Penso che l’Evento non sia assimilabile ad un regesto di norme o ad un’assiologia, non ha a che fare con alcun valore e con nessuna etica. È prima dell’etica, anzi è ciò che fonda il principio dell’etica, l’ontologia. Inoltre, non approda ad alcun risultato, e non ha alcun effetto come invece si immagina il senso comune, se non come potere nullificante. La nientificazione [la Nichtung di Heidegger] opera all’interno, nel fondamento dell’essere, e agisce indipendentemente dalle possibilità dell’EsserCi di intercettare la sua presenza. Si tratta di una forza soverchiante e, in quanto tale, è invisibile, perché ci contiene al suo interno.
L’Evento è l’esito di un incontro con un segno. (g.l.)
.
L’ultimo stadio della nuova fenomenologia estetica: La pop-poesia
.
I due testi proposti sono esemplificativi di un modo di essere della nuova fenomenologia estetica come pop-poesia, poesia del pop. Si badi: non riattualizzazione del pop ma sua ritualizzazione, messa in scena di un rituale, di un rito senza mito e senza, ovviamente, alcun dio. Con il che finisce per essere non una modalità fra le tante del fare poesia, ma l’unica pratica che nel mondo amministrato non ricerca un senso là dove senso non v’è e che si colloca in una dimensione post-metafisica.
In tale ordine di discorso, la pop-poesia si riconnette anche a quello che è stato da sempre lo spirito più profondo della pratica poetica: la libertà assoluta e sbrigliata soprattutto dal referente, da qualsiasi referente, parente stretto della ratio complessiva del sistema amministrato.
La pop-poesia vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio veritativo.
La poesia che vuole mettere in evidenza le contraddizioni o le condizioni di un essere nel mondo, finisce inesorabilmente nel Kitsch.
La pop-poesia non redige alcun senso del mondo e nessun orientamento in esso, non è compito dei poeti dare orientamenti ma semmai di svelare il non orientamento complessivo del mondo.
Non è compito della pop-poesia commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché, la pop-poesia non si pone neanche come una risorsa o come un contenuto veritativo o non veritativo. La pop-poesia può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere.
Così è se vi piace.
.
Mario M. Gabriele
Inedito di da altervista il blog di Mario Gabriele
Andando per vicoli e miracoli
ritrovammo l’albergo e il trolley.
Non si dà nulla per certo, neanche prendere contatti
con il gobbo di Notre Dame per suonare le campane.
Bisognava partire.
Tu non vuoi più le carezze?
Il fatto è che se ci mettiamo a seguire Ketty
non leggeremo Autoritratto in uno specchio convesso.
I Simpson si riconoscono per il colore giallo.
Giulia ne ha fatto una raccolta di figurine acriliche.
Tutto rotola e va in basso. Sale e scende.
Linee nere e linee rosse.Si cerca il punto originario.
Cerca di distrarti! Prova a chiamare
le cugine di Sioux City.
Ti suoneranno l’Hukulele
ricordandoti C’era una volta l’America.
Oh bab, baobab, invocò il nigeriano
alla fermata del Pickup.
Controlla tutto e bene nel trolley.
Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.
Giorgio Linguaglossa
Proprio nel momento in cui l’erede di Giovanni Agnelli, il topastro John Elkann, ha liquidato il direttore di “Repubblica”, Carlo Verdelli, sostituendolo con un fedelissimo moderato pony express del moderatismo, Maurizio Molinari, e comprato l’asset per un pugno di dollari, possiamo comprendere come il capitale internazionale disdegni le testate giornalistiche «diverse» e comunque «critiche» del sistema-Capitale. Il problema è che si preannuncia in Italia, in Europa e nel mondo occidentale un acutizzarsi della crisi e dello scontro in atto tra i ricchissimi e il nuovo proletariato internazionale che ama visceralmente i Bolsonaro, i Trump, i Salvini, le Meloni, gli Orban, i Putin, i Di Battista… Le democrazie liberali sono a rischio di sopravvivenza, questo è chiarissimo anche in Italia dove l’accoppiata fascista-leghista Salvini-Meloni lancia accuse incandescenti e bugiarde contro un governo parlamentare che sta affrontando la crisi più grave del novecento e del post-novecento.
