Sulla pop-poesia, top-pop-poesia o poetry-kitchen, Poesia inedita di Mauro Pierno, Pop è scrivere nel geroglifico del banale, Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, acrilico, 2020, Commento di Giorgio Linguaglossa

Lucio Mayoor Tosi Covid Garden Blues 40x50 cm acrilico

Lucio Mayoor Tosi, Covid Garden Blues acrilico 50×70 cm, 2020 – 

Non il prodotto in sé né soltanto il suo significato, ma gli stessi significanti sono diventati ormai oggetti di consumo, che raccolgono il proprio potere e fascino dall’essere strutturati per costituire un codice segnaletico. Il colore-segno è stato talmente svuotato di soggettività, analogamente alla merce, che vive nella cromia e nella cromatura, nella doratura metallizzata delle automobili bicolori e del design di questi ultimi anni. È stata questa la triste sorte capitata al colore nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tanto da renderlo inutilizzabile ai fini dell’arte figurativa e figurale, in quanto il sistema figurativo è stato catturato dal sistema di significazione che lo ha ridotto a stigma di differenze e sintesi di un macro processo di differenze sempre eguali. Il valore dell’oggetto-colore si è venuto così a costituire a partire dal codice di correlazione, che a sua volta non richiede alcuna ermeneutica semiologica o semantica. Il feticismo della merce si riflette nel feticismo del colore sul piano del significante nella produzione degli oggetti seriali e delle forze (ri)produttive. Non è tanto il significato del singolo oggetto a conferire valore all’oggetto, ma è la struttura di significazione relativa e di scambio quella che decide del suo valore. Non è il feticismo dell’oggetto-colore a sostenere lo scambio, ma è il principio sociale dello scambio che sostiene il valore feticizzato dell’oggetto-colore.
In Lucio Mayoor Tosi l’oggetto-colore esercita il proprio fascino in quanto il soggetto dimentica in esso la propria soggettività alienata, proprio come in un taumaturgico gioco di specchi. Il feticismo è alimentato dal gioco di specchi e dal desiderio di socialità che si esprime appunto come sistema di scambio di segni, come sortilegio, atto magico, struttura di differenze che agisce attraverso il coinvolgimento di un soggetto preso e catturato nel sistema di differenze sempre eguali, nel sistema semiotico-semantico. Il valore non si acquisisce nella differenza e nello scambio che, tra l’altro, coinvolge e struttura gli stessi soggetti come oggetti, quali partecipanti affascinati dalle regole del gioco, ma in un sistema di relazioni segniche che decidono del valore. Ed è quello che fa Lucio Mayoor Tosi ribaltando i piani e rovesciando il tavolo di gioco. Simulazione, dissimulazione, reversione dell’ordine simbolico appartengono al gioco simulatorio del sortilegio. Lucio Mayoor Tosi decide di impiegare il sortilegio. Il “garden” del Covid19 mette allo scoperto la inanità di ogni figuralità che voglia porsi il compito della mimesis. Anche l’astratto viene colpito dal tabù della nominazione e della rappresentazione, ciò che resta sono dei segnetti di colori su spazi tonali di acrilico, spazi neutralizzati di segni neutralizzati. Così, a neutralizzazione avvenuta, si avvera il naufragio della pittura post-Covid, possibile soltanto nella forma della pictura-kitchen, pop-pictura, pittura come simulazione in vitro del banale-reale, pittura come replicazione all’infinito della propria inibitoria capacità di replicazione nel reale. Pictura come capacità virale di replicazione nel tessuto recettorio della ricezione semantica. Pictura come deposizione della propria potenza semantica inibita nell’atto imbonitorio del fare poiesis.
(Giorgio Linguaglossa)

.

