Archivi del giorno: 9 luglio 2020

Tre Strutture dissipative del 2020 di Marie Laure Colasson, Il gesto linguistico e il gesto pittorico, Dalla scrittura a frammenti al polittico e alla poetry kitchen, L’arte insegue il reale o è il reale che insegue l’arte? Dialogo tra Lucio Mayoor Tosi e Giorgio Linguaglossa, Scopo dell’arte è reinventare il reale, Poesie di Mario M. Gabriele, Carlo Livia

Marie Laure Colasson XY Struttura dissipativa 25x60 2020

Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa XY, acrilico 80×30 cm, 2020

Marie Laure Colasson YY Struttura dissipativa 2020

Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa YY, acrilico 50×30 cm., 2020

Marie Laure Colasson XX Struttura +dissipativa

Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa XX, acrilico 50×30 cm., 2020

Ed ecco che la struttura dissipativa di Marie Laure Colasson giunge alla sismografia della luce e delle forme, alla spettrografia come sismografia del frammento, al frammento come linguaggio originario, linguaggio allo stato aurorale incipitario. Perché lo scopo dell’arte è oggi quello di reinventare il reale. Occorreva ripartire dall’alfabeto e dal lessico del frammento e dalla forma frammento, dalle forme primordiali della curva e della semiretta, dalla luce e dal colore per poter costruire una nuova sintassi dove la forma-colore e la forma-limite assumessero un ruolo determinante. Il tratto, il graphein singolare trascrive la sismografia del testo, il luogo-non-luogo che soltanto il frammento può abitare. Ha scritto Lucio Mayoor Tosi: «vedere come può stare un verso lanciato nel vuoto, senza una chiara ragione e soprattutto senza difese. Come un bengala nel buio, un verso nel futuro».

Il commissariamento della poiesis

Il tedio di Dio, la mia ultima opera, pubblicata nel 2018 per i tipi di Progetto Cultura di Roma segna un punto: la scomparsa dell’io  totalitario e panottico che ha fornito il binario della poesia europea dal 1970. L’io oggi non è più il punto di riferimento del discorso poetico. La poesia dell’io e delle sue adiacente che si fa in Europa da alcuni decenni è Kitsch e conformismo senza neanche avere coscienza del kitsch.

 «Il frammento è il sigillo di autenticità dell’arte moderna, il segno del suo sfacelo», ha scritto Adorno nella Teoria estetica nel 1970pensiero quanto mai vero che si insinua all’interno del facere della «nuova poiesis» con lancinante attualità. L’aforisma di Minima moralia che recita Das Ganze ist das Unwahre («il tutto è il falso») è il rovesciamento di un noto passo della Fenomenologia di Hegel che recita: «Il vero è il tutto [Das Wahre ist das Ganze]». La poetica del «frammento» e la poetry kitchen sono la risposta più drastica che la poiesis oggi dà alla Crisi dell’arte, con la consapevolezza che la poiesis del «frammento» è la poiesis del negativo, della negatività assoluta che confuta il «vero» e il «falso», il «vuoto» della «totalità» che abita l’ideologia della compromissione in cui oggi tutti siamo coinvolti. Le immagini della poiesis diventate effimere, serializzate, moltiplicate, e quindi de-realizzate, precipitano nel valore di scambio e nella inautenticità di qualsiasi enunciato che oggi la poiesis possa abitare.

Ad essere revocato nel nulla, e cioè nell’inesistente, è il «valore» della poiesis, è la posizione nel mondo della poiesis, tant’è che non suscita più alcuna meraviglia che le immagini dell’arte siano state sostituite con gli avatar, le copie, le icone. In questo contesto, la diagnosi di Fredric Jameson sul postmodernismo (secondo cui le tipiche armi dell’avanguardia novecentesca: lo choc, la rottura, lo scarto, l’incomunicabilità, il nuovo sono diventate variabili richieste dal sistema, replicabili e serializzate all’infinito) coglie nel segno. Parlare del valore di posizione, di op-posizione della poiesis, è oggi una utopia da anime intonse. Semmai, lo scopo della poiesis non è tanto creare un varco nella significazione ma negare la stessa significazione per sostituirla con il «vuoto» del segno.