In questa situazione, alla poesia viene sottratto il terreno da sotto i piedi, le parole diventano sempre più difficili, scottano, non possono più essere maneggiate, i poetini e le poetine alla Mariangela Gualtieri e alla Franco Arminio vengono citati sulle pagine della stampa e dei media per le loro poesiouole sul Covid19 e sull’ambaradam dello sciocchezzaio, mentre un poeta laureato di Milano discetta sulla fine della «società letteraria» d’un tempo, e altri autopoeti parlano di «Bellezza» e altre amenità consustanziali allo stupidario di massa di oggi.
In questa situazione, che cosa può scrivere un poeta che vive nel paese più a rischio democratico d’Europa come l’Italia? Può solo scrivere con sconcertante umiltà:
«Tutto rotola e va in basso»
per concludere:
Controlla tutto e bene nel trolley.
Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.
Quanto scrivi, caro Giorgio, non può che accomunarsi a quanto da me riportato nel commento del 24 aprile, a proposito della “divisività”, che ha dominato e domina la poesia italiana di oggi, dove un poeta, con idee nuove, debba rimanere sempre al buio in quanto nemico dell’establishment culturale che si consolida con la politica statica e conservatrice.
Mi duole se nel trolley dobbiamo portarci il Roipnol per dimenticare tutto ciò che la classe dirigente e i comandamenti che ogni anno provengono da Davos, unificano la classe sociale e culturale, dove basta un semplice agente patogeno, il Covid19 a fare piazza pulita di tutto il sistema collettivo dove si frantuma un corpo sociale in mille pezzi costruito da una cultura di comunicazione virtuale dove prevalgono le Fake News e i continui attacchi dell’opposizione alla classe dirigente di oggi che si trova a dover allontanare il Default come la nube di Chernobyl.
Se c’è qualcosa che ci accomuna è la nostra fragilità, l’essere una massa enorme e impotente all’interno di un mondo diviso. Ma ciò che più determina il nostro disagio è la degenerazione culturale di tipo fascista, che tipografa sui muri le svastiche o incendia le lapide dei partigiani.
Alla luce di quanto finora detto non possiamo permettere come normalizzazione e appiattimento l’idea di una Nazione, la nostra, che diventi ancella della Merkel, e della Troika che hanno fucilato la Grecia.
La poesia è anche un Kit di pensieri e azioni, rispetto al nostro mondo desacralizzato dalla pandemia, che ha rimesso tutto in campo, facendo rinascere una società in cui ciò che conta è la capacità di reinventarsi nuove occupazioni lavorative, anche se il Capitale sta a guardare e ad operare come un bodyguard.
Ti ringrazio, caro Giorgio, per aver ospitato un mio testo, da te rivelato nelle sue parti più essenziali.
Il Signor F. frugò nel taschino del gilet e saltò fuori il nano Proculo,
con la giacca a quadretti azzimata, un pantalone liso e sdrucito
e un cappello a cilindro.
Il quale scrisse una lettera al Presidente del Consiglio Conte,
per riavere indietro i trenta denari dati in prestito e ancora insoluti
per via del precoce decesso del legittimo proprietario.
Si accomodò in poltrona dal barbiere François, accavallò le gambe
e si fece radere il mento.
Poi sputò nella sputacchiera e si diresse all’angolo della tosse
dove i liberi erano in quarantena.
Spalancò la finestra.
«Aria! Aria! Cambiate l’aria!», gridò.
[…]
Chiese uno stuzzicadenti.
Il Coronavirus saltellò qua e là e decise di uscire
a prendere un po’ di aria fresca.
Il poeta di Milano fece un gran fracasso.
Gridava che la «società letteraria» era scomparsa e altre quisquilie.
Inutilmente il direttore d’orchestra intimò il silenzio.
La grancassa riprese a fare fracasso.
[…]
Come prima. Più di prima.
Il direttore disse: «Ti amo» alla prima violinista.
Un gran numero di topi di fogna presero il largo
dicendo che in democrazia anche i topi erano liberi.
Accadde tutto così di fretta che il commissario non intervenne.
Un altro poeta gridò:
«La bellezza salverà il mondo!», e scomparve.
Dei turisti giapponesi si accalcarono per vedere il Prof. Tarro con il virus nell’ampolla.
Scattavano fotografie dappertutto, entravano anche nel bagno.
Dicevano ai bambini: «State zitti, contegno, state in casa del prof. Tarro!».
Poi le cose periclitarono, l’Italia fu dichiarata «zona rossa»
e venne bannata dalle guide turistiche.
