
Covid19, immagine al microscopio
È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.
Parallasse
È molto importante la definizione del concetto di «parallasse» per comprendere come nella procedura della poesia di Francesco Paolo Intini, ma non solo, anche nella poesia di Marie Laure Colasson e altri poeti della nuova ontologia estetica in misura più o meno avvertita, sia rinvenibile in opera questa procedura di «spostamento di un oggetto (la deviazione della sua posizione di contro ad uno sfondo), causato da un cambiamento nella posizione di chi osserva che fornisce una nuova linea di visione.»
[The common definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational position that provides a new line of sight. The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply ‘subjective,’ due to the fact that the same object which exists ‘out there’ is seen from two different stations, or points of view. It is rather that […] an ‘epistemological’ shift in the subject’s point of view always reflects an ‘ontological’ shift in the object itself. Or, to put it in Lacanese, the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its ‘blind spot,’ that which is ‘in the object more than object itself,’ the point from which the object itself returns the gaze *
* Zizek, S. (2006) The Parallax View, MIT Press, Cambridge, 2006, p. 17.]
Marina Petrillo
Per trama antesignana all’ordito
il cosmo non agita alcun gesto.
Silenzioso assioma balbettato
da eventi insidiosi eppur perfetti.
Il tacitato rullio del pensiero, intercetta
la spiraliforme eclissi della parola.
Vuoto ponderato ad azione.
Attrito postumo all’impatto
quando non v’è stupore nella visione
ma opposta sintesi in idea.
Fossimo nella vibrante Rete Universale
non avremmo che misterioso Codice supremo.
Al battere continuo alla porta dell’assoluto
risponde, in segnale, l’indice di immortalità.
[Marina Petrillo è nata a Roma, città nella quale vive da sempre. Ha pubblicato per la poesia, Il Normale Astratto. Edizioni del Leone (1986) e, nel 2016, a commento delle opere pittoriche dell’artista Marino Iotti (Collezione privata Werther Iotti), Tabula Animica, opera premiata nell’ambito del Premio Internazionale Spoleto art Festival 2017 Letteratura. Sta lavorando ad un’opera poetica ispirata a I dolori del giovane Werther di Goethe. Sue poesie sono apparse su riviste letterarie. È anche pittrice.]
Gino Rago
Del resto, come è nelle esperienze poetiche della Poesia all’Epoca del COVID-19 (Gabriele, Linguaglossa, Rago, Tosi, Livia, Intini, Gallo, Talia, Tagher, Petrillo, Pierno, Cataldi, Leone, Dono, Dzieduszycka, Ventura)
a cosa servirebbe la Poesia se venisse meno a uno dei suoi ineludibili compiti che poi ( riprendendo ancora il Lunetta pensiero) è quello «di creare contraddizioni all’interno del senso comune egemone, di produrre enzimi fantastici indigeribili, di creare sconcerto nei confronti dell’universale obbedienza.
Uno scrittore (o un poeta) che non sia scomodo e non procuri fastidi alla digestione del dominio delle menti, non è uno scrittore, è un addetto al servizio delle pulizie»?
(gino rago)
Giorgio Linguaglossa
caro Gino Rago,
come noto, gli scrittori sono i postini delle Poste assunti con contratti a tempo determinato;
i pittori anch’essi sono dei disgraziati imbrattatele o facinorosi fabbricanti di orrendi manufatti che chiamano installazioni;
i giornalisti sono i più utili, sono pagati per servire il padrone di turno e, a quanto mi risulta, lo fanno per bene;
i critici sono ben pagati nelle inutili Accademie che sfornano belletti per transessuali e crossdresser in passerella;
i poeti, in ultimo, sono gli addetti alle pulizie dei lavabo e dei servizi igienici. E c’è una gran ressa là fuori…
Charles Simic
«La storia è un libro di ricette. I dittatori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. I preti sono i camerieri. I militari i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina».
