
Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, acrilico, 50×70, 2020
Dopo le avanguardie, che nell’idea di Danto (2009) hanno avuto il loro momento culminante con l’opera di Andy Warhol, l’arte è entrata in una «dimensione post-storica» in cui nulla sarà più come prima e tutto, almeno sotto il profilo artistico, diventerà davvero possibile…
In Dopo la fine dell’arte, Danto compie una operazione storico-filosofica. Prescrive cosa pensare dell’arte dopo la caduta dell’idea di un progresso storico dell’arte. L’arte, secondo Danto, è prima divenuta autocosciente e quindi auto-riflessiva perché ha smesso di concentrarsi sulla rappresentazione del mondo. “L’Età dei Manifesti”, peculiarità dell’epoca “moderna” (poco meno di un secolo dall’Impressionismo al Brillo box del 1964 di Warhol), si caratterizza per un’altra direzione di ricerca: non più l’imitazione del mondo, ma l’affermazione di volta in volta di sé come verità del proprio concetto.
Scorcio, chiaroscuro, prospettiva, fisiognomica… queste furono le scoperte del Rinascimento che consentirono di produrre immagini che apparissero fedeli agli oggetti rappresentati. Fu una scelta di poiesis decidere come dipingere, ma non come «vedere», il «vedere» resta immune da interventi di carattere «politico». Il «vedere» dell’arte del medioevo era il vedere dei cristiani che guardavano le immagini di Gesù, santi e di madonne e restavano estasiati… Il «vedere» era in funzione della ideologia teologico-politica della Chiesa e dei suoi committenti al sorgere del capitalismo.
Non ogni sistema di rappresentazione figurativa ha comportato quella scelta di poiesis. Per esempio, nelle pitture parietali romane di Pompei la preminenza assoluta è a un sistema del «vedere» che coinvolge gli abitanti della Domus., Cioè il «vedere» della pittura parietale è in funzione del dominus e della sua famiglia, il «vedere» le pitture fa parte di un certo modo di vita dei romani dell’epoca in cui l’arte parietale ne era parte integrante.
Con l’impressionismo il «vedere» cessa di essere un atto della polis, non è più un atto politico. Con gli impressionisti la pittura diventa un fatto privato, un affare del soggetto e della soggettività.
Mi scuso con Lucio Mayoor Tosi per questo fugace e rapido accenno a questioni molto complesse, la sua pittura del Covid garden con il signore o la signora sdraiata in giardino è, propriamente e letteralmente, una pittura privatistica, quel signore è un privato che si sta godendo un po’ di ozio grazie alla clausura dovuta alla pandemia del Covid19.
Quello che Lucio ci mette di suo è nel rendere evidente, in modo pop e soap, la manifesta privatizzazione del signore o della signora sdraiata, costui-costei sembra fregarsene della pandemia e dei morti e del disastro dell’economia e di tutto il resto… Quel signore è ormai un privato cittadino con il suo bravo conto in banca i cui titoli investiti in rendite gli consentono di poter vivere comunque con una certa garanzia di agiatezza. Lucio Mayoor Tosi rende evidente questo guasto, questa mostruosità antropologica del cittadino delle società post-democratiche dell’Occidente che è diventato un privato il quale se ne frega (nel senso che ne è inconsapevole) delle ripercussioni del Covid nell’economia planetaria. Questo signore sdraiato è un mostro incosciente, è perfettamente incosciente di tutto ciò, è un privato cittadino che magari vota Lega o 5 Stelle o PD, ma nulla cambia, lui è un egoista che bada soltanto alle sue rendite di posizione.
Lucio Mayoor Tosi ha fatto la scelta di un «realismo» temperato. Fa un passo all’indietro per poterne farne due in avanti, in direzione di una pittura pop e pop corn: conserva il «figurativo temperato» in frigorifero per quanto riguarda la figura umana e lascia il non-figurativo in lavatrice per quanto riguarda gli sfondi che restano non figurativi. E ciò in consonanza con la caratteristica fondamentale del nostro tempo di fine della metafisica, e quindi di fine della rappresentazione realistico-mimetica con gli sfondi realistici.
