caro Roberto Bertoldo,
questo tuo libro segna una tappa fondamentale, un riepilogo di tutti i tuoi precedenti libri. È una accurata ricognizione su tutte le ragioni, pro e contro, l’esistenza di dio; una summa laica e razionale intorno alla questione delle questioni: l’inesistenza o la sparizione di Dio nella odierna civiltà a capitalismo dispiegato in cui viviamo.
Sono rimasto ammirato dalla forza e dal dispiegamento delle ragioni che tu esponi nel libro. Discettare intorno alle ragioni che militano intorno alla questione dell’esistenza di Dio è come fare il punto su una vexata quaestio che ha angustiato duemila anni di storia. L’epoca del nichilismo ci chiede questo, di passare sotto la lente di ingrandimento della ragione le ragioni che militano su opposti versanti. Tu, da pensatore «nullista», prendi posizione inequivoca. Lo affermi a chiare lettere, ti dichiari a favore di uno «scetticismo integrale».
Io penso un pensiero molto semplice, il seguente: che tutti i credenti in realtà siano dei miscredenti, perché se credessero davvero che nell’altra vita li attende il paradiso, si suiciderebbero immediatamente tutti quanti. Il fatto che ciò non avviene, è la migliore e non superabile dimostrazione della ipocrisia e della mancanza di etica di tutti i credenti i quali, in fondo ai loro pensieri non credono affatto in Dio.
Il nichilismo della nostra epoca penso risieda proprio qui. Quando un giorno gli uomini del futuro si potranno guardare allo specchio senza l’ausilio di questa gigantesca ipocrisia, saremo già fuori del nichilismo, non avremo più bisogno di questa grande menzogna a cui nessuno, in realtà e in fondo, crede.
Per quanto riguarda l’etica e la morale io penso che dio non c’entri affatto, tant’è vero che ogni qualvolta mi sono trovato a fare delle scelte essenziali nella mia vita, non ho consultato la volontà di dio ma ho fatto riferimento ai miei personalissimi valori, le mie azioni sono sempre state dettate dai valori in cui credevo.
Per quanto mi riguarda, io non sono ateo, non mi considero un senza-dio, ma è il contrario, è dio-che-è-senza di me. E così penso di aver chiuso la vexata quaestio.
L’altra tesi sostenuta dai teologi fondamentalisti di tutte le religioni secondo la quale dove c’è dio non c’è il relativismo, beh, credo che questa tesi sia stata falsificata dal corso della storia, la quale ha dimostrato che nonostante dio c’è il relativismo e i senza-dio, i quali ultimi, a mio avviso, non sono affatto da consegnare alla gogna o da considerare come reprobi.
Alla domanda che cos’è il nichilismo?, troviamo la risposta in un frammento dello stesso Nietzsche, che risale al 1888:
«Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al perché?; che cosa significa nichilismo? – che i valori supremi si svalutano». In realtà il concetto di nichilismo era già stato colto da Nietzsche qualche anno prima, nel 1882, quando segnalò con la “morte di Dio” il dissolversi dei valori tradizionali. Lo stesso tema venne poi sviluppato nel libro più celebre di Nietzsche, Così parlò Zarathustra, composto fra il 1883 e il 1885. Ed infine la trattazione del nichilismo trovò un compendio illuminante in quel brevissimo testo del Crepuscolo degli idoli (1888), intitolato “Come il mondo vero finì per diventare favola“. Il nichilismo è dunque la mancanza di senso che subentra quando viene meno la forza vincolante e consolante delle risposte tradizionali al “perché?” della vita e dell’essere, generando la condizione di insensatezza e assurdità in cui versa la civiltà contemporanea.
Tu ti dichiari apertamente in favore del «nullismo», in tal senso anch’io mi dichiaro un «nullista» integrale.