Enesidemo
«Le umane vicende oscillano come su di una bilancia dai pesi diseguali, ora sollevandosi, ora invece tirando giù il piatto. terribile è l’incertezza e molta è l’oscurità che coinvolge i fatti della vita: come in un sogno profondo, noi vaghiamo senza poter nulla percorrere con esattezza di ragionamento e senza nulla afferrare con vigore e fermezza, poiché tutto è simile ad ombre e fantasmi.
E come nei cortei la fronte passa oltre e sfugge agli sguardi e nei torrenti invernali il corso dell’acqua, spingendosi oltre, per la violenza della sua velocità, precorre il nostro sguardo e gli si sottrae, così anche gli eventi della vita, spingendosi innanzi e sorpassandoci, danno tutta l’impressione di star fermi, mentre non permangono neppure un istante, ma vanno ogni ora in rovina»1
1 Enesidemo, frammento tratto dal De Iosepho di Filone di Alessandria, 140-41. Ho utilizzato la traduzione di Antonio Russo che si trova in Scettici antichi, Utet, Torino, 1996, oag. 562. Dello scettico Enesidemo sappiamo pochissimo e la sua esistenza è stata fatta oscillare tra l’80 a.C. e il 130 d.C.
Francesco Paolo Intini
Caro Gino Rago,
vedo che abbiamo percorsi simili e per me è un gran piacere scoprirlo. La Chimica è scienza delle trasformazioni, ma anche e soprattutto creatività come le altre discipline sorelle. E’ mia convinzione che se è possibile un dialogo con la poesia debba svolgersi su questo terreno e non semplicemente su qualche aspetto stravagante buttato occasionalmente nella buca delle Lettere, magari solo per sbalordire. Chi si occupa di scienza sa che davanti ha il nulla e dunque esperire significa creare. Mi riferisco ad ogni nuovo processo che venga scoperto, ad ogni nuovo prodotto di sintesi che venga pubblicato. Basta dare un’occhiata a ciò che è visibile a tutti sulla tavola periodica, a quanti elementi nuovi sono entrati nel corredo della natura, in aggiunta a quelli già presenti. Giustamente si affermava su queste pagine che è falso dire (cito a memoria ma penso di ricordare correttamente) che nulla è cambiato dai tempi di Omero! Una poesia in quanto incarnazione del pensiero dell’autore, ha più o meno valore sulla base del tasso di novità che contiene, esattamente come una pubblicazione scientifica! Ben venga dunque una poetica-estetica dell’interferenza e più in generale la poetica NOE del frammento, del post- it, del polittico. Aldilà di questo c’è uno sforzo colossale di costruire sé stessi con la chiacchiera del si dice, del già detto, dell’infallibilità dei valori universali, dei mi piace su fb e dei curricula fatti di premi conseguiti nei concorsi di poesia, sparsi come altarini sul territorio nazionale. Personalmente mi accontento di mettermi al servizio di questa indicazione di Giorgio Linguaglossa:
” La differenza tra un poeta NOE e un poeta normale è questa: quando un poeta NOE prende una parola (ad esempio: tavolo, giacca, lampadario, finestra, porta, comodino, aereoplano etc.), il primo sa, avverte che dentro la parola e al di fuori di essa c’è il «vuoto», il «nulla»; il secondo invece prende quella parola come un pieno, una rotondità. ”
Da ragazzo non capivo che cosa succedesse nel mio pensiero quando mi fissavo su una parola e ne toglievo il guscio. Dentro c’era il nulla che letteralmente mi spaventava perché non era facile tornare indietro o spiegare l’esperienza a qualcuno. Dopo quaranta anni eccomi qua a scriverne.
Follie indeterministiche
a Gino Rago
Girato il tappo, mostrano qualcosa in più della cimice del granturco.
Si sono messe tra gli errori,sobillano le note e i comunisti.
La cenere si dà fuoco e dal mare rispunta l’atomo di Lucrezio.
Un pennello è violentato nel metrò.
Si capisce che di questo passo innalzeranno l’albero della libertà.
Tireranno il collo al veterinario della mucca elettrica.
Salire sul tram uguale vendicare un lombrico schiacciato.
Sul municipio cade un meteorite.
Il meccanismo prevede uno scudo di burocrati.