Michelangelo Buonarroti adottò uno stile diverso da quello dei fiamminghi che avevano optato per il realismo, scelta in un certo senso più convenzionale e «divozionale», quella dei Fiamminghi. La sua adesione al realismo, quella di Michelangelo, è una scelta precisa. Lasciamo la parola al pittore italiano:
«La pittura fiamminga… generalmente soddisferà un devoto qualunque più che la pittura italiana; questa non gli farà versare una lacrima, mentre quella di Fiandra gliene farà versare molte, e ciò non per vigore e bontà di quella pittura, ma per la bontà di quel tal devoto… Molte volte le immagini mal dipinte distraggono e fanno perdere la devozione almeno a quelli che ne hanno poca; e al contrario quelle che sono divinamente dipinte anche ai poco devoti e pronti a ciò, provocano e traggono le lacrime, ed ispirano col grave aspetto riverenza e timore». A questo punto però ci si dovrebbe domandare se il progresso della pittura non si sia davvero fermato già con la produzione tardo-rinascimentale, dato che, ad esempio, l’illusione dello scorcio, raggiunto progressivamente da Michelangelo «nell’arco dei quindici anni in cui realizzò la volta Sistina … acquistò importanza nel XVI secolo fino a diventare, più tardi, un luogo comune della tecnica artistica.»1
L’adesione di Lucio Mayoor Tosi ad un «realismo temperato» gli consente di fare una pittura pop corn. Del resto, non aveva altra scelta che ritornare al realismo mimetico per poter sferrare un colpo al realismo ipofisario e apologetico dell’arte accademica di oggi.
L’individualismo dell’arte del novecento va di pari passo con l’auto consapevolezza degli artisti di punta ed è testimoniato da quel prodotto eminentemente modernista che è il manifesto. Il manifesto è un decalogo che esprime i criteri secondo i quali narrare la storia di un determinato stile o opera d’arte. Come le poetiche degli artisti stessi e dei poeti (ad esempio quelle di Malevich, Mondrian, Reinhardt, Kandinsky, Marinetti, Bréton, Tzara, Dada, i cubofuturisti, gli acmeisti ecc.) possono essere considerate dei manifesti, e i manifesti possono essere considerati opere d’arte in sé, le opere sono degli epifenomeni eventuali che potrebbero anche non arrivare. Tra l’arte come manufatto e la teoresi subentra una scissione, una Spaltung.
(Giorgio Linguaglossa)
1 Francesco d’Olanda, Dialoghi michelangioleschi, cit. in F. Zeri, Pittura e Controriforma, Einaudi 1957, pag 32

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, Blues, acrilico, 40×50, 2020
Una domanda:
Se un museo, una galleria o una istituzione universitaria o un editore esponessero pubblicamente un avviso, un risvolto di copertina, una didascalia, un manifesto etc. in cui si avvertono i visitatori, i lettori, gli utenti che non si può essere tanto sicuri che gli oggetti esposti siano delle opere d’arte, cosa accadrebbe?
Risposta:
a) Si rischierebbe di compromettere non solo la credibilità dell’istituzione stessa ma anche il ruolo, il valore e il significato che la società annette proprio a quel tipo di oggetti.
b) Si rischierebbe di compromettere la credibilità e la veridicità di quelle didascalie che accompagnano le opere d’arte.
c) Il risultato sarebbe la de-valorizzazione di tutti i manufatti artistici. Situazione nella quale già siamo da tempo.
d) Come si può essere certi che il Brillo Box di Warhol sia un’opera d’arte e non una cosa comune, quand’anche diversa da una confezione di detersivo o di lucido per scarpe o una lattina di fagioli?

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, acrilico, 50×40, 2020
Gino Rago
Storia di una pallottola n. 16
Ufficio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani.
Il titolare, Giorgio Linguaglossa, riceve il commissario Belfagor
che ha sostituito gli incompetenti Ingravallo e Montalbano:
«Dopo mesi di indagini, intercettazioni, pedinamenti e appostamenti
quei due incapaci non hanno ancora detto una parola chiara
sul revolver calibro 7,65
e sulla pallottola di Marie Laure Colasson.
All’Ambasciata di Francia di Piazza Farnese c’è aria di maretta».
Piazza Cavour. Davanti al Palazzaccio scoppia una rissa.
I poeti del “Verri” e di “Officina” si avventano contro i nuovi scrittori di “Nuovi Argomenti”,
Luciano Anceschi è furioso con Moravia,
Roberto Roversi aggredisce Enzo Siciliano.
Alfredo Giuliani vuole strangolare un tizio della parola innamorata,
un celerino prova a separarli.
