Archivi del giorno: 6 Maggio 2020

Agota Kristof, Marie Laure Colasson, Gino Rago, Mario Lunetta, Marina Petrillo, Giorgio Linguaglossa, La struttura dissipativa, Struttura polittico, Storia di una pallottola, Antonella Zagaroli, Il mio corredo da sposa, Nuova ontologia estetica

Marie Laure Colasson G Struttura dissipativa

[Marie Laure Colasson, G Struttura Dissipativa, acrilico, 35×25, 2020]

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C’è un fondo di oscurità che appartiene all’ordine della ragione e che fonda la ragione. Quel fondo ci ricorda che la violenza è stata scacciata dalla scena dell’Homo sapiens mediante altrettanta violenza. Azione e reazione sono il conflitto e la soluzione del conflitto con il fondo della irragione. Così, il Logos si è emancipato dal fondo della irragione, dalla condizione animale e ferale che l’umanità ha sempre avvertito come suo sfondo, e da cui, pur sapendosi in qualche modo uscita, ancora si difende, temendo la sempre possibile irruzione del fondo non-umano sulla scena della antropogenesi. L’operazione figurale di Marie Laure Colasson ha il compito di illuminare ciò che sta al fondo del fondo, quel fondo che gli uomini non possono più abitare e dal quale si sono con orrore emancipati. Il quadro di Marie Laure Colasson schiude con una luce debole e radente l’abisso di quel fondo melmoso e oscuro, lancia uno scandaglio sulla terribile apertura verso l’origine opaca e oscura che chiama in causa il fondamento stesso del Logos e della Rappresentazione. C’è inscritto in quel fondo il profilo di una porta e, oltre di essa, c’è il buio. Oltre quella soglia non è concesso di gettare lo sguardo. Non c’è un oracolo che possa parlare, c’è un Enigma. L’Enigma ci parla senza parole, interrogandoci, spingendoci alla interrogazione. Non c’è alcun mistero nel fondo oscuro di quell’abisso perché è l’Enigma della condizione animale primigenia dell’Homo sapiens. Osservato dal punto di vista del Logos quel fondo è il luogo dell’indicibile, dell’irrazionale. L’Enigma ci parla interrogandoci, non ha la soluzione ma indica il fondo oscuro dal quale il Logos si è emancipato, quella zona oscura di forze terribili perché non ascritte nella norma, nel nomos. Quelle forze  sono raffigurate dalla porta immersa nel buio, che non ci parla ma è una presenza muta e oscura per noi che abitiamo la chiarezza del Logos e della storia fatta di sangue. La porta assume una forma che emerge gradualmente a partire da un fondo che,  lungi dallo scomparire, permane come sfondo di ogni possibile ulteriore individuazione. Il Logos, infatti, parla il linguaggio della sfera, si staglia nelle forme delle sfere illuminate dai colori smaltati e smaglianti della ragione poste in primo piano. Quelle forme abitano la storia, in quanto emergono dai fondali dello stato ferino.

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Penso che l’Evento non è assimilabile ad un regesto di norme o ad un’assiologia, non ha a che fare con alcun valore e con nessuna etica. È prima dell’etica, anzi è ciò che fonda il principio dell’etica, l’ontologia. Inoltre, non approda ad alcun risultato, e non ha alcun effetto come invece si immagina il senso comune, se non come potere nullificante. La nientificazione [la Nichtung di Heidegger] opera all’interno, nel fondamento dell’essere, e agisce indipendentemente dalle possibilità dell’EsserCi di intercettare la sua presenza. Si tratta di una forza soverchiante e, in quanto tale, è invisibile, perché ci contiene al suo interno.
L’Evento è l’esito di un incontro con un segno.