Perchè si punisce chi fa il suo dovere?
La titolarità dell’immondizia, le disdette, le ingiunzioni di pagamento,
il mutuo di 250 eur e le bollette della corrente, etc.
In confidenza vogliono chiarezza.
Entrano nei murales e di notte
sconfinano nella coscienza.
…
Non è un bello spettacolo rinnovare la patente. Un grassone dietro gli occhiali e il cuore che dà a vedere di essere cicatrizzato abbastanza, mostra le scintille sulla coronaria.
Interessante lo Stent alle prese con un riccio africano.
…
Erano invisibili e non avevano etichette. Circolavano nella bocca,
la faringe rivolle lo status di mielizzato
Il suo battesimo è stato annullato, però i figli sono suoi.
Potrà avere un ultimo colloquio. Anche sua moglie desidera riabbracciarla.
L’aspartame è una dinamite.
Vorrà mettere lo zampino negli affari del Bar.
E in effetti accavallare le gambe,
prendersi cura di una mollica per colombo
aspettare che il romanticismo si faccia vivo tra i capelli
e smetta di protestare continuamente il cucchiaio del caffè.
…
Il bandito diventa parola.
Da quanto tempo non si muove una carezza?
Non miagola però cigola.
Cade a terra, sorpreso dall’aura epilettica.
Davanti a certi compiti si rilassa l’intestino.
Pare che la matematica preceda i fatti di un tantino.
Anche i poeti hanno questo potere sugli avvenimenti.
Solo che le parole sfuggono dai barattoli e cincischiano tra parenti.
Attraversò i campi coltivati a numeri, dove l’aritmetica è Nilo
e fu abbagliati dalla grandezza delle piramidi.
Misurò una volta al giorno la Sfinge perchè non sapeva prendere una posizione
se fosse donna, leone, se nella pancia avesse un uomo o un sintomo di demenza precoce.
…
Assumere l’occhio biblico e metterlo sull’oculare.
Sotto, tra detriti di polvere, un atomo tra i Mondi.
Anche la contaminazione
fece a meno del concetto di Dio.
Alla portata di vecchi- la moralità di una chiave
si fece da parte.-
La parola mise un prato su un piedistallo
Per proclamare l’Essere Supremo.
Fu così breve il giorno Pratile
Perché si rivoltò lo stomaco delle mimose.
Alcune innestarono baionette e non si fecero raccogliere
Persino i poeti si eccitavano agli ormoni di Betsabea.
Quale Libia , Gobi, Vandea questa volta?
Ci furono Normandie e D Day nei gerani dei G8.
Il terrore passò da una dente all’altro.
Un pasto di fagioli, un ultimo saluto non privo di terrore.
A dittatore estinto non corrispose un meteorite.
Tutto il Sole per un vetrino
Di ciò che mosse afferrò la ragione,
ma non ci fu modo di misurarne la paura.
…
Anche Capa ritornò sui passi. Salvò dei fotogrammi
Piantò cipolle nelle sue scarpe e rivolle una donna nel letto.
Non fu possibile fotografare un miliziano
E accettare di saltare su una mina.
La Repubblica è cosa seria e chi urla contro un toro
deve starci difronte, mescolando luce ai proiettili.
Da questi impasti nacque Therese,
il Noi si pose sull’ ipotenusa a giurare Pitagora
raffiche di TBC arrivarono dalle inferriate
e lievito di pane per diluire il piombo.
Sempre qualcosa che sfugge però.
Un buio delle Marianne nel fundus oculare.
Francesco Paolo Intini (Noci, 1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016), Natomale (LetteralmenteBook, 2017), e Nei giorni di non memoria (Versante ripido, Febbraio 2019). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017).
Ringrazio Franco Paolo Intini per i versi che mi dedica.
Prendo la spinta da
“È il «reale» che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca, i poeti della nuova ontologia estetica si limitano e prenderne atto e a comportarsi di conseguenza.”
Propongo un tentativo di
Poesia all’epoca del Covid-19
Gino Rago
Ulisse? Un bugiardo inglese
Una vita di seta gialla, un abito con crinolina color lilla.
