuale che inaugura la discontinuità del tempo narrativo e dello spazio. Si tratta, in fondo di una scrittura frattale. Essa è strutturalmente molteplice e pluristilistica, capace di ospitare più autobiografismi  di nuovo conio dentro una stratigrafia cronachistica, fantasmatica e autobiografica.

L’ibridizzazione, la privatizzazione, la tribalizzazione generano un nuovo dispositivo testuale, denotabile come finzionale/testimoniale. Qui l’autentico, l’inautentico, l’in-autenticabile, il falso, il simulacro, il similoro, il gioco di specchi, l’entanglement, l’interferenza, la peritropè, la catacresi e la metafora sono costantemente intrecciati, organicamente incorporati nell’orditura del testo, guidato da una forma di spiccata artificialità. La continuità del testo è costantemente interrotta dalle interferenze di formazioni enunciative di tipo teoretico, da enunciati consunti della pubblicità, frasi fatte, descrizioni di fotogrammi di film o di fotografie. «Una scrittura senza modello e senza destinatario garantito».

Per finire: una Stimmung apatica che si esterna in politonie caratterizza lo stile di questo nuovo tipo di scrittura che è anche un nuovo concetto del reale che implica la massima perentoria di dover «reinventare il reale» (Baudrillard) e che misura la distanza che è intercorsa «dal postmoderno alla postverità», la quale altro non è che «la popolarizzazione del principio capitale del postmoderno (ossia la versione più radicale dell’ermeneutica), quello appunto secondo cui “non ci sono fatti, solo interpretazioni […] Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità (vale la pena di osservare che la fine dei grandi racconti coincide – in forma del tutto coerente con la creazioni di “razionalità regionali” – con i primi casi di negazionismo».1

1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 113

 

13 commenti

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13 risposte a “Petr Král (1941-2020) Quattro poesie inedite, traduzione di Antonio Parente, Sulla poetry kitchen

  1. Nella lezione 31 di Introduzione alla psicoanalisi, Freud pronunciava
    le celeberrime parole: “Wo Es war, soll Ich werden”. La traduzione del testo sarà luogo di scontro che vedrà contrapposte da una parte la corrente dei post-freudiani, per cui «dove era l’Es, deve subentrare l’Io»1 – se non addirittura «Le moi doit dèloger le ça. L’io deve sloggiare l’es» nella traduzione francese – dall’altra la psicoanalisi lacaniana, che nasce e si fonda sulla critica feroce di qualunque ortopedia dell’Io: «Là dove c’était, possiamo dire, là dove s’était, s’era, vorremmo far sì che s’intendesse, è mio dovere ch’io venga ad essere».2

    Il problema di un dover essere là dove in principio si era, nel luogo in cui una traccia si è impressa e da cui solo posteriormente avrà origine il movimento del senso, rimanda immediatamente alla questione
    dell’etica della psicoanalisi: Cosa deve orientare il mio vivere? Come e cosa desiderare? Qual è il punto di incontro tra la pulsione e il progetto della civiltà?

    Possiamo affermare che la poesia di Petr Kral si muove, oscilla tra l’Es e l’Io?. È questo il problema che io vorrei porre. E, inoltre, non è questo medesimo problema quello che sta al centro del fare poetico della più aggiornata poesia di oggi?

    Se non c’è un apparato significante, cioè un linguaggio, a supportare la colonizzazione del mondo da parte dell’io e del senso, tutto ciò che rimane sono intuizioni cieche. Qualcosa viene visto ma non rappresentato, laddove la rappresentazione è l’unità simbolico-immaginaria di una realtà psichica che attinge alla realtà esterna.

    È la struttura elementare dell’esistenza, che «nomina un attendersi là dove non si è ancora e un ricordarsi là dove non si è più».