Nadeche Hackenbusch, la bella presentatrice di un reality show
scorrazza per il lager con la sua jeep zebrata,
la accompagna la sua devota biografa, la redattrice della rivista “Evangeline”,
Astrid von Roëll, entrambe in minigonna e tacchi a spillo,
intervistano gli africani del lager.
Lui, anzi Lei, la loro amante, ribattezzata Lionel perché il nome tedesco
è troppo difficile, le asseconda.
Ursula Andress prende il revolver di Marie Laure Colasson,
dice che ha licenza di uccidere, e spara un colpo in aria
e un altro nella testa di Azazello
il quale crolla all’istante, e così Bulgakov non trova più il suo personaggio
che nel frattempo si è insinuato nel romanzo di Gadda
dove c’è il commissario Ingravallo che svolge le indagini.
Interviene il cardinale Tarcisio Bortone portando i buoni uffizi del Vaticano
ma non ci fu niente da fare, le cose tornarono a posto da sole.
[…]
Il nano Proculo si diresse verso la botola e riprese il suo posto.
Il Signor F. disse che aveva scherzato.
E si ritirò nella fogna.
Ursula Andress ritornò all’isola dei Caraibi,
sulla spiaggia, in bikini, nella famosa scena del film di Jan Fleming.
Un cormorano passò di lì.
E salutò.
Certo, ce ne vuole per scrivere un testo come questo, tra report, cronaca quotidiana, personaggi del Vaticano e della Politica, del cinema e del reality show, con tante inclusioni di citazioni che amplificano un teatro all’aperto, dove non mancano connessioni ironiche e squarci in versi.
Giorgio Linguaglossa
caro Mario,
sai, stamane mi sono alzato, ho preso il caffè… percepivo il fetore di marcio che proveniva dalle fogne qui di via Pietro Giordani a Roma, quartiere San Paolo, dove abito… Ero elettrico. Poi ho letto la tua poesia in severi distici e sono diventato ancora più elettrico. Ho letto alcuni post di fascisti e di leghisti su FB. La cosa mi ha allarmato e irritato. Sono andato alla tastiera e ho scritto su FB questo messaggio:
«Chiedo a tutti i leghisti-fascisti di togliermi l’amicizia perché io sono un democratico comunista. Grazie x la buona volontà».
Sono andato alla tastiera e ho scritto, di getto, questa composizione dalla quale è saltata come sulla dinamite la struttura in distici. Doveva essere un lungo monologo. Sentivo che non potevo fare altrimenti. Che i tempi stringono. L’Italia è in pericolo di default. Anzi, senza l’Europa che compra i titoli di stato italiani, il Paese sarebbe già fallito da un pezzo. La Banca d’Europa sta comprando i titoli italiani di carta straccia, noi tutti siamo diventati, senza accorgercene, carta straccia. Mi sono detto che qui ci vorrebbe un secondo Bulgakov per dipingere la canea della politica italiana, della realtà italiana, un teatro di miserie e di escrementi, con capitan Fracassa e la bborgatara della Garbatella. Uno spettacolo indegno, rivoltante.
Questa che stiamo vivendo è una pre-atmosfera fascista davanti alla democrazia italiana.Ho paura che si torni al tempo di Fahrenheit anche perché dopo il Covid 19 ci saranno in Italia, povertà e disoccupazione, diminuzione della libertà e soppressione della cosiddetta Ricchezza delle Nazioni teorizzata da Adam Smith.
Il calo del’occupazione genererà uno stress vertiginoso tra domanda e offerta.Le auto invendute hanno raggiunto la percentuale del 51%. Le Università saranno deserte perché le famiglie non potranno più pagare le quote di iscrizione e far frequentare i propri figli ai Masters.
Sarà un casino enorme, uno squilibrio dell’organizzazione sociale e comunitaria con un addio al pensiero liberale. Speriamo che ciò non accada perché, essendo nato nell’era nazifascista, non vorrei morire con un’altra alle porte.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/05/10/lepoca-del-covid19-e-del-roipnol-mario-m-gabriele-giorgio-linguaglossa-dialogo-e-poesie/comment-page-1/#comment-64135
L’ultimo stadio della nuova fenomenologia estetica: La pop-poesia
I due testi proposti sono esemplificativi di un modo di essere della nuova fenomenologia estetica come pop-poesia, poesia del pop. Si badi: non riattualizzazione del pop ma sua ritualizzazione, messa in scena di un rituale, di un rito senza mito e senza, ovviamente, alcun dio. Con il che finisce per essere non una modalità fra le tante del fare poesia, ma l’unica pratica che nel mondo amministrato non ricerca un senso là dove senso non v’è e che si colloca in una dimensione post-metafisica.
