[il video di cui al link sopra riportato, è stato costruito utilizzando le notazioni grafiche su fogli di carta di Antonio Amendola e ascoltando il suono da lui creato. Poco prima della fine del video potrai leggere spiegazioni più dettagliate.
Gianni Godi]
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caro Gianni,
grazie innanzitutto per il tuo lavoro, per noi è importantissimo questo incontro tra arti e poetiche artistiche diverse: poesia, romanzo, pittura, video-art e musica. È questo il nuovo modo di pensare e di condividere la nuovissima pop-arte, pop-poesia, pop-video-art, la poesia non può vivere da sola, non può sopravvivere nel suo «splendido» isolamento che è diventato solipsismo autarchico, la poesia ha bisogno del confronto critico e dello scambio tra tutte le arti e con il pensiero filosofico.
(Lucio Mayoor Tosi)
…lo finisco il pensiero. Il pop pensiero è l’autentico presente che a un certo punto ci siamo dimenticati che per una serie di ingolfamenti temporali torna finalmente a galla. Dalla deriva, dall’esclusione, a cui era stato sottoposto o riapparendo se preferite. Mi vengono in mente le tanto care missive che quell’instancabile di Rago ha inviato a Ewa Lipska, il prototipo delle lettere alla Maria nazionale. Ergo, quindi Ingravallo e li che deve indagare. Madame Colasson ha un gancio perfetto col buona camicia televisivo. (Uno dei miei scrittori preferiti è Sebastiano Vassalli per come riesce ad essere cronista e protagonista in una sua storia è strabiliante. Un teatro tutto suo, grande!). Termino. Cosa voglio dire? Appunto. Che c’è sempre una parte del presente che dovrà diventare futuro, e viceversa, che dovrà diventare passato.
La pop poesia è il presente che affiora.
(Mauro Pierno)
Gino Rago
Storia di una pallottola n. 10
Metro B. Fermata Colosseo. Sale il Fantasma del Louvre.
Porta una mascherina. Gialla.
Milaure Colasson con la sua Birkin è in fondo alla carrozza.
Sale nella metro il filosofo Stavrakakis.
«È Belfagor! Fermatelo! Le fantôme du Louvre!», grida.
Un agente in borghese pedina Marie Laure Colasson.
«Signora, pardon, mi sono invaghito di lei, non creda a Belfagor, non è possibile,
è una invenzione di Victor Hugo…».
Madame Colasson:
«Monsieur, è tutta colpa di Juliette Gréco.
Rivolga istanza all’Ufficio Informazioni Riservate».
Da una Beretta calibro 9 una pallottola di gomma
colpisce in pieno un kit anti-Covid-19 (mascherina e visiera in plexiglas)
fissata con una molletta sul filo dei panni del balcone del quinto piano.
Il filosofo Stavrakakis litiga con il filosofo Žižek.
Ingravallo dice che Linguaglossa è un sovversivo.
Una volante a sirene spiegate.
Tre giubbotti antiproiettili fanno irruzione al quinto piano di via Pietro Giordani.
Uno, due, tre spari.
Sequestrano tute, occhiali cinesi, una videocamera a raggi infrarossi,
guanti in lattice, un termoscanner, una soluzione idroalcolica, un reagente,
due confezioni di amuchina, mascherine chirurgiche FFP2, tamponi.
Cadono sulla strada dei vasi da fiori sulla testa di due clienti
proprio davanti al negozio di vini sfusi.
Apericena da Rosati a Piazza del Popolo.
Marie Laure Colasson incontra Catherine Deneuve.
Parlano di quella scena che girò tutta nuda in “Belle de Jour”.
Da una finestra:
«Quelli eran giorni, sì, erano giorni. Noi ballavamo anche senza musica…».
Vittorio Gassman parcheggia l’auto sportiva a Piazza del Popolo
nel film “C’eravamo tanto amati” (1974), regia di Ettore Scola con Nino Manfredi,
Stefania Sandrelli e Giovanna Ralli.