Ringrazio, Giorgio. Vero, le relazioni segniche decidono del valore… il piacere estetico è rivivere l’atto, il gesto (come appunto nella passata corrente della pittura gestuale, occidentale e orientale). Però manca lo psico dramma informale, dove si riempiva tutto… Al contrario, io metto vuoto e segni di diversa grafia. Come di un Pollock rasserenato, non più tormentato da se stesso ma aperto a diverse contaminazioni. Come dici tu: ” è il principio sociale dello scambio che sostiene il valore feticizzato dell’oggetto-colore”. In qualche modo, questo mio “Covid Garden Blues” è un’opera partecipata. Voci diverse, musiche e rumori. Il tempo, poi, unisce i colori.
Dal pensare postmoderno ho tratto maggiore libertà d’azione. Posso fare un’operetta come questa con citazioni Pollock, Keith Haring o Basquiat, e altre dove recupero Kandinsky. Ma ragionando, non ci si ammala di aids o di alcolismo. E’ pittura fredda.
(Lucio Mayoor Tosi)

*

È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Se la patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, per la pop-poesia non ha senso parlare di «soluzioni immaginarie», la pop-poesia avverte l’esigenza di reinventare il reale come finzione, come gioco di specchi, come costruzione e decostruzione ad un tempo del linguaggio nel linguaggio.
Non si tratta di una riscrittura segnica della realtà, perché la realtà come noi la intendiamo non esiste, ma è già, in quanto tale, frutto di una simulazione, di un gioco di carte; la pop-poesia o la poetry-kitchen di Mauro Pierno pone in essere una dissimulazione auto ironica della realtà, perché essa viene distrutta e insieme ricostruita proprio nel non-luogo che la contiene: nello specchio del linguaggio.
(Giorgio Linguaglossa)

*

Per come la vedo io, Pop è scrivere nel geroglifico del banale. Merito dell’arte pop è quello di rendere manifesto e riconoscibile il banale. Dopo l’epoca della grande narrazione, il passo successivo. Nomi e oggetti del vecchio mondo, ancora qui: autentico vintage.
(Lucio Mayoor Tosi)
Lucio Mayoor Tosi royal-coronavirus

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden 40×50, acrilico, 2020 – Se guardo portando attenzione agli spruzzi e ai segni, l’opera diventa pioggia che cade su l’ombra di un’astronave di passaggio. Più spesso, rivedendolo in fotografia, è l’ombra ad attirare l’attenzione. Sembra la testa di un cane, o di un cavallo. Ma il tema è Coronavirus in dose massiccia. Nell’aere, tra fili di paglia e sangue.

Lucio Mayoor Tosi Covid garden, 40x50, 2020

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden 40×50, acrilico, 2020

Mauro Pierno Compostaggi

Libro di Mauro Pierno in corso di stampa

Mauro Pierno

Tutti allo stesso tempo
(Ossia un concerto di voci
Ovvero coincidenze)

Personaggi:
Emme
Erre
Emmea
Ci
E
Gi
A
Effe
Esse

L’operatore, ovvero

studio teatrale 22.04.90
rivisitazione maggio 2020

AMBIENTAZIONE: (nove posti a sedere disposti a diversa altezza; agli estremi di essi alcune file di scatole tutte uguali. Nove individui occupano i rispettivi posti e a ritmo si passano le scatole. Tutti sono vistosamente scalzi. S, ad un estremo, avrà il compito di ripristinare la fila di scatole; dall’altro capo, M, avrà cura di riproporre il giro delle stesse. Gli altri personaggi: R, Ma, C, E, G, A, F.)

(Terminando il giro silenziosamente)
M
R
Ma
G :
A :
F :
S : vuota!

M: Incomincio ad essere stanco.
R: che senso ha?
Ma: appunto che senso ha?
C: …” Che senso ha?” Cosa?
E: questa ricerca suppongo?!
G: no, no…forse il senso…
A: …ho inteso!
F: io niente!!!
S: centro quarantatré! Vuota!

M: Passa.
R: anch’io incomincio ad essere stanco!
Ma: io ancora no.
C: cercare, cercare, cercare…
E: mai essere stanchi…
G: appunto!
A: certo!
F: su sbrigatevi! (È l’unico a dare segni di impazienza)
S: vuota!

(Toccandosi i piedi)
M: ho i piedi freddi.
R: i miei sono di ghiaccio.
Ma: i miei infreddoliti.
C: i miei semi rigidi.
E: i miei raffreddati.
G: i miei ibernati.
A: i miei congelati.
F: i miei…non ci sono! (Tutti disapprovano)
S: vuota!