«È ormai ovvio che niente più di ciò che concerne l’arte è ovvio né nell’arte stessa né nel suo rapporto col tutto; ovvio non è più nemmeno il suo diritto all’esistenza», ha scritto Theodor W. Adorno nella Teoria estetica.

(g.l.)

Mario M. Gabriele

Una Jeep  Renegade ferma davanti alle VideoNews.
Signorina Borromeo, l’aspettiamo qui
dove  meglio si possono leggere i suoi pamphlets.

Non dicono molto
ma rappresentano episodi di prosa spontanea.

Esterno. Campo vietato. Bandiere a mezz’asta.
Resiste in classifica
L’Enigma della camera 622 di Joel Dicker.

Meg ha in mente un viaggio,
lasciando la speranza ai poveri  e i copecki ai ciechi.

Un Web-designer accende il PC
per correggere i fogli di Criminal Found.

Rivediamo i Mondi di Oz
anche se Turner lo fa di malavoglia.

Il cane bassotto
non trovò le tracce dell’assassino della piccola Maddie.

Tace la radio Deejay. Non c’è nessuno
che ascolti gli Scorpions.

Tornano in gioco Hamm e Clov
nella Febbre del Sabato Sera.

Volano i tweet. –Andrà tutto bene.
Ne sono sicuro- ,  disse il tutor su Instagram.

Si è fatto tardi. Silenzio blu notte
con flash mob lungo il colonnato.

Una farfalla muore sul poster di Guernica.
La guardo se mai dovesse volare via.

TM 22 è il numero del Call Center
per vedere Shining di Stanley Kubrick.

-Manca l’attitudine a produrre verità e trarre un film-
disse il critico all’autore della sceneggiatura.

Schermo piatto.Colore nero.
Diffusione di lampade Led in Galleria.

Miss Klary  stava dietro ad una storia
dopo i dati dei subplots.

Voce di fondo e inquadrature a fumetti
nelle mani  di un viaggiatore nel mondo.

Dolly voleva riprendere il cielo con uno Zoom
e ricavarne una Metafisica.

-Va bene, puoi provarci.
Saranno le nuvole a distrarti-,
disse  Seanbook, manager del Progetto Outline
affiliato alla Glenn Artur jr e Company di Filadelfia.

Ginsberg, in quarantena, chiedeva Howl.
Voleva mettere qualcosa di suo e della Corea
con uno shock  stellato di misericordia.

caro Mario,

Per capire il mondo attuale non abbiamo più bisogno della poesia.
L’arte che si fa oggi in Europa è simile al dolcificante che si mette nel veleno.
I piccoli poeti pensano al dolcificante in dosi omeopatiche…
È molto semplice: Dopo le Avanguardie non ci saranno più avanguardie, né retroguardie, le rivoluzioni artistiche e non, non si faranno né in marsina né in canottiera. Non si faranno affatto.
La tua poesia, caro Mario, è l’epitaffio più sincero che oggi si possa scrivere per il cadavere della poiesis.

(Giorgio Linguaglossa)

caro Giorgio,

La mia perplessità è un’altra: ci sono voluti anni per mettere a punto un discorso critico sulla scrittura a frammenti, anni per creare in distici (tra l’altro, allo scopo, penso io, di stabilire una situazione d’obbligo alla poesia, non divagante ma per aprire gli occhi, svegli nel sogno), anni per la struttura a polittico (come per allargare confini), per poi ripiegare sul verso libero, anche se in forma di casamatta, cioè di architettura non per upper class… ora Pop, tra Rushdie e il Tarantino di Pulp Fiction, la più avanzata cinematografia. Tutto questo mentre sento crescere, nel mio piccolo mondo, il bisogno di riordinare (il mio stupore nell’accorgermi di stare nel marasma con simil doppi ottonari e novenari)… Abbiamo riaperto le danze?