Ripostiglio di sartoria teatrale al primo piano di via Gabriello Chiabrera:
manichini, scampoli, aghi, spolette, fili di seta, bottoni, ditali.
Montale sta provando una giacca di velluto a coste fini:
«Ahimè, la Musa mi ha abbandonato,
questi giovinastri preferiscono gli stracci, le discariche abusive, la plastica,
i cassonetti della immondizia…».
Egregio poeta Gino Rago,
innanzitutto prendo le distanze da quel poliziotto in borghese che mi ha pedinato durante tutto il mese di agosto in pieno solleone… il figuro non faceva che sbirciare la mia gonna… e poi sono desolata che in questa triste vicenda con il commissario Ingravallo sia stata investita anche l’Ambasciata di Francia cagionando un incidente diplomatico. Tutto ciò per le intemperanze di un commissario inadeguato e incompetente. Sono contenta che Ingravallo sia stato rimosso dal suo incarico e rispedito a Campobasso, suo paese natale. Questo pettegolezzo mi è stato riferito dal Signor Linguaglossa il quale è un notorio “sovversivo” come bene sanno i servizi deviati di stanza nel bel Paese.
Però devo dirLe che il mio incontro con Catherine al caffè Rosati di piazza del Popolo è stato molto piacevole e con lei ho scambiato due chiacchiere sulle nostre rispettive “nudità”.
Non le nascondo, comunque, il mio apprezzamento franco e disinteressato per la sua Storia di una pallottola n, 10…
Aspetto con impazienza il seguito della Storia malfamata. Ma, per favore, non mi faccia più incontrare con quel buzzurro di Ingravallo!
Affettuosamente,
Milaure
Francesco Paolo Intini
Al 103esimo KIRK
Caricare Kirk di responsabilità.
Metterlo in un quadro e fargli suonare la chitarra
Perché non ha fatto “La strada” e non è entrato nel cast di “ Persona”
Kirk non ebbe scelta, rientrò dai 104 nel 70 a.C.
Fu vera gloria suonare sul monocordo “Libertà o Morte”
E Goya alla cinepresa
-Non è così che si alzano le braccia e si pronuncia “VIVA”.
stai presenziando l’ Oscar o l’Aspromonte?
In un genoma comunismo e critica cinematografica:
a ognuno secondo il sogno.
Mc Carthy? Una funzione di stato.
Il leninismo una vampa di calore.
Uomini e caporali sul campo di battaglia.
Da che parte è la guerra?
La classe operaia impara dai ricci a sotterrarsi.
E dopo i titoli di coda la Via Lattea fino a Capua.
Scartavetrando azzurro cenere
Soltanto un lampo di pessimismo
croce n. 2020 in un campo di papaveri
Si intravede l’etichetta di un pomodoro
Spartacus con le istruzioni di una battaglia 3D.
Michelangelo al rifiuto della Pietà
Poi perde la vita banalmente
per evitare che un ramarro finisca tra le ruote
SPARI DI WARHOL
C’è uno sbuffo tra le silver clouds
e dalle inferriate sfugge acroleina.
L’ala del corvo fa un cigolio
-Papà è lo sportello della cinquecento
L’albero della piazza ha dato i fichi in pegno
ma ci ha guadagnato investendo a Singapore.
C’è da credere a quello di Hong Kong.
Ride Ollio della libertà.
Bisogna riscaldare la scena milioni di gradi
per avvicinarlo a Lenin.
Dopo tutto la produzione di un pensiero pulito
richiede che si brucino due cartoon.
È’ scritto che qualcosa si perda nel telecomando.
Partono missili a zig zag. Acqua brucia nei polmoni.
L’accostamento in olio bollente
schiude l’uovo dell’universo.
Bucefalo scaccola le sue narici.
Alessandro ride a quaranta denti.
Totò compra la Cappella Sistina.
FIRME DI PRESENZA.
L’uomo di Cromagnon si affacciò con un pacco da firmare.
Chi era Dio tra loro?