Un cappellino, una rosa nei capelli.
Con un’amica al Caffè Tommaseo.
Sotto i portici un uomo, forse l’ombrellaio delle favole.
La testa fra le mani, legge un libro di Joyce,
non si accorge neppure chi gli siede accanto.
È la donna della sua vita, ma lui non lo sa, esce dal caffè
e viene inviato sul fronte occidentale, sulle Ardenne.
Lascerà Trieste, andrà a Parigi, dipingerà.
È innamorato della danzatrice francese, ma lei non lo sa.
Ma Achamoth gioca con gli scacchi. Invia una lettera a Marie Laure,
C’è scritto: «Guardati dalle idi di marzo».
E la Colasson parte per Roma. Abita sopra la statua di Giordano Bruno.
Poi Madame Tedio, il tempo, sbroglia le carte,
Si pente e torna indietro.
Sul molo Audace i bersaglieri con le piume al vento.
D’Annunzio inneggia alla guerra.
[…]
Von Karajan al Bolshoj dirige un’orchestra di piatti e di posate.
C’è il mago Woland che dirige l’orchestra, ma lui non lo sa.
La Signora Schmitz s’è invaghita del musicista,
ma neanche lei lo sa. Scoppia la Grande guerra. Joseph è un pacifista,
Scrive un biglietto a Madame Schmitz: «Non sparerò un colpo»,
e invece gli sparano un colpo al cuore, e muore disperato.
Alla biblioteca civica in Piazza Hortis
Svevo scrive La coscienza di Zeno.
[…]
Il Signor L. tiene una conferenza sull’Odissea,
alla Berlitz School.
«Ulisse? Un bugiardo inglese».
*
(inedito)
Gino Rago
caro Gino,
ecco alcune considerazioni.
La poesia NOE è nient’altro che una «rappresentazione prospettica», una rappresentazione priva di funziona simbolica. La prospettiva come forma simbolica (1924) di Erwin Panofsky è una utilissima guida perché ci mostra come funzione simbolica e rappresentazione siano legate da un cordone ombelicale che è dato dal linguaggio. Ma mentre le opere del passato erano portatrici di una funzione simbolica, le opere moderne, a cominciare da Brillo box di Warhol, non sono provviste di alcuna funzione simbolica, sono dei dati, dei fatti, dei ready made. Invece, la tua poesia, di Intini, di Mario Gabriele, di Giuseppe Talìa per fare qualche nome di poeta che è maturato nell’officina della NOE, è priva di funzione simbolica, sembra la registrazione di dati di fatto, di elenchi statistici, elenchi cronachistici. In più, qui si ha una molteplicità di prospettive che convergono e divergono verso nessun fuoco, nessun centro prospettico, le linee ortogonali non portano ad alcun centro che non sia eccentrico, spostato, traslato; inoltre lo sguardo che guarda è diventato diplopico, diffratto, distratto.
La tua «poesia-polittico» può essere ragguagliata ad una matassa, ad un groviglio. Tu ti limiti ad aggrovigliare i fili, li intrecci gli uni con gli altri e tiri fuori il percorso degli umani all’interno di un labirinto. La tua è una «poesia-labirinto», uno spiegel-spiel. I tuoi personaggi sono gli eroi, prosaici, del nostro tempo, vivono in un sonno sonnambolico, tra chiaroveggenza e inconscio, guidati e sballottati come sono dalla Storia (Achamoth) e dalle loro pulsioni inconsce (Von Karajan, la Signora Schmitz, Joseph il pacifista, Madame Colasson); c’è «poi Madame Tedio, il tempo,[che] sbroglia le carte» e sdipana i destini individuali; c’è l’intellettuale, il Signor L., il quale denuncia la Grande mistificazione dell’Occidente: che l’«Ulisse è un bugiardo inglese». Questo Signor L. mi piace, è una sorta di Baudrillard per antonomasia, l’intellettuale che ci mette in guardia contro la mitologizzazione di certi prototipi umani come Ulisse, progenitore e prototipo del politico imperialista che avrà discendenti di tutto riguardo ai giorni più vicini a noi, da Giulio Cesare a Napoleone e giù fino ai pazzi sanguinari Hitler, Mussolini, Stalin, Pol Pot, etc.