M: Eppure le avevo
R: anch’io le avevo
Ma: difatti le portavo
C: anch’io le portavo
E: io le calzavo
G: anch’io le indossavo
A: io le infilavo
F: io…semplicemente camminavo
S: vuota!

M: era un quarantuno!
R: il mio un trentanove!
Ma: il mio un trentacinque!
C: il mio un trentasette!
E: il mio un trentasei!
G: il mio un trentotto!
A: il mio un trentanove!
F: il mio…un centoottantotto! (Tutti disapprovano)
S: vuota!

M: Mi mancano.
R: anche a me.
Ma: pure a me.
C: a me anche.
E: a me pure.
G: sicuro.
A: chiaro.
F: oscuro! (Disapprovano tutti)
S: vuota!

(Avvincenti)
M: Erano le quattro!
R: già, le tredici
Ma: precisamente le otto!
C: esatte le sedici!
E: in punta le nove!
G: erano le sei!
A: appunto le ventidue!
F: … (Leggendo l’orario) …sono le… (Generale disapprovazione)
S: vuota!

(Squilli di telefono)
M: Pronto?
R: pronto?
Ma: pronto?
C: pronto?
E: pronto?
G: pronto?
A: pronto?
F: chi parla? (Crescente disapprovazione)
S: vuota! (Terminano gli squilli)

M: È per te?
R: no! È per te?
Ma: no! È per te?
C: no! È per te?
E: no! È per te?
G: no! È per te?
A: no! È per te?
F: È per me! (Nervosismo dilagante)
S: vuota!

M: Vuole distoglierci.
R: è vero
Ma: allora, resistere
C: continuare e basta
E: senza tregua
G: senza arrendersi
A: giammai
F: diritti alla meta! (Seppur sconcertati, cenni di consenso)
S: vuota!

(Caricati ripetono la strofa)
M: Vuole distoglierci.
R: è vero
Ma: allora, resistere
C: continuare e basta
E: senza tregua
G: senza arrendersi
A: giammai
F: diritti alla meta! (Tripudio di consenso)
S: vuota!

(Riprendono gli squilli)
M: Non bisogna rispondere alle provocazioni
R: ogni provocazione resterà impunita
Ma: abbasso la violenza
C: viva, via Ghandi
E: mio padre non mi picchia
G: mia madre neanche
A: evviva, evviva
F: diritti alla meta! (Ancora consensi)
S: vuota! (Gli squilli terminano)

M: Dove eravamo rimasti?
R: dove eravamo rimasti?
Ma: dove eravamo rimasti?
C: dove eravamo rimasti?
E: dove eravamo rimasti?
G: dove eravamo rimasti?
A: dove eravamo rimasti?
F: diritti alla meta! (Costernati tutti. Ricomincia)
S: vuota!

Lucio Mayoor Tosi Covid Garden 3 acrilico, 50x70 cm, 2020

Lucio Mayoor Tosi, Covid garden 40×50, acrilico, 2020

Sulla top-pop-poesia o poetry-kitchen o pop-corn-poetry

Non c’è che una e una sola strategia fatale: la strategia frattale. Penso che l’atto fondativo della nuova pop-poesia o top-pop-poesia sia stato quello di sottrarre la poesia al logos della ragione raziocinante, che poi era nient’altro che il Logos dell’io. In questa accezione, la poesia di uno Zanzotto non differisce poi molto da quella del tardo Caproni, di un Sanguineti, del tardo Fortini, o di Pasolini, l’artefice è sempre il soggetto e le sue crisi di identità e di significazione. Con la top-pop-poesia tutto questo è caduto nell’oblio. Il colpo di destrezza è stato quello di portare la poesia fuori del Logos, fuori della Ragione raziocinante e di dare vita a personaggi e a situazioni che si reggono nel nulla, che sopravvivono soltanto nel vuoto, che custodiscono il loro mistero, il loro Enigma.
Nei personaggi e nelle situazioni della pop-poesia o poetry-kitchen non c’è più il referente del significato o del significante che ci può aiutare, la nuova poesia sfida la logica del senso e del significato, sfida la psicologia, sfida l’ordo idearum e sfida anche l’ermeneuta che voglia sondarne le significazioni implicite.