    Das Ding è ciò che Lacan colloca, nel Seminario VII, al cuore del desiderio umano, zona incandescente da cui il principio di piacere prende le distanze.
    Fremde, straniero interno, «primoesterno»,3 ciò che è vissuto dal soggetto ma da cui egli sempre prende le distanze perché fonte di angoscia. Lacan dovrà coniare il termine “estimo” per descrivere la natura interna-esterna di Das Ding, ciò che mi è intimo ed esterno. Vediamo qui come tanto il concetto di Es quanto quello di Das Ding guardino nella stessa direzione, indicando l’impersonalità della vita nell’ individuo. Das Ding è il termine estraneo attorno a cui ruota il gioco delle rappresentazioni, “ciò che del reale primordiale patisce l’effetto del significante”,4 questa la definizione classica del Seminario VII. Dunque abbiamo un reale (Lacan inizia proprio qui a pensare la questione del reale) primordiale e qualcosa che interviene in questa globalità indifferenziata con un taglio, una separazione che produce una differenziazione. Se il mondo umano è ordinato dalla legge del significante, se cioè la pura immanenza reale della vita deve necessariamente passare, trascendere al simbolico, questa operazione produce d’altro canto un resto non simbolizzabile, che nel Seminario VII prende il nome di Das Ding.

    1 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) (1932), in Opere, cit., vol. 11, p. 190.
    2 J. Lacan, La cosa freudiana. Senso del ritorno a Freud in psicoanalisi (1955), in Id., Scritti, a cura di Contri G.B.,Einaudi, Torino 2002, vol. 1, p. 408
    3 J. Lacan, Il Seminario. Libro VII, cit., p. 61.
    4 Ivi, p. 177

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    • Marina Petrillo

      Andai oltre la siepe
      ad abbeverare l’umile fiore.

      Turbina l’assenza
      tra parole vietate al respiro.

      Non potrò che osservare di lontano
      l’abbraccio del tempo.

      Il suo addio.
      (da “materia redenta”).

      Non fu colto il barbaglio in silenzio né l’approdo determinò un alto grado di coscienza. Il valore, nella determinazione dell’inespresso coefficiente, è dato ad ogni piano esperienziale.
      Multiplo del suo stesso doppio, soggiace ai vari livelli intrinsechi al grado di esistenza. Svelato l’adagio muoversi in armonia costante, determina un sussistere oltre le definite sponde psicologiche ed evolve a nuova via.
      Sottrae ogni senso al suo stesso richiamo, il declamare l’umano a sbadiglio. Il tedio insito nel meccanismo contrario alla gioia che l’universo sottende.Una identificazione sostanziata da passaggi volti al miraggio dell’armonioso andare…

      Ho sognato di esistere e percorrere il breve tratto di un passo.
      Sostando. Me stessa in spazio limitrofo al tempo.
      Ero l’espressione più consona alla proiezione dell’essere in sua
      perenne nascita.
      Non vivevo alcuna morte poiché il battito tracciava diagrammi
      comprensivi di ogni infinito momento, frazionando il presente
      in nullità antecedente al Tutto.
      Nella sparizione apparivo convertita all’esistenza eppure presaga
      del passato posto a guardiano del Sé. Tracciavo un cerchio e
      in orbita apparivano moltitudini di essenze. Lembi astrali remoti
      e piccoli vuoti tramutati in abissi.
      Se il potere donato al sogno non fosse immaginale, un astro nascente
      avrebbe tracciato un’ iridescente scia tra barlumi di un dorato orizzonte.
      Ultimo strato, velo reso all’apparenza in siderale silenzio.

      Oggetto magistrale relegato a sua immensità, la creazione.
      Trasmutante alleato del molteplice. Ciò che non detto abbastanza, torna a defluire, in limpida acqua nata alla stessa fonte.

      (Evocazioni, sogni scaturiti dai versi di Petr Kral e dal quesito posto da Giorgio Linguaglossa).
      Un affettuoso, caro saluto ai poeti e lettori dell’Ombra.
      Marina Petrillo

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  2. Nel suo commento Giorgio Linguaglossa sostiene che

    “La poesia di Petr Král è un antecedente importante di ciò che noi pensiamo sia una poesia kitchen, fatta in casa, con gli strumenti e gli ingredienti che troviamo a disposizione nella dispensa, una poesia che viene dopo la fine della metafisica.”.
    Ha pienamente ragione, bastano a confermarlo già questi pochi versi

    “Il giorno odierno, non chiede
    nulla,
    è qui, raccoglie il bucato,
    aduna i resti delle famiglie.”