Arriva il commissario Belfagor.
Scappano tutti verso il circo alla Circonvallazione Clodia
per confondersi con la folla degli avvocati e degli assistenti alle udienze.
Luna Park dell’Eur.
Dal tiro a segno un colpo va a sbattere sulle montagne russe.
Entra nell’atelier di Madame Colasson.
La pallottola squarcia la Birkin posata su un divanetto rococò
e buca la gonna della pittrice
che sta terminando il collage “Notturno n. 14” in acrilico.
Fa volare pennelli, tele, vinavil, tubetti di colore,
limature di ferro, cartoncini, risme di carte, cartoline illustrate,
album di foto, macchine fotografiche, cavalletti ed entra
nel sogno del poeta ceco Karel Šebek.
La pallottola viaggia così lenta che il commissario Belfagor
riesce a seguirne la traiettoria sempre nello stesso sogno.
Infine si spiaccica sul busto di bronzo di Eugenio Montale.
E qui finisce la storia.
Il commissario Belfagor telefona a Giorgio Linguaglossa
all’Ufficio Affari Riservati di via Pietro Giordani.
«Dottor Linguaglossa, ho risolto il caso,
la pallottola dell’egregio poeta Gino Rago ha finito la sua corsa.
Si è spiaccicata sulla statua di bronzo di Eugenio Montale…
Dia la notizia all’Ambasciata di Francia».
Gare de Lyon. Louis Malle gira l’ultima scena del film
“Zazie dans le métro” e festeggia con Queneau e Philippe Noiret.
Madame Colasson beve un pernod con ghiaccio.
Telefona a Madame Philoméne Ragò: « Finalmente tutto è finito.
Era diventato un incubo.
Madame Ragò, accetto il Suo invito.
Questa estate, verrò in vacanza all’Antica-Dimora-Palazzo-Rovitti».

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, acrilico, 50×40, 2020
Una Risposta di Giorgio Linguaglossa
Un lettore mi ha scritto che
«la Sua poesia “Storia italiana del Covid19” è una giustapposizione di enunciati disparati, qua e là anche brillanti, divertenti ma che non hanno nulla in comune, senza un filo conduttore, senza un collante che unisca… tutto è sbriciolato, quasi casuale, quasi improvvisato, non saprei dire. La poesia mi suscita molte perplessità…».
Risposta.
caro Omissis,
qui ci sono tre chiavi. Mauro Pierno scrive che «Le tre chiavi sono incastrate nella stessa serratura».
Allora, quello che dobbiamo fare è togliere almeno le prime due chiavi e provare ad aprire la serratura con la terza chiave.
Quale sarà la chiave che apre la serratura?
Il problema della chiave implica il problema del segno che si esprime soltanto entro il sistema reticolare dei rinvii, cioè delle relazioni che rendono possibile la significazione.
La significazione è un rapporto differenziale rispetto a tutti gli altri elementi: è se stessa (autos) in quanto non rimanda a se stessa. Essa è il nomos che prescrive all’esperienza l’ordine della Lebenswelt da cui proveniamo ma al quale non possiamo mai attingere in modo diretto, giacché la vita stessa è traccia, diversione da se stessa, spettro dell’auto-distanziamento psicologico e sociale. Come insegna Derrida, ogni segmento di Erleben è in se stesso altro.
È che la legge auto-eteronomica della nuova poiesis innerva l’esperienza della scrittura poietica in modo indipendente dai generi.
Caro amico lettore,
se lei legge la nuova poesia (la soap poesia, la poiesia top-pop, la poetry kitchen), con le categorie della bella eufonia di un Sandro Penna o di, mettiamo, un Franco Fortini (per rimanere entro l’ambito della nobile tradizione della poesia del novecento), è ovvio che si troverà spaesato, e magari anche spaventato dalla mia poesia, da quella di Gino Rago “Storia di una pallottola n. 16″, da quella di Mario Gabriele o di Mauro Pierno etc… È che purtroppo deve cambiare la sua griglia di lettura, le categorie concettuali con le quali legge un testo. Non saprei cosa dirLe, una nuova poiesis richiede sempre nuove categorie ermeneutiche.
La spettrografia della nuova poiesis, cioè la scrittura stratigrafica, è una modalità strategica per rifuggire dalla proprietà identitaria del linguaggio che tutto rapporta e riferisce al nomos, alla regola. Ogni rapporto con la scrittura è un nascere della identità dalla propria scrittura che è sempre ed anche un andare oltre e contro la propria scrittura, un nuotare controcorrente.
