
[Nel mezzo del cammino della mia vita mi ritrovai in una selva oscura di significati, la porta dell’Hotel Astoria n. 88. Entrai.]
Giorgio Linguaglossa
Mario M. Gabriele
caro Giorgio,
questa mattina ho letto la tua poesia e ne sono rimasto colpito. Sei uscito come il gheriglio dalla noce, mettendo in luce la tua psiche, da tempo avvolta in un cappotto, per non mostrare agli altri, la sfera emotiva di pensieri e stati d’animo accumulati nel tempo e amministrati linguisticamente con parsimonia e vigilanza.
Ti ho visto come un bodyguard intento a non far uscire allo scoperto l’aria delle tue stanze segrete, operando in primo piano sull’esterno della realtà, degli eventi, della colliquazione delle cose e degli oggetti, sulle disfanie del mondo, come il buon “viaggiatore” di Heidegger, che tra Erfahren, Irrfahren e Erkunden svuotava con “l’esperienza del pensare” le identità oscure e misteriose della vita e della metafisica che ci sono capitate sulla noce del collo, come un colpo di machete.
Tutto un bel lavoro non c’è che dire. Nei versi che hai scritto, mi pare di intravvedere il Lichtung des Seins, come sprazzo di luce che esce allo scoperto diventando rivelamento umano, e ciò non può che essere fondamento principale della nostra condivisione come poeti e lettori.
da Registro di bordo, Progetto Cultura 2020
2
Centrum Palace: Hotel notturno
ci si arrivava in ogni ora del giorno e della notte.
Denise cercava la malinconia di Molière
tra le letterature straniere nella hall.
A Giulia dicemmo di stare alla larga dalle Epifanie
e dai giorni di Palmira.
Nel bonheur du your rimasero i fogli A 4-80
e un pamphlet mai finito.
Ludmilla ama le carezze.
Questa è una città che non ha cuore.
-Cara Evelyn, sono John, ti scrivo per dirti
che sto preparando un albero genealogico.
So che i miei nonni emigrarono negli Stati Uniti
fermandosi chi a Waterbury e chi a Boston.
Se hai altri indirizzi
scrivimi al 98 Copper Lantern Drive- U.S.A-.
Passarono i trasmigranti dell’aldilà
riconoscendo la via, il numero civico, gli abbaini.
Da tempo sono fuori onda
oltre i tuberi,oltre i vasi di terracotta.
Al Berliner Ensemble tornò Brecht
con musica di Klaus Maria Brandauer.
Una pesante leggerezza si adagiò sul divano
con la psicostasia riportata da Forbes.
3
Convegno alle 20 di sera in Alba Chiara
con i primi workshops.
Weber parlò a lungo degli organismi astratti
e delle idiosincrasie puntando su una nuova Metafisica.
C’erano appunti di Extensions del mese di maggio.
Uno si fece avanti leggendo My Story.
Kriss portò le foto del Muro di Berlino
facendo il meglio di Bresson.
C’è chi ricordò i due Peiniger del III Reich
a caccia del soldato Charlie.
Ha smesso di piovere. Usciamo all’aperto.
Non ci sono le condizioni di attendere l’azzurro.
Prendiamo lo snowboard
per arrivare a Piazza dei Miracoli.
Attacco di venti gelidi dai Balcani
mentre gustiamo infusi di zenzero e curcuma.
Bussano alla porta. -Conrad, vedi chi è?-.
-Sono Giuditta, Signore, la governante dei Conti Mineo.
-Si ricorda di me?
Prendevo con ritardo il treno Berlino-Milano.
Erano anni imprevedibili.
Non sembrano che le cose siano cambiate da allora.
Preferisco lo stile gabardine,
fino a quando ne ha voglia Nostro Signore di Acapulco-.
4
Questa sera ti farò conoscere Katia Labéque
e Viktoria Mullova, con Giovanni Sollima in B For Bang.
Ti truccherai, lo so, per il nuovo anno
alla fine dei bilanci.
Il terreno dove crescevano le nespole
è diventato arido e il tuo catino non serve più.
Riaprono i boulevards. Sembra la periferia di Parigi
quando Bennard finì di tradurre Amours Jaunes di Corbière.
Il cammino è un pensiero.
Per questo Ketty si chiude in se stessa.
L’hotel Flaubert non era il luogo più adatto
per vedere l’eclissi.
Una sera, Joelle, ci prestò la casa:
il meglio delle nostre vacanze a Roven.
Ho sfogliato il dizionario per trovare “Erfahren”
con la sola luce del comò.
Il libro di Pound si è sfilacciato
al Canto LXXXIV.
.
Clara ha un’idea di come sia il viaggio
pubblicato da Klostermann.
Non ne vuole parlare. Sa che ogni pagina
è un foglio inutile nella ricerca del poema.
Giorgio Linguaglossa
Nella poesia di Mario Gabriele e, in generale, nella poesia della nuova ontologia estetica, ciò che è fondamentale è il gioco stesso, non i giocatori. La poiesis diventa il libero campo di azione del «gioco» del linguaggio. In tal senso, si può dire che il linguaggio si prende gioco dell’uomo, fintantoché lascia fuggire l’uomo nella vertigine delle significazioni che gli fanno obliare il rischio e la posta in gioco del suo rapporto con il linguaggio.
È nota la diffidenza di Heidegger nei confronti del linguaggio ordinario. È per questa ragione che le sue riflessioni sul linguaggio non coincidono in ultima istanza con la teoria ermeneutica della «metaforicità fondamentale» del linguaggio elaborata da H.-G. Gadamer.
