Gino Rago, Poesia, In memoria di Joseph Roth, Un necrologio in distici a 81 anni dalla morte, 27 maggio 1939, Commenti di Edith Dzieduszycka. Giorgio Linguaglossa

Foto selfie Sophie-Marceau

Gino Rago, nato a Montegiordano (Cs) nel febbraio del 1950 e residente a Trebisacce (Cs) dove è stato docente di Chimica, vive e opera fra la Calabria e Roma, dove si e laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005) e I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (EdiLazio, 2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia italo-americana curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019). È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole” e redattore della Rivista on line “L’Ombra delle Parole”.

Gino Rago

Conceda Dio a tutti voi, a voi santi bevitori,
una morte lieve

«Conceda Dio a tutti voi, a voi santi bevitori,
Una morte lieve».*
[…]
Un cavallo lipizzano alzò per un istante
La zampa destra in segno di commiato.

Il lampadario cadde sui legni della sala del valzer,
Shearazade pianse.

La contessa W. della milleduesima notte
Sgranò gli occhi dai riflessi di violette e miosotide.

E tutti i presenti se ne innamorarono.
[…]
La mattina del 23 di un mese di primavera
Nel 1939 cadde a terra di schianto.

Come Andreas
Nella leggenda del santo bevitore.

Era nel caffè Tournon.
Aveva scritto per anni e bevuto calvados

Fino a perdere il senno.
Non fu portato nella sagrestia

Della chiesa di Santa Teresa
Ma all’ ospedale Necker.

Lo legarono con cinghie al letto
Come l’ultimo dei mendicanti.

Dalla sua cartella clinica:
“Non-ha-ricevuto-nessuna-cura”
[…]
Il 27 dello stesso mese morì.
Il giorno 30 il funerale al cimitero Thiais.

Nei sobborghi di Parigi
Le pietre si fecero parole.

Un messo di Otto d’Asburgo
Pretendente al trono d’Austria

Elogiò in lui
«Il-fedele-combattente-della-Imperial-Regia- Monarchia».

Un comunista gli rispose con rabbia
Che il morto era stato «Joseph il rosso».

Un sacerdote cattolico benedisse la salma.
Tutti gli ebrei presenti furono offesi

Dal fatto che un ebreo
Che discendeva da generazioni di devoti ebrei

Fosse costretto in una religione non sua.
[…]
Forse il morto fu contento dello schiamazzo
Sulla sua tomba di periferia,

Era stato monarchico e rivoluzionario, ebreo e cattolico,
Pagano e musulmano.

E bevitore, sebbene non santo.
Abitò da solo il regno-del-non-dove

Nella stanza del Bioscopio universale.
[…]
«La morte simbolista di Roth…
Come quella nel ‘28

Di Nina Ivanovna Petrovskaja
Della Bohéme russa in esilio a Parigi.

Aprì da sola il gas nello squallore
D’un albergo d’un quartiere popolare».
[…]
Joseph Roth, inabile anche alla morte,
Vita-non-vita d’un sopravvissuto

Alla fine di un mondo, di una lingua,
Di una storia.

Scrivendo divenne monarchico.
Sempre scrivendo divenne devoto.
[…]
Voleva credere e divenne credente.
Ma forse cercava soltanto sé stesso

Nei frammenti della Finis Austriae.
Alla fine il naufragio.

Viso tumefatto. Piedi gonfi.
Bottiglie vuote in fila di calvados e gin.

Tentò di scacciare da sé l’anticristo.
[…]
L’incenso di tutte le chiese.
Moriva di maggio l’uomo.

Nasceva il-soldato-della-penna
In-servizio-permanente-effettivo,

Da quel giorno Joseph Roth è di tutti.

Gino Rago
* [La leggenda del santo bevitore]

Edith Dzieduszycka

“[…]Era stato monarchico e rivoluzionario, ebreo e cattolico,
Pagano e musulmano.

E bevitore, sebbene non santo.
Abitò da solo il regno-del-non-dove

Nella stanza del Bioscopio universale[…]”

A Gino Rago, nato nel 1950, vivendo tra Roma e la Calabria, in provincia di Trebisacce, per 30 anni docente di chimica, poeta ora legato all’Ombra delle Parole e alla Rivista Mangiaparole, siamo grati per molti motivi, di cui due essenziali.

Dopo aver diffuso a profusione durante gli ultimi mesi dell’anno 2019, e con grande generosità, una ricca girandola di recensioni, erudite e approfondite, – di cui abbiamo approfittato in abbondanza, noi poeti e lettori, grazie alla preziosa ospitalità di Antonio Spagnuolo sul suo blog Poetrydream -, Gino Rago, poeta egli stesso, amante e vestale della poesia, ci narra ora lo strano destino ambivalente di Joseph Roth, nato nel 1894 in Galizia, ora Ukraina, – vicino a Lwow, luogo d’origine della famiglia di mio marito -, con la voce obbiettiva e precisa del biografo.

Parallelamente ci offre anche la sua versione personale e ritmata di tale vita con una lunga poesia in cui reinterpreta a modo suo e riesuma col ritmo ondoso dei distici, da un oltretomba evanescente, quel poeta di classe, di origini asburgiche, conosciuto sopratutto grazie alla sua famosa “Leggenda del santo bevitore”.

Gino Rago presentò la sua poesia, qui pubblicata, a Trieste in occasione degli ottanta anni dalla morte di Joseph Roth.

“La mattina del 23 del mese di…
dell’anno 1939 cadde a terra di schianto

come Andreas
della leggenda del santo bevitore.

Era nel caffè Tournon,
dove aveva scritto per anni e bevuto calvados

fino a perdere il senno.”

Gino Rago in questo necrologio per Joseph Roth lavora sulla forma-poesia e propone i suoi versi in forma di distici. Su questo preciso aspetto cedo la parola a Giorgio Linguaglossa:

«[…] La scrittura poetica in distici non è una tecnica di scrittura.

Si può scrivere in distici soltanto se si avverte il distico come una presenza subito seguita da una assenza, come una voce subito seguita da una non-voce. Lo spazio che segue e precede il distico è il nulla del bianco della pagina che de-istituisce la presenza del distico. L’antitesi della scrittura (il distico) e il bianco della non-scrittura ripropongono figurativamente e semanticamente l’antitesi e l’antinomia tra l’essere e il nulla. Il distico istituisce visivamente il nulla. Si tratta di una percezione singolarissima.
Può scrivere in distici soltanto chi ha questa percezione singolarissima[…]»

Un giornalista, questo Joseph Roth, uno scrittore e grande viaggiatore, un essere complesso e paradossale, ubriacone dalla scrittura raffinata e cesellata, che ho scoperto tempo fa con grande godimento attraverso le pagine del suo “Lo specchio cieco”. Vi racconta la storia conclusa tragicamente – incidente, suicidio?- della ragazza Fini innamorata di un fantomatico Rabold .

“Nessuno seppe se avrebbe voluto andare in cielo ed era caduta in acqua. Si infranse sulle morbide scale di nuvole d’oro e di porpora.” Un inabissarsi sicuramente simbolico essendo il 1925 data di pubblicazione di quel piccolo gioiello ambientato a Vienna, o “piccolo romanzo” come da lui chiamato.

Tre giorni invece per cadere anche lui, Joseph Roth, tre giorni per morire, tre giorni per venir seppellito, lui ebreo, – scandalo – dopo la benedizione da parte di un prete cattolico. Ma Joseph era ben al di là di queste piccolezze. Chi sa in quale misura avranno influito sulla sua mente giovanile gli strani comportamenti di suo padre che verrà affidato ad un rabbino forse del tipo Rasputin?