    Il giorno che aduna i resti delle famiglie mentre raccoglie il bucato, è una immagine metaforica fulminante.

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  3. Come non apprezzare il “discorso” di Petr Kral, così disarticolato, che chiama a raccolta la sua, la vita di tutti e delle cose, magari per dire un’inezia; forse non ancora separati soggetto e oggetto, ma nel mezzo c’è il ben di dio della comprensione intuitiva. Con piena fiducia nell’attimo scrivente, lì dove puoi sconfiggere l’angoscia, o almeno destreggiarti. Un maestro.

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  4. milaure colasson

    Complimenti al traduttore Antonio Parente per il lavoro svolto che certo non sarà stato facile, né ovvio.
    Aspettiamo dal traduttore altri suoi lavori di traduzione della poesia ceca o finlandese.

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  5. EWA TAGHER

    Giorgio Linguaglossa pone una questione: “Possiamo affermare che la poesia di Petr Kral si muove, oscilla tra l’Es e l’Io?. È questo il problema che io vorrei porre. E, inoltre, non è questo medesimo problema quello che sta al centro del fare poetico della più aggiornata poesia di oggi?”.
    Io risponderei di sì. Prendendo ad esempio una breve prosa di Kral: “Ancora una volta, al mattino, assistere stupiti allo spettacolo del portacenere, dei bicchieri e della caraffa, che immobili disegnano la pianura del tavolo”. I lavori di Kral oscillano tra Es e Io così come il poeta oscilla al di fuori e dentro gli oggetti, tra il loro significante e il loro significato, tra le loro etichette e il loro essere materia, spazio, presenza, entità ondulatoria. Gli oggetti sul tavolo hanno senso nel momento un cui disegnano la pianura del tavolo. Dunque il loro essere è mediato dal loro co-esistere su un piano, ecco il momento in cui i le due dimensioni di Es e Io si trovano a oscillare a muoversi in equilibrio.

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  6. Soprattutto nei versi di E’ qui sento che buona parte della poetica di Petr Král, per esempio nei giochi vorticosi delle immagini, possa trovare o aver trovato delle influenze, di temi e di estetica, in alcuni punti del manifesto Situazionista di Debord scritto con altri e altre nel retrobottega di un borgo ligure.
    Il Situazionismo influenzò fortemente il Maggio Francese il quale, a sua volta, com’è ormai noto, fu in grado di espandersi dalla Francia all’Italia, alla Germania, alla Scandinavia e giunse con forza anche a Praga, mettendosi alla base della Primavera praghese…
    Chiedo conforto in questo mio tentativo di lettura di alcuni versi di Petr Král in chiave Situazionistica a Marina Petrillo, a Madame Colasson, ad Antonio Parente ( magnifico traduttore di Král), a Lucio Mayoor Tosi, a Giorgio Linguaglossa (tra i massimi interpreti del poeta praghese), a Ewa Tagher, per citare i nomi degli autori e delle autrici dei commenti presenti su questa odierna pagina de L’Ombra.

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    • Marina Petrillo

      È qui il giorno,
      mi conosce
      quanto voi, apre in noi
      gli stipiti,

      scrive sulla nostra pelle
      i messaggi per gli altri.
      Il giorno,
      è qui più di noi

      L’apertura, la spazialità, intese quali percezioni sensoriali oltreconfine, richiamano alcune istanze situazioniste. In primis, la tecnica dell’esplorazione psicogeografica definita “deriva” , pratica estetica già in auge tra i Dada e i surrealisti. Un vagare senza meta, straniamento dal vero, percezione dello spazio come insieme unitario; focus sui particolari occasionalmente incontrati per via, come afferma Guy Debord.

      issate la bandiera, deponete
      le valige,
      vuoti e pervasi
      dal giorno.