Una struttura testuale che operi di continuo un cambio di passo e un cambio di tono da non ridursi entro una prospettiva semplicizzante. Difatti l’intonazione nella prosa incorpora il proprio deragliamento e la propria caduta, conformandosi non a una monotonia, ma a una politonia e a una poligrafia.
Su Il Menabò n.5,Einaudi, Torino, 1962, Italo Calvino scrive:
«… Da una parte c’è l’attitudine oggi necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutandosi alle visioni semplicistiche che non fanno che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del mondo; quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto la più particolareggiata possibile. Dall’altra parte c’è il fascino del labirinto in quanto tale, del perdersi nel labirinto, del rappresentare questa assenza di vie d’uscita come la vera condizione dell’uomo.
Nello sceverare l’uno dall’altro i due atteggiamenti vogliamo porre la nostra attenzione critica, pur tenendo presente che non si possono sempre distinguere con un taglio netto (nella spinta a cercare la via d’uscita c’è sempre anche una parte d’amore per i labirinti in sé; e del gioco di perdersi nei labirinti fa parte anche un certo accanimento a trovare la via d’uscita).
Resta fuori chi crede di poter vincere i labirinti sfuggendo alla loro difficoltà; ed è dunque una richiesta poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un labirinto, di fornirne essa stessa la chiave per uscirne.
Quel che la letteratura può fare è definire l’atteggiamento migliore per trovare la via d’uscita, anche se questa via d’uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all’altro.
È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto».
Qualunque sia l’atteggiamento verso questo ciclo poetico proposto come pop-top-poesia, ciò che per me conta è tenere in me desta la sfida al labirinto, avendo coscienza che al posto della sfida non c’è spazio né possibilità per la indifferenza al labirinto, al posto della sfida c’è soltanto la resa al labirinto….
IL BARONE ROSSO e la questio dei labirinti
Una zanzara è accanto a me. Il sangue traspare nella sua pancia. Succhiare troppo può essere controproducente. L’analogia del condor con una capra nello stomaco non lascia scampo alla piccola peste. Quasi a determinarne la vita.
Rido del mio potere.
In effetti è andata oltre le sue possibilità, dovrei punirla, assolvendo alle leggi dell’ hybris. Perché non capisce che la sua piccola intelligenza non può competere con quella di un Cromagnon?
Eppure gli sta sempre attorno, cerca il sangue, l’agguato.
La sua vita è protetta dalla prontezza di riflessi.
In effetti se moltiplicassi per il mio peso questa sua qualità, troverei un Dio che riposa sul bordo del divano.
E io?
Sto solo sonnecchiando mentre misuro la mia intelligenza con un confronto spropositato. La natura chiude le sue forze in piccoli scatoli che la ragione non riesce a penetrare. Nel dormiveglia però parlo un linguaggio sconosciuto che osa senza voce, nè segni o altro. Da apprendista riconosco in esso un labirinto di cunicoli che vanno e vengono in direzioni aliene. Vie Appie si snodano lungo la Storia e le Discipline, si intrecciano, costituiscono autostrade, aree di sosta e ponti frantumati sotto i piedi. Ai bordi riconosco formiche con mandibole formidabili. I tentativi di dissolvere, scompaginare finiscono in niente, un disastro che crea nuovi labirinti.
Non mi piacciono anche qui le regine, non le ho mai amate, provo un senso di fratellanza con api operaie, un affetto particolare per le cavallette e chi afferra una bandiera caduta, ritrovandosi per caso in uno Strike. Ora la zanzara si è spaventata, forse ho alzato troppo il tiro del pensiero e ha capito che adesso si trova in un mare di guai. Con un volo radente degno del Barone Rosso, sfiora il pavimento. In grembo il cibo per i suoi piccoli. Potrei schiacciarla con un piede, ma non ho dimestichezza con le leve di comando.
UGO
Italia Germania 1 a 2.
Tasse e Müller arrivano con puntualità di donna.
Rivera torna negli spogliatoi.
Ma poi giochiamo a sorvegliarci. Una disconnessione è una pausa di pranzo, una sigaretta fumata all’ombra del panottico.
Uno che distribuiva volantini anche da morto
Pattinò con gli occhi chiusi. Usò un barattolo di fagioli per
Affiggere il Manifesto e berci sopra primitivo.