Giorgio Linguaglossa

Proviamo a pensare la poesia come una «composizione musicale», come una «polifonia», come un «polittico», o come un «sistema polifonico», con voci di contralto, di tenore, di basso etc., con «voci» interne ed esterne, dell’io e di altri, con rumori di fondo, con interferenze, contaminazioni, concatenazioni di storie e di eventi; proviamo a pensare di rimodulare i «toni» a secondo della posizione delle «parole» all’interno di un sistema dinamico qual è il verso; proviamo a pensare questo sistema dinamico come «sistema in movimento»; proviamo a immaginare la composizione non come un sistema statico-unilineare. Se pensiamo alla cosa chiamata poesia in termini di polifonia entro un sistema spaziale, ed anche di organizzazione formale ma all’interno di un sistema spaziale… ecco che il tempo verrà da sé. In fin dei conti, lo spazio e il tempo (lo afferma Einstein) sono correlati. Proviamo a pensare al poeta come un compositore di musica in uno spazio vuoto, in uno spazio in espansione. Proviamo a pensare il poeta come un calzolaio che crea la tomaia e la suola, che le incolla e le batte col martello e ne fa una scarpa. Proviamo a pensare alla parola in termini di «massa sonora», e di inserire questa «massa» in un circuito orbitale che ruota attorno ad un astro anch’esso inpresso in un movimento di traslazione Insomma, io credo che abbiamo molto da imparare dalla critica musicale e da musicisti come Ligeti e Giacinto Scelsi.

Ecco, Gino Rago ha avuto il coraggio di adottare la «forma-polittico» come la più adatta a rappresentare l’essenza del nostro tempo, la scrittura in frammenti e il polinomio frastico sono gli antenati del «polittico». Non si può adire al «polittico» se non si lavora prima sul «frammento» e sulla «dis-connessione», sulla interruzione, sulla peritropè, sul salto. Occorre entrare in sintonia con il sistema dinamico del «polittico» per scrivere in «polittici». Finalmente, la poesia italiana si è emancipata dallo schema dualistico, statico e lineare di lirica e anti-lirica, si è liberata, d’un colpo, dell’elegia e della poesia monologo dell’io. Finalmente ci troviamo di fronte un nuovo modello di poesia polifonica. Gino Rago ha compreso le enormi potenzialità di questa nuova forma-poesia. La nuova ontologia estetica in fin dei conti è questo: la forma-poesia più ardua e problematica del nostro tempo, che unisce la simultaneità dei tempi e degli spazi in una unica dimensione.

Strilli Giorgio Sopravvivere a un attacco di radioonde e di scafandri

Bio-bibliografia essenziale di Joseph Roth
Joseph Roth, scrittore e giornalista austriaco del primo Novecento,
non è una figura letteraria molto conosciuta, oltre l’area linguistica tedesca, se non per il racconto autobiografico più noto, ovvero Die Legende vom heiligen Trinker, (La leggenda del santo bevitore) scritto nel 1939, diventato celebre anche grazie all’omonimo film (del 1988) di Ermanno Olmi.
Nasce nel 1894 da una famiglia ebraica in Galizia, nella città di Brody, che ora si trova in Polonia ma che a quell’epoca apparteneva al groviglio di stati che componeva l’impero Austro-Ungarico.
Nel 1913 arriva a Vienna, la grande capitale, per studiare germanistica all’università. In condizioni economiche davvero precarie inizia, grazie alla sua abilità stilistica, una collaborazione con il giornale Österreichs Illustrierte Zeitung dove vengono pubblicati i suoi primi articoli e le sue prime poesie. Scoppia la Grande guerra ma Joseph è un pacifista.
Si arruola solo nel 1916 e vive in una caserma di Vienna come addetto Ufficio stampa dell’esercito. Anche in questo periodo scrive. Le sue parole vengono pubblicate sul quotidiano Der Abend e sul settimanale Der Friede. Il direttore di quest’ultimo sarà colui che, terminato il conflitto, recluterà Roth come collaboratore per le pagine culturali del Der Neue Tag. Qui descrive nei suoi articoli la vita quotidiana della gente nella Vienna del dopoguerra come una sorta di cronaca cittadina, spesso trasposta in chiave metaforica.
Nel 1920 il giornale chiude e il giornalista si reca nella più vivace Berlino dove lavora per il Berliner Börsen-Courier prima e successivamente per alcuni anni come corrispondente culturale nel più conosciuto Frankfurter Zeitung dove inizierà una corrispondenza con Stefan Zweig che diventerà suo mecenate. Nella redazione di questa importante testata sviluppa numerosi reportages, che spesso lo portano a Parigi, in Albania, in Polonia e anche in Italia.
La vita sentimentale dello scrittore è molto travagliata. Sposa a Vienna Friederike (Friedl) Reichler che lo segue a Berlino. Ma la vita mondana e frenetica dello scrittore, oltre alla sua morbosa e insana gelosia, provocano nella moglie una forte crisi tale da destabilizzarla quasi completamente. Roth dopo i primi sensi di colpa conosce diverse donne con le quali intrattiene numerose relazioni.
Con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933, data la sua origine ebraica, è costretto ad emigrare. Dapprima si trasferisce in Francia, poi nei Paesi Bassi e infine nuovamente in Francia.
Nonostante in Germania i suoi libri vengano bruciati, nei Paesi che lo ospitano, rispetto a molti altri scrittori emigrati, continua ad avere la possibilità di pubblicare opere.
Nel 1936 incontra la scrittrice Irmgard Keun con la quale vive a Parigi, ma nel 1938 si lasceranno. Tra il 1937 e il 1939 la situazione economica, oltre alla salute di Roth, peggiorano. Beve e viene trasferito all’ospizio dei poveri. Il 27 maggio 1939 muore a Parigi per polmonite.
Raffinato cantore della finis Austriae, della dissoluzione dell’impero austro-ungarico (quell’Impero che fu in grado di riunire popoli di origini disparate, con lingue, religioni, tradizioni diverse) benché egli stesso fosse nato alla periferia dell’impero, nell’odierna Ucraina, lascia alla letteratura universale svariate opere (La cripta dei Cappuccini, La marcia di Radetzky, La milleduesima notte, La leggenda del santo bevitore).

22 commenti

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22 risposte a “Gino Rago, Poesia, In memoria di Joseph Roth, Un necrologio in distici a 81 anni dalla morte, 27 maggio 1939, Commenti di Edith Dzieduszycka. Giorgio Linguaglossa

  1. gino rago

    da Gabriella Citi (che ringrazio) a me, via e-mail, questa riflessione che con-divido

    “Thanatologio atomisticamente elegiaco, che annoda una suite poetico filmica a partire dalla metafisica , montaliana e dechirichiana immagine del cavallo….Finis Austriae …incipit Poesia di un Mito Contemporaneo di cui Roth fu cantore e Rago suo musico in questa sua partitura,..che risuoni a lungo sulle ali imperiture di Mnemosyne…”

    Gabriella Cinti

  2. gino rago

    L’«Estetica-della-Interferenza», naturalmente, interferenza linguistica, quando entra nella “poetica del polittico in distici” ( Linguaglossa e Rago, Colasson e Gabriele, Tosi e Intini, Tagher e Cataldi, Gallo, Talia, Pierno e Petrillo, e Leone, Dono, Dzieduszycka, Ventura per altre vie poetiche, ma che partono anch’esse dalla poetica del frammento), non lascia nulla, proprio nulla, né alla improvvisazione né alla casualità o al dilettantismo dell’emozionalismo d’accatto, se, per rafforzare il pensiero estetico di Francesco Paolo Intini in precedenza espresso, la parola scientifica dialoga con la parola filosofica e le due parole, scientifica e filosofica, sanno dialogare con la parola poetica.
    A condizione di non indebolire la propria autocoscienza storica. Perché indebolendo la propria autocoscienza storica si finisce con l’indebolire anche gli steccati estetici del fare poesia.

    (gino rago)

  3. il mio modo di scrivere dopo la fine della metafisica.

    Stanza n. 87

    «Secondo me il sette viene dopo l’otto
    nel caso in cui l’otto venga dopo il sette».

    Disse proprio così il Figuro.
    Ma erano parole di un racconto di Daniil Charms.

    Non dissi nulla. Subito dopo, ci recammo al Giardino d’Estate.
    A passeggiare.

    La giostra con i bambini e i cavallucci colorati.
    C’erano anche gli ufficiali degli Ussari in divisa.

    […]

    K. ordinò una bottiglia di Dalmore,
    e bevve un succo di lampone con mirtilli.

    «Fa bene al glaucoma, sa?».
    L’occhio di vetro verde si sporse dall’orbita.

    E riprese a deambulare.
    «E poi, il sette ha un luogo?, e l’otto?, ha un luogo, l’otto?»,

    Si rivolse di colpo verso di me come per interrogarmi.
    L’occhio di vetro sembrò ritrarsi.