(un caro saluto, Giorgio Linguaglossa)
Tu infatti scrivi:
«Il “nullismo” consiste nel superamento del nichilismo assiologico. Al nulla del mondo e delle sue forme, nulla ontologico e ontico, gli uomini contrappongono il proprio tutto ossia la vita caduca degli esseri viventi e l’agire virile e sisifico in difesa d’essa, che diviene un valore. Il nullismo s’avvale dunque dei seguenti principi:
- L’ente s’annulla e ridiviene ni-ente ossia Essere;
- L’essere è infinito e eterno;
- In seguito a 1 la vita è a maggior ragione un valore imprescindibile. Quindi il nullismo ammette il nichilismo ontico, quello ontologico che si fonda, come in leopardi, sull’assioma infinito=nulla, e nega il nichilismo assiologico».1
Ecco cosa scrivi nella “Avvertenza” al volume:
Il principale problema insolubile della filosofia riguarda il mondo dativo ossia quel mondo la cui essenza è dubbia: questo mondo è fisico o mera apparenza? In altre parole: c’è o esiste solamente nella nostra immaginazione? E se c’è, com’è? Questo dilemma, la cui soluzione definitiva, riguardante la costituzione degli enti, non va oltre l’ipotesi, mi ha fatto propendere, con tutto il rivitalizzato bagaglio scettico, fallibili sta e relativista che ciò comporta (cfr. il libello Rifondazione dello scetticismo, che è da considerare propedeutico a quest’ultimo lavoro), per la spiegazione scientifica, dunque per un materialismo universale. Questa propensione è dovuta al fatto che ritengo non abbia senso porre a fondamento ontologico ciò che non appartiene alle nostre certezze, ai nostri accertamenti, nonostante la loro provvisorietà. Solo essi, che sono l’esito dei nostri tentativi di conoscere, sono ragionevoli e hanno dunque il diritto di imporsi anche al di là del mondo fenomenico. Il fondamento materialistico della mia ontologia contenutistica, connesso al carattere spaziale del contenente ontologico, ha determinato l’adesione al particolare nichilismo ontologico leopardiano… al nichilismo ontico e alla revisione del nichilismo assiologico, eluso dalla resistenza ontica, sebbene titanica, alla morte (cfr. Nullismo e letteratura e Principi di fenomenognomica). Questo titanismo, che bene s’inquadra nel nullismo e che ho potuto espletare politicamente con l’adesione all’anarchismo (cfr. Anarchismo senza anarchia e il libello Chimica dell’insurrezione), trova forza nella passione, nella volontà, insomma nella ricchezza vitale dell’emotività, che ho analizzato in particolare nel libro Sui fondamenti dell’amore» (pp. 9-10)
Posta questa premessa, posso iscrivermi anch’io nel nullismo. Mi dichiaro quindi a tutti gli effetti un nullista. Inoltre, concordo con te quando glossi: «Il problema religioso contiene due problematiche: quella della fede e quella dell’esistenza di un essere superiore ovvero di una Causa Prima. La fede è un problema di verità, la Causa prima di certezza. L’accertamento della causa prima è già stato da me operato, con esiti negativi, nei miei precedenti libri… riguardo la fede, ritengo questo un problema psicologico, che nessuna teoria metafisica è in grado di risolvere, così come nessun accertamento ontico è in grado di negare attualmente Dio». (p. 128)
«Il nullista non può che essere ateo. il nullista sconfigge il nichilismo laddove esso è più debole, nel campo assiologico, e lo fa avvalorando ciò che, per quanto caduco ed effimero, gli appartiene: la vita».( p. 138)
«Come bene dice Aristotele l’infinito non è e non sarà mai in atto» (Metafisica, XI, 10).
L’infinito allora è una possibilità. Ma una cosa impossibile a realizzarsi può essere considerata possibile? Sì, ciò che è irrealizzabile resta per sempre nello stato di possibilità quando ci si affidi ad uno scetticismo integrale la cui base fondazionale è data dal Cogito e dal Possibile. Se tutto è possibile lo è anche ciò che è impossibile per uno scettico di tale pasta». (p. 129)
«Gli attributi di Dio, secondo molti commentatori tendenti all’ateismo, sono inverosimili o contraddittori in sé e tra loro. Un Dio infinito e illimitato, secondo questi commentatori, non potrebbe creare il mondo, in quanto non ci sarebbe più spazio dove situarlo». (p. 124)
«La religione è dunque moralmente dannosa, perché sviluppa un’etica dell’utile e l’utilità, essendo ancorata ai bisogni fenomenici, è una prova in più della natura metafisica, anche a livello ontico, della religione». (p. 120)
«La scienza che cerca di dimostrare che Dio c’è risulta spesso ridicola tanto quanto la religione che s’intriga nella scienza. Nel leggere i filosofi, e anche i teologi, si ha la netta impressione che tutti sappiano benissimo che Dio non c’è». (p. 115)
«Se chi crede in Dio dovrebbe dimostrare che Dio c’è, e tra l’altro se lo dimostrasse non si potrebbe più parlare di fede, chi non crede in Dio dovrebbe dimostrare che Dio non c’è; ma né l’una né l’altra delle dimostrazioni sono credibili, nonostante la loro diversa possibilità: Dio potrebbe un giorno apparire, a vantaggio della prima dimostrazione, mentre la dimostrazione della mancanza di Dio è una questione senza fine che non può contare nemmeno sull’aiuto divino…». (p. 109)
Tu scrivi: «Dio è possibile solo se è Essere, non Ente; l’ente è già fenomeno gnomico. Ma se è Essere è immanente e ciò significa che non ha personalità ovvero volontà singolare, per influsso fenomenico, individuale. Dio immanente, dunque: impersonale, volontà generica, onnipotenza. C’è una contraddizione tuttavia. Come onnipotenza, l’Essere può solo essere, ma non è. Contraddizione insolubile…
Dio come esistenza concettuale…
Può un essere ritenuto perfetto creare enti imperfetti?