I personaggi veri e inventati, le icone, gli avatar, le situazioni ultronee sono il prodotto di codici alfanumerici di cui si sono perse le tracce. Ciò che non è rintracciabile, lo può essere attraverso dei sostituti, delle trasposizioni. Il desiderio della poiesis-desiderante tende sempre fuori del linguaggio. Das Ding, la Cosa non è per Lacan un oggetto desiderato, non ha un contento determinabile nel linguaggio. Ciò a cui la Cosa si riferisce non è rappresentabile, non può aver accesso allo spazio psichico perché non lascia tracce, perciò essa, dice Lacan, è «il fuori significato [le hors-signifié]». Non appartiene allo spazio del simbolico inaugurato dal linguaggio, ma a quello del «reale». La Cosa si situa sul piano dell’inconscio, il desiderio originario si volge alla dimensione inoggettivabile in quanto non meramente ontica ma squisitamente ontologica, di das Ding (Cfr. in Kant, l’“in sé” che non diventa mai fenomeno).

(Giorgio Linguaglossa)

Mauro Pierno 1Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962, vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014) e altri dei quali ne ha curato anche la regia. In poesia è presente nell’antologia – Il sole nella città – La Vallisa (2006), fra le raccolte più significative, non tutte edite, possiamo ricordare Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su Poetarum Silva, Critica Impura, Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (2017) e, nel 2018, in collaborazione con Francesco Lorusso sulla rivista letteraria incroci è uscita la silloge, 37 Pedisseque istruzioni. La sua scrittura è presente anche sulle pagine innovative del gruppo NOE di Roma e parte dei suoi versi si possono leggere sul Blog “L’ombra delle parole”. Da anni promuove in rete il blog “ridondanze”. È in corso di stampa con Progetto Cultura, Compostaggi.

4 commenti

Archiviato in nuova ontologia estetica, Senza categoria

4 risposte a “Sulla pop-poesia, top-pop-poesia o poetry-kitchen, Poesia inedita di Mauro Pierno, Pop è scrivere nel geroglifico del banale, Lucio Mayoor Tosi, Covid garden, acrilico, 2020, Commento di Giorgio Linguaglossa

  1. Agli occhi del poeta di fine Ottocento, Mallarmé, la religione tradizionale può apparire superflua anche perché alcune delle funzioni da essa svolte in passato vengono ora assunte dall’arte. Agamben nota appunto che, «di pari passo al processo che, con la prima apparizione dell’industria culturale, respinge i seguaci dell’arte pura verso i margini della produzione sociale, artisti e poeti (basti, per questi ultimi, fare il nome di Mallarmé) cominciano a guardare alla loro pratica come alla celebrazione di una liturgia – liturgia nel senso proprio del termine, in quanto comporta tanto una dimensione soteriologica, in quanto sembra essere in questione la salvezza spirituale dell’artista, quanto una dimensione performativa, in cui l’attività creativa assume la forma di un vero e proprio rituale, svincolato da ogni significato sociale ed efficace per il semplice fatto di essere celebrato».1

    Agli occhi di un poeta di inizio nuovo secolo appare chiaro che la dimensione soteriologica e metafisica dell’arte debba essere riconsiderata a far luogo da un punto di non ritorno: interamente mondana l’arte si può dire, parafrasando Heidegger, «mondeggia» nella sua teatrale superfluità e virtualità, mondeggia nel e sul «nulla». La poiesis si scopre così assolutamente libera di poter veleggiare verso la pop-pot-poetry, verso la poetry-kitchen, la top-pop-poesia… leggera e aerea come un aquilone, come gli esercizi teatrali di Mauro Pierno postati qui sopra.

    Per Heidegger la tecnica è il destino sotteso alla metafisica moderna e si annuncia attraverso il presupposto della calcolabilità e producibilità dell’ente. Il termine che egli usa, Gestell (in alcune varianti Ge-Stellen) «indica i diversi modi dello Stellen, verbo che nei suoi molteplici significati (porre, mettere in posa, sfidare, provocare) e nei possibili composti (“herstellen” fabbricare, produrre; “bestellen”, ordinare; “vorstellen”, rappresentare, porre dinnanzi; “zustellen”, fornire) indica altrettanti atteggiamenti tipici della tecnica moderna» (voce Gestell, in Guida a Heidegger, a cura di Franco Volpi, Laterza, Roma, 2005). Il carattere fondamentale della tecnica è quello di essere un impianto (traduzione letterale del termine Gestell) del tutto autoreferenziale che, attraverso i paradigmi scientifici è volto al dominio sull’esistente.
    È chiaro a questo punto che la tecnica sia il destino della pop-corn-poetry come dimensione dell’epoca cibernetica, appunto, nel suo non porre nulla che non sia stato già posto. Nulla di nulla.