    […]

    «La moglie di Spredjakov cadde dalla credenza e morì.
    I figli di Aleksiej sono annegati nella vasca da bagno…

    Orlov prese a trangugiare pipistrelli fritti
    conditi con salsa bolscevica

    E Daniil Charms ha ricevuto un vaglia telegrafico di 400 rubli
    per i diritti d’autore dopo novant’anni, lo sa?».

    «No, non lo so», interloquii. Ma era tardi. Faceva scuro. Nebbia.
    I bambini cantavano. Le mamme sorridevano.

    «Krilov ha disegnato una signora con una frusta in mano. E morì anche lui…»
    Tatiana si ripassa il rossetto sulle labbra.

    Gagarin è ritornato dallo spazio, manda un bacio alla moglie.
    Ma è morto anche lui…».

    […]

    Nel chiosco c’era un campanello. Lo tirò.
    Venne giù una pioggia fittissima.

    Un vetturino con una carrozza a cavalli aspettava
    di fronte alla pagoda.

    K. si spazzolò la redingote, si soffiò il naso, starnutì.
    Mi disse che aveva dimenticato l’orologio da tasca

    nel taschino del gilè…

  4. gino rago

    “[…]
    A condizione di non indebolire la propria autocoscienza storica.
    Perché indebolendo la propria autocoscienza storica si finisce con l’indebolire anche gli steccati estetici del fare poesia.
    Riprendo una meditazione di Mario Lunetta, della cui opera L’Ombra delle Parole, attraverso gli interventi critici anche di Giorgio Linguaglossa, ha tentato un rilancio, per riaffermare un dato che ha influenzato gli ultimi lustri di poesia italiana e cioè la confusione tra le due sfere del privato (ipertrofia dell’Io) e del pubblico.

    La confusione tra le due sfere privatistica e pubblicistica ha prodotto come risultato finale proprio l’indebolimento di quegli steccati che in passato si mostrarono in grado di tenere distinti, distanti, separati professionalità e improvvisazione, narcisismo dilettantesco e rigore di scrittura, filtro autocritico ed emozionalismo d’accatto, con una poesia dell’esilio perché senza una patria linguistica, una poesia di parole dis-abitate, di parole come foglie morte.

    Una poesia, per dirla con un’idea di Linguaglossa, ingabbiata “nello schema dualistico, statico e lineare di lirica e anti-lirica”, un regno a lungo incontrastato “dell’elegia e della poesia monologo dell’io”.

    (gino rago)

    • gino rago

      L’«Estetica-della-Interferenza», naturalmente, interferenza linguistica, quando entra nella “poetica del polittico in distici” ( Linguaglossa e Rago, Colasson e Gabriele, Tosi e Intini, Tagher e Cataldi, Gallo, Livia,Talia, Pierno e Petrillo, e Leone, Dono, Dzieduszycka, Ventura per altre vie poetiche, ma che partono anch’esse dalla poetica del frammento), non lascia nulla, proprio nulla, né alla improvvisazione né alla casualità o al dilettantismo dell’emozionalismo d’accatto, se, per rafforzare il pensiero estetico di Francesco Paolo Intini in precedenza espresso, la parola scientifica dialoga con la parola filosofica e le due parole, scientifica e filosofica, sanno dialogare con la parola poetica.
      A condizione di non indebolire la propria autocoscienza storica. Perché indebolendo la propria autocoscienza storica si finisce con l’indebolire anche gli steccati estetici del fare poesia.
      […]
      Riprendo una meditazione di Mario Lunetta, della cui opera L’Ombra delle Parole, attraverso gli interventi critici anche di Giorgio Linguaglossa, ha tentato un rilancio, per riaffermare un dato che ha influenzato gli ultimi lustri di poesia italiana e cioè la confusione tra le due sfere del privato (ipertrofia dell’Io) e del pubblico.

      La confusione tra le due sfere privatistica e pubblicistica ha prodotto come risultato finale proprio l’indebolimento di quegli steccati che in passato si mostrarono in grado di tenere distinti, distanti, separati professionalità e improvvisazione, narcisismo dilettantesco e rigore di scrittura, filtro autocritico ed emozionalismo d’accatto, con una poesia dell’esilio perché senza una patria linguistica, una poesia di parole dis-abitate, di parole come foglie morte.

      Una poesia, per dirla con un’idea di Linguaglossa, ingabbiata
      “nello schema dualistico, statico e lineare di lirica e anti-lirica”,
      un regno a lungo incontrastato
      “dell’elegia e della poesia monologo dell’io”.

      (gino rago)

      • gino rago

        “[…]
        Del resto, come è nelle esperienze poetiche della Poesia all’Epoca del COVID-19 (Gabriele, Linguaglossa, Rago, Tosi, Livia, Intini, Gallo, Talia, Tagher, Petrillo, Pierno, Cataldi, Leone, Dono, Dzieduszycka, Ventura)
        a cosa servirebbe la Poesia se venisse meno a uno dei suoi ineludibili compiti che poi ( riprendendo ancora il Lunetta pensiero)
        è quello
        “ di creare contraddizioni all’interno del senso comune egemone, di produrre enzimi fantastici indigeribili, di creare sconcerto nei confronti dell’universale obbedienza.
        Uno scrittore (o un poeta) che non sia scomodo e non procuri fastidi alla digestione del dominio delle menti, non è uno scrittore, è un addetto al servizio delle pulizie”?

        (gino rago)

        • caro Gino Rago,

          come noto, gli scrittori sono i postini delle Poste assunti con contratti a tempo determinato;
          i pittori anch’essi sono dei disgraziati imbrattatele o facinorosi fabbricanti di orrendi manufatti che chiamano installazioni;
          i giornalisti sono i più utili, sono pagati per servire il padrone di turno e, a quanto mi risulta, lo fanno per bene;
          i critici sono ben pagati nelle inutili Accademie che sfornano belletti per transessuali e crossdresser in passerella;
          i poeti, in ultimo, sono gli addetti alle pulizie dei lavabo e dei servizi igienici. E c’è una gran ressa là fuori…

          Charles Simic:
          «La storia è un libro di ricette. I dittatori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. I preti sono i camerieri. I militari i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina».

          • «Le umane vicende oscillano come su di una bilancia dai pesi diseguali, ora sollevandosi, ora invece tirando giù il piatto. terribile è l’incertezza e molta è l’oscurità che coinvolge i fatti della vita: come in un sogno profondo, noi vaghiamo senza poter nulla percorrere con esattezza di ragionamento e senza nulla afferrare con vigore e fermezza, poiché tutto è simile ad ombre e fantasmi.
            E come nei cortei la fronte passa oltre e sfugge agli sguardi e nei torrenti invernali il corso dell’acqua, spingendosi oltre, per la violenza della sua velocità, precorre il nostro sguardo e gli si sottrae, così anche gli eventi della vita, spingendosi innanzi e sorpassandoci, danno tutta l’impressione di star fermi, mentre non permangono neppure un istante, ma vanno ogni ora in rovina»1

            1 Enesidemo, frammento tratto dal De Iosepho di Filone di Alessandria, 140-41. Ho utilizzato la traduzione di Antonio Russo che si trova in Scettici antichi, Utet, Torino, 1996, oag. 562. Dello scettico Enesidemo sappiamo pochissimo e la sua esistenza è stata fatta oscillare tra l’80 a.C. e il 130 d.C.

