Video di Gianni Godi e musica di Antonio Amendola
“Promenade in Zela Nuttall Gallery”
Un Augurio per il Nuovo Anno
Carissimi lettoti e poeti della Rivista L’Ombra delle parole, nell’augurarvi Buon Anno e un proficuo lavoro poetico, desidero ringraziarvi tutte le volte che leggete le mie poesie, comunicandovi che Gianni Godi, ha realizzato un video con una mia poesia, su segnalazione di Giorgio Linguaglossa. Questo per me, ha fatto lievitare i battiti cardiaci, regolarizzandoli poi con l’uso di Mini Mas. (Biancospino che supporta la regolare funzionalità dell’apparato cardiovascolare, oltre alla compressa di Lovidon).
Scegliere una poesia e pubblicarla in video come ha fatto Gianni Godi è Avantgarde spettacolare. Scrivere versi è tagliare un vestito da parte di un sarto, che deve stare attento alla stoffa, e qui mi viene in mente Giorgio quando si autodefinisce “calzolaio della poesia” mentre con la sua critica apre nuovi cantieri estetici sulla Rivista. Sono supporti aggiuntivi che fanno bene a noi poeti, e che rendono i versi discontinui con la tradizione. Questo è davvero un modo insolito di proporre il nuovo, privo di sperimentalismi. Una volta acquisite queste forme diventa veramente rappresentativa la Nuova Ontologia Estetica.
Da parte mia, che provengo da diverse stagioni di poesia e di particelle linguistiche, plurisensoriali e pluriestetiche, non mi sono tirato indietro quando Giorgio mi chiese di usare il frammento e il distico nelle mie poesie, senza nulla obiettare, perché si leggevano benissimo con la nuova scrittura.. Grazie a tutti voi e soprattutto a Giorgio al quale auguro ogni bene, così pure a Gianni Godi che ha fatto un lavoro per me eccezionale, e ad Antonio Amendola con il suo preziosissimo accompagnamento musicale.
(Mario M. Gabriele)
[poesia recitata nel video]
La nebbia aprì squarci.
Il dubbio era se il mese più corto dell’anno
avesse altre vendette.
Una solitaria tristezza prese la strada più lunga,
senza pigolii d’uccelli allo sbaraglio.
Fu un’antologia di chimismi lirici a portarci in ecstasy.
In nessun porto approdò l’hovercraft.
Ci fu al Berlitz World un memorial day
con uno spartito di Liszt dell’Accademia di Santa Cecilia.
Ogni argine è un approdo di pensieri.
Il jet lag finì con la melatonina.
Un barcaiolo aprì un varco
alle colombe in lutto.
A volte ci si incontra con i vecchi amici.
Qualcuno prepara piani di lettura.
-Per favore, sediamoci
ad ascoltare il Prefatore di questa sera!.-
-Cari signori,
vi parlo di un prologo e di un frammento
senza leggere i capitoli su Diana Ross.-
Potrebbe essere, il doberman, questa volta,
a trovare il Santo Graal.
Ma non è stato Pietro da Sant’Albano
a citare:”Historia fratris Dulcini Heresiarche”?
Wall Street mi attrae più di New York
e della tomba di Marilyn.
Che ne dici di rifare le scorsaline
per la prossima estate?
Le orchidee sono sempre tristi
come le musiche di Regondi e Pujol.
Abbiamo dovuto bere il latte
per tornare all’infanzia.
L’uragano ha lasciato le strade deserte
e i marciapiedi divelti.
Dalla finestra all’ultimo piano fino all’EuroSpin
c’è una distanza dove Jenny naviga a vista.

Lucio Mayoor Tosi, 2005, la Gioconda
Guardando questo video di Gianni Godi, mi è venuta in mente la frase di Giorgio Agamben sulla «impossibilità di parlare». Che è soprattutto una categoria dell’arte e del politico di oggi. Oggi versiamo veramente in una situazione disperata, è veramente «impossibile parlare», figurarsi fare una poesia o un quadro, con tanto di immagine «bella». Penso che ciò che muove l’arte di Lucio Mayoor Tosi, di Mario Gabriele e quella di Marie Laure Colasson sia proprio il dolore per questa «impossibilità» di fare una immagine, un ritratto di noi uomini e donne di oggi. Questa «impossibilità» attinge alla base i linguaggi artistici del Dopo il Moderno minandone la interna «possibilità» di esprimere alcunché.
