Archivi del giorno: 17 giugno 2020

Marie Laure Colasson, l’insorgimento dell’Estraneo nelle “Strutture dissipative” acrilico su tavola cm 40×40, 2020, Due poesie, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa Eruzione A

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa Eruzione

Marie Laure Colasson Struttura Dissipativa B 2020

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa X 2020

Marie Laure Colasson G Struttura dissipativa

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa F acrilico, 225x40

Marie Laure Colasson Scissione Struttura dissipativa 23x38 cm 2020

Marie Laure Colasson, l’insorgimento dell’Estraneo nelle “Strutture dissipative” acrilico cm vari formati, 2020

È lo stato di emergenza che produce l’immagine. È l’immagine che produce lo spazio, non il contrario. L’immagine fa lo spazio, fa spazio per altro spazio, rende possibile allo spazio di farsi spazio. Anzi, di più: l’immagine è la configurazione con cui si dà lo spazio nei linguaggi artistici, come avviene per le composizioni spaziali dei quadri di Marie Laure Colasson. Provate a togliere l’immagine dei colori dai quadri della Colasson, e tutto cade di colpo nella insignificanza amorfa.

La pittura della Colasson non è pittura astratta ma figuralità dello spazio, figuralità delle forme nello spazio, ricerca dello spazio mediante delle Forme che emergono da un luogo di cui non sapevamo nulla. Delle Forme abnormi, raccapriccianti sono sorte da uno stato di emergenza. L’inconscio politico che vive in un continuo stato di emergenza. Forme abrupte insorgono e lacerano il tessuto delle relazioni spaziali dello spazio che precedeva l’istante del loro insorgere distruggendo i fragili equilibri architettonici sui quali si reggeva la precedente costruzione spaziale. Queste Strutture dissipative indicano una emergenza, raffigurano questo insorgimento di Forme abrupte che non conosciamo, di cui non ne sappiamo nulla e di cui non sospettavamo neanche l’esistenza. L’insorgenza dell’Estraneo è la tematica di questa pittura. Di qui il dis-equilibrio, il dis-formismo, il cataclisma, l’apocatastasi. Queste Strutture dissipative sono la raffigurazione dell’istante in cui una Forma estranea irrompe nel nostro ordinato universo percettivo e ne diffrange il lessico e la sintassi, producendone l’implosione, la erogazione di un dis-servizio che viene ad infirmare la struttura di forme in equilibrio che preesisteva all’atto dell’insorgimento dell’Estraneo. Accade il trauma. L’insorgere dell’abrupto ci respinge, volgiamo lo sguardo altrove. Non possiamo guardare più oltre, cerchiamo inavvertitamente il corrimano della distanza, siamo costretti a prendere le distanze dall’abrupto. Ci accorgiamo di essere prigionieri di una contraddizione. Non possiamo che avvicinarci a qualcosa che deve, per ora, rimanere a distanza. Non possiamo che anelare alla latenza di ciò che vorrebbe manifestarsi a noi nella illatenza. Mettiamo in atto istintivamente un distanziamento sociale.

Scrive appropriatamente Merleau-Ponty:

«Lo spazio non è più quello di cui parla la Dioptrique, un reticolo di relazioni tra gli oggetti (….) ma è uno spazio considerato a partire da me come punto o grado zero della spazialità. E non lo vedo secondo il suo involucro esteriore, lo vivo dall’interno, vi sono inglobato. (…). La visione riacquista il suo fondamentale potere di manifestare, di mostrare più che se stessa. E poiché ci dicono che un po’ di inchiostro basta per farci vedere foreste e tempeste, bisogna che la visione abbia il suo immaginario».2

Siamo in presenza della scomparsa della manifestatività scandalosa delle «cose». Nella pittura della Colasson, gli oggetti sono scomparsi, si tratta di una pittura de-oggettualizzata. Ciò che resta sono degli spigoli, delle striature, degli orli luminosi, delle semi superfici, emicicli e striature illuminati o in via di dis-illuminazione che nuotano in un fondo tinta lucido, monotonale, uniforme, un fondo tinta neutro, non quello liofilizzato dalla comunicazione medialmediatica ma come fondo-sfondo, come sfondo-fondo, come fondale neutralizzato e cieco, dove le cose che un tempo galleggiavano sono disparite e delle quali rimangono delle tracce, delle orme, delle striature, dei semi profili, degli spigoli, degli stipiti malamente illuminati da una luce che si profila e si prolunga e si indebolisce di contro allo sfondo-fondo tonalmente lucidato a dovere, quasi fosse un relitto kantiano quel dovere di lucidare lo sfondo-fondo dove le cose sono state inghiottite e sono scomparse.

Il reale emerge come le tracce del negativo nella lastra fotografica, come le tracce del corpo in una radiografia. Le tracce del negativo che il discorso poietico ha l’obbligo di far parlare per via del fantasma e per via fantasmatica contengono un barlume di verità per quel pensiero che è il massimo responsabile della disgregazione delle Forme. Il trascendimento del dominio (Herrschaft, dizione di Adorno), appare così legato non all’avvento di una ragione più luminosa e universale, ma di un linguaggio figurale che sappia finalmente dar voce al negativo, senza l’arbitrio soggettivo e senza la violenza del soggetto che legifica e che si esprime in tautogrammi.

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