L’infinito non ammette alcuna determinazione. L’infinito spaziale non ha forma e l’infinito temporale è solo un’ipotesi di eternità. Come bene dice Aristotele l’infinito non è e non sarà mai in atto.». (p. 107)
«Se Dio è al di là dello spazio e del tempo non è né materiale né vivo e se è nello spazio e nel tempo è Natura.
Un nullista non può che essere ateo. il nullista sconfigge il nichilismo laddove esso è più debole, nel campo assiologico, e lo fa avvalorando ciò che, per quanto caduco ed effimero, gli appartiene: la vita». (p. 138)
E giungi a dimostrare la impossibilità di dimostrare l’esistenza di Dio mediante la tesi atea perché «che Dio non c’è è, per via dell’infinito temporale, impossibile. La tesi atea non ha quindi natura ontologica, allo stesso modo di molte ipotesi. E sotto questa luce, anche la fede in Dio, pur avendo natura ontologica, è ontologicamente debole, in quanto l’eventuale riscontro di Dio la trasformerebbe in certezza». (p. 109)
Io, da ateo, penso molto semplicemente che la dimostrazione dell’esistenza di Dio spetti al credente, in quanto non credente io non ho bisogno di dimostrare alcunché. E qui finisce, per quanto mi riguarda, la querelle.
L’ateismo
«Come dice bene Feuerbach, l’ateo non solo nega Dio ma rifiuta anche “i predicati dell’essenza divina”. In effetti i predicati divini, nel momento in cui vengono preservati e dichiarati possibili… ci portano sul piano della fede in qualcosa di superiore, sia pure in noi non astratto, come è la Materia.
Il materialista, soprattutto se proietta universalmente il proprio materialismo, sostituisce al Dio cristiano la Materia, che ha, rispetto al Dio cristiano, un potere ben più ampio, sia positivo sia negativo, al punto da far risultare il materialista come il più religioso dei credenti». (p. 137)

alfredo de palchi e roberto bertoldo, 2010
La dimostrazione
Se chi crede in Dio dovrebbe dimostrare che Dio c’è, e tra l’altro se lo dimostrasse non si potrebbe più parlare di fede, chi non crede in Dio dovrebbe dimostrare che Dio non c’è; ma né l’una né altra delle dimostrazioni sono credibili… Dio potrebbe un giorno apparire, a vantaggio della prima dimostrazione, mentre la dimostrazione della mancanza di Dio è una questione senza fine che non può nemmeno contare sull’aiuto divino; in altre parole, la prima ipotesi, cioè che Dio c’è, ha una possibilità di realizzazione, la seconda, che Dio non c’è, può essere solo falsificata. (p. 109)
L’appunto di Karl Jozef Wojtila alla filosofia, che secondo lui dovrebbe mirare ad un fondamento unico e non al pluralismo, è un’operazione bigotta, di potere, simile a quella compiuta nella prima metà del seicento contro Galileo Galilei. Il fondamento di verità unilaterale, a cui il vecchio Pontefice aspirava, significa il ritorno alla mentalità assolutistica dell’età moderna… Wojtila sostiene che non dobbiamo accontentarci di “verità parziali e provvisorie”; perché non dovremmo farlo se tanto noi stessi siamo parziali e provvisori?