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«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».1
Penso che stiamo tutti andando, senza farci caso, verso la tribalizzazione della verità. Così, anche le merci devono essere prodotte in modo da potersi accordare con la tribalizzazione delle moderne società post-democratiche e con le nuove esigenze del consumo.
La privatizzazione della forma di vita nelle odierne società post-democratiche si trasforma in maniera invisibile nella tribalizzazione della vita personale e dei feticci artistici prodotti in larghissima scala.
1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)
(Giorgio Linguaglossa)

Agota Kristof

Lentamente la porta si è aperta e le mie mani abbandonate hanno sentito con terrore il pelo serico e dolce della tigre.
– Musica! – Ha detto. – Suoni qualcosa. Al violino o al piano. Meglio al piano. Suoni!
– Non sono capace, – ho detto. – Non ho mai suonato il piano in tutta la mia vita, non ho nemmeno un pianoforte, non l’ho mai avuto.
– In tutta la sua vita? Che sciocchezza! Vada alla finestra e suoni!
Davanti alla mia finestra c’era un bosco. Ho visto gli uccelli riunirsi sui rami per ascoltare la mia musica. Ho visto gli uccelli. Le piccole teste inclinate e gli occhi fissi che guardavano da qualche parte attraverso di me.
La mia musica si faceva sempre più forte. Diventava insopportabile.
Un uccello morto è caduto da un ramo.
La musica è cessata.
Mi sono voltato.
Seduta in mezzo alla camera, la tigre sorrideva.
– Per oggi basta, – ha detto. – Dovrebbe esercitarsi più spesso.
– Sì, glielo prometto, mi eserciterò. Ma attendo visite, lei capisce, per favore. Essi, loro, potrebbero trovare strana la sua presenza qui, a casa mia.
– Naturalmente, – ha detto sbadigliando
A passi felpati ha varcato la porta che subito ho richiuso a doppia mandata dietro di lei.
Arrivederci, mi ha gridato ancora.*

*Agota KristofHier, 1995 Editions du Seuil, Paris, tra. it. Ieri, Einaudi, Torino, 1997, pp. 3,4

Gino Rago

Storia di una pallottola 5

Qui Radio Londra. Domani si chiude.
Trasmettiamo gli ultimi messaggi.

Il Servizio Informazioni Riservate di via Pietro Giordani è in subbuglio.
Alcune poesie dell’antologia “Poesia al tempo del COVID-19”
sono state trafugate.

Felice a Milano non è felice. I gabbiani sono tutti nella discarica,
i corvi saltellano tra i cassonetti della immondizia.
Milton urla dal Paradiso Perduto:
«È inferno. Ovunque vada è inferno. Io stesso sono inferno».

L’agente Popov svela il rapporto al Comitato di Liberazione della Poesia.
Madame Colasson ha confessato:

« Anch’io nei versi adultero tempi e luoghi,
storia e geografia, poeti vivi, poeti morti, poeti contigui alla nuova poesia.
Anne Sexton discute con Goethe, Marina Cvetaeva
con Dino Campana.
Che dire di uno che incontra l’alcol a quindici anni,
le droghe a diciotto, la morte a trentadue?».

A Berlino uno scrittore cerca qualcosa negli uffici della “Exberliner Magazine”.
Con lo sguardo fruga dappertutto.
Il commissario Ingravallo gli si accosta.

«Ti ho letto dentro.
Il vuoto sa difendersi, ripudia la tortura delle forme.
Tu cerchi una traccia, un segno della protagonista del tuo romanzo.
Ma lei non ha lasciato tracce.
Tutto di lei è rimasto in quel vagone del treno blindato
che trasportava Lenin verso Mosca.
C’era anche un certo Cogito, se non sbaglio, su quel treno.
Ecco perché Cogito non è mai tornato».

Un clochard-capelli-bianchi pronuncia un nome: «Ravensbrück».
Wolfgang vacilla: «Nessuna tornò da quel campo…
Nemmeno mia madre».

Via delle Ciliegie, Kavafis trita semi di acero sull’asfalto.
Un angelo zoppica.

Il vicequestore irrompe nella stanza: «Madame Colasson,
la quarantena non è finita, Lei è senza autocertificazione.
Apra la Sua borsetta. La dichiaro in arresto».

«Perle, un bottone, una cartolina di Derrida, bracciali, coriandoli, una pipa
e un revolver a tamburo con il manico di madreperla».

Parte una pallottola tracciante.
Esce dal set del film “La piscina” con Alain Delon e Romy Schneider
ed entra nel commissariato della Garbatella.
Ma poi ci ripensa e torna indietro, verso la sua legittima proprietaria,
nella borsa Birkin di Madame Colasson.

Dei protagonisti presenti e assenti si perdono le tracce.
Il Covid19 saltella per la Berlinerstrasse.
Entra il commissario con l’impermeabile blu. Esce Madame Colasson
con la collana di perle…

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