(Lucio Mayoor Tosi)

caro Lucio,

penso che scopo dell’arte sia quello di reinventare il reale. Come apparirà chiaro leggendo la poesia di Intini o di Gino Rago, nella nuova ontologia estetica, la forma grammaticale non è una eco visibile di un pensiero invisibile che si trova nella cellula monastica dell’io del poeta. Al contrario, è la forma grammaticale che determina ciò che io penso, è la struttura grammaticale e la struttura sintattica che determinano ciò che io penso. L’io è quindi un epifenomeno. Ecco spiegato perché nella nuova ontologia estetica l’io è quasi assente, o, se è presente, è presente come un io tra i tanti. Il significato è un evento secondario del linguaggio, direi un evento terminale, l’evento primario sta a monte del significato e, a rigore, a monte del linguaggio, alla sorgente del linguaggio. L’evento è l’atto sorgivo del linguaggio.

Per Wittgenstein il significato non è un evento mentale: Quando Wittgenstein nelle sue osservazioni filosofiche, analizza il grido «Lastra!» che il muratore dice al manovale di passargli una lastra, cioè che qualcuno deve portargli una lastra, vuole far capire che tutto dipende dal modo in cui quel grido è usato, dal contesto in cui accade e, più in generale, dall’insieme delle relazioni che sussistono tra i parlanti, non da ciò che eventualmente passa per la mente di chi parla. Ma ciò è quanto dire che non possiamo fare riferimento al pensiero per considerare incompleta una forma linguistica: ciò che pensiamo, per Wittgenstein, non determina il significato delle nostre parole.

Quando metto sotto accusa il capitalismo internazionale non mi passa per la mente un giudizio già preso perché so che ciò che io chiamo il mio pensiero è una diretta conseguenza dello stato delle cose che il capitalismo determina nel mondo. Io non sono un populista che mescola patate e pomodori e arsenico, io mi limito ad argomentare che le patate e i pomodori sono cose diverse dall’arsenico, anche se tutti e tre questi prodotti sono manufatti del capitalismo. Il marxista comunista che esprime un pensiero critico sa che il significato che noi diamo alle nostre parole è un epifenomeno del linguaggio che viene impiegato. Ma una poesia di Intini o di Gino Rago o di Marina Petrillo sono cose diverse proprio in quanto manufatti distinti, ma sono tutti prodotti del sistema capitalistico e del pensiero critico che si innerva nel linguaggio.

Wittgenstein ci dice che un gesto linguistico ha un significato non già in virtù dei pensieri che attraversano la mente di chi parla, ma in ragione della sua appartenenza ad un determinato «gioco linguistico». Ne segue che alla forma grammaticale del linguaggio non è affatto chiesto di rispecchiare i pensieri che abitano e sgomitano nella nostra mente mentre la esterniamo, poiché il senso di una proposizione dipende dall’uso che se ne fa in una circostanza determinata. E ogni nuova circostanza determina un nuovo «gioco linguistico», e così il «gioco» va avanti e il «significato» delle parole cambia, si modifica. Ciò che pensiamo non determina il significato delle nostre parole. Il significato è determinato dal «gioco» di innumerevoli fattori che intervengono all’interno del campo del linguaggio.

Scrive Wittgenstein:

«quanti tipi di proposizioni ci sono? Per esempio: asserzione, domanda e ordine? — Di tali tipi ne esistono innumerevoli: innumerevoli tipi differenti di impiego di tutto ciò che chiamiamo «segni», «parole», «proposizioni». E questa molteplicità non è qualcosa di fisso, di dato una volta per tutte; ma nuovi tipi di linguaggio, nuovi giochi linguistici (come potremmo dire) sorgono e altri invecchiano e vengono dimenticati. (Un’immagine approssimativa potrebbero darcela i mutamenti della matematica). Qui la parola «gioco linguistico» è destinata a mettere in evidenza il fatto che il parlare un linguaggio fa parte di un’attività, o di una forma di vita. Considera la molteplicità dei giochi linguistici contenuti in questi (e in altri) esempi: comandare e agire secondo il comando — Descrivere un oggetto in base al suo aspetto e alle sue dimensioni — Costruire un oggetto in base a una descrizione (disegno) — Riferire un avvenimento — Far congetture intorno all’avvenimento — Elaborare un’ipotesi e metterla alla prova — Rappresentare i risultati di un esperimento mediante tabelle e diagrammi — Inventare una storia; e leggerla — Recitare in teatro — Cantare in girotondo — Sciogliere indovinelli — Fare una battuta; e raccontarla — Risolvere un problema di aritmetica applicata — Tradurre da una lingua in un’altra — Chiedere, ringraziare, imprecare, salutare, pregare».1