    1 G. Agamben, Creazione e anarchia, neri Pozza, 2018

  2. AL 103esimo KIRK

    Caricare Kirk di responsabilità.
    Metterlo in un quadro e fargli suonare la chitarra
    Perché non ha fatto “La strada” e non è entrato nel cast di “ Persona”

    Kirk non ebbe scelta, rientrò dai 104 nel 70 a.C.
    Fu vera gloria suonare sul monocordo “Libertà o Morte”
    E Goya alla cinepresa
    -Non è così che si alzano le braccia e si pronuncia “VIVA”.
    stai presenziando l’ Oscar o l’Aspromonte?

    In un genoma comunismo e critica cinematografica:
    a ognuno secondo il sogno.

    Mc Carthy? Una funzione di stato.
    Il leninismo una vampa di calore.

    Uomini e caporali sul campo di battaglia.
    Da che parte è la guerra?

    La classe operaia impara dai ricci a sotterrarsi.
    E dopo i titoli di coda la Via Lattea fino a Capua.

    Scartavetrando azzurro cenere
    Soltanto un lampo di pessimismo
    croce n. 2020 in un campo di papaveri

    Si intravede l’etichetta di un pomodoro
    Spartacus con le istruzioni di una battaglia 3D.
    Michelangelo al rifiuto della Pietà

    Poi perde la vita banalmente
    per evitare che un ramarro finisca tra le ruote


    SPARI DI WARHOL

    C’è uno sbuffo tra le silver clouds
    e dalle inferriate sfugge acroleina.

    L’ala del corvo fa un cigolio
    -Papà è lo sportello della cinquecento

    L’albero della piazza ha dato i fichi in pegno
    ma ci ha guadagnato investendo a Singapore.

    C’è da credere a quello di Hong Kong.
    Ride Ollio della libertà.

    Bisogna riscaldare la scena milioni di gradi
    per avvicinarlo a Lenin.

    Dopo tutto la produzione di un pensiero pulito
    richiede che si brucino due cartoon.

    È’ scritto che qualcosa si perda nel telecomando.
    Partono missili a zig zag. Acqua brucia nei polmoni.

    L’accostamento in olio bollente
    schiude l’uovo dell’universo.

    Bucefalo scaccola le sue narici.
    Alessandro ride a quaranta denti.

    Totò compra la Cappella Sistina.


    FIRME DI PRESENZA.

    L’uomo di Cromagnon si affacciò con un pacco da firmare.
    Chi era Dio tra loro?

    L’autentica è scomparsa e duole stare in piedi dal big bang.

    La penna è sul muro.
    Calcinaccio che conserva gli occhi di cerva
    E l’ordine dal più sudato al meno.

    L’ odore ha la sua parte proibita.

    HAL 9000 dunque e dopo un astronauta.
    Palpa la camicia per riconoscere il male al petto.

    Graffio di Caino sulla visiera.
    Si diede da fare nella metallurgia e scoprì qualcosa che poi gli fruttò ricchezza.

    Assomigliava al Neanderthal,
    un brav’uomo deceduto durante una rapina in banca.
    Ci morirono delle guardie giurate.

    Sbrigarono la faccenda all’alba
    e si accusarono a vicenda pur di nascondere
    un tizio somigliante a Lorca.

    La conservazione nell’inconscio è perfetta.
    Soltanto di notte esce qualche indizio sulla vera identità.

    In sostanza anche i versi furono assorbiti,
    caddero giù per il pendio e si fissarono nella foiba.