Leggevo qualche giorno fa la notizia di un nuovo Mega Missile di Putin, denominato “Satan 2”, con testata nucleare in grado di distruggere, in un istante, una estensione grande quanto la Francia o il Texas. Che altro dire? È che viviamo in un momento della storia mondiale che è veramente «impossibile» rappresentare. Come si fa a rappresentare una cosa così grande e orribile? I conflitti e le guerre ci sono sempre stati, atroci, brutali, sanguinarie, ma sempre di dimensioni «limitate», adesso invece siamo arrivati alla soglia di un conflitto che in pochi istanti può cancellare dalla faccia della Terra intere nazioni e la Terra stessa. Putin o Trump, alla fin fine si equivalgono. E in quanto a imbecillità, mediocrità e infingardaggine i loro scolaretti, i Salvini, i Berlusconi, i Bolsonaro, gli Orban, le Meloni, i fascisti della Lituania e di casa nostra etc. sono prototipi adeguati a questo stato di sudditanza delle masse planetarie alla «invisibilità» con cui il «potere» si ammanta.
Agamben è il filosofo che queste cose le ha scritte e le argomenta da molti anni. La Gioconda di Lucio Mayoor Tosi la trovo affascinante, perché è il nostro ritratto, siamo noi quell’omuncolo scimmiesco.
Davvero, trovo scimmiesche e disumane e votate inconsapevolmente già alla morte atomica le parole dei piccoli poeti e narratori che cincischiano delle loro questioni private, delle loro idiosincrasie in poesia e nei romanzi di oggi, sempre più illeggibili, sempre più spaventosi per la loro inanità e stupidità.
Penso che la nuova poesia, se davvero vuole avere un minimo di credibilità debba essere radicale su questo punto, non può fare sconti o reclamare eccezioni, deve andare dritto alla questione di fondo: la «impossibilità di parlare» e, di conseguenza, l’«impossibilità di poetare» oggi.
(Giorgio Linguaglossa)
Mario M. Gabriele è nato a Campobasso nel 1940. Poeta e saggista, ha fondato nel 1980 la rivista di critica e di poetica Nuova Letteratura. Ha pubblicato le raccolte di versi Arsura (1972); La liana (1975); Il cerchio di fuoco (1976); Astuccio da cherubino (1978); Carte della città segreta (1982), con prefazione di Domenico Rea; Il giro del lazzaretto (1985), Moviola d’inverno (1992); Le finestre di Magritte (2000); Bouquet (2002), con versione in inglese di Donatella Margiotta; Conversazione Galante (2004); Un burberry azzurro (2008); Ritratto di Signora (2014): L’erba di Stonehenge (2016), In viaggio con Godot (2017) è in corso di stampa Registro di bordo. Ha pubblicato monografie e antologie di autori italiani del Secondo Novecento tra cui: Poeti nel Molise (1981), La poesia nel Molise (1981); Il segno e la metamorfosi (1987); Poeti molisani tra rinnovamento, tradizione e trasgressione (1998); Giose Rimanelli: da Alien Cantica a Sonetti per Joseph, passando per Detroit Blues (1999); La dialettica esistenziale nella poesia classica e contemporanea (2000); Carlo Felice Colucci – Poesie – 1960/2001 (2001); La poesia di Gennaro Morra (2002); La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli (2004). È presente in Febbre, furore e fiele di Giuseppe Zagarrio (1983); Progetto di curva e di volo di Domenico Cara; Poeti in Campania di G.B. Nazzaro; Le città dei poeti di Carlo Felice Colucci; Psicoestetica di Carlo Di Lieto e in Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, a cura di Giorgio Linguaglossa, (2016). Si è interessata alla sua opera la critica più qualificata: Giorgio Barberi Squarotti, Maria Luisa Spaziani, Domenico Rea, Gaetano Salveti, Giorgio Linguaglossa, Letizia Leone, Steven Grieco Rathgeb, Antonio Sagredo, Giuseppe Talìa, Luigi Fontanella, Ugo Piscopo, Giorgio Agnisola, Stefano Lanuzza, Sebastiano Martelli, Francesco D’Episcopo, Pasquale Alberto De Lisio, Carlo Felice Colucci, Ciro Vitiello, G.B.Nazzaro, Carlo di Lieto. Altri interventi critici sono apparsi su quotidiani e riviste: Tuttolibri, Quinta Generazione, La Repubblica, Misure Critiche, Gradiva, America Oggi, Atelier, Riscontri. Cura il Blog di poesia italiana e straniera Isoladeipoeti.blogspot.it
Sull’impossibilità sono d’accordo. Ecco perchè dobbiamo essere radicali.