La Nazione delle alici urlò dal fondo del Tirreno.
Chiudersi a testuggine non funziona con le megattere.
Jobs, ma come poteva non chiamarsi così?
Azzardò una partita di fegato andata a male
per la luce del sole .
All’interno invece c’è solo tuorlo nero.
Ne verrà fuori Montalbano, lo sfondo di materia scura
sulle braghe.
Zig zag di una zanzara nella mano destra.
-Stavamo per perdere la pazienza ma ci ritrovammo
Davanti a una decapottabile .
Il tritolo generò un ratto che perse sangue e pulci
Per le vie di Praga, poi stramazzò abbassando la coda.
Un colpo d’appendicite sul set del Settimo Sigillo.
Italia-Germania 1-1 .
Fantozzi alza il finestrino della bianchina.
(Francesco Paolo Intini)
Pop-top-poesia anche come permanente sfida al labirinto
La mia (nostra) sfida al labirinto, ingaggiata anche attraverso il ciclo della pop-top-poesia, da un lato, vuole restituire alla letteratura, in generale, e alla poesia, in particolare, il ruolo centrale che mai come oggi le spetta di contributo alla formazione di un nuovo cittadino del nostro mondo, dall’altro, vuole allontanare dai miei (nostri) orizzonti nella sfida permanente al labirinto i nuovi mostri contro i quali combattere che per me (per noi) in buona sintesi sono (continuano a essere forse da troppo tempo):
– la banalizzazione della parola;
– l’omologazione del pensiero;
– l’ipnosi del mercato;
– la frenesia del consumo;
– la commercializzazione del desiderio;
– il vilipendio della vita.
La grande scommessa della letteratura consiste allora nel saper tenere insieme i diversi saperi e i diversi codici per una visione e lettura plurima e globale del mondo, nel saper proporre una esigenza stilistica più complessa, che si attui attraverso l’adozione di tutti i linguaggi possibili, di tutti i metodi di interpretazione, una esigenza stilistica che esprima o che sia in grado di esprimere la molteplicità conoscitiva del mondo in cui viviamo e che sappia promuovere così una cultura globale che poi è un’altra maniera di chiamare quello che da tempo L’Ombra delle Parole, attraverso gli scritti di Giorgio Linguaglossa e di tutta la Redazione della nostra Rivista, ha indicato come Spazio Espressivo Integrale.
In questo ambito, non devono destare né sospetti né meraviglie i tentitivi di dialogo per esempio tra parola scientifica e parola poetica (Rago, Intini, Tagher, Linguaglossa, in particolare) perché l’atteggiamento scientifico e l’atteggiamento poetico finiscono per coincidere se non altro perché sono:
– atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione,
– atteggiamenti di scoperta e di invenzione.
Perché?
Perché letteratura e scienza, poesia e scienza, hanno in comune l’attitudine a costruire modelli destinati a essere messi in crisi in una istanza progettuale sempre pronta a modifiche e aggiustamenti…
Gino Rago
Direi che questo tipo di poesia top-pop o kitchen o soap poetry si regge su alcuni denominatori comuni, ad esempio uno può essere la storia di una pallottola che se ne va per conto suo o rallenta o accelera combinando disastri… un altro espediente può essere quello di Intini che ci presenta situazioni palesemente assurde ma verosimili come nella poesia postata sopra, un altro espediente può essere l’uso promiscuo di avatar e sosia che fanno cose senza senso o prendono un caffè o un pernod seduti al bar… la poesia va per conto suo, è lei che decide dove andare e cosa nominare, è lei il soggetto il regista fuori testo che governa il testo. E’ questa la novità, credo. E non è di poco conto.
L’hai detto Madame!
L’hai appena affermato
e subito riconosciuto nella semplice traiettoria,
la testa di cavallo nella tela del pittore, covin garden,
l’ogiva che trapassa colorata, tutto un testo, sono
il pensiero tutto dipinto del virus,
sono
della stessa natura indeterministica,
sono l’antimateria
del realismo temperato,
non terminale.
Grazie OMBRA.
Benvenuti in tempi interessanti di Slavoj Žižek
2012
Ci sentiamo liberi perché ci manca il linguaggio necessario per articolare la nostra mancanza di libertà.