La tua «poesia-polittico» è un esempio mirabile di come si possa oggi scrivere una poesia moderna, appassionata e dis-patica, raffreddata e ibernata, patetica e algida, serissima e ilare. Una poesia che, finita la lettura ci lascia sgomenti e ammirati.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/03/09/parallasse-poesia-allepoca-del-covid19-enesidemo-charles-simic-marina-petrillo-francesco-paolo-intini-gino-rago-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-63229
Leggo da alcuni libri di poesia Einaudi e ci trovo il lessico e i polinomi frastici che ci parlano del corpo, della psicologia dell’io, rime intontite, rime finte, rime maleducate, ambasce e patemi del cuore etc. Leggo i risvolti di copertina e li trovo impeccabili quanto a personalità partecipativa e ipocrisia esornativa.
Scrivevo nel 1993 sulla rivista di poesia “Poiesis”:
«Già nel 1960 Franco Fortini rilevava che «le differenze più appariscenti fra critica accademica, critica di primo intervento e pubblicistica militante sono di molto diminuite» (Verifica dei poteri).
Io dico di più: oggi non v’è più bisogno di una critica militante. Molti, moltissimi ripetono l’adagio: “non c’è più niente da dire che non sia già stato detto”. E tirano le conseguenze: “Chi fa da sé fa per tre”. Adorno scriveva che l’industria culturale non ha più interesse ad umiliare i barbari da essa prodotti, li lascia benevolmente in vita, li coccola e li protegge perché nella misura in cui cresce il Principio di confusione, cresce simmetricamente anche il Principio di irresponsabilità, vengono scritti e pubblicati romanzi e poesie del tutto impresentabili perché sono scritti in forma del pettegolezzo. Il pettegolezzo è diventato un genere letterario, anzi, il genere letterario dominante.
L’equilibrio stabile del Principio di confusione è consustanziale al sistema dei media.
Come erano belli gli anni sessanta quando la motorizzazione della società letteraria lasciava ancora spazio per il pessimismo. Oggi è finanche sordido esprimere pessimismo, siamo tutti diventati pragmatici e scettici, quello scetticismo rabberciato che è il travestimento del becero “fatti i fatti tuoi”, dell’egoismo portato al massimo livello.
La pseudo-poesia, gli pseudo-romanzi, le pseudo opere di arte figurativa e non figurativa hanno letteralmente invaso la nostra vita quotidiana che non ce ne siamo neanche accorti. L’impudenza dei timidi minimalisti nel palesare le ambasce e i tormenti del pennino che scorre sul bianco foglio di carta è l’omologo dei barbari prodotti dalla industria dell’intrattenimento che entrano con gli scarponi da sci in un negozio di cristalleria di Murano.
Il successo del romanzo omiletico della Tamaro (Va dove ti porta il cuore) sigilla con lo scotch il trionfo e l’egemonia del minimalismo degli ultimi due decenni. Ciò non è avvenuto per caso. Che illustri recensori non abbiano risparmiato energie per le note di lettura di un tale prodotto è il sintomo inquietante della nostra dimestichezza con il conformismo omiletico».
Cari amici, leggendovi sempre con grande interesse accolgo il suggerimento di Gino Rago e Giorgio Linguaglossa con un mio contributo alla
“Poesia all’epoca del Covid-19”
Fenomeni oscuri si presentano:
il peso di questa discesa nella carne.
I tre quarti dell’animale docile.
Quale apertura alare all’erudizione?
Del Convivio rimane il boccone magro
parole di segatura sul pavimento.
«Torbido è ciò che vela le forme» scrisse Wittgenstein.
L’elegia è diventata torbida. I denti cinici della luce
a scassinare la Notte. La porta imbottita è aperta
su un muro di tredici piani, ecco l’«Hotel per maiali».
Signore e signori: gli Animali.
Terra emersa dell’Innocenza.
La porta imbottita è una frontiera.
