Archivi del giorno: 13 giugno 2020

Storia di una pallottola, Poesia di Gino Rago, Meditazione davanti all’eclissi, poesia di Carlo Livia, Sulla pop-poesia, Disattivare il significato da ogni atto linguistico, de-automatizzarlo, deviarlo, esautorare il dispositivo comunicazionale, creare un vuoto nel linguaggio, Giorgio Linguaglossa, Struttura dissipativa di Marie Laure Colasson

Marie Laure Colasson Ordo Rerum Struttura dissipativa

Marie Laure Colasson, Ordo Rerum, Struttura dissipativa, acrilico 40×40 cm, 2020

Il termine «struttura dissipativa» fu coniato dal premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine alla fine degli anni ’60. Il merito di Prigogine fu quello di portare l’attenzione degli scienziati verso il legame tra ordine e dissipazione di entropia, spostando l’attenzione dalle situazioni statiche e di equilibrio studiate fino ad allora, a quelle dinamiche ed instabili, contribuendo in maniera fondamentale alla nascita di quella che oggi viene chiamata epistemologia della complessità.
Per struttura dissipativa (o sistema dissipativo) si intende un sistema termodinamicamente aperto che lavora in uno stato lontano dall’equilibrio termodinamico scambiando con l’ambiente energia, materia e/o entropia. I sistemi dissipativi sono caratterizzati dalla formazione spontanea di anisotropia, ossia di strutture ordinate e complesse, a volte caotiche. Questi sistemi, quando sono attraversati da flussi crescenti di energia, materia e informazione, possono anche evolvere e, passando attraverso fasi di instabilità, aumentare la complessità della propria struttura (ovvero l’ordine) diminuendo la propria entropia (neghentropia).
Marie Laure Colasson intende la pittura come uno spazio figurale, una «struttura dissipativa», una struttura complessa di forme e colori soggetta a biforcazioni e deviazioni non lineari che opera all’interno di un «sistema aperto» per eccellenza quale è lo spazio. Nello spazio il «processo conglobativo» si ripete trilioni di volte con una serie di variazioni pressoché infinite. Il linguaggio figurale della Colasson recepisce l’idea dello spazio figurale come la struttura tipica della complessità dell’ipermoderno.
Il discorso sulla verità e sul senso della pittura ancorata ad un concetto di mimesis è stato derubricato e sostituito da un discorso sulla vertigine e sulla reversione della profondità in superficie, dell’originale in simulacro, dell’ordo rerum in ordo idearum, in ordo phantasmaticum. Il discorso sul senso si è rivelato un similoro, un falso, un ideologema. La superficie, il simulacro, l’illusione, l’abbaglio sono gli avatar della figurazione colassoniana. Tutta la strategia della nuova figuralità è di portare le cose alla mera apparenza del loro insorgimento, di farle irradiare e consumarsi nel gioco dell’apparenza e della dis-apparenza.
(Giorgio Linguaglossa)

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Gino Rago

Storia di una pallottola n. 11

Marciapiedi di via Gaspare Gozzi. Caffè “fulmini e saette”.
Sulla testa del noto critico letterario Linguaglossa
cadono a picco una vestaglia grigio topo, due fodere color fucsia,
un paio di ciabatte, un colbacco,
una sciarpa di seta, una bottiglia di plastica, due o tre turaccioli di Bourbon,
una falce e martello di cartapesta e un comunicato dei 5Stelle.

Marie Laure Colasson scrive su un post-it di colore giallo
«Porto mascherina, guanti monouso in lattice blu,
condivido la distanziazione sociale verso i poeti elegiaci di ritorno
“tutte canaglie” affermava Baudelaire,
“pronti ad ogni sordida nequizia”, dico io.
Mi equipaggio come posso contro il virus del significante e del significato
e anche contro tutte le referenze.
“À bientôt, mon ennemi”».

Cinecittà. Set del film “Pugni, pupe e pepite”.
Sergio Leone gira una scena.
Clint Eastwood.
Dalla sua Colt parte un colpo.
La pallottola colpisce il commissario Ingravallo mentre fa le valigie
per Campobasso dove è stato trasferito.
Il Ministero ha assegnato il caso al commissario Montalbano.
Andrea Camilleri litiga con Carlo Emilio Gadda,
Eugenio Montale, in pantofole, sorseggia un caffè,
sta correggendo il romanzo di Camilleri “Il ladro di merendine”,
dice che il titolo non va bene, non è eufonico
e torna dalla sua volpe.