Dopo decenni di Stato sociale, in cui i tagli finanziari erano limitati a brevi periodi ed erano sostenuti dalla promessa che le cose sarebbero ben presto tornate alla normalità, stiamo entrando in un nuovo periodo in cui la crisi economica è diventata permanente, è ormai un semplice modo di vita.
La «società amministrata» dell’Occidente è pura barbarie celata sotto le spoglie di civiltà.
Questa è la vita nell’era postpolitica dell’economia naturalizzata: le decisioni politiche sono di norma presentate come questioni di pura necessità economica; quando vengo imposte misure di austerità ci sentiamo ripetere che questo è semplicemente ciò che deve essere fatto.
Se i capitalisti più dinamici oggi sono i comunisti al potere in Cina, non è questo il segnale finale del trionfo globale del capitalismo?
Nella sfera depoliticizzata dell’amministrazione postideologica, il solo modo di mobilitare l’elettorato è suscitare paura (degli immigrati, del prossimo).
Fascismo e stalinismo non sono forse stati i mostri gemelli del ventesimo secolo, il primo uscito dai disperati tentativi del vecchio mondo di sopravvivere, il secondo da uno sforzo mal concepito di costruirne uno nuovo?
Libro di Slavoj Žižek In difesa delle cause perse, Traduttore C. Arruzza
Editore Ponte alle Grazie, 2013
La rivoluzione globale è una causa persa? I valori universali sono reliquie di un’età perduta o di un’epoca superata? Per paura dell’orrore totalitario che abbiamo alle spalle, siamo costretti a rassegnarci a una misera terza via fatta di liberismo in economia e di pura amministrazione dell’esistente in politica? Slavoj Žižek mira all’ideologia regnante, sostenendo che dobbiamo invece riappropriarci di numerose “cause perse” e cercare un nocciolo di verità nelle politiche totalitarie della modernità.
Mio aforisma:
Per capire il mondo attuale non abbiamo più bisogno della poesia.
L’arte che si fa oggi in Europa è simile al dolcificante che si mette nel veleno.
I piccoli poeti pensano al dolcificante in dosi omeopatiche…
È molto semplice: Dopo le Avanguardie non ci saranno più avanguardie, né retroguardie, le rivoluzioni artistiche e non, non si faranno né in marsina né in canottiera. Non si faranno affatto.
*
Sono convinto più che mai che l’Europa sia ancora un’idea incredibilmente forte
“E non potete nemmeno immaginare quanto sia serio questo odio per l’Europa all’interno della cosiddetta alternative right statunitense”. Sui siti dell’alt-right (la destra nazionalista e suprematista), che il filosofo dichiara di divertirsi perversamente a frequentare, “l’anticristo è l’Europa unita e Bruxelles è la nuova Babilonia”. In questa visione del mondo, si legge nel libro, “i veri nemici degli Stati Uniti non sono i terroristi islamici – nient’altro che burattini manipolati in gran segreto dai secolaristi europei, e cioè dalle vere forze dell’anticristo che vogliono indebolire gli Stati Uniti per stabilire un Nuovo Ordine Mondiale guidato dalle Nazioni Unite. In un certo senso, queste considerazioni sono corrette: l’Europa non è solo un altro blocco geopolitico di potere, ma una visione globale che è in definitiva incompatibile con gli Stati-nazione. Cosa impedisce dunque all’Europa di raccogliere le forze e reagire?”.
Penso che la rivoluzione globale sia un processo in corso. E che la crisi economica sia niente affatto permanente, lo sanno i commercianti di molte città, ora che possono mettere più tavoli all’aperto senza dover pagare tasse. Piuttosto dovremo stare attenti alle zanzare, come dice Intini, ma le zanzare del consumismo di vecchio stampo: prezzi in salita, offerte da capogiro, ecc. Gli imprenditori sanno come fare, se lo stato li favorisce ne verremo (ne verranno) fuori. Forse però dovremmo intenderci su la rivoluzione sociale, in cosa consista. Aggiornare contenuti, finalità… e comunque penso che siano cose che si fanno da sé. Il contributo dei politi, in tal senso, non può che limitarsi al gioco di squadra. Purché si tratti di gioco inclusivo, globalmente inclusivo (di animali e cose).
Difatti è così grande la rivoluzione in atto che è finita nei tappi delle bottiglie.
Non v’è superficie che non ne sia coinvolta.
Una patina di virus che non riusciamo più a scacciare. Il presente virulento è esso stesso rivoluzione.Tutto ridotto ha un nome. Una cosa chiamata. Un dettato. L’illusione del linguaggio
è il limite della rappresentazione.