      • Caro Gino Rago, vedo che abbiamo percorsi simili e per me è un gran piacere scoprirlo. La Chimica è scienza delle trasformazioni, ma anche e soprattutto creatività come le altre discipline sorelle. E’ mia convinzione che se è possibile un dialogo con la poesia debba svolgersi su questo terreno e non semplicemente su qualche aspetto stravagante buttato occasionalmente nella buca delle Lettere, magari solo per sbalordire. Chi si occupa di scienza sa che davanti ha il nulla e dunque esperire significa creare. Mi riferisco ad ogni nuovo processo che venga scoperto, ad ogni nuovo prodotto di sintesi che venga pubblicato. Basta dare un’occhiata a ciò che è visibile a tutti sulla tavola periodica, a quanti elementi nuovi sono entrati nel corredo della natura, in aggiunta a quelli già presenti. Giustamente si affermava su queste pagine che è falso dire (cito a memoria ma penso di ricordare correttamente) che nulla è cambiato dai tempi di Omero! Una poesia in quanto incarnazione del pensiero dell’autore, ha più o meno valore sulla base del tasso di novità che contiene, esattamente come una pubblicazione scientifica! Ben venga dunque una poetica-estetica dell’interferenza e più in generale la poetica NOE del frammento, del post- it, del polittico. Aldilà di questo c’è uno sforzo colossale di costruire sé stessi con la chiacchiera del si dice, del già detto, dell’infallibilità dei valori universali, dei mi piace su fb e dei curricula fatti di premi conseguiti nei concorsi di poesia, sparsi come altarini sul territorio nazionale. Personalmente mi accontento di mettermi al servizio di questa indicazione di Giorgio Linguaglossa:
        ” La differenza tra un poeta NOE e un poeta normale è questa: quando un poeta NOE prende una parola (ad esempio: tavolo, giacca, lampadario, finestra, porta, comodino, aereoplano etc.), il primo sa, avverte che dentro la parola e al di fuori di essa c’è il «vuoto», il «nulla»; il secondo invece prende quella parola come un pieno, una rotondità. ”

        Da ragazzo non capivo che cosa succedesse nel mio pensiero quando mi fissavo su una parola e ne toglievo il guscio. Dentro c’era il nulla che letteralmente mi spaventava perché non era facile tornare indietro o spiegare l’esperienza a qualcuno. Dopo quaranta anni eccomi qua a scriverne.

        FOLLIE INDETERMINISTICHE (A Gino Rago)

        Girato il tappo, mostrano qualcosa in più della cimice del granturco.
        Si sono messe tra gli errori,sobillano le note e i comunisti.

        La cenere si dà fuoco e dal mare rispunta l’atomo di Lucrezio.
        Un pennello è violentato nel metrò.

        Si capisce che di questo passo innalzeranno l’albero della libertà.
        Tireranno il collo al veterinario della mucca elettrica.

        Salire sul tram uguale vendicare un lombrico schiacciato.
        Sul municipio cade un meteorite.

        Il meccanismo prevede uno scudo di burocrati.
        Perchè si punisce chi fa il suo dovere?

        La titolarità dell’immondizia, le disdette, le ingiunzioni di pagamento,
        il mutuo di 250 eur e le bollette della corrente, etc.
        In confidenza vogliono chiarezza.

        Entrano nei murales e di notte
        sconfinano nella coscienza.

        Non è un bello spettacolo rinnovare la patente. Un grassone dietro gli occhiali e il cuore che dà a vedere di essere cicatrizzato abbastanza, mostra le scintille sulla coronaria.

        Interessante lo Stent alle prese con un riccio africano.

        Erano invisibili e non avevano etichette. Circolavano nella bocca,
        la faringe rivolle lo status di mielizzato

        Il suo battesimo è stato annullato, però i figli sono suoi.
        Potrà avere un ultimo colloquio. Anche sua moglie desidera riabbracciarla.

        L’aspartame è una dinamite.
        Vorrà mettere lo zampino negli affari del Bar.

        E in effetti accavallare le gambe,
        prendersi cura di una mollica per colombo

        aspettare che il romanticismo si faccia vivo tra i capelli
        e smetta di protestare continuamente il cucchiaio del caffè.

        Il bandito diventa parola.
        Da quanto tempo non si muove una carezza?

        Non miagola però cigola.
        Cade a terra, sorpreso dall’aura epilettica.

        Davanti a certi compiti si rilassa l’intestino.
        Pare che la matematica preceda i fatti di un tantino.

        Anche i poeti hanno questo potere sugli avvenimenti.
        Solo che le parole sfuggono dai barattoli e cincischiano tra parenti.

        Attraversò i campi coltivati a numeri, dove l’aritmetica è Nilo
        e fu abbagliati dalla grandezza delle piramidi.

        Misurò una volta al giorno la Sfinge perchè non sapeva prendere una posizione
        se fosse donna, leone, se nella pancia avesse un uomo o un sintomo di demenza precoce.

        Assumere l’occhio biblico e metterlo sull’oculare.
        Sotto, tra detriti di polvere, un atomo tra i Mondi.

        Anche la contaminazione
        fece a meno del concetto di Dio.

        Alla portata di vecchi- la moralità di una chiave
        si fece da parte.-

        La parola mise un prato su un piedistallo
        Per proclamare l’Essere Supremo.

        Fu così breve il giorno Pratile
        Perché si rivoltò lo stomaco delle mimose.

        Alcune innestarono baionette e non si fecero raccogliere
        Persino i poeti si eccitavano agli ormoni di Betsabea.

        Quale Libia , Gobi, Vandea questa volta?
        Ci furono Normandie e D Day nei gerani dei G8.

        Il terrore passò da una dente all’altro.
        Un pasto di fagioli, un ultimo saluto non privo di terrore.

        A dittatore estinto non corrispose un meteorite.
        Tutto il Sole per un vetrino

        Di ciò che mosse afferrò la ragione,
        ma non ci fu modo di misurarne la paura.

        Anche Capa ritornò sui passi. Salvò dei fotogrammi
        Piantò cipolle nelle sue scarpe e rivolle una donna nel letto.

        Non fu possibile fotografare un miliziano
        E accettare di saltare su una mina.

        La Repubblica è cosa seria e chi urla contro un toro
        deve starci difronte, mescolando luce ai proiettili.

        Da questi impasti nacque Therese,
        il Noi si pose sull’ ipotenusa a giurare Pitagora

        raffiche di TBC arrivarono dalle inferriate
        e lievito di pane per diluire il piombo.

        Sempre qualcosa che sfugge però.
        Un buio delle Marianne nel fundus oculare.

        (Francesco Paolo Intini)

  5. «Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni
    –Tomasi di Lampedusa

    Ecco una poesia del praghese Petr Král, un poeta che sembra aver seguito i corsi di aggiornamento della nuova ontologia estetica.

    Petr Král, Ce qui s’est passé, peintures de Vlasta Voskovec, collection l’Orpiment, le Réalgar, 2017, 56 p., 14€.
    *
    Con un titolo come Ce qui s’est passé, potresti aspettarti un libro di ricordi, una recensione, un chiarimento. È stato senza tener conto del “diritto al grigio” che il suo autore afferma e che inoltre ha meno a che fare con un’estetica della vaghezza che con la presa in considerazione del banale e del prosaico come lo sfondo perpetuo su cui la poesia può essere stabilita. Resta il fatto che se il libro è davvero fatto di ricordi, torneremo indietro nel modo di metterli in ordine e ordinati. Appaiono in grande disordine, senza classificazione cronologica, geografica o tematica: Petr Král, nato nel 1941 a Praga, ha vissuto a Parigi dal 1968 al 2006 prima di tornare nella sua città natale. Ha viaggiato (America, Spagna), frequentato gruppi post-surrealisti cechi e francesi, conosceva pittori e scrittori. Vagò per le città, vide film, ascoltò musica … Ma ciò che risale ai vecchi tempi non è in alcun modo ordinato, gerarchico. Tutto ricorda, dal più grigio al più abbagliante, senza distinguere ciò che è ordinario o straordinario, lo splendore di un frammento del passato che può sorgere catturato nella noiosa ganga della vita quotidiana più contingente. Da qui la strana ibridazione di versi e prosa nel poema di Král: il verso è lungo, senza punteggiatura (tranne la lettera maiuscola che segna l’inizio di una frase); non cerca densità, equilibrio o fluidità sintattica. Il suo verso è più come una prosa zoppicante, un linguaggio quotidiano traballante e sincopato (anche familiare). La poesia è una specie di storia tenuta vicino al grigiore dei giorni, nella dissolvenza incrociata della loro successione. Le immagini sono quindi meno abbaglianti che fugaci, più elegiache che surreali. Tuttavia, a volte, è l’oro del tempo che strappa la nebbia e l’ossidazione dei giorni:

    l’importante era rendere radiosa la ruggine del mondo
    o almeno essere lì quando a fine estate con il sole
    rientrare nella parzialità nelle stanze di un bosco

    La nostalgia di Král generalmente non consiste nel prendere i momenti più felici, ma piuttosto nel donarli nella loro grigia continuità, nel loro scorrere un po ‘triste e vano. Non si tratta di idealizzare il passato né di abbellirlo, ma al contrario di mostrarlo dall’inizio complicato dal rimpianto che accompagnerà la sua memoria. Le cose e gli eventi sono spesso banali, aneddotici, obsoleti, poveri, come se fossero eliminati dalla loro semplice presenza nel tessuto del tempo. In definitiva, l’unico personaggio che li distingue gli uni dagli altri e li mette in evidenza è la loro incongruenza, la loro intimità, il loro aspetto leggermente inappropriato, come questi

    “copricapi indiani in vendita. bancarelle del mercato delle pulci ”.