L’autentica è scomparsa e duole stare in piedi dal big bang.
La penna è sul muro.
Calcinaccio che conserva gli occhi di cerva
E l’ordine dal più sudato al meno.
L’ odore ha la sua parte proibita.
HAL 9000 dunque e dopo un astronauta.
Palpa la camicia per riconoscere il male al petto.
Graffio di Caino sulla visiera.
Si diede da fare nella metallurgia e scoprì qualcosa che poi gli fruttò ricchezza.
Assomigliava al Neanderthal,
un brav’uomo deceduto durante una rapina in banca.
Ci morirono delle guardie giurate.
Sbrigarono la faccenda all’alba
e si accusarono a vicenda pur di nascondere
un tizio somigliante a Lorca.
La conservazione nell’inconscio è perfetta.
Soltanto di notte esce qualche indizio sulla vera identità.
In sostanza anche i versi furono assorbiti,
caddero giù per il pendio e si fissarono nella foiba.
Una stalattite ride del cobra su Wall Street
Giorgio Linguaglossa
C’è un «significante eccedente» che caratterizza la poesia moderna e contemporanea, questo è indubbio, ma ciò che caratterizza la poesia della nuova fenomenologia estetica della top-pop-poesia, della poetry-kitchen o pop-corn-poetry è una particolare idea di «significante eccedente». Pensare questa idea soltanto nel senso semantico come ha fatto lo sperimentalismo e la poesia tardo novecentesca, a mio avviso sarebbe limitativo. Qui occorre pensare l’«eccedente» nella accezione di uno scarto e di un residuo non assimilabile ad alcun significato stabilito; a questo punto si apre uno spazio di «gioco linguistico» nel senso di Wittgenstein sconosciuto alla poesia del Moderno, impensabile dalla poesia del modernismo del novecento. È questo salto mentale che bisogna fare, altrimenti si ricade inevitabilmente nella poetica del significato e del significante.
«Noi crediamo che le nozioni di tipo mana, per quanto diverse possano essere, considerate nella loro funzione generale… rappresentino esattamente quel significante fluttuante, che costituisce la servitù di ogni pensiero finito (ma anche la garanzia di ogni arte, di ogni poesia, di ogni invenzione mitica o estetica), sebbene la conoscenza scientifica sia capace, se non proprio di arrestarlo, di disciplinarlo parzialmente».1
Lévi-Strauss, citato da Giorgio Agamben, Gusto, Quodlibet, 2015 p. 47 e, in Enciclopedia Einaudi, vol. 6, Einaudi, Torino 1979.
Se la patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, per la pop-poesia non ha senso parlare di «soluzioni immaginarie», la pop-poesia avverte l’esigenza di reinventare il reale come finzione, come gioco di specchi, come costruzione e decostruzione ad un tempo del linguaggio nel linguaggio.
Non si tratta di una riscrittura segnica della realtà, perché la realtà come noi la intendiamo non esiste, ma è già, in quanto tale, frutto di una simulazione; si tratta piuttosto di porre in essere una dissimulazione auto ironica della realtà, perché essa viene distrutta e insieme ricostruita proprio nel non-luogo che la contiene: nello specchio del linguaggio.
L’altra sera Marie Laure Colasson, dopo aver visionato il video di Gianni Godi, ha riconosciuto la grande capacità dell’autore di reinventare il linguaggio poetico in un altro linguaggio, un linguaggio simulacrale fatto di avatar, emoticon, figure tridimensionali che si avvale della stessa grammatica del web per ricostruire un video secondo un modernissimo concetto di spazio simulacrale-virtuale. Ha fatto un pop-video, se così possiamo dire.
(Giorgio Linguaglossa)
Per come la vedo io, Pop è scrivere nel geroglifico del banale. Merito dell’arte pop è quello di rendere manifesto e riconoscibile il banale. Dopo l’epoca della grande narrazione, il passo successivo. Nomi e oggetti del vecchio mondo, ancora qui: autentico vintage.