Abbiamo posto in atto la grande apparizione.
Che nei termini contraddittori pare proprio essere “il grande imballaggio” una scena del teatro di Tedeus Kantor.
Dall’altra parte la Storia è un fumetto,
una scena Brechtiana, una rivoluzione portatile,
Una raffica balbettante.
La compostabilità del mondo non l’abbiamo inventata, la purezza quella si.
Per essere all’altezza.
Grazie OMBRA.
https://www.internazionale.it/bloc-notes/jacopo-zanchini/2019/03/27/slavoj-zizek-europa
Slavoj Žižek, il marxista che difende l’Europa
Jacopo Zanchini, vicedirettore di Internazionale
27 marzo 2019
Slavoj Žižek è sempre sorprendente. Si può spesso non essere d’accordo con il filosofo marxista sloveno, da molti considerato un battitore libero e un pensatore eterodosso e radicale. Ma leggendo il suo ultimo libro, Come un ladro in pieno giorno, e intervistando l’autore al festival Libri come a Roma, emerge dal suo pensiero un elemento molto interessante e non scontato, soprattutto in vista delle elezioni europee del 26 maggio: il suo fortissimo europeismo.
“In un mondo in cui le decisioni vengono prese in incontri riservati di ‘leader forti’ non c’è posto per l’Europa come la conosciamo. Ovviamente, Trump si sente più a suo agio in compagnia di leader autoritari con cui può ‘fare affari’, soprattutto se agiscono solo per conto del loro stesso stato. ‘America first’ può fare affari con ‘Cina first’ o ‘Russia first’, o il post-Brexit ‘Regno Unito first’, non con un’Europa unita. L’obiettivo di Trump è quello di fare affari economici con singoli partner che possano essere ricattati fino alla sottomissione, per cui è di estrema importanza che l’Europa agisca come un’unica forza economica e politica”, si legge nel libro.
“Perché l’Europa non piace a così tante persone nel mondo? Trump non sopporta l’Europa e neanche Steve Bannon, suo emissario in Europa, che viene regolarmente nel vecchio continente con l’obiettivo dichiarato di distruggerla. E Vladimir Putin, che in teoria si oppone a Trump, sta facendo sistematicamente lo stesso: non gli importa se destra o sinistra, sostiene l’indipendenza della Catalogna, sostiene Salvini in Italia, Le Pen in Francia e via dicendo. Solo per distruggere l’Europa”, ha aggiunto appassionato di fronte al pubblico dell’auditorium di Roma.
Sono convinto più che mai che l’Europa sia ancora un’idea incredibilmente forte
“E non potete nemmeno immaginare quanto sia serio questo odio per l’Europa all’interno della cosiddetta alternative right statunitense”. Sui siti dell’alt-right (la destra nazionalista e suprematista), che il filosofo dichiara di divertirsi perversamente a frequentare, “l’anticristo è l’Europa unita e Bruxelles è la nuova Babilonia”. In questa visione del mondo, si legge nel libro, “i veri nemici degli Stati Uniti non sono i terroristi islamici – nient’altro che burattini manipolati in gran segreto dai secolaristi europei, e cioè dalle vere forze dell’anticristo che vogliono indebolire gli Stati Uniti per stabilire un Nuovo Ordine Mondiale guidato dalle Nazioni Unite. In un certo senso, queste considerazioni sono corrette: l’Europa non è solo un altro blocco geopolitico di potere, ma una visione globale che è in definitiva incompatibile con gli Stati-nazione. Cosa impedisce dunque all’Europa di raccogliere le forze e reagire?”.
Žižek, contrariamente a molti osservatori, non considera i tempi che viviamo paragonabili agli anni trenta del novecento ma piuttosto ai primissimi anni di quel secolo. La decadenza dell’impero britannico provocava fortissime tensioni internazionali e scontri per colmare il vuoto di potere che ne derivava. Si andava inesorabilmente verso la prima guerra mondiale, senza che nessuno riuscisse a fermare questa folle corsa. Secondo lui anche oggi stiamo assistendo al declino di una potenza, gli Stati Uniti, che genera un vuoto di potere che le potenze emergenti vogliono colmare.