(Giorgio Linguaglossa)

1 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, § 23.

caro Giorgio,

Ma tu pensi davvero che io abbia avuto un pensiero a monte, o peggio una opinione in merito alla vicenda di Silvia Romano, tale da dover essere comunicata in poesia? Questa mia è una risonanza, un prestito, un guazzo figurativo, una restituzione dovuta a quanto nella mente ho recepito della bagarre pseudo politica di questi ultimi giorni.
Di solito evito la poesia dedicata, ma ho avvertito il momento favorevole al non senso. In momenti così posso scrivere qualsiasi cosa. E’ accaduto.
Il non senso è scrittura che si fa con il vuoto, non può darsi con alcun progetto. Quindi, per restare nel tuo pensiero, il non senso sfugge al sistema capitalistico, come a qualsivoglia ideologismo. Caro Giorgio, io non mi pre-occupo di essere di sinistra, penso di essere l’unico comunista sereno che esiste al mondo. Non indugio su l’istinto di morte perché so che morte e vita, una forza e l’altra, sono Yin e Yang che si intersecano, e una va nell’altra sicché l’immagine a me non pare affatto divisa, o contrapposta. Anche questo è “pensiero critico che si innerva nel linguaggio”.

(Lucio Mayoor Tosi)

caro Lucio,

io alle poesie a tema non ho mai dato credito. Si tratta di poesia-a-tesi. E la poesia, la Musa rifugge da ogni tesi, foss’anche la più nobile. In questo senso la tua poesia è bella, ma è troppo «direzionata», alla fine non dice niente di più di quel che dice, rientra nel «significato» che volevasi dismettere e far uscire dalla finestra.

Se leggi la prima e poi la seconda versione della “Storia di una pallottola” di Gino Rago, ti accorgerai che nella prima stesura la poesia era troppo fedele al «significato», nella seconda invece si è liberata del e dal «significato» e il risultato è senz’altro migliore.

Questa strenua lotta al significato contraddistingue tutta la poesia della nuova ontologia estetica, è una lotta incessante perché il «significato» ci circonda da ogni parte e ci soffoca e la Musa muore soffocata dai truismi.

Tu dici che «il non-senso sfugge al sistema capitalistico»? Io invece penso che il sistema capitalistico è il regno del non-senso complessivo perché è fondato sulla legge del plusvalore e della accumulazione del capitale che, in sé è un non significato, è un atto di fede. Nient’altro. È una religione e, come tutte le religioni, è basato su un atto di credenza, cioè di fede. Se cessa la credenza nella bontà della accumulazione del capitale cessa di colpo anche il capitalismo. Ma queste cose le ha ben spiegate Agamben (per ultimo).

Io penso che quando tu fai poesia per scherzo, dissipi le tue migliori qualità. La poesia non è uno scherzo, e anche quando assume la forma di un divertissement, dice cose molto serie.

(Giorgio Linguaglossa)

Carlo Livia

UNA CANOA DI LAMPI

Se Tu
( in sogno )
ritorni nella Pausa
( capovolta invano )
sospinta in alto verso
( nuvole, sospiri, particole svanite )

Se Lei
( nella pioggia pallida )
ti chiede la gioia suprema
(del mondo senza di te )

Se Tu rifiuti e ti armi di
( parole, tenebre, farmaci, spigoli )

Assassinando la sera il lampione
( il cuore ) sbaglia tristezza

( l’addio è pieno di germogli di donna
ma ha la malattia immortale )

Se il suo corpo ti dice assente ma
( ha canti e prigioni inesplorabili
decompone l’angoscia in sette precipizi morbidi )

In fondo ad ogni anima
c’è la stessa Vergine implacabile
che aspetta

Ai suoi piedi il livello dell’amore
( dell’orrore )
cresce come un fiore

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