Dio esiste, dacché se ne parla e qualcuno ne percepisce la presenza. Il dato è, se è, indipendentemente dal suo esistere, dalla relazione che instaura con un soggetto che lo sente o addirittura l’interpreta, però senza esistenza l’essenza del dato non è certificata. E la certificazione per di più non sarebbe comunque ancora la verità, se non come ipotesi. (p. 20)
La religione
La religione – dal latino relegere, avere cura del culto degli dei (Cicerone), o religare, essere legati a Dio e alla Comunità (Lattanzio ma pure sant’Agostino) -, che lega gli uomini a dei dogmi, a dei riti, a dei doveri per via di ciò in cui si crede per derivazione comunitaria e non per scelta critica, è nociva alla crescita individuale. la religione soverchia i veri valori, anche il naturale rispetto per la vita come unica forma di entificazione viene sostituito dalle leggi etiche. Si creano, inoltre, affiliazioni varie con i loro relativi supporti logistici e i politici possono attingere da esse per la giustificazione dei propri interessi. La religione avvezza gli uomini alla dipendenza». (p. 119) «La religione è dunque moralmente dannosa, perché sviluppa un’etica dell’utile e l’utilità, essendo ancorata ai bisogni fenomenici, è una prova in più della natura metafisica, anche a livello ontico, della religione». (p. 121)
Materia divina
«Gli attributi di Dio, secondo molti commentatori tendenti all’ateismo, sono inverosimili o contraddittori in sé e tra loro. un Dio infinito e illimitato… non potrebbe creare il mondo in quanto non ci sarebbe più spazio dove situarlo». (p. 124)
Sulla perfezione di Dio
«Se noi consideriamo infinito l’Universo di tutti gli Universi, non possiamo considerare Dio un Ente perfetto perché se fosse anche infinito non sarebbe un ente ma solo essere e quindi Essere da cui derivano tutti gli altri Enti che sono di per sé infiniti di numero». (p. 125)
Infinitezza di Dio
«L’infinito non ammette alcuna determinazione. L’infinito spaziale non ha forma e l’infinito temporale è solo un’ipotesi di eternità. Come dice bene Aristotele l’infinito non è e non sarà mai in atto. L’infinito allora è una possibilità». (p. 129)
Scolio 2
«Può un Essere ritenuto perfetto creare enti imperfetti? No e sì, secondo due ipotesi altrettanto confutabili. No, perché per creare cose imperfette occorre non essere perfetti. Sì, perché la perfezione consiste nella capacità di creare enti anche imperfetti.». (p. 129)
Dio in progress
«C’è ipoteticamente un Dio immanente, completo, perfetto e infinito, e c’è un Dio trascendente, in progress, completo, perfetto in positivo e indefinito. Questo secondo Dio… ad immagine e somiglianza di un ideale, è l’uomo del futuro. L’ente vuole … prendere il posto di Dio». (p. 131)
La mente profana di Dio
«La teoria della mente estesa può condurre a Dio, la mente può divenire Dio, lo diverrà nel momento in cui raggiungerà la massima estensione, un’estensione infinita, fatto realizzabile all’infinito cioè mai. Dio è l’infinito. Non c’è, esiste come parola, come obiettivo.» (p. 135)
Chiarimenti su Dio e la religione
Una questione teologica: se Dio ha creato la natura, il mondo e gli universi tutti, ha creato anche la morte, quindi perché mai dovrebbe dissentire sull’eutanasia? Capisco che possa biasimare il suicidio, dacché lui nell’immaginario religioso non si è mai suicidato, ma perché dovrebbe essere contrario all’eutanasia proprio Lui che dispensa la morte a piene mani? Forse perché ci vuole divini?
Se Dio è al di là dello spazio e del tempo non è né materiale né vivo e se è nello spazio e nel tempo è Natura». (p. 138)
«Opporre nichilismo a religione è una semplificazione» (p. 139)
«Il Maggiore, il Perfetto, l’Infinito sono considerati attributi di Dio, ma possono coesistere senza contraddizione?». (p.141)
«Esiste il Dio di ogni religione, quindi l’essere umano non può che essere politeista a livello di pensiero, di esistenza. Anche l’ateo ha una mente politeista». (p. 142)
Conclusione capitolo
«La posizione assunta in questo libro non è dunque pienamente atea ma è teista, ed eventualmente panteista, all’interno della metafisica ontologica, nella quale ad essere considerata divina è, al posto di un Dio soggetto, la natura ovvero la materia, ed è, a livello di metafisica trascendente, ates sì ma vitalista, perché la vita e la lotta sisifea, nullista, sono il valore supremo, in quanto a voler divenire divino è l’uomo, che ambisce, sia pure vanamente, ad acquisire il potere della materia emendata dalla sua negatività». (p. 144)
L’invenzione di Dio come soggetto creatore, come spirito, in fondo funge da esempio, è l’esemplificazione del potere assoluto, la sua idealizzazione, una sorta di personificazione dell’onnipotenza. (p. 147)
Il relativismo non sostiene giocoforza che tutte le opinioni e idee si equivalgano, ma soltanto che esistono opinioni e idee differenti e che nessuna di esse è una verità apodittica. (p. 149-150)
Quando ci poniamo davanti a qualcosa esso diviene per noi un oggetto mentre in verità è un dato (p. 153)
Soggettivismo e relativismo non sono sinonimi. (p. 154)
Relatività e relativismo
Einstein, a proposito del nome della sua teoria, in una lettera del 30 settembre 1921 a E. Zschimmer, il quale gli consigliava di adottare la denominazione “teoria dell’invarianza”, scrive: “Veniamo ora al nome ‘teoria della relatività’. Riconosco che si tratta di un’espressione infelice, che ha dato adito a fraintendimenti filosofici; il termine ‘teoria dell’invarianza’ sarebbe adatto a descrivere il metodo della ricerca della teoria, ma non. purtroppo, il suo contenuto materiale (costanza della velocità della luce, equivalenza sostanziale di inerzia e gravità). Ciononostante, la definizione da Lei proposta sarebbe forse migliore; ma credo che cambiare, dopo tutto questo tempo, il nome generalmente accettato sarebbe motivo di confusione. (p. 161)
Se il relativismo superasse se stesso non sarebbe più relativismo, così come la teoria della relatività diviene, dal punto di vista degli esiti, teoria dell’invarianza. Dunque non è l’esito che conta, ma l’impostazione e il procedimento euristico e quindi l’aspirazione a falsificare se stesso. Già la realtà oggettiva non è dativa ma è il risultato di una visione prospettica espressa mediante modelli collettivi. L’oggettività, insomma, è già di per sé relativa. (165)
1 R. Bertoldo, Dio in progress. Metafisica, religione e morale, Mimesis, Milano, 2020, p. 224
da Wikipedia.