Per Žižek anche adesso stiamo andando verso una guerra, che scoppierà nell’arco dei prossimi dieci o al massimo vent’anni, e che bisognerebbe fermare a tutti i costi. “È talmente piena di pericoli questa nuova situazione, che si apre per l’Europa un’occasione unica: impegnarsi nella formazione di un nuovo sistema economico globale che non sarà più dominato dal dollaro americano come valuta globale”, scrive. “Nell’economia globale è guerra, dunque è tempo di misure estreme. L’Europa dovrebbe essere consapevole che non si può tornare alle condizioni esistenti prima di Trump. Per infliggere a Trump il suo giusto castigo è necessario un ordine mondiale davvero nuovo. Né la Russia né la Cina lo possono creare, sono all’interno dello stesso gioco di Trump, parlano lo stesso linguaggio dell’‘America (Russia, Cina) first’”. Lo può fare solo l’Europa, anche se spesso, purtroppo, perde le occasioni per svolgere questo ruolo fondamentale.
L’INTERVISTA DEL GUARDIAN A ŽIŽEK
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↑↓volume mmute
←→seek . seek to previous12… 6 seek to 10%, 20% … 60%
“Ciò che complica ulteriormente le cose è che l’Europa deve fronteggiare la sua stessa rivolta populista, innescata dalla sfiducia crescente delle persone verso la tecnocrazia di Bruxelles, vista come un centro di potere senza legittimazione democratica. Il risultato delle ultime elezioni italiane è stato che, per la prima volta in un paese occidentale sviluppato, i populisti euroscettici sono andati al potere”, si legge nel libro.
E pure una parte della sinistra europea “feticizza troppo” questa visione di Bruxelles vista come “corrotta burocrazia ed esperti finanziari fuori dalla realtà”, secondo Žižek. “Ovviamente sono molto critico nei confronti dell’establishment europeo, ma sono convinto più che mai che l’Europa sia ancora un’idea incredibilmente forte: libertà, solidarietà, diritti umani e anche una certa sicurezza sociale che viene dal welfare pubblico e così via”. “I migranti credono nell’Europa più di quanto ci crediamo noi”, dice amaramente il filosofo, che invita a considerare con benevolenza anche tutte le conquiste, definite da lui “incredibili”, delle socialdemocrazie scandinave e dell’Europa occidentale.
“Voglio essere brutale e dire una cosa che può apparire strana per qualcuno che si proclama comunista: nella storia dell’umanità c’è mai stato un così grande numero di persone che ha vissuto così relativamente libero, sicuro e protetto dal welfare come nell’Europa occidentale degli ultimi settant’anni?”. Alcuni dei nostri paesi si sono sicuramente comportati come violente potenze coloniali nel passato, e il discorso sul tema delle loro responsabilità è molto articolato e complicato, “ma quello che non amo”, spiega Žižek, “è quello che chiamo il masochismo della sinistra europea. Tante persone di sinistra si sentono così colpevoli che qualsiasi cosa succeda di male nei paesi in via di sviluppo deve per forza essere colpa del colonialismo europeo”.
“Dobbiamo quindi insistere nel rafforzare l’Europa, ovviamente su basi più di sinistra”, dice Žižek. “Mi potreste dire che questo è utopistico. E forse lo è. Ma pensiamo bene alle conseguenze: se partiti come quelli di Salvini e Le Pen prendessero il potere in gran parte dei paesi, sarà la fine dell’Europa”. La vera minaccia al vecchio continente viene proprio da quelli che si proclamano difensori dei suoi confini e della sua civiltà. “Sono gli odierni populisti anti-immigrati a essere la vera minaccia al cuore di emancipazione dell’illuminismo europeo”, scrive nel libro. “Un’Europa in cui sono al potere persone come Marine Le Pen o Geert Wilders non è più Europa”.
Žižek, che nel suo libro demolisce in modo radicale il presidente francese Emmanuel Macron e definisce “una miserabile scelta” quella proposta agli elettori francesi tra Macron e Le Pen, loda i leader più a sinistra dei partiti progressisti europei, parlando all’auditorium si fa scappare una critica a quello laburista britannico, centrata proprio sulla sua freddezza rispetto all’appartenenza all’Unione europea. “È assolutamente cruciale quindi per la sinistra europea, o per quello che ne rimane, rimanere paneuropea. Anche Jeremy Corbyn non ha ancora capito bene che fuori dell’Europa non si può contrastare il capitale internazionale da soli. E questo è il grande conflitto nella sinistra oggi”.