    La sua nostalgia ha qualcosa di onirico, ma non nel senso che evacuerebbe la realtà a favore del sogno, piuttosto perché, come un sogno, la memoria riceve tutta la realtà senza discriminazione, o in modo selettivo ma rischioso, fuori da ogni criterio razionale in ogni caso. I ricordi risalgono al passato secondo la logica disordinata e inarrestabile del sogno e sono posti uno accanto all’altro senza la stranezza del loro vicinato in qualche modo imbarazzante. Così come in un sogno (un incubo?), L’irraggiungibile può strofinare le spalle con quello più vicino:

    il marciapiede di fronte era a volte più lontano
    dell’altro confine della città dove tutti si precipitavano
    ragazze fresche per i boom in vecchie Ford
    re in esilio al volante di un taxi
    noi stessi ci andavamo senza tuttavia partire da qui

    l’esilio non ha bisogno di paesi o di lunghe distanze poiché può iniziare dal marciapiede opposto. Il passato è un misto di età d’oro e tempo grigio, arrugginito, conquistato. È come l’inconscio del tempo alle prese con il presente.
    (Aurora Albarracin)

    Et voilà soudain il ne reste pas grand-chose Nadia fut trouvée noyée
    sous une écluse Prokop a fini de respirer malgré la bouteille d’oxygène
    Karel Š. a disparu à jamais dans la forêt
    Moi-même d’un seul coup d’œil retourné depuis les boîtes à lettres
    vers l’escalier j’ai vu se dissiper d’emblée quarante ans de vie en France

    Avec l’arrivée de Miloš vint une animation nouvelle une fois il s’est levé pour marcher d’un pas incertain parmi les verres sur la table
    sans savoir lui-même jusqu’où
    Prokop pendant les séances de vendredi s’appuyait au mur
    et pratiquait le théâtre tel qu’il l’a toujours voulu faire
    dans ses seules paroles et grimaces

    L’essentiel était de rendre rayonnante k rouille du monde
    ou du moins d’être là quand en fin d’été
    avec le soleil elle rentrait de biais dans les salles d’un bois

    *

    Il fallait disperser par le monde
    même la mémoire sursaturée faire passer la mémorable goutte d’un sang partagé fraternellement
    sur son doigt devant le poussiéreux JE sans maître dans un tunnel du métro parisien

    De Paris aussi on partait par la suite il n’était pas nécessaire de savoir à la quête de quoi
    pour que ce soit nécessaire
    traîner la nuit vers Barcelone par des autoroutes désertes
    dans un miroitement à perte de vue de flocons de neige
    et d’étoiles çà et là longer en route des pêcheurs inconnus un boucher préludant dans un verger à un affrontement décisif
    avec sa propre planète de viande suspendue
    au voyage de retour voir les miroirs
    dressés au seuil des maisons près des frontières

    Parfois cependant on passait l’été dans la ville faisant sur le boulevard avec d’autres orphelins
    la queue pour le tabac pour la fin du dimanche
    et pour rien
    Les ambulances passaient sans s’arrêter peut-être en route vers une autre métropole

    au ciel apparaissaient le soir de distants messages
    sans destinataire
    On avait alors laissé également derrière soi
    des villes entières d’accessoires usés d’accordéons dégonflés de genouillères
    et de balles de tennis éraflées
    du fond le plus secret nous en parvenait jusqu’à l’éclat
    d’une enclume mère immaculée
    avant que quelqu’un ne commence à compter fermement
    pour lancer le morceau suivant

    *

    Face à la flaque de sang au seuil de l’échoppe du tatoueur
    baillait immense la mer

    Plus au fond de la ville le courant d’air seul
    enrobait de ses draps les dormeurs
    dans les salles d’attente des chambres

    Une autre fois l’hotel et le cinéma
    en vis-à-vis formaient une mètropole entière

    L’idee d’une pièce montée oubliées sur le siège arrière
    d’un taxi nous poussait autant vers le monde
    que l’exemple d’un portemanteau jailli vers les champs
    et la vision d’un éventail s’écartant pour nous
    entre deux cuisses en feu
    L’important de toute façon était de tout se raconter
    par la suite alors qu’on repeignait encore l’appartement
    derrière les fenetres d’en face

    Les uns se contentaient d’avoir vu une épingle à cheveux
    flotter dans le Mississippi
    d’autres tournaient le dos meme aux vagues montantes des villes

    la victoire sous un nom d’emprunt
    torunait timide dans la plaine environnante

    Parler ou bien se taire
    mais ne mettre jamais le point final

    *

    Le silence partagé avec une Italienne envoutante
    à une table du hall de gare fut une rencontre d’amour importante
    même si la brise après
    comme auparavant ne tournait que des pages vides

    On suçcait reconnaissant vos extrémité douces
    ou amère jusq’à ce que le dimanche au-dehors
    s’écartat de la fenetre

    La guinbarde de l’Eternité reculait à son tour fréquemment
    devant le trafic frénétique de l’Histoire

    Il apparaissait clairement que même toute musique
    n’est qu’une transcription apaisante des sautes de vent
    et de secousses du sol qui d’avance nettoient la maison nou chassant
    de la planète

    restaient les chantiers dans l’un tu enterrais chaque fois
    en le longeant le dernier téléphone noi
    au-dessous d’une autre pendai seul de la grue
    un point d’interrogation en métal

    Certaines d’entre vous également avaient le chemisier dans une ville
    et la jupe dans une autre
    Le béret de Wanda emporté par le vent
    s’éloignait vers le bas de l’avenue
    Quelques tours d’helice ont dispersé les billets du magot sur la plaine
    comme les manuscripts du poète de Camaret

    A prèsent boire sulment à une bouteille une goutte d’Italie
    et à l’autre un peu d’espagne
    sans pour autant quitter des yeux la pente d’en face

    *

    Una poesia di nostalgia? Del ricordo di una vita che è passata senza passare ancora? Testimonianze? Per chi è? Piuttosto fissazioni di vertigini di un tempo e oggi – vertigini personali, che coincidevano o meno con tempeste, vertigini e talvolta anche con i vortici della storia – quando volevamo “rendere radiosa la ruggine del mondo Quando volevamo cambiare la nostra vita e il mondo – “Abbiamo dovuto disperderci in tutto il mondo”.
    Quando abbiamo voluto cambiare la nostra vita e il mondo – “Abbiamo dovuto disperdere il mondo / persino il ricordo sovrassaturo per far passare la goccia memorabile di un sangue condiviso fraternamente / sul suo dito di fronte al polveroso JE senza un maestro …”, e n ‘non è sicuro di esserci riuscito, possiamo sempre tornare al compito, con uno sguardo e parole a posteriori, fare un bilancio … Per te e per coloro che vogliono sapere.

    La giovinezza rimava con viaggi, spensieratezza, fiducia, lotta di classe, persino rivoluzione da realizzare …

    Anche l’amicizia: “Quando con Alain abbiamo cercato di leggere il nostro destino / gli uni nei volti degli altri […]”.