In tale ordine di discorso, la pop-poesia si riconnette anche a quello che è stato da sempre lo spirito più profondo della pratica poetica: la libertà assoluta e sbrigliata soprattutto dal referente, da qualsiasi referente, parente stretto della ratio complessiva del sistema amministrato.
La pop-poesia vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio veritativo.
La poesia che vuole mettere in evidenza le contraddizioni o le condizioni di un essere nel mondo, finisce inesorabilmente nel Kitsch.
La pop-poesia non redige alcun senso del mondo e nessun orientamento in esso, non è compito dei poeti dare orientamenti ma semmai di svelare il non orientamento complessivo del mondo.
Non è compito della pop-poesia commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché, la pop-poesia non si pone neanche come una risorsa o come un contenuto veritativo o non veritativo. La pop-poesia può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere.
Così è se vi piace.
caro Giorgio,
quando tu, con molto onore da parte mia, scrivesti in quarta di copertina di Registro di bordo la seguente Introduzione: ” Tu scrivi, caro Mario, che il tuo libro tratta di “fonemi. reperti fossili, e poliscritture” , che addensa nel suo stile una condizione frastica tra le più variegate e pluriestetiche. Ed hai già dato la chiave per l’ermeneutica della tua poesia..
La tua poesia-pop: pop-spot,pop-bitcoin, pop-jazz, pop-corn, pop-poesia, poesia da tavolino da bar, poesia da bar dello spot, nuovissima da gustare con un Campari, ecc) mi spiazzò completamento,abituato a leggere diagrammi di critica diversi. Allora ebbi un momento di pausa, di muta riflessione, pensando a ciò che aveva scritto Giorgio Linguaglossa.
Subito caricai la mente riesumando gli stili poetici alternati nel tempo dove il POP non fu estraneo nemmeno a John Lennon, a Colin Herd e a Stefano Buzzi. Per curiosità andai a leggere questo tipo di poesia e mi smarcai da ciò che pensavo fosse una forma anomala.
Avevo metabolizzato questo stile poetico, senza saperlo, e ora la spiegazione di questo stile me la trovo come una tesina universitaria da parte di Giorgio che conferma e informa come ” La pop-poesia vuole essere la rivitalizzazione dello spirito decostruttivo che, nella poesia italiana del novecento si è annebbiato. La poesia si è costituita in questi ultimi decenni come una attività istituzionale e decorativa, si è posta come costruzione di un edificio veritativo.” La qual cosa non può che confermare come la poesia sia un genere molto eterogeneo e mai un Porto sepolto. Un grazie sincero a Giorgio per il modo magistrale con cui ha voluto “spiegare” il genere POP.
caro Mario,
Quando il dispositivo tecnologico di un’opera d’arte cambia, cambia anche il genere di un’opera d’arte. La tua poesia abilitando un materiale di risulta come materiale «primo», non fa altro che ribaltare la precedente poesia che invece è ancora saldamente attestata sui materiali «primi» (un certo lessico, certo uso della sintassi, certo impiego della retorica et.), come la poesia maggioritaria che va di moda oggi. Il «genere» della tua poesia è totalmente altro da quello della poesia della tradizione, infatti esso contempla un mix di tre fattori: intertestualità tra diverse emittenti linguistiche, contaminazioni di vari generi e ibridazioni (vero e proprio innesto di altri generi nel genere maior).
Ad esempio, Gino Rago, introducendo nella sua poesia il parlato nel non parlato, crea un effetto talking, uno straniamento all’interno del «genere», sfonda il genere poetico della tradizione ed approda ad un nuovo genere, specialmente quando adotta il punto di vista di un attante insolito (come avviene nel ciclo della “Storia di una pallottola” dove il soggetto è appunto una pallottola e le sue ipotiposi), insieme ad altri attanti inventati con altri realmente esistiti nella realtà o in altre opere d’arte.
Si ha quindi un cambiamento di genere quando interviene un cambiamento del dispositivo tecnologico e fantasmatico.