Scrivere tredici piani di schizofrenie metaforiche.
Agonie nella provincia di Guangxi
di trentamila scrofe per ottocentoquarantamila maialini.
Oh, «La bocca insozzata dal grido di tutti gli evi.»
Non è la Peste di Camus. Ne mestiere poetico
la macellazione. Delirare è orfico, piuttosto.
Scandalizzarsi astrattamente sulle micro-apocalissi dell’io.
Poeti del pudore provenzale in mezzo.
Il bue e l’asinello.
Un lettore, in risposta al mio scritto, mi invia questa poesia di Umberto Saba.
Amai trite parole che non uno osava.
M’incantò la rima fiore amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Il fatto è, gentile lettore, che è la Storia che si incarica di mettere nel cestino del dimenticatoio questo modo di scrivere poesia: «la rima fiore amore», «mai trite parole che non uno osava»; «M’incantò la rima fiore amore», «la più antica, difficile del mondo».
Ecco, questo modo non è più riproponibile, la rima di Saba è diventata la rima più facile del mondo, e così è entrata nel dimenticatoio. La tradizione è quella macchina che dimentica. È la macchina dell’eternità che tramonta di continuo. Penso che il nostro modo di fare poesia, proprio in quanto ha dimenticato quell’antico «modo», è il «modo» più idoneo di fare poesia dell’oggi.
La poesia all’Epoca del Covid19
copio e incollo da Facebook (pagina di Luca Martini) questa poesiola di Mariangela Gualtieri sul Coronavirus – una autrice Einaudi che trovo agghiacciante per il livello di stupidità.
Ci sono delle brutte notizie sul fronte della cultura in questi giorni. Per esempio, Mariangela Gualtieri si è messa in trance e ha partorito una virus/poesia, che ho trovato postata sul profilo FB di Lorenzo Cherubini Jovanotti. Con iperboli varie da parte dell’intellettuale di Boh!. Non so perché ma la poesia mi ha fatto pensare ai biscotti della fortuna che trovavo all’all you can eat cinese oggi purtroppo chiuso. Se c’è un italianista che mi legge può spiegarmi perché.
Vi lascio i versi della Gualtieri se volete meditare su quel “ch’era” o sui morti ocra o sulla distanza di un bacio… Se la poesia vi emoziona o vi fa piangere o appena vi piace…
(Luca Martini)
Mariangela Gualtieri
Nove marzo duemilaventi
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.
(9 marzo 2020)
E adesso per tirarci su il morale, un inedito di
Mario M. Gabriele
da http://mariomgabriele.altervista.org/inedito-mario-m-gabriele-14/?fbclid=IwAR1HxA5T8sYRpoXStxQtjoDUviW8wwL3UBRDEQac2qsUs0fpu-gVcARN-hA
Ci togliamo le cravatte, i gilet stile parigino
per una serata a Courmayeur.
Nessuno tratta la scarpiera
come una madame.
L’universo è stanco di Metafisica.
Cerca altrove l’Origine delle cose.
Freud non ha mai cambiato le lenzuola dal sofà.
Ha uno strano modo di vedere le cose.
Jessica mi attrae con la sua lingerie
allontanandomi dal pensiero arancione.
E’ tornato Arbet macht frei
da Portogruaro a Donnalucata.
Benedetta in Guysterland
spera in un Resurget Cineribus
Buongiorno Amore. Un ippogrifo vola nei cieli
alzando le ali con Fly me to the moon.
C’è un Cristo in giro ma nessuno lo vede.
Anche gli squali sono a tribordo.
Resto fino a notte fonda aspettando
i Pony express.
-Niente è più nuovo ,
eccetto domani: appeso a un filo.-
TRECENTO
[DA MILANO] L’abbandono di Milano fu viscerale.
Ci aiuta il corvo a salire sull’intercity.
Gli idranti eccitarono la folla.
Il calpestio modulava Piazzale Loreto.
Fu deciso per il 2020 l’happening a Ponza
La frusta dei secoli alle carrozze viaggiatori.
Arrivò polvere delle Twin Towers
Iridio e suicidi nelle bocche del T Rex.