    Sfilata di ricordi, sogni, viaggi (città, paesi, sentieri), amori, amicizie, un bagliore, un bosco, un paesaggio, la luna, la costa, utopie vissute o solo sognate, libri e autori, delusioni, povertà, politica.
    Tutto rimane molto vago e molto preciso allo stesso tempo: scrivere una vita, anche vite ed epoche in trenta poesie, non lunghe, senza titoli: scommettere con successo, quando si conosce la vita tumultuosa dell’autore-poeta. Il gorgoglio del passato non è affatto estinto, ma ciò che domina è una sensazione di galleggiamento permanente, che va e viene tra le varie fasi della vita e in particolare tra gli atti del passato e la scrittura attuale , che dà, al di là di un puzzle, l’impressione dell’impossibilità di decifrare, analizzare o mettere parole definitive su qualsiasi cosa. La storia è stata in marcia, le persone, incluso il poeta Petr Král, anche in marcia – e questa marcia del passato non si è fermata, continua a muoversi e imporre parole per dirlo: “Gli intrighi delle nostre storie diventavano impenetrabili ”. La storia è già stata scritta, ci sono alcuni che la scrivono o la riscrivono di nuovo – ma ci sono storie personali, che cerchiamo di integrare nell’altra – o semplicemente per metterle da parte, oggetto o animale, che non ti ha ancora lasciato: la vita, semplicemente. La cosa più importante è raggiungere sempre

    “Il qui senza dimensioni / La rinnovata attenzione per i suoi angoli e arrotondamenti // Altrimenti nient’altro che pezzi / e più pezzi che si diffondono ovunque Per iniziare / certo da quello che ogni mattina emergeva di fronte allo specchio “. E non dimenticare mai: “… questo primo / e ultimo desiderio: mettere il dito nella ferita del mondo, questa qui / s’è appena aperta metà … Con la speranza che un giorno “aggireremo / da qualche parte una Sfinge lontana / per incontrarci noi stessi”. E soprattutto: “L’importante in ogni caso era raccontarci tutto / da allora in poi […]”. E questo quando “La Sfinge dell’eternità spesso indietreggiava a sua volta frequentemente / davanti al traffico frenetico della Storia”.

    E verso la fine molto pessimista di questa raccolta:

    “Era chiaro che anche tutta la musica è solo una rilassante trascrizione dei soprassalti del vento / e delle scosse del terreno che in anticipo puliscono la casa cacciandoci / dal pianeta.”

    (Sanda Voïca)

    • milaure colasson

      … penso che la NOE possa vantare sia il richiamo all’estetica della vaghezza (Petr Kral), sia all’estetica della distrazione (Gino Rago), sia all’estetica dell’interferenza (Francesco Paolo Intini). Costruire il polittico richiede tutte e tre queste procedure, e forse anche molte altre che andremo scoprendo lungo la strada che ci conduce verso il… nulla. E forse abbiamo una sola certezza, come ha bene indicato Intini, la certezza del nulla che sta dentro le parole e fuori delle parole. Del resto non viviamo noi nell’epoca del Covid19, la prima peste dell’epoca tecnologica?

  6. Wislawa Szymborska, Nulla di ordinario, Adelphi, 2019

    Il giorno dopo – senza di noi

    La mattinata si preannuncia fredda e nebbiosa.
    In arrivo da ovest
    nuvole cariche di pioggia.
    Prevista scarsa visibilità.
    Fondo stradale scivoloso.

    Gradualmente, durante la giornata,
    per effetto di un carico d’alta pressione da nord
    sono possibili schiarite locali.
    Tuttavia con vento forte e d’intensità variabile
    potranno verificarsi temporali.

    Nel corso della notte
    rasserenamento su quasi tutto il paese,
    solo a sud-est
    non sono escluse precipitazioni.
    Temperatura in notevole diminuzione,
    pressione atmosferica in aumento.

    La giornata seguente
    si preannuncia soleggiata
    anche se a quelli che sono ancora vivi
    continuerà a essere utile l’ombrello.

  7. MarinaPetrillo

    Esiste una morte lieve…intercettata tra gli scampoli di un esistere limitrofo al suo baricentro.
    Il poeta Gino Rago crea una successione, uno scroscio visionario in cui frammenti disposti a rimembranza , trovano respiro attraverso immagini polisemiche . Tavola periodica dell’apprendistato alla vita in guizzo altalenante. Tributo misterioso all’accadimento in stranita forma. Ogni segno crea passaggio , rimando medianico a percezioni in cui poetica e vita si ibridano in lessema.
    Il necrologio trasmuta in spazio catartico , indizio di immortalità smorzata da un vivere semplice. In “Giobbe. Romanzo di un uomo semplice”, Joseph Roth descrive la vita di un uomo “fra magre sponde”. Se “tutto ciò che è improvviso è male”, come afferma Mendel Singer, molti sono i mali che cominciano a sfrecciare sulla vita del protagonista.

    Dal fatto che un ebreo
    Che discendeva da generazioni di devoti ebrei

    Fosse costretto in una religione non sua.

    Essere. Essere stati. Ebrei. Monarchici o rivoluzionari. Bevitori in aurea di santità. “La morte simbolista di Roth”, naufragio della coscienza, similitudine umana adattata a ruolo e sua negazione.
    E’ forse sufficiente credere per divenire credenti?
    Siamo, nel momento in cui siamo o godiamo di un vantaggio nell’essere. Non v’è gratuità nella nostra condizione o la caducità nell’appartenere all’umano, determina un suffragio costante in qualità di creature poste “nella stanza del Bioscopio universale”…
    Il divario si fa inesistente e non tacita il paradosso dell’esistere.
    Friedrich Nietzsche afferma che “vivere significa essere in pericolo”: così anche “la Contessa della milleduesima notte” che “Sgranò gli occhi dai riflessi di violette e miosotide” fa innamorare di sé nell’istante della sua presenza, vittoriosa su ogni umana vicissitudine.

    Volgo il mio pensiero a questo Pantheon dell’indicibile che Gino Rago ha descritto in polifonia mirabile, in ricordo di chi, asimmetrico alla vita, “moriva di maggio” come uomo ma “Nasceva” in qualità di “soldato della penna”.
    “Da quel giorno Joseph Roth è di tutti”.

    Marina Petrillo

  8. gino rago

    Mi levo il cappello, mi inchino, ringrazio Marina Petrillo.

  9. MarinaPetrillo

    Grazie infinite a te, caro Gino.

  10. gino rago

    Il mio «Grazie» a Edith Dzieduszycka, a Giorgio Linguaglossa, a Marina Petrillo, a Franco Paolo Intini, a Marilaure Colasson, a Gabriella Cinti per i loro colti, pertinenti, acuti commenti, desidero dirlo in questo
    “Polittico in distici fondato sulla «Poetica della Parola implicata» e sulla «Estetica della distrazione».
    Un Polittico in distici nel quale tutti dialogano con tutti.

    Gino Rago
    Il Signor L*. porta Stige. Tutte le poesie a Maria Rosaria Madonna

    Nebbie sulla laguna. Venedig. Sotoportego brumoso.
    Carnevale-Bolshoi. Marie Laure Colasson danza sulle punte.

    Nebbia sulla laguna. Venedig. Un sotoportego.
    Il filosofo marxista e il Signor L.* bevono un’ombra.
    […]
    Una voce di contralto. Tchaikovsky su una nera gondola.
    List e Vivaldi giocano a scacchi.

    Alberi senza rami. Fumi dagli immondezzai.

    Morti e vivi. Immagini di piogge nella pioggia.
    Materia irredenta. La peste viaggia sulla laguna.
    […]
    Cabaret Voltaire. Zurigo. 1917.
    La signora Hennings e la signora Leconte rubano il sac crocodile a Marie Laure Colasson.

    Fuggono per le calli veneziane, parlano in francese,
    Ma poi litigano e si accapigliano per la refurtiva e per un bellimbusto.

    In comune, entrano in una stamberga.
    C’è un’orchestra di balalaiche, cosacchi che ballano. Fracasso, urla concitate.

    Daniil Charms strappa aTzara il manifesto dadaista
    E lo getta nel cestino dei rifiuti. Dice:

    «Sta bene lì», poi si volta verso Franco Paolo Intini il quale lancia fiamme,
    Uno sciame di protoni di rubidio sulla poesia del novecento.
    […]
    Lord Pompeius da Budapest, scrive:
    «Amleto non è morto, birra e crauti a volontà…».

    Geneviève è stata amata alla follia da Chodasevic.
    Stanza d’albergo. Parigi.

    Una coperta, fa freddo, il poeta è malato, pidocchi, tosse convulsa.
    Il poeta se ne sta andando, scrive un biglietto a

    Edith de Hody dans les prisons militaires allemandes de Clermont-Ferrand.
    La quale scrive a Gino Rago settant’anni più tardi:

    «Mio caro, non la conosco, e lei non mi conosce, ma la amo,
    Sono follemente innamorata del suo sosia, Achamoth».
    […]
    List e Vivaldi parlano attraverso i rumori.
    Joseph Roth non sosta mai dove i treni si fermano.