Roberto Bertoldo (Chivasso, 29 aprile 1957)
È autore di raccolte poetiche, romanzi, racconti e saggi filosofici. Dopo la laurea in Lettere si è dedicato all’insegnamento nelle scuole superiori. Dal 1996 ha diretto la rivista internazionale di letteratura «Hebenon».
Negli scritti di filosofia ha teorizzato, sulle tracce di Leopardi e Camus, il nullismo come superamento del nichilismo, e la fenomenognomica come sensuale e titanica proiezione fenomenologica, per virtù della quale l’uomo trova nell’impegno civile la giustificazione filosofica delle sue azioni etiche ed estetiche e per la quale l’arte può finalmente realizzare l’incontro fra purezza e concretezza.
Saggistica
- Principi di fenomenognomica con applicazione alla letteratura, Guerini e Associati 2003; ISBN 88-8335-440-0.
- Sui fondamenti dell’amore. Studio fenomenognomico, ivi 2006; ISBN 978-88-8335-860-9.
- Anarchismo senza anarchia, Mimesis 2009; ISBN 978-88-8483-939-8.
- Nullismo e letteratura. Saggio sulla scientificità dell’opera letteraria (nuova edizione riveduta e ampliata del volume pubblicato nel 1998), ivi 2011; ISBN 978-88-5750-534-3.
- Chimica dell’insurrezione, ivi 2011; ISBN 978-88-5750-687-6.
- Istinto e logica della mente. Una prospettiva oltre la fenomenologia, ivi 2013; ISBN 978-88-5751-752-0.
- La profondità della letteratura. Saggio di estetica estesiologica, ivi 2016; ISBN 978-88-5753-693-4.
- Rifondazione dello scetticismo, ivi 2017; ISBN 978-88-5754-259-1.
- Dio in progress. Metafisica, religione, morale, ivi 2020; ISBN 978-88-5756-352-7.
Narrativa
- Il Lucifero di Wittenberg – Anschluss, Asefi 1998; ISBN 978-88-8681-823-0.
- Anche gli ebrei sono cattivi, Marsilio 2002; ISBN 978-88-3178-003-2.
- Ladyboy, Mimesis 2009; ISBN 978-88-8483-981-7.
- L’infame, La Vita Felice 2010; ISBN 9788877993175.
- Satio, Achille e La Tartaruga 2015; ISBN 978-88-9655-836-2.
- L’ultima madre, Mimesis 2017; ISBN 978-88-5754-308-6.
Poesia
- Il calvario delle gru, La Vita Felice 2000 (traduzione inglese: The calvary of the cranes, New York 2003; ISBN 978-18-8441-959-1);
- L’archivio delle bestemmie, Mimesis 2006; ISBN 9788884834782.
- Pergamena dei ribelli, Joker 2011; ISBN 978-88-7536-279-9.
- Il popolo che sono, Mimesis 2015; ISBN 978-88-5753-205-9.
- Victims’ Cram, Chelsea Editions, New York 2016; ISBN 978-09-8610-614-9.
Traduzioni
- Benjamin Constant, Cecilia, Mimesis 2013; ISBN 978-88-5751-740-7.
- Marcel Proust, Poesie d’amore, Mimesis, Milano 2018; ISBN 978-88-5754-666-7.
“Dio è morto” disse Nick. “Hanno trovato il suo cadavere nel 2019. Galleggiava nello spazio, nei pressi di Alfa.”
“Hanno trovato i resti di un organismo migliaia di volte più progredito di noi” disse Charley. “Ed era evidente che poteva creare mondi abitabili e popolarli di organismi viventi derivati da lui stesso. Ma questo non dimostra che fosse Dio.”
“Io credo che lo fosse.”