Esausti, carichi di quarzo.
Il Gps fisso alla luna.
…
[SUD]Dov’è la pantera delle tre bocche?
La materia scura abitava le campagne.
Coeva alla dolina.
Sbranò un trullo per una foresteria.
Si ammirò nel temporale di Giorgione.
La cronaca suggerì cosa fare delle ossa
Appena giunti a Bari.
Troppe avrebbero ingombrato
I binari i e i comunicati stampa.
Gli occhi sporgenti dal manifesto listato.
…
Il suo prelievo è stato rinviato a data da destinarsi
Anche lo scottex si riprese dalle emozioni.
Chi altro conosceva i sotterfugi e la polvere degli italiani?
Le siringhe si lanciarono dai grattacieli.
E poi che rivoluzione è buttarsi dai finestrini
per un bisogno elementare.
Si emigrava per dichiarazione di fame.
Senza maschere però.
Una firma in calce alla Croce del Sud.
L’attraversamento della pancia del leone.
…
Come già convenuto al segnale segua la folla.
Il capro sacrificale attirerà le anime.
A destra donne e bambini
A sinistra gli idonei alla fucilazione.
Perché Anticlea non riconosce suo figlio?
E’ Ulisse, non vedi?
…
[TERMOPILI] Vola il Sole in un pastrano nero:
marzo ammala le mimose.
A conti fatti se un albero ne contagia due
vedremo mele sugli abeti.
La memoria ci rimise il poco rimasto.
Il tuono bussò sul margine del foglio.
Il tappeto persiano riavvolse i peschi.
La mutazione di uno sguardo è presto detta
Sei portatore sano ed io soggetto a rischio.
Anche la parola cambia faccia
può sostare in discorsi vuoti.
Posti di blocco contro le faringi.
Trema il banchiere davanti a una carie.
Ne usciremo, giura lo schermo.
Lupi erbivori invadono la cucina.
Il vulcano, il meteorite, il terremoto,
la CO2, l’11 settembre, la globalizzazione
Sei a zero. Il set ai pipistrelli:
La cellula di Leonida moltiplica all’infinito.
[TANTI REMBRANDT IN CUCINA]La classe reagì attivando Pisacane.
L’espulsione del proiettile seguì norme governative.
Neuroni piazzarono plutonio nelle aorte.
Abortì la bocca, ugole ferite, labbra incrociate.
Troppe fughe sopra i tetti, i roghi, le falci
l’assassinio alla portata di passeggino.
l’ombra rassicura il mandorlo
lo spoglia e nasconde le gemme ai contadini.
Tutto rimandato allo sbarco di Maggio. Per ora solo forca.
La visita dermatologica alla prossima fermata.
Compasso che gira attorno allo stesso cerchio.
Il riciclaggio delle sartie a nodo scorsoio.
Corvi vuoti straripano di ossa.
Carne supina sul tavolo della cucina.
Si sta seduti su una sedia elettrica.
Di Warhol, ovvio, l’assenza di parole.
(Francesco Paolo Intini, inedito)
Siamo interpreti.
Recitamo una parte da teatro.
Ogni giorno va in scena, sulle pagine dell’Ombra uno spettacolo diverso.
L’attore che contraddice la parola, Carmelo Bene lo ha sempre pensato.
La nostra è una interpretazione.
Per quanto ci è concesso dalle nostre capacita. Individualità.
L’individuo come interprete più o meno incompreso.
L’arte nobile della interpretazione della parola
questa è la poesia.
Il teatro è la forma più chiara per interpretare la realtà. Il poeta è una primadonna.
Un bigmalione.
È l’errore che riconosce se stesso. La burla, il dramma, l’operetta.
Se la poesia non passa attraverso la interpretazione è una pagina portata a memoria.
Vuota.
Cantami o diva del pelide Achille!
(Leggendo i grandi interpreti di questo post
Gabrieli, Rago, Intini, Petrillo, Linguaglossa, Leone, Simic,Gualtieri(nella prima parte) e compagnia cantando)
GRAZIE OMBRA.