Archivi del giorno: 9 giugno 2020

La poesia come indicazione di uno stato di cose, La poesia è un certo ordine proposizionale, Poesie di Mauro Pierno, Francesco Paolo Intini, Lucio Mayoor Tosi, Commenti di Marie Laure Colasson, Giorgio Linguaglossa

Foto monna lisa popMauro Pierno

Con dedica a M.R. Madonna.

Abbiamo tre corde di acciaio.
Abbiamo consonanti di piombo.
Abbiamo brioches,
Abbiamo dazzi, siluri, razzi e mazze da baseball.
Abbiamo tazze, tovaglie e stoviglie.
Abbiamo cortisone, dpcm e mascherine.
Abbiamo guanti di velluto, di cotone, di gomma.
Abbiamo i morti, la fame, la tragedia, abbiamo la Russia, l’America, l’estuario.
Abbiamo il bivio, l’Africa, l’Europa.
Abbiamo forbici, materazzi, federe, cuscini.
Abbiamo giovani, abbiamo vecchi, pallottole cugini, nipoti, amanti.
Abbiamo cucchiai, forchette, pugnali.
Abbiamo echi, susine, ciliegie.
Abbiamo forni.
Abbiamo lividi, strappi, supposte.
Abbiamo fame.
Abbiamo guerra, incenso, pudore.
Abbiamo…

con riferimento alla «struttura tragica» della poesia di Maria Rosaria Madonna, penso che oggi non si possa mantenere alcuna struttura tragica, non ci sono le condizioni oggettive, storiche per la manutenzione di una resistenza frontale contro il sistema di dominio planetario quale è il capitalismo, ma ciò non significa che non possiamo fare poesia in modo diverso e serio, cioè critico.

(Marie Laure Colasson)

Francesco Paolo Intini

 Rotoli del Mare Nostrum

 Encefalogramma del Mare Nostrum in coma.
Il sottofondo di piccione più gazza e ola di zizzania.
Due gatti con la copertina del “Manifesto del Partito Comunista” sulla pelle.

La sceneggiatura era pronta. Ancora per un giorno il grigio avrebbe resistito.
Spavento notturno e comica del giorno seguente.
Una vipera soffiante sul balcone di Giulietta

Vennero fuori dei rotoli che raccontavano come era finita l’epoca (omissis).
Di quale si trattasse s’era perso il frammento. Alcuni come questi erano isolati

“C’è la cronaca per le strade. Cane da tartufo
Che s’ accontenta di un Boletus satanas.”

Altri ancora parlavano di un’ala e 129 morti in un giorno.
Se ne descriveva il rombo. Il passaggio sui tetti e come vennero sfiorati gli embrici.
La fine sulle antenne.

Un marziano si eccita a una battuta di Stan Laurel.

Anche il giorno successivo cadde lo stesso aereo.
Alla stessa ora, per bocca di un mezzobusto di nome Omer
L’annuncio del disastro e le misure intraprese:

129…!

La chiusura degli aeroporti si era rivelato inutile.
L’allerta del pronto soccorso, il potenziamento nelle prefetture.

La Regina versò due cent nell’aorta di un industriale di lamette
Il cuore si riaccese e il barbiere tornò a radere la barba al Presidente.

I frammenti più consistenti parlavano di cianuro grandinato sul Mare Nostrum
Antonius concepì uno scacco matto ma non volle metterlo in pratica
Batman non potè evitare la caduta dell’ aereo successivo

129…!

-Finirà per atterrire i boccioli del melograno.
Gli appestati stanno uscendo dai fotogrammi
Anche il Nulla dagli occhi della strega
Persino Bergman toglie la danza dall’ultima scena
E nutre seri dubbi sulla fuga in Egitto.

In geroglifico il fumetto di Tutankhamon con il mento fuori asse:
-Obelisco in vendita.
Un affare.

caro Francesco Paolo Intini,

le proposizioni delle tue composizioni intendono raffigurare gli «stati di cose» in modo speculare nel linguaggio mediante la configurazione di proposizioni che rimandano alla configurazione degli oggetti così come sono o possono essere nel mondo. Indicare un oggetto con il linguaggio lo si può fare mediante la costruzione di una proposizione, ma, di fatto non è detto che ad una proposizione linguistica corrisponda sempre un oggetto nello «stato di cose», allora, in questo caso la proposizione designa una immagine che in sé non è né vera né falsa, infatti lo statuto di verità o di falsità compete alla esistenza speculare dei corrispondenti oggetti nel mondo.

Indicare un oggetto significa insieme indicare il campo delle sue sintassi possibili. Ma ciò è quanto dire che la forma di raffigurazione del nostro linguaggio, per poter salvaguardare il principio di sensatezza e quindi di raffiguratività della proposizione, deve in linea di principio escludere la possibilità di connessioni insensate tra oggetti. Una volta indicati gli oggetti — i significati del linguaggio — la forma del mondo segue da sé, perché è già data la totalità delle situazioni possibili e la forma dello spazio logico
che le contiene.

Ciò che è vero delle proposizioni e degli stati di cose (il loro essere sospese tra le possibilità del vero e del falso, dell’essere e del non essere) non vale invece per i nomi e per gli oggetti: qui una simile alternativa non sussiste, e ciò è quanto dire che gli oggetti del mondo esistono necessariamente — dato il nostro linguaggio. Il punto è tutto qui: comprendere una proposizione significa intendere che cosa accada se essa è vera, — e ciò è quanto dire che il presupposto della sensatezza non decide nulla circa l’esistenza o la non esistenza dello stato di cose della cui possibilità l’immagine si fa garante. Ma l’ipotesi della sensatezza avanza un diverso presupposto per i nomi: per essere un nome, un segno deve stare per un oggetto, e ciò è quanto dire che una volta che siano stati dati i nomi del linguaggio si è anche detto quali siano gli oggetti che necessariamente sono. La loro esistenza è, in altri termini, necessariamente implicata dalla sensatezza del linguaggio.

Dati questi significati, ogni possibile situazione nel mondo avrà come suoi costituenti gli oggetti denotati dai nomi, ed al variare delle situazioni nel mondo non farà eco un qualche mutamento degli oggetti, ma solo la variazione delle loro possibili combinazioni.

È in questo senso che Wittgenstein ci invita a parlare degli oggetti come della sostanza del mondo. I fatti sono accidentali: il loro consistere in una connessione di oggetti li espone necessariamente alla possibilità dell’essere altrimenti. Gli oggetti, invece, non possono mutare ed esistono necessariamente: sono appunto, per dirla con Spinoza, «quod in se et per se concipitur». Dati questi significati e questi nomi, abbiamo anche
deciso una volta per tutte quali siano gli oggetti del mondo e quindi anche i possibili stati di cose che possono accadere.

È possibile un fraintendimento: un certo ordine proposizionale ci inviterebbe infatti a pensare che gli oggetti del mondo esistano alla stessa stregua in cui esistono o accadono gli eventi del mondo. Ora, di un qualsiasi fatto ha senso dire che è, proprio perché è comunque sempre pensabile che non sia: uno stato di cose è una connessione di oggetti e nulla vieta che una simile connessione venga meno o sia alterata.

Sembrerebbe infatti impossibile negare che gli oggetti esistano, ma non sembrerebbe ancora necessario astenersi dall’affermarne l’esistenza. Basta tuttavia riflettere un poco per rendersi conto che le cose stanno proprio come abbiamo detto: dire di un oggetto “a” che esiste non significa evidentemente nulla di più di questo — che il segno “a” è davvero un nome del nostro linguaggio e ha quindi un significato.

Sul terreno del linguaggio è quanto dire che degli oggetti del mondo non si può affermare né che sono, né che non sono, poiché il loro esserci è la condizione di possibilità su cui poggia la natura significante dei nomi e il carattere raffigurativo della proposizione. Dire di un oggetto “a” che non c’è vuol dire soltanto che il nome “a” non è un affatto nome e che — quando l’abbiamo pronunciato — credevamo forse di fare qualcosa e di denominare, ma in realtà non facevamo nulla di più che emettere un innocente versetto a-significante e a-veritativo.

(Giorgio Linguaglossa)

Lucio Mayoor Tosi

A Silvia.

Ora spunta Silvia Romano. Sì, quella rubata dall’Isis.
Ma sei ancora dei nostri?

Certo, cattolica e musulmana. Come tanti non credenti.

L’affare fatto si sgrana in profili di madame al super più
della cronaca in bocca al lupo. Travaglio di mimose.

Che dire del tutto in piena autonomia e stando attenti
nel condividere il polso dove scorre segreta verità

se non che viva in pace, anche lei tra i non morti
di questa parabola di spie? Vada dal parrucchiere,

si faccia le meches, scriva un bell’articolo su Repubblica,
una lettera d’amore anche. Che tanto la gente dimentica

e muore in fretta. Cartolina: non è bello qui,
dove adesso trema l’inchiostro disoccupato sul foglio?

Le margherite scoppiano di salute, i gatti si mangiano
la spesa in tanti bocconcini, e c’è pure il Parmigiano amico,

quello delle superstar che sgambettano su allevamenti
di bestiame al massacro; ed è questa l’opera d’arte,

il fine di tutti i mezzi; quello di tingersi nei colori
della propria tribù, la sacrosanta alleanza capitanata

da Covid-19, il nuovo server delle giurisprudenze
timbro in ceralacca su promesse di mantenimento

dello stato in battibecchi di foruncolosi graffitisti
anche loro in cerca di michelangiolesca meraviglia.

Eccetera. Poi sorride lo smalto sui denti. Continua a leggere

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