    Una stalattite ride del cobra su Wall Street

    (Francesco Paolo Intini)

  3. https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/06/11/sulla-pop-poesia-o-poetry-kitchen-poesia-inedita-di-mauro-pierno-pop-e-scrivere-nel-geroglifico-del-banale-lucio-mayoor-tosi-covid-garden-acrilico-2020-commento-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-65128
    C’è un «significante eccedente» che caratterizza la poesia moderna e contemporanea,

    questo è indubbio, ma ciò che caratterizza la poesia della nuova fenomenologia estetica della top-pop-poesia, della poetry-kitchen o pop-corn-poetry è una particolare idea di «significante eccedente». Pensare questa idea soltanto nel senso semantico come ha fatto lo sperimentalismo e la poesia tardo novecentesca, a mio avviso sarebbe limitativo. Qui occorre pensare l’«eccedente» nella accezione di uno scarto e di un residuo non assimilabile ad alcun significato stabilito; a questo punto si apre uno spazio di «gioco linguistico» nel senso di Wittgenstein sconosciuto alla poesia del Moderno, impensabile dalla poesia del modernismo del novecento. È questo salto mentale che bisogna fare, altrimenti si ricade inevitabilmente nella poetica del significato e del significante.

    «Noi crediamo che le nozioni di tipo mana, per quanto diverse possano essere, considerate nella loro funzione generale… rappresentino esattamente quel significante fluttuante, che costituisce la servitù di ogni pensiero finito (ma anche la garanzia di ogni arte, di ogni poesia, di ogni invenzione mitica o estetica), sebbene la conoscenza scientifica sia capace, se non proprio di arrestarlo, di disciplinarlo parzialmente».1

    Lévi-Strauss, citato da Giorgio Agamben, Gusto, Quodlibet, 2015 p. 47 e, in Enciclopedia Einaudi, vol. 6, Einaudi, Torino 1979.

  4. guido galdini

    L’esperimento non è riuscito

    Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica.
    Ha pubblicato le raccolte “Il disordine delle stanze” (PuntoaCapo, 2012), “Gli altri” (LietoColle, 2017), “Leggere tra le righe” (Macabor 2019) e “Appunti precolombiani” (Arcipelago Itaca 2019).
    Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle.
    Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018).

    l’esperimento non è riuscito

    di ricongiungere rallentare e disperdere
    le cianfrusaglie della nostra vita

    di rinunciare prima di aver desistito

    di accostare i lati opposti dell’ombra
    per ottenere un terzo lato segreto

    di sottomettere l’euforia di un ruscello

    di avere fatto finta di capire
    senza destare il minimo sospetto

    di far sempre qualche sogno indeciso
    ogni volta che termina l’estate

    di restituire quello che ci hanno rubato

    di confidare a qualcun altro
    ciò che andava taciuto anche a noi stessi

    di guardare lo specchio all’improvviso
    per smascherarci prima d’esserne delusi

    di coniugare tutti i verbi al futuro
    per dimenticare un po’ più in fretta il passato

    di coniugarli al passato
    per difenderci dalla fretta del futuro

    di chiedere a chi si sta allontanando
    perché cammina fingendo di ritornare

    di contare le lettere della parola felicità
    ed arrivare sempre fino a sette

    di far rotolare le biglie giù da un piano inclinato
    per misurare la solitudine dell’attrito

    di tracciare due rette parallele
    che si separeranno all’infinito

    di rallentare la velocità degli istanti

    di prevedere il passaggio della cometa
    dalla sua coda riflessa in una pozzanghera

    di sottintendere quel che c’era da scavalcare

    di credere alle promesse dell’equinozio

    di attraversare tutto il mondo a occhi chiusi
    per rinunciare al fasto dell’apparenza

    di ingarbugliare fino a che diventi più chiaro

    di sopperire alla cautela dei ricordi
    rovistando tra le rovine e i miraggi

    di accorgerci che abbiamo seguito
    un sentiero che non c’era mai stato

    di impedire che l’arrivo diventi
    un’abitudine da raggiungere verso sera

    di imparare a memoria
    le poesie partendo dalla fine
    per non raccogliere la sfida dell’impazienza

    di separare ciò che resta da vendere
    da ciò che si può soltanto regalare

    di regalare a tutti qualcosa di rosso

    di riconoscere la fuga delle stagioni
    dalla diminuzione delle parole
    e dall’aumento dei sottintesi

    di terminare prima che faccia buio
    gli esperimenti non riescono quasi mai

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.