      L’oggetto incontrato, visto, diviene simulacro del tempo, onnipervasivo, in un sistema comunicante; topografia alterata frutto di una visione impermeabile a ulteriori connotazioni. La perdita di confine rimanda ad una verticalità del verso: issare bandiera, esserci, calpestare un terreno o territorio. Elaborare la perdita della presenza, deponendo fardelli:
      Il processo di svuotamento rende possibile l’essere pervasi dal giorno dimentico della sua spinta lineare.

      Condivido tale breve riflessione con Gino Rago, accogliendo e confortando l’approfondimento proposto.
      Marina Petrillo

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      • cara Marina,

        mi chiedo, e ti chiedo se la tua poesia poggi più sul significato o sul significante. E mi chiedo: tu dove sei? dove ti trovi rispetto al significato e al significante?

        Assumiamo qui «significato» nella sua accezione più ampia, come un segno che sta al posto di qualcosa d’altro per qualcosa d’altro. Ciò che è in gioco è quindi, più in generale, il rapporto tra la sfera del senso, del significato, del linguaggio, di ciò che Lacan chiama «simbolico», e la sfera di ciò che sta «al di là» del significato, del senso, del linguaggio, ovvero, del simbolico. Lacan si chiede se «il posto che occupo come soggetto del significante è, in rapporto a quello che occupo come soggetto del significato, concentrico o eccentrico».1. E risponde, senza esitazione che il posto del soggetto è sempre «eccentrico», è sempre altrove. Il posto del soggetto è radical-mente eccentrico proprio in quanto esso nasce nel campo dell’Altro, inteso come il luogo della catena differenziale dei significanti.

        Per Lacan «è il mondo delle parole a creare il mondo delle cose […]. L’uomo parla dunque, ma è perché il simbolo lo ha fatto uomo».2 Il soggetto mantiene la traccia di questa sua etero-costituzione, nel suo stesso essere e in tutta la sua esperienza. Il soggetto per Lacan è caratterizzato da una essenziale mancanza-a-essere, in quanto affetto non da una mancanza determinata («ontica», nei termini diHeidegger), ma da una mancanza ontologica, costitutiva del suo essere, perché è un soggetto che si istituisce originariamente come diviso e scisso nel campo dell’Altro. Proprio perciò il soggetto lacaniano è un soggetto desiderante e «il desiderio è la metonimia della mancanza ad essere».3
        Il desiderio nel suo carattere eccentrico è l’espressione di questa mancanza-a-essere, di questa negatività che attraversa il soggetto e gli impedisce di essere fondante e fondato. Questi motivi sono all’opera potentemente anche nell’analitica esistenziale, dove alla mancanza-a-essere lacaniana corrisponde l’essere-gettato dell’esserci e soprattutto le conseguenze ulteriori che Heidegger ne trae nella seconda sezione di Essere e tempo.

        Per Heidegger prima di ogni colpa determinata, l’esserci è originariamente colpevole nel suo stesso essere: questa colpevolezza originaria e ontologica significa la percezione confusa e indeterminata della compiuta peccaminosità della soggettività.

        Perché questo preambolo? Per dirti che la tua poesia ruota sempre attorno a questa scoperta, necessariamente confusa, del peccato originale della significazione, e si ritrae inorridita, come scottata dal fuoco della propria scoperta. Ma così facendo ripristina, sempre di nuovo, il gioco (l’oscillazione) tra la peccaminosità inconscia (il significante) e il peccato (il significato) conscio.

        1 J. Lacan, L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud, in
        Scritti, vol. I, cit., p. 512
        2 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio nella psicanalisi, in Scritti, vol. I, cit., p. 269.
        3 Id., La direzione della cura e i principi del suo potere, in Scritti, vol. II, cit., p. 618.

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        • Marina Petrillo

          Come fosse digiuno della mente
          il perseverante fluire in sacra forma.

          Non teme alcuno sforzo il vago pensiero
          se, vigile

          trasecola in remota sinapsi
          sino a giungere al limite sovrano.