    Al centro della Marketplatz passa con fracasso un tram.
    Il Signor L.* porta Stige. Tutte le poesie

    A Maria Rosaria Madonna che nel frattempo è morta.
    Sulla ghiaia del prato il trolley fa scintille.

    Gino Rago

    *Il Signor L. è Giorgio Linguaglossa
    (gr)

    • cari amici della NOE,

      in questa poesia di Gino Rago e in quella di Francesco Paolo Intini, come in genere in quella della NOE, mi sembra evidentissima la vistosissima rottura del tradizionale monolinguismo della poesia italiana degli ultimi decenni e, soprattutto, mi sembra evidentissimo l’abbandono della convenzione di un significato stabile delle parole. Da questi due assunti il discorso poetico della NOE ha tratto indubbi e vistosissimi vantaggi, innanzitutto ha potuto utilizzare linguaggi disparatissimi, il «parlato», il «dialogo», il plurilinguismo, ha potuto far ricorso ai linguaggi filosofici e a quelli leggeri del giornalismo, ha potuto far ricorso a linguaggi ultronei e al mixage dei generi… ha potuto infine infrangere lo schema «soggetto-predicato-complemento oggetto» per sostituirlo con uno schema nominale, con apocope del soggetto e dell’oggetto e, soprattutto, del verbo (per lo più inutile per le finalità del discorso poetico).

      Con questi presupposti, il discorso poetico ha messo in liquidazione la tradizionale concezione del mondo incentrata sul monolinguismo e su una poesia di narrazione dell’io. La NOE ha mostrato che quelle assunzioni erano petizioni di principio e nient’altro, convenzioni che generavano una poesia convenzionale e accademica, una poesia «normale». Ora, è chiaro che una poesia «normale» lo è in quanto ha seguito una procedura di decontaminazione di tutto ciò che «normale» non è, in quanto è stata posta sotto l’ombrello della sanificazione con accettazione preventiva delle convenzioni acriticamente poste e acriticamente validate per l’eternità.

      Lasciamo la parola a Gianfranco Contini:

      «quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente ben determinato, in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l’io e il non-io, tra l’uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti, delle frontiere precognite. Le eccezioni alla norma linguistica significherebbero allora che il rapporto tra l’io e il mondo… è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale. È caduta quella certezza logica che caratterizzava la nostra letteratura sino al romanticismo.»1

      Infine, non sarei d’accordo con la categoria del «divertissement» impiegata da Gino Rago per designare la propria poesia. Io penso invece che questa categoria rischia di portarci fuori strada, anzi, di farci ri-tornare a quello schema triadico (soggetto-predicato-oggetto) che abbiamo lasciato alle spalle.

      Qui bisogna essere molto chiari, questo non è un «divertissement» o una «hilarotragoedia» ma un discorso poetico serissimo che infrange tutte le regole logiche e ideologiche sulle quali si basava la concezione del mondo e delle cose di cui la poesia tradizionale e accademica si è fatta e si fa portavoce acritico e silenzioso. Questa è una poesia serissima che designerei così: si tratta di un nuovissimo discorso poetico ultroneo ed erraneo, come non si è mai visto nella poesia italiana del novecento e odierna. La poesia NOE non è una poesia che possa essere ragguagliata al «paradosso» e alla «patafisica», queste sono categorie del passato che non rendono ragione delle novità introdotte dalla poesia NOE. La nostra è una poesia dell’ultroneo e dell’erraneo e della auto contraddittorietà spinta al massimo livello possibile della contraddizione.

      1 cit in Emerico Giachery, Passione e sintonia, Carocci, Roma 2015 p. 141

      *
      «Le immagini hanno sostituito il mondo […] la rappresentazione è finita, l’ha già detto Hegel, l’ha detto Schopenhauer. […] Dietro l’artificio della fotografia non possiamo presupporre una realtà, anzi: è proprio attraverso l’artificio e la simulazione, che il mondo esiste»1

      L’esercizio borgesiano del paradosso deve essere portato all’interno della forma-poesia, perché è l’arte che è diventata paradossale ed antinomica, e non potrebbe non esserlo.
      Il paradosso dell’Occidente consiste nel fatto che l’Occidente si riflette in uno specchio che esso stesso ha costruito, ovvero nello schermo narcisistico del virtuale, dell’economia globale e della sub-cultura mediatica, venendone letteralmente risucchiato: non sa più qual è il riflesso e quale l’originale, il reale. La forma poesia non può restare estranea al problema della rappresentazione del reale diventato irreale come alienazione, rovesciamento, riconoscimento, peritropè.
      «La sola strategia possibile è quella dell’oggetto […] in quanto sfida il soggetto, in quanto lo rimanda alla sua posizione impossibile di soggetto […] l’oggetto non ha desiderio […] Esso è lo specchio. È ciò che rimanda il soggetto alla sua trasparenza mortale. […] Il cristallo si vendica».2
      Il tardo supercapitalismo liquida ogni forma di umanesimo e di soggettività e non si può più, come sognava di fare il popolo della fiaba, tornare al di qua dello specchio (fare la rivoluzione), poiché si è già da sempre intrappolati, esiliati nell’immagine – . Non c’è più un altrove verso cui fuggire, ma soprattutto non c’è più una realtà a cui tornare – anche perché, secondo Baudrillard, non c’è mai stata: il ‘mondo’ è già da sempre una creazione culturale. L’Occidente ormai è lo specchio di se stesso, servo e padrone di se stesso, medesimo e altro, ipertroficamente sdoppiato. E lungi dall’essere contrapposto al Male, il Bene, di cui l’Occidente si ritiene il custode, si rivela essere solo una voce che esce dal suo ventre obtorto.

      La forma-poesia deve essere in grado di adottare strategie istrioniche, essere una machine-à-penser della iperrealtà nella quale viviamo.
      La cultura occidentale e la struttura segnica del tardo capitalismo è giunta al suo limite estremo; il suo pensiero funziona come uno specchio rotto capace di catturare l’immagine segreta dell’Occidente, la sua rigidità cadaverica e la sua deformità rimossa.

      Grazie a questa sorta di lente ustoria, che brucia l’oscena uniformità del codice che governa il digitale, Baudrillard ci rinvia dal passato un’immagine capovolta, frantumata, rimpicciolita e imbruttita del presente in cui siamo immersi, e nel quale i media fagocitano la realtà, clonandola compulsivamente; se la specularità del virtuale dissolve la differenza tra oggetto e immagine riflessa, egli ci mostra il lato insopportabilmente patafisico di questa dissoluzione: la sua banale mostruosità, ma anche la sua inquietante, fatale perversione. La patafisica in quanto scienza delle soluzioni immaginarie, si è compiutamente avverata, non c’è più bisogno di essere patafisici, è la realtà che è diventata patafisica. La realtà si sottrae alle nozze concubine realtà-finzione, per questo non è più raffigurabile se non con dei salti quantici immaginativi, il linguaggio poetico e romanzesco va continuamente decostruito nel mentre che lo si pone in essere. In senso patafisico, dunque, l’esigenza di ‘reinventare il reale come finzione’ non equivale affatto al tentativo di sostituirlo con la precisione inconsistente dell’iperrealtà, ma consiste piuttosto nel farlo fulmineamente comparire e scomparire mediante la decostruzione e creazione del testo, in uno scambio simbolico istantaneo tra l’essere e il nulla. Non si tratta di una sostituzione segnico-virtuale della realtà, perché, come detto, la realtà è una costruzione simbolico immaginaria, ma è già, in quanto tale, frutto di una produzione culturale che Baudrillard chiama simulazione. Si tratta piuttosto di una sua dissimulazione letteralmente istrionica, poiché il reale viene confutato, distrutto e insieme ricostruito proprio nel non-luogo che lo ha riassorbito: nello specchio del web.

      Se la nuova ontologia estetica è in cammino verso la forma-polittico, una ragione dovrà pur esserci. Abbiamo scritto di recente che il «polittico» è un sistema instabile che fa di questa instabilità un punto di forza. Mi sembra una ragione sufficiente.