Backstage del film.
Greta Garbo si innamora del poeta Gino Rago,
il quale, però, deve correre dalla moglie a Trebisacce.
“Le Figaro” intervista il poeta
sulla sua relazione con la coniglietta Carol Alt
che a 60 anni suonati ha posato nuda per “Playboy”,
ma lui nega, nega tutto, anche l’evidenza,
anche le foto che lo inchiodano,
dice che ha una «moglie gelosa e superegoica».

Il tutto rotola in una “struttura dissipativa” di Marie Laure Colasson
e Gino Rago diventa una macchia di colore.
Trovano posto nel quadro anche il commissario Ingravallo, Greta Garbo
e Brigitte Bardot.
Eugenio Montale bussa per entrare anche lui nel quadro
ma la Colasson oppone un netto rifiuto.
«È un poeta elegiaco – dice – anche lui è una carogna!».

Così tutto rotola tra la fogna e la rogna,
con tanto di assonanza per il gradimento del poeta premio Nobel,
perché «il mondo è tutto ciò che accade», «non ci sono cose ma solo fatti»,
ha scritto il filosofo Wittgenstein…

La Storia di una pallottola n. 11 ha trovato in me motivazioni e stimoli in certe dense meditazioni di Marie Laure Colasson, alcune in forma direi epistolare, altre in forma di dichiarazioni di intenti artistico-estetici sulla pop-poesia, che
qui di seguito riporto.
(Gino Rago)

*

Egregio poeta Gino Rago,

innanzitutto prendo le distanze da quel poliziotto in borghese che mi ha pedinato durante tutto il mese di agosto in pieno solleone… il figuro non faceva che sbirciare la mia gonna… e poi sono desolata che in questa triste vicenda con il commissario Ingravallo sia stata investita anche l’Ambasciata di Francia cagionando un incidente diplomatico.

Tutto ciò per le intemperanze di un commissario inadeguato e incompetente. Sono contenta che Ingravallo sia stato rimosso dal suo incarico e rispedito a Campobasso, suo paese natale.

Questo pettegolezzo mi è stato riferito dal Signor Linguaglossa il quale è un notorio “sovversivo” come bene sanno i servizi deviati di stanza nel Bel Paese.

Però devo dirLe che il mio incontro con Catherine al caffè Rosati di piazza del Popolo è stato molto piacevole e con lei ho scambiato due chiacchiere sulle nostre rispettive “nudità”.

Non le nascondo, comunque, il mio apprezzamento franco e disinteressato per la sua Storia di una pallottola n, 10…

Aspetto con impazienza il seguito della Storia malfamata.

Ma, per favore, non mi faccia più incontrare con quel buzzurro di Ingravallo!

Affettuosamente.

(Milaure Colasson)

*
Sulla pop-poesia 

«Il disallineamento frastico, il dislivello tra i singoli sintagmi, l’interruzione di ogni enunciato, è questo il lavoro nel quale sono personalmente impegnata.

Il significato deve essere bypassato, dribblato, eluso, solo così si può ottenere un significato ulteriore, citeriore, anteriore…

Aprire una parentesi all’interno di ogni enunciato, e un’altra parentesi fuori dall’enunciato, e così via…

Fare del terrorismo, terremotare ogni enunciato, dissestarlo, de-costruirlo, smobilitarlo.

Fare del terrorismo all’interno di ogni enunciato è un lavoro serissimo, che dovrebbe appartenere al bagaglio di ciascun poeta, perché oggi non si può adottare un significato così come ce lo consegna già confezionato il sistema delle emittenti linguistiche.»
*
[tutti i versi sulla “struttura dissipativa” della Colasson presenti nella Storia di una pallottola n. 11 sono scaturiti da queste riflessioni psico-artistico-estetiche di Giorgio Linguaglossa.]

(Marie Laure Colasson)

*

su “Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa Z, acrilico, 55×35 cm., 2015”

“[…] Tutto ciò il quadro lo raffigura in modo traslato e intersemico e lo convoca in una struttura auto sufficiente e auto immune, erige la propria struttura difensiva e ostensiva perfettamente in grado di rendersi indifferente ed estranea alla prassi, perché la felicità non è nella prassi ma al di là della prassi, al di là della storia. La sola felicità compossibile è quella che è contenuta nella prassi di una struttura dissipativa come atto di negazione del tutto.

Scrive Adorno nella Teoria estetica: «la forza della negatività nell’opera d’arte dà la misura dell’abisso fra prassi e felicità».

(Giorgio Linguaglossa)

*

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