(Philip Dick. I nostri amici di Frolix 8, cap. 7)
Un esempio di Poetry kitchen
Sugli stagni Patriarsci
– Dio non è mai nato” -, disse Azazello.
– Questi umani sono davvero degli imbecilli se hanno potuto credere in una tale panzana -, appoggiò il mago Woland.
– Dopotutto, gli abbiamo concesso il libero arbitrio, no? -, interloquì il critico letterario Bezdomnyj.
– È stata quella la fregatura -, caricò il mago Woland.
– Non ce ne sbarazzeremo facilmente di questa inutile buffoneria -, aggiunse il gatto Azazello il quale nel mentre si asciugò il baffo destro.
– Dovremmo organizzare un grande Circo e metterci dentro tutti gli attori di questo lungo metraggio –
disse Bezdomnyj, il quale però aveva sete; cambiò direzione e si diresse verso gli stagni Patriarsci.
Giunti che furono presso gli stagni Patriarsci, i tre inquilini del mondo si diressero verso un chiosco che, in alto, sventolava una targa con la falce e il martello dipinta in rosso.
Chiesero una bevanda.
– Avete del Campari? -.
No, caro compagno, abbiamo soltanto della risciacquatura di tubi,
una aranciata della Lega lombarda.
– Possibilmente ghiacciata -, ordinò il critico Bezdomnyj…
Fu a quel punto che spuntò fuori del chiosco Belfagor,
con una giacca a quadretti e una cravatta sgargiante
il quale affermò di aver chiuso nell’armadio una farfalla de l’Opéra de Paris di nome Onilde
vestita con delle bretelles e une pagne con una bottiglietta di acqua minerale
e un pappagallo del Madagascar appollaiato su un trespolo
per farle compagnia…
– Il libero arbitrio è stata una brillante idea, eh? –
disse il pappagallo interloquendo in modo sgraziato.
La cosa gettò nello sconforto il quartetto il quale arretrò verso il succo di albicocca
con della schiuma giallastra di sopra. Che ribolliva.
Fu Bezdomnyj a replicare dicendo che il tema era fuori tema e il contesto fuori contesto.
– Dio non c’è, non è mai nato –
E così liquidò la questione.
Però non del tutto, perché intervenne Azazello il quale apostrofò
così il pappagallo:
– La questione del MES salvastati è alquanto dibattuta,
ne riparleremo a settembre –.
Nel frattempo, proprio davanti agli stagni Patriarsci
un tram bolscevico attraversò di corsa i binari
e la testa del critico letterario Berlioz rotolò davanti al bizzarro quartetto.
– E quindi non può essere morto chi non è mai nato -,
chiuse la questione Bezdomnyj…
un interlocutore che chiede di restare anonimo, mi scrive:
«Dopotutto, non è importante che Linguaglossa dica delle verità, importa che ne scriva in modo linguaglossiano».
Se Dio c’è, qualcuno potrebbe restar fregato.
Carissimo e stimatissimo Giorgio, se uno si suicida non può andare in Paradiso, ma all’Inferno, e precisamente, secondo l’iconografia dantesca, fra le anime trasformate in piante, come Pier delle Vigne.
Le credenza religiose coinvolgono inevitabili radici emozionali, sottendono paradigmi ontologici e assiologici interiorizzati per tutta la vita, da cui non è facile sottrarsi per riflettere in maniera obiettiva. Non per nulla hanno causato millenni di sanguinosi conflitti.
Ma chiedersi se Dio esiste mi sembra che rimetta in gioco categorie epistemologiche obsolete, ormai impraticabili dalle più aggiornate strumentazioni filosofiche e teologiche, dall’ermeneutica all’analitica. Ritengo più efficace la postura mistica, apofatica, che riprende una lunga tradizione di pensiero emancipato dalla logica tradizionale, affidandosi alla semiotica simbolica, che indica, allude a ciò che resta senza nome.
È proprio la via del linguaggio poetico, dell’esperienza extra-metodologica
(Gadamer), del silenzio di Wittgenstein (che era un cristiano eterodosso e affermava che quello che veramente contava era proprio ciò che nel Trattato non era stato espresso, perché indicibile), della ragione della svolta heideggeriana verso l’ermeneutica di poeti, tutti religiosi e mistici, della riflessione sulla trascendenza come ineludibile e immanente confine del pensiero concettuale di Jaspers, Weil, Quinzio, Vattimo, e molti altri.
Il problema è che la nostra lingua, in questa dimensione, non ha più presa, “come un uccello che vuole volare in mancanza d’aria” ( Kant).