      1 J. Baudrillard: «La sola strategia possibile è quella dell’oggetto […] in quanto sfida il soggetto, in quanto lo rimanda alla sua posizione impossibile di soggetto […] l’oggetto non ha desiderio […] Esso è lo specchio. È ciò che rimanda il soggetto alla sua trasparenza mortale. […] Il cristallo si vendica». J. Baudrillard, Le strategie fatali, Milano 2007, p. 107. Per un’analisi di questo celebre passo si veda anche il saggio di D. Angelucci, Estetica fatale, infra, pp. 153-163.
      2 J. Baudrillard, Simulacres et simulation, Parigi 1980, p.181 Simulacri e simulazione, trad. it. di E. Schirò.

  11. gino rago

    Nota.
    Il Polittico “Il Signor L*. porta Stige. Tutte le poesie a Maria Rosaria Madonna”, Roma, 5/6 marzo 2020,
    è quasi un puro divertissement, termine francese che, come Edith e Milaure meglio d’altri e di altre sanno, (divertissement, “svago”, “divertimento”), correntemente indica, in ambito letterario, un qualsiasi componimento anche poetico di argomento leggero e di tono scanzonato.

    La Treccani suggerisce che l’espressione è ripresa dalla terminologia musicale, dove essa è affine a “serenata”, “capriccio”, “allettamento”.

    Mentre in filosofia, il termine divertissement è caratteristico ad esempio del pensiero di Blaise Pascal (1623-1662) per indicare ciò che allontana inutilmente l’uomo dalle inquietudini profonde della sua vita.

    (gino rago)

    • gino rago

      Scrive Giorgio Linguaglossa:
      “Infine, non sarei d’accordo con la categoria del «divertissement» impiegata da Gino Rago per designare la propria poesia.
      Io penso invece che questa categoria rischia di portarci fuori strada, anzi, di farci ri-tornare a quello schema triadico (soggetto-predicato-oggetto) che abbiamo lasciato alle spalle[…]”.
      Condivido pienamente questo pensiero linguaglossiano.
      Difatti, nella mia dichiarazione nel commento precedente “è quasi un puro divertissement” voleva avere il senso di “potrebbe sembrare un divertissement” , ma non l’ho espresso e me ne scuso con la dovuta chiarezza. Dunque, non è affatto un divertissement, come giustamente e fermamente indicato da Giorgio Linguaglossa, come non lo è nemmeno questo componimento in forma epistolare nel quale dichiaro, spero e penso chiaramente il mescolamento spaziotemporale, l’ibridazione linguistica, il citazionismo attraverso il dialogo, ecc. ” nei versi anche di questo componimento, Via delle Ciliegie, rivolto a Cogito, nel quale dichiaro le mie intenzioni estetiche:

      “Lo sa, nei versi mischio tempi e luoghi,
      intreccio storia e geografia, poeti vivi, morti e contigui

      alla nuova poesia. ”

      Gino Rago
      Via delle Ciliegie

      Cara Signora Lipska,

      Il poeta-indovino di Berlino mi ha letto dentro:
      «Il vuoto sa difendersi, ripudia le torture delle forme.

      Lei cerca una traccia, un segno della protagonista del romanzo.
      Non ha lasciato tracce,

      tutto di lei è rimasto in quel vagone del treno blindato
      che trasportava Lenin verso Mosca».

      Un clochard-capelli-bianchi pronuncia: «Ravensbrück».
      Wolfgang vacilla: «Nessuna tornò da quel campo…Nemmeno mia madre»
      […]
      Lo sa, nei versi mischio tempi e luoghi,
      intreccio storia e geografia, poeti vivi, morti e contigui

      alla nuova poesia.
      A Berlino dico ad alta voce il nome d’una via: «Kirschenstrasse».

      Il poeta-indovino a testa bassa:«Via delle Ciliegie, 4° Edificio,
      presso il cimitero [Dorotheenstädtischer Friedhof,

      accanto alla Chaussestraße…, ma è troppo distante.
      È alla periferia di Berlino Est… Cogito non è mai tornato».

      [Da Gino Rago, I platani sul Tevere diventano betulle,
      Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2020, pp. 176, 12 Euro]

      • Ricevo da Marie Laure Colasson queste righe e le pubblico qui.

        Sur le «polictique» de Gino Rago

        L’unité linguistique de la poésie de Gino Rago n’est ni le mot ni le rapprochement de deux termes surprenants, c’est la phrase telle qu’elle ne se connaît pas encore tant qu’elle ne s’est pas incarnée sur la page, la phrase créant sa propre pensée, sa propre invention, sa dérive infinie hors les normes du descriptif ordinaire. Le risque encouru est évidemment l’arbitraire, ce qu’on pourrait appeler la sortie du sens, ce qui ne se produit pas dans ces poèmes qui relancent leurs strophes dans des directions toujours nouvelles à l’aide de rythmes extrêmement variés.
        Où sommes-nous ? Je ne sais si nous le saurons jamais, et Gino Rago pas davantage. Les temps se confondent, les lieux nous habitent puis nous quittent, la poésie se donne à la prose des jours.

  12. Sta bene lì», poi si volta verso Franco Paolo Intini il quale lancia fiamme,
    Uno sciame di protoni di rubidio sulla poesia del novecento.

    Caro Gino Rago, il Rubidio mi sembra un buon elemento da mettere nel carnet di quelli che approssimano allo zero assoluto. Mi sembra un’ottima idea indirizzare i suoi protoni sulla poesia del novecento. Nel ringraziarti per il bellissimo distico dedicatomi pubblico qui sotto una mia poesia di epoca non NOE,(ma non certo in linea col resto della poesia circolante) copiaincollata dalla rete, dove le mie cose sono ancora presenti a nome fintipa2 oppure cripaf. Un caro saluto e tantissime grazie

    VOCI DA SOTTO ZERO KELVIN (2016)

    Li ho visti scendere, titani in forma d’uomo
    Con a capo un certo Stavrogin, personaggio leggendario
    Curriculum ineccepibile mai passato in giudicato

    Il pollice girava come vite senza fine\nodo scorsoio irrefrenabile
    Impazzito per tanta insoddisfazione

    Ma quanto è da raccontare un simile personaggio?
    Quanto invece impatta in uno scalino e diventa reale?

    Dovrò percorrere questa strada
    Fronteggiare gli artigli di un pioniere d’immondizia

    Innocente persino il cardellino
    Che uccide i figli

    Ditemi voi i nomi di quelli che seguono
    Ciascuno col suo rotolo in custodia
    Poster o intervento geniale

    Il Chairman annuncia:
    Come trattare lo scuro d’universo?

    Le colpe hanno spazi tra le stelle
    Forze asciutte, non più esecutive…

    Poi una svolta improvvisa:
    -Trattare l’argomento con purezza cristallina

    e di contro una risata, sguaiata, senza perdono
    come vento che aleggia sotto zero Kelvin

    (Francesco Paolo Intini)

  13. gino rago

    Copio e incollo da La Presenza di Erato

    MARIA GRAZIA FERRARIS
    9 MARZO 2020 AT 16:19

    Il necrologio in distici di Gino Rago è un itinerario affascinante di costruzione poetica e di un personaggio -Joseph Roth e il suo santo bevitore- che diventano nella somma dei frammenti, dei luoghi, delle citazioni tutt’uno.

    Quindi un necrologio. Originalissimo. Poesia.

    La somma di particolari, di ricordi (il cavallo lipizzano, il pianto di Shearazade, la contessa W. dagli occhiviola-miosotide, Andreas nel caffè Tournon moribondo all’ospedale di Necker.., il funerale dove i suoi ruoli in vita si sommano caoticamente…,) traducono senza tradire, il suo destino di bevitore anarchico, dalla scrittura raffinata e polifonica e la sua volontà di fuggire dall’emotività, si calano nella storia: il-fedele-combattente-della-Imperial-Regia- Monarchia- stato, «Joseph il rosso»….monarchico e rivoluzionario, ebreo e cattolico,/Pagano e musulmano./ E bevitore, sebbene non santo./Abitò da solo il regno-del-non-dove…, inabile anche alla morte,… Una Vita-non-vita d’un sopravvissuto…: forse cercava soltanto sé stesso. Una catarsi, che divenne poesia.( “Nasceva il-soldato-della-penna/ In-servizio-permanente-effettivo, Da quel giorno Joseph Roth è di tutti.”).

    Complimenti.
    (Maria Grazia Ferraris)

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