È nella misura in cui la poiesis riesce a prendere le distanze dal linguaggio ordinario che può ritrovare il gioco del linguaggio e con ciò il gioco della metafora. Nel linguaggio compreso come Sage, il mostrare prevale sempre sull’indicare. Ora, questo privilegio del mostrare (die Zeige) implica una nuova valutazione della polisemia. Il pensiero essenziale, quello dell’Ereignis, è essenzialmente polisemico. La messa in evidenza della polisemia non significa la confessione dell’impotenza di un pensiero che avrebbe fallito a dirsi nell’univocità del concetto o nell’univocità “canonica” di una logica.
La polisemia non è un in-differente, non è una proprietà neutrale del linguaggio ma ha la funzione di preparare a quell’Inatteso («Bereitschaft für das Unvermutete» di Heidegger) che è eliminato dal linguaggio ordinario, che da questo punto di vista, è interamente subordinato all’impero dell’opinione e del «si dice».
In una poesia devi poter avvertire lo stillicidio dello sbattere sul niente. Quello sbattere, quell’affondamento è la felicità della poesia, la sua continua incompiutezza e inadeguatezza, il suo costante periclitare e incespicare. Mario Gabriele, dopo tanti anni, corre il rischio di ritrovarsi nello stesso luogo di Marina Petrillo, di Marie Laure Colasson ed Ewa Tagher. Che quella inoperosità dovesse realizzarsi in un amplesso senza gioia di generare e dove solo il contatto, puntuale e disperato col nulla, portasse testimonianza dell’esserci qui, in questo tempo senza disperazione e senza felicità non lo avremmo mai creduto qualche anno fa.
Dopo Heidegger, nell’ipermoderno, l’ontologia si definisce non più come il fondamento del soggetto ma come una macchina linguistica, pratica e condivisa, come tessuto della praxis, ed il dispositivo ontologico come asse di ricomposizione costituente dell’operare e del linguaggio nel comune. Questa riqualificazione dell’ontologia porta a tutt’altro che al nulla. Una schiera di filosofi, da Nietzsche a Benjamin a Foucault e Agamben ha cominciato a leggere questo nuovo rapporto ontologico come decisivo sull’orizzonte dell’operare. In questa nuova accezione il nulla è nient’altro che un facere, un operare destituente, un operare decostruttivo, un operare istitutore di quel facere che è il nulla.
1 M. Heidegger, Was heisst Denken, cit., p. 83. («Se tuttavia qui è possibile parlare di gioco, il gioco non sarà un gioco di parole, perché è l’essenza del linguaggio che gioca con noi», Che cosa significa pensare II trad. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco, Milano 1988, p. 15).
Stanza n. 88
«Non sono morto?», chiesi all’ospite.
«No, sei un quasi-vivo o un quasi-morto».
«Dovrei esser morto?». K. fece una piroetta.
«Perché, dovresti essere vivo?», replicò la Figura.
«Non so, ci sarà pure una differenza,
suppongo», insinuai.
K. non replicò. Sprangò tutte le porte, le sigillò con lo scotch,
le chiuse a chiave, a doppia mandata.
Poi passò alle finestre. Le chiuse. Sprangate.
E terminò con lo scarico del water.
Si sedette sulla sedia a dondolo. Di fronte al frigorifero.
E attese.
Ero con le spalle al muro. Così, ho aperto il gas.
«Sa, preferisco una morte dolce», aggiunsi.
«L’Enel ha chiuso la corrente elettrica».
«Anche l’acqua, l’hanno interrotta…»
*
Dicevo poc’anzi: «La metafora non è l’enigma ma la soluzione dell’enigma». Ma, quale sia l’enigma io non lo so. Ad esempio, il personaggio K. delle mie poesie è una metafora, la «Stanza n. 88» è una metafora, etc. ma, se dovessi rispondere alla domanda: Qual è l’enigma?, non saprei dove andare a parare.
Penso che anche Mario Gabriele non sappia bene quale sia l’enigma delle sue poesie, però trova le metafore in quantità considerevole, sono queste ultime che illuminano quale sia l’enigma nascosto nelle profondità del nostro inconscio. Gettano un fascio di luce su quella «Cosa» che giace lì, nel fondo. Ma, non appena avviciniamo lo scandaglio della metafora, ecco che quello che ritenevamo essere il fondo si rivela uno s-fondo. E la ricerca ricomincia di nuovo.
Ma poi è così importante scoprire quale sia l’enigma nascosto? E qui la palla passa nel campo dei filosofi, sono loro che dovrebbero rispondere a questa domanda.
Penso, con Pier Aldo Rovatti, che l’enigma non ha una soluzione, può solo essere rivissuto. Penso che nella poiesis l’autore debba limitarsi ad abitare l’enigma, chiedendo con discrezione il permesso ad entrare e a prendervi dimora. Tutto qui.
Irrwegen
Stavo leggendo di un autore di poesia, un libro pubblicato in questi giorni da Mondadori (ma lo stesso discorso vale per moltissimi altri libri di poesia), e mi è venuto in mente questo pensiero: il linguaggio poetico viene pensato come se fosse uno «stato di natura» del linguaggio, come se godesse di una libertà di adozione e di fruizione di uso comune e gratuito. Quando invece quella dimensione «naturale» propria del linguaggio viene considerata da un pensatore come Giorgio Agamben in modo critico come un dispositivo biopolitico della modernità. Viene accettato in questi autori, implicitamente e senza alcuna coscienza critica, che quel linguaggio che viene adottato in una poesia o in una narrazione, è un linguaggio del biopolitico senza alcuna riflessione critica. Voglio dire, ed è bene ripeterlo, che quel genere di linguaggio poetico altro non è che un dispositivo biopolitico proprio del Moderno, e quindi non mette conto parlarne se non come un linguaggio della biopolitica e, aggiungerei estensivamente, proprio della biopoetica.