Grazie,
Helene Paraskeva
I miei complimenti a Gianni Godi per l’impressionante video e e a Antonio Amendola per la musica altamente impressiva. Il video è una interpretazione e rappresentazione di alcuni versi di Mario Gabriele. Un’atmosfera di pericolo e di minaccia si diffonde intorno agli avatar e alle parole che pronunciano, un’attesa messianica che si evince dalle andature encomiastiche e dalle pose delle braccia…
Buon Anno poeti veri
Il giorno mer 1 gen 2020 alle 08:31 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona
i miei più sinceri auguri a tutti voi!!! Buon inizio e che questo continui ad ogni istante….
Ammetto di essere parte di un mondo ( forse destinato al declino), che perdura ad avvalersi poco della tecnologia, per incapacità, per pigra impossibilità (e quindi non sufficientemente in grado di apprezzare certe realizzazioni). C’è un effetto di inquietudine e respingimento (i giovani, i ragazzi hanno un altro sentire – è probabile), proveniente dalle immagini di Godi, e forse anche da alcuni distici di Gabriele, che si genera davanti alla paralisi dell’ umano. Che la spersonalizzazione non sia il nostro destino! L’essere in balia di poche persone, che decidono a piacimento del mondo, e/ oppure trascinati da eventi inarrestabili. Solo angoscia di fronte alla completa estraniante- spersonalizzazione (forse più paventata e fantasmatica, che reale) l’impossibilità di amare e godere del mondo (con l’incognita sempre presente di un futuro incerto e terribile che potrebbe realizzarsi – che per molti già si è manifestato). A un senso unico-unidirezionale della Storia umana, però nessun “vero” poeta (nessun essere umano) ha mai completamente creduto, pur senza voler addolcire o fuggire la realtà. Anche nella finzione dell’arte, si può restare “umani” nella totalità, con una certa nostalgia (non del passato, ma del futuro che verrà), La poesia senza false illusioni (morta o ancor viva che sia-sono comunque definizioni, anche se utili a interrogarsi, a scandagliare) può generarsi (e si genera comunque), soltanto nel radicamento a quella che è l’umanissima-personale, e a tratti “comune o non comune” esperienza.
Quando è presente il senso del dolore (quello non ce lo toglie nessuno) allora l’arte comunica. Quei poveri automi, sono pur simulacri dell’umano, come la Gioconda di Lucio Mayor, che nella sua manifesta bruttezza di precipitato di ominide, suscita anche un po’ di tenerezza e rimando subitaneo (oltre a un certo timore di presagio) a quella di Leonardo, che rimarrà “sempre” la madre di tutte.
Un buon augurio a tutti, per questo nuovo anno.
Noto un pessimismo per il futuro. Proprio ieri mi hanno riferito che alcune centurie di Nostradamus sono state rivelate e tra queste si citano la morte naturale di Papa Francesco e della Regina Elisabetta, l’uccisione di Putin, e la III Guerra Mondiale nel 2O20. Se non sono fake news di qualche oroscopista, allora non ha più senso scrivere versi, aprirsi al futuro quando c’è sempre un dottore Stranamore pronto a mandare all’aria ogni cosa.
Auguri a tutti voi.
cara Paola Renzetti,
tu scrivi:
«C’è un effetto di inquietudine e respingimento (i giovani, i ragazzi hanno un altro sentire – è probabile), proveniente dalle immagini di Godi, e forse anche da alcuni distici di Gabriele, che si genera davanti alla paralisi dell’ umano. Che la spersonalizzazione non sia il nostro destino!».
Io penso che appunto questo sia l’evento dei nostri giorni: un «effetto di inquietudine e di respingimento», come tu hai ben scritto, che promana dai distici di Mario Gabriele, dalla Gioconda di Lucio Mayoor Tosi, ma anche dal video di Gianni Godi e dalla musica di Antonio Amendola… e però