          Io diffuso ad Uno.

          Alfine giunge il morituro ego
          ad irrorare l’esteso campo

          delle Anime Uniche, piccole erbe
          agitate in temporali estivi.

          Brevi singulti adiacenti
          il vuoto transito a nuova sponda.

          da: ‘materia redenta’

          Amerei risponderti con questa poesia, Giorgio caro, lasciando spazio e respiro all’eterno abitare l’indicibile.

          Marina Petrillo

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  7. caro Gino Rago,

    sono anni ormai che mi spendo, che spendo parole e argomenti per tentare di sensibilizzare la poesia italiana verso la impostazione di una nuova fenomenologia del poetico, verso una nuova ontologia estetica, verso la non coincidenza tra la parola e la cosa, verso l’accettazione di un principio penso indiscutibile: la separazione tra l’io e l’Es… (per favore, lasciamo stare Jung e tutta la mistica d’accatto) ma mi sono reso conto che si tratta di un dialogo tra sordi. C’è chi non vuole capire e non capirà mai. Petr Kral è un poeta di livello europeo perché nelle sue poesie oscilla liberamente tra l’io e l’Es, si muove in quella zona grigia della coscienza o del subconscio che guida l’esistenza degli esseri umani sul pianeta Terra. È inutile spendere altre parole. Se non si capisce questo punto non si capisce niente della migliore poesia europea, cos’altro devo dire? Penso di essere stato esauriente!

    La poiesis è organizzazione, apprestamento di lavoro e di tecniche attorno ad un punto cieco, ad un focus che inghiotte tutto ciò che ruota intorno ad esso. Pensare che si tratti di un varco che ci conduce in un luogo dove non siamo mai stati, è un pensiero attendibile; ciò che comunemente si designa con «bello» è una funzione di questo focus che inghiotte, una barriera, una soglia più vicina a Das Ding. È un’area di frontiera, pericolosa, indeterminata, imprecisa foriera di conseguenze non piacevoli, inquietanti che alludono alle perdite pulsionali che fanno dei buchi nel corpo e nei campi della memoria zone costituite attorno alla perdita dei propri oggetti. È in questo senso che la sublimazione, la poiesis, ha a che vedere con il corpo.
    Siamo ovviamente lontani dall’affermazione di un io personale e panottico, di un io auto organizzatorio che guiderebbe la poiesis, un concetto da liquidare perché filosoficamente errato e improduttivo….

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  8. Pertinenti e colti i commenti di Marina Petrillo e di Giorgio Linguaglossa.
    *

    Les Feuilles Mortes
    (per Juliette Gréco)

    Oh! Je voudrais tant que tu te souviennes
    Des jours heureux où nous étions amis

    En ce temps-là, la vie était plus belle
    Et le soleil plus brûlant qu’aujourd’hui

    Les feuilles mortes se ramassent à la pelle
    Tu vois, je n’ai pas oublié

    Les feuilles mortes se ramassent à la pelle
    Les souvenirs et les regrets aussi

    Et le vent du Nord les emporte
    Dans la nuit froide de l’oubli

    Tu vois, je n’ai pas oublié
    La chanson que tu me chantais

    C’est une chanson qui nous ressemble
    Toi qui m’aimais et[…]
    *

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  9. Nei semplici bastoni
    quelle lungaggini dei ragionamenti.
    Cosi semplicemente arrotolati
    ci sono gli gnocchi
    che si adoperano con le patate. Nelle nostre mani
    la verga delle trasformazioni.
    Si insinua solo il sorriso di una dentiera
    nella carcassa di un cane
    arrotato.

    (Petr Kral fa venir fuori tutto il pierno che c’è in me. Quella che preferisco?)
    “Giorni
    Piedi nudi che continuano a vivere limpidamente
    sfiorano leggermente la fresca notte
    nella pietra”

    Forte la traduzione.
    (Una sfida per Parente tradurre in ceco la poesia sopra postata.)
    Grazie OMBRA, abbracci.
    Děkuji OMBRA

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