È indubbio che la pop-poesia appartenga allo stesso genere della nuova ontologia estetica, in quanto ne è lo sviluppo e la continuazione di un nuovo dispositivo tecnologico e fantasmatico.
Grazie di cuore, mille auguri e affettuosi saluti da
Mariella Bettarini
DOPO “LE MERAVIGLIE DELL’ACQUA”.
A lezione dai nostri Professori Emeriti:
– Mario Gabriele, scienziato, noto per i suoi trattati su “Importanza dell’autocontrollo nella cura della schizofrenia”.
– Professor Giorgio Linguaglossa: storico, autore del libro “Le baggianate che si raccontano”.
Mario. M. Gabriele
Resoconto della lezione.
“Andando per vicoli e miracoli
ritrovammo l’albergo e il trolley”.
A questi primi versi, gli studenti hanno reagito allungando le gambe sotto il tavolo, comodi. L’inizio è considerato buono, degno di interesse, stravagante: “immediatamente recepibile”. “Mirabile e scientifico quell’andare per vicoli e miracoli”, “Senza ombra di chiacchiera”, “… come se già conoscessimo il film”. Comunque piace. Gli studenti universitari della “prescolare” ne sono affascinati.
Accesa la meraviglia gli si può dire qualsiasi cosa. Eppure “Non vi è nulla di certo”… “neanche prendere contatti / con il gobbo di Notre Dame per suonare le campane”.
Approvato, tutti ridono.
Ma ora seri, comincia il racconto :
“Bisognava partire.”
“Tu non vuoi più le carezze?” Lo studente interrogato sorride.
Il professore, rivolto alla classe: “ Il fatto è che se ci mettiamo a seguire Ketty / non leggeremo Autoritratto in uno specchio convesso.” (Dipinto del Parmigianino, 1524).
Ed ecco il Pop (si pensi ai “Flawer” di Warhol):
“I Simpson si riconoscono per il colore giallo. / Giulia ne ha fatto una raccolta di figurine acriliche.” (acrilico è un aggettivo di recupero, tipico NOE).
… a cui segue il Tempo interno:
“Tutto rotola e va in basso. Sale e scende. / Linee nere e rosse. Si cerca il punto originario.”
Ontologicamente parlando, il Tempo interno si trova più al cospetto del nulla, che non l’altro tempo dove bene o male s’intravvede una qualche certezza.
Dal tempo interno alla schizofrenia il passo è breve:
“Cerca di distrarti! Prova a chiamare / le cugine di Siou City”.
(Rammento una donna di Siou Cisty: mi raccontò tra i singhiozzi che sua madre, insegnante di pianoforte e organista di Spencer, la portava tutti i sabati in pasticceria e poi a incontrare Dewey. Poi la madre si ammalò di Alzheimer e lentamente perse i ricordi del marito, dei figli, persino della propria identità. La figlia guidava per due ore tutte le settimane da Siou City per andare a trovarla e portava con sé il suo gatto”. Da “Le nove vite di Dewey”, trovato su internet. Mi sa che non è male.
“ Ti suoneranno l’ukulele / ricordandoti C’era una volta l’America” (Film di Sergio Leone, notare che qui non si inventa niente).
Film?
“Oh baby, baobab, invocò il nigeriano /alla fermata del Pickup”.
Fine del viaggio psichedelico: “Controlla tutto e bene nel trolley. Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol”.
Va detto che il Roipnol è sconosciuto agli studenti. Per loro è roba forte, in genere preferiscono la marijuana. In ogni caso meglio drogarsi, si è più veri. E stabili.
…
(Sorvoliamo sul fatto che Dibattista sia stato inserito nell’elenco degli stragisti del buonsenso: per nulla d’accordo ma si sa che la passione civile e politica unisce i ciechi, e molto altro).
…
Giorgio Linguaglossa
Resoconto della lezione.
“Il Signor F. frugò nel taschino del gilet e saltò fuori il nano Proculo,
con la giacca a quadretti azzimata, un pantalone liso e sdrucito
e un cappello a cilindro”.
Gli studenti apprezzano sempre, negli altri, la cura del dettaglio. L’inizio è considerato divertente, sorprendente. Proculo, l’usurpatore, va immaginato così. “Ci sta”, “Non pesa il gran numero degli aggettivi”, “Racconto strampalato, prepararsi al peggio”.