Un Dio completamente prosciugato di mistero e trascendenza, come lo concepisce Hegel, in termini immanentistici alla ragione è, proprio lui, una mistificazione, proiezione della hybris e della infantile e devastante volontà di dominio dell’uomo sull’ente. Ma Kierkegaard ha indicato con chiarezza che è una forma di ateismo mascherato, che diventerà esplicito con Marx e Freud.
Mi è sempre apparso chiaro che l’atteggiamento che nega Dio, come un ‘umiliazione dell’intelligenza, del coraggio e della libertà, non ha niente a che fare col cristianesimo, al “Dio che salva” (Jeoshua in ebraico), che è molto più vicino all’ubermensh nicciano, perché conferisce, con l’incarnazione, all’uomo la sua stessa dignità e libertà. Che tale dono sia superiore alle capacità umane, che il finito e il contingente non possano aprirsi all’eterno e all’auto determinazione, è un problema ulteriore, affrontato con magistrale passione da Dostojevskji nella “Leggenda del grande Inquisitore”.
Pensare l’orizzonte di senso sbarrato dal Nulla è fondamentalmente un errore logico, come ha mostrato Heidegger analizzando l’impossibilità esperita da Nietzsche di superare la metafisica, e Mircea Eliade, che indica in ogni cultura e società una teologia, magari mascherata, con i suoi rapporti di potere e i suoi dogmi. È quello che fa Bulgakov nel “Maestro e Margherita”, ineguagliabile ritratto della mediocrità etica e spirituale del mondo ateo socialista, facendo dire a Gesù rivolto a Pilato che “qualunque potere è una forma di violenza”.
Nel “Libro rosso” Jung acquista la convinzione scientifica, non fideistica, dell’esistenza di una dimensione trascendente alla coscienza, le cui espressioni sono presenti nelle mitologie di tutte le culture, in archetipi che ereditiamo geneticamente, come la fantasia creativa, l’aggressività, il desiderio, la paura. Certo possiamo ignorarli, anche per tutta la vita, ma la nostra integrità psico-emotiva, ne risulterà ferita, come quando dimentichiamo arte, bellezza, creatività, cioè rifiutiamo la nostra umanità. “IL LOGOS ERA LA LUCE DEL MONDO, MA IL MONDO NON L’HA ACCOLTO”.
DECALOGO
(dell’Assenza sottile)
Io sono il Nulla che hai creato
1) Puoi conoscere tutto tranne me
2) Moltiplica le fatue prospettive della mia inesistenza
3) Dimentica ogni mio riflesso
4) Distruggi il seme della memoria
5) Desertifica la mia dimora
6) Dissemina dubbi e desideri
7) Cattura ogni falso richiamo
8) Dipingi d’essere la menzogna in cui esisti
9) Adesca i sogni della pallida viaggiatrice
10) Raccogli le ferite del silenzio
caro Stimatissimo Carlo Livia,
penso che per inoltrarci in una nuova poiesis dobbiamo lasciare cadere i vecchi attrezzi della vecchia scolastica ontologica del poetico che intende l’evento come qualcosa che accade per me e soltanto per me in quanto singolarità deputata della soggettività. Ecco, questo è l’equivoco più grande nel quale mi sembra che tu come la quasi assoluta generalità di chi fa poesia oggi sei in qualche modo, e senza che tu te ne accorga, invischiato.
Le parole fanno parte di una patria linguistica ascrivibile ad un Evento fondante. Fondante significa che l’Evento non si preoccupa di questa o quella singolarità ma che le trascende. In questo senso è trascendente, non in senso mistico epifanico.
Quando ho scritto la poesia kitchen sopra postata essa è venuta da sola senza che io l’abbia né cercata né voluta e con un linguaggio che io non ho né cercato né voluto. È che il linguaggio è, in sé, un evento, che va accolto senza le intromissioni della mia soggettività e delle mie opinioni.
Questo è quanto.
Scrive Roberto Terzi:
«Ciò che è in gioco nella riflessione heideggeriana sull’evento è forse proprio anche un pensiero non metafisico dell’apparire come pensiero dell’evenemenzialità dei fenomeni – sulla cui realizzabilità dovremo peraltro tornare al termine del nostro percorso.
Pensare non metafisicamente l’apparire significa innanzitutto accoglierlo come tale senza tentare di ricondurlo ad altre istanze o condizioni, senza sottometterlo a dualismi trascendenti, al «principio di ragione» o al primato della soggettività. I fenomeni non sono né qualcosa di semplicemente presente in modo statico, né qualcosa che si costituisca nei vissuti di coscienza, ma hanno un carattere di evento: accadono, vengono alla manifestatività come donazione di un evento pre-soggettivo. L’uomo in quanto esserci è il Ci, il luogo di questa manifestatività, ma non è colui che la costituisce o padroneggia, perché l’evento accade all’uomo prima di ogni sua iniziativa e l’uomo stesso, come vedremo tra breve, appartiene all’evento in cui diviene ciò che è. Ma concepire il fenomeno in termini evenemenziali significa anche indicare il cuore di nascondimento e sottrazione insito in ogni manifestazione, l’impossibilità di portare l’essere ad un disvelamento completo o ad una «evidenza». È significativo allora che nel suo ultimo seminario Heidegger si confronti nuovamente con la fenomenologia e parli programmaticamente di una «fenomenologia dell’inapparente»: gli enti appaiono, ma l’apparire degli enti non appare a sua volta, non perché sia qualcosa fuori dagli enti, ma perché è l’evento ritraentesi di ciò che appare. Diviene così comprensibile anche il senso del richiamo all’etimologia di Ereignis da eräugen (mostrare, far vedere, o anche guardare, adocchiare) e da Eräugnis (ciò cheè messo sotto gli occhi): l’ Ereignis è il movimento del venire-alla-visibilità, l’evento che «ostende» qualcosa portandolo alla manifestazione e conducendolo così al suo proprio. È ciò che rende possibile la nostra stessa visione, perché se bisogna parlare qui di un «guardare» e di uno «sguardo», si tratta innanzitutto dello sguardo dell’evento verso l’uomo e non viceversa.
È in quanto siamo «guardati» dall’evento che possiamo a nostra volta guardare qualcosa: possiamo avere una visione perché siamo coinvolti nell’evento non-visibile della visibilità.»*
* https://www.academia.edu/6007917/Esperienza_o_tautologia_La_questione_dell_evento_in_Heidegger?email_work_card=reading-history
Non tacque l’ultimo senso e affido’ il tramite
all’indulgere di silenziosi Astri.
Remoto atto creante in riverbero
straniato ad infinito, algoritmo di Sé stesso
in sibilante ascesa, grembo saturo di onniscienza
velata di solitudini albescenti.
Si diede orma dal rilucente
in forma nulla all’eterno respiro sino a meditare
la capienza in vasi contenenti l’Universo
ed esplodere Tutto in Amore subitaneo
all’urgente multiplo della perfezione.
In inciampo non avverso al divino spense sorriso
unico, il sole e, ovvio alla luce, vegetò la Creatura Prima.
Immemore di essere, reminiscente al calco infuso a conoscenza
Chimera effimera nel vuoto della caduta incarnata a suo precipizio.
Marina Petrillo
La Terra non sarà piatta, ma stando alla Bibbia deve essere l’unico pianeta abitato dell’Universo. Il figlio di Dio non poteva che nascere qui, e avere le nostre fattezze.
ZONE D’OMBRA NON COMPRESE NEL PREZZO
Svolazzano le mie molecole per l’aria
-previsione di Margherita Hack-
Capitassero i baffetti di Baruch
non quelli di Himmler.
Ne faremo un corvo –dicono le leggi fondamentali
E appena accalappiate le invieremo la ricevuta di ritorno
Oggi si va oltre i raggi gamma. Ombra non c’è
E nemmeno gravità.
Fossero almeno scritte sulla Gazzetta Ufficiale.
C’erano di mezzo le stragi e si affacciò l’herem
Bannato anche l’ Io pace all’anima sua.
(In ricordo dell’ herem pronunciato il 27 luglio 1656 contro Baruch Spinoza) Francesco Paolo Intini
Bisognerebbe rispondere a tutte le questioni inseminate qui da pensatori diversi con termini in parte ereditati in parte inventati, con tutti i problemi interpretativi che generano. Meglio aggiungere qualche questione nuova: sulla Genesi, per esempio, che – date le strutture ragionative fin qui in campo, ancora non può essere considerata altro che una fiaba, appetto ai ritrovati archeologici che testimoniano tutt’altra storia evolutiva della vita. Poi c’è il miracolo dei miracoli del Christòs, che fu visto morire in croce e poi nuovamente in strada andare incontro ai suoi discepoli, e quegli altri suoi miracoli da levare il fiato, come l”alzati e cammina”, il dar dei pochi disponibili pani a disposizione, a tutta una montagna di fedeli…
Cose mirabolanti che, testimoniate anche da altri, di così alto intelletto da essere in grado di gettar radici di fondamentali e incrollabili questioni culturali, ne fecero il punto divisorio della storia umana e universale.
Poi c’è il Dio uno e trino, che fa definire, da altre religioni, il nostro cristianesimo “politeista”.
Ecco! Si dica quel che si vuole, ma non mi pare che tali questioni siano state oramai definitivamente risolte dal mondo culturale. E se è così, non vi pare che, nonostante tutte le vostre gradevoli disquisizioni, tutto resti interamente da rifare?
Domenico Alvino