Incurante, prosegue: “Il quale scrisse una lettera al Presidente del Consiglio Conte”, con metafora sui 49 milioni sottratti dalla Lega (tra gli applausi dei derubati).
A questo punto gli studenti, sopraffatti da quel che a loro è parsa un’incuria amorosa, zittirono attenti. Solo, alcuni risero per “grancassa” e “fracasso”. Ma è niente.
“Come prima. Più di prima.
Il direttore disse: «Ti amo» alla prima violinista”.
Ecco spuntare le violiniste, l’inconscio vuole la sua parte. Il Professore, storico e scienziato, segue la via occidentale: psicanalisi, antidoto alla spiritualità. Sia chiaro. Gli studenti apprezzano (la violinista).
«State zitti, contegno, state in casa del prof. Tarro!». (Tarro: virologo, anche qui non si inventa niente).
Va da sé che la metafora politica comporti avvicinamento ai bassi istinti. Si prosegue quindi a mitraglia:
“Ursula Andress prende il revolver di Marie Laure Colasson”, Azazello, Bulgakov, Gadda, il cardinale Tarcisio Bortone…
Questi i commenti: “Avvincente spettacolo di marionette”, “Si sente forte lo sbattere dei tacchi sulla pedana del palcoscenico”.
“ma non ci fu niente da fare, le cose tornarono a posto da sole”. Qualcuno ha domande?
Sarcastico:
“Il nano Proculo si diresse verso la botola e riprese il suo posto. / Il Signor F. disse che aveva scherzato. / E si ritirò nella fogna”.
La spiegazione è su Wikipedia:
“Ursula Andress ritornò all’isola dei Caraibi, / sulla spiaggia, in bikini” e si precisa anche: “nella famosa scena del film di Jan Fleming”.
Studenti allibiti.
“Un cormorano passò di lì.
E salutò.
Uno studente in camicia verde chiese: «Ma Proculo, se era nano, che ci faceva accanto a Ursula Andress?»
Questa pagina è rimasta in silenzio per giorni interi. Ora comprendo il motivo, caro Lucio, che ti ha portato a prendere tempo per esporre una analisi da docente universitario, che insegna agli studenti lettori, la psicostasia dei mie versi e di quelli di Linguaglossa.
E’ come avvicinarsi a un quadro di Jhon Chamberlain utilizzando una serie di materiali estetici, come paraurti contro la poesia dinamicamente fluida,,mettendo in rilievo le vivaci cromature delle scansioni Pop, riconoscibili ad ogni esame dei versi, cogliendone e fissandone, con lo spray del pensiero, i rapporti interconnessi con la realtà esterna pluridimensionale, fatta di oggetti, cose, elementi storici, e farmacopeici, il tutto con una sorprendente ironia, come se tu utilizzassi un episcopio in grado di cromatizzare il senso di una frase dal sottofondo psicologico mio e di Linguaglossa.Un grazie sincero che non può essere messo a tacere.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/05/10/lepoca-del-covid19-e-del-roipnol-mario-m-gabriele-giorgio-linguaglossa-dialogo-e-poesie/comment-page-1/#comment-64189
Stamane ho aperto un libro di un autore di poesia di oggi molto noto, milanese. Ecco il brano iniziale di una sua poesia:
Da che luce d’altopiano da che crollo
memoria di boato o di schianto
viene l’uomo che adesso si appoggia
al muro di un sottopassaggio
e piange e sembra grugnire scuote una ringhiera
dicendo tra le lacrime…
Si tratta di una monodia, una litania, con quell’abbrivio: “Da che…” che introduce un tempo approssimativo che va dall’imperfetto al presente secondo lo schema della ontologia poetico-narrativa maggioritaria di questi ultimi decenni: Ricordo + personaggio + descrizione + io fuori quadro… secondo uno schema poetico collaudato e consunto dal retrogusto letterario di seconda mano, È chiaro che qui si fa poesia professionale, si fa della poesia una professione, la poesia diventa un linguaggio monodico, litanico, schiava del referente posto nel ricordo in un punto preciso della memoria, come se la memoria fosse un deposito di bagagli di una stazione ferroviaria. Da questa concezione della memoria come deposito di bagagli e di oggetti smarriti ne viene anche lo stile degli enunciati che corrisponde a quel deposito di bagagli dimenticati di una stazione ferroviaria. Il testo è immobile e l’io lo può descrivere dall’esterno, da un punto fisso dell’esterno. Del testo si perde anche la polisemia del linguaggio poetico il quale è il prodotto riflesso e meccanico del punto di vista dell’io narrante. Il dicibile non proviene dall’indicibile ma dal dicibile. Tutto è detto, tutto è esplicitato. Non c’è nulla da capire e da carpire, il lettore capisce tutto.
Heidegger dice che il linguaggio poetico è “polisenso […] . La polifonia del poema […] proviene da un punto unificante, cioè da una monodia, che in sé e per sé, resta sempre indicibile. La molteplicità dei significati propria di questo dire poetico non è l’imprecisione di chi lascia correre, bensì il rigore di chi lascia essere”.1
“La poesia è istituzione in parola [worthaft] dell’essere […]. Il dire del poeta è istituzione non solo nel senso della libera donazione,ma anche al tempo stesso nel senso della fondazione dell’esserci umano sul suo fondamento”.2
Chiosa Gianni Vattimo:
“quel che importa è che in questa teorizzazione della portata ontologicamente fondante del linguaggio poetico, Heidegger fornisce la premessa per liberare la poesia dalla schiavitù del referente, dalla sua soggezione a un concetto puramente raffigurativo del segno che ha dominato la mentalità della tradizione metafisico-rappresentativa”.3
1 M. Heidegger, Il linguaggio nella poesia, in In cammino verso il linguaggio, Mursia, p. 74
2 M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, p. 50
3 G. Vattimo, Heidegger e la poesia come tramonto del linguaggio, in AA. VV
Romanticismo, esistenzialismo,ontologia della libertà, Mursia, Milano 1979, p. 293
Ottimo titolo per un romanzo: “Le cugine di Siou City”.
Invece, il titolo per una mia possibile raccolta è: Biancaneve e i settenari.
Prosegue quindi il viaggio nel Pop, così come inteso nell’originalissima definizione che ne dà Giorgio Linguaglossa.
Ho idea che il “fisico” della complessità abbia stancato le menti e la vista; ovvio, degli illetterati, ma che i letterati non siano da meno; cioè, che un po’ tutti si siano adeguati alla giustezza: mini, con accenni di verità presunte, illuminazioni improvvise. Anche se per adesso dobbiamo contentarci di avere speranza: che la Musa invii tra i sui per-caso anche un velo di autenticità. Appunto, lo scoop!
Dobbiamo quindi aspettarci un post-Covid all’insegna della semplificazione. E che questo periodo durerà a lungo, non meno di una cinquantina d’anni (tempo stimato dell’assestamento).
…Cacciari ed Agamben premettendo.
Domanda.
«Come distinguere il ciarpame da ciò che non lo è?. Una domanda ingenua, una domanda assurda. Possiamo solo avanzare su quest’assurdità. E andare oltre. In questa catastrofe nella quale ci troviamo nel mondo del Covid19, ci troviamo a dover decidere che cosa è ciarpame e cosa non lo è.»
Risposta n. 1:
«Tutto è ciarpame, ma nel ciarpame ci sono continue bellezze.»
Risposta n.2:
«si tratta di una risposta di comodo. Fa comodo rispondere con il panegirico della bellezza e altre amenità. Io ad esempio non trovo alcuna bellezza nella volta stellata o nel corpo nudo di Marilyn. Se guardate da vicinissimo il corpo nudo di Marilyn al microscopio e la volta stellata con il telescopio, ne vedreste di orrori!
In realtà ciò che chiamiamo bellezza non è diverso da ciò che chiamiamo ciarpame.»
Intrecciata, Lisa dall’alto senza precipitare,
alla distanza giusta di osservazione.
quella astronomica di un cannocchiale
dall’altra parte espulsa in forma di bolo, di galeone.
tradotta in fibre, bionica inossidabile.
tessuto non tessuto, dagli occhi blu lampeggianti.
Beatrice e Dante
della stessa costellazione.
grazie Ombra.
Considero la pop-poesia una intuizione originalissima, e le versioni di Mario Gabriele e di Giorgio Linguaglossa sono speculari. Mi piacciono anche i frizzi di Mauro Pierno, li trovo pieni di ilarità gioiosa… siamo ormai su una astronave che si allontana a velocità siderale dai pianeti opachi della scrittura poetica che va di moda a Milano e a Roma, e due capitali del conformismo…
Sarei curiosa di conoscere il parere degli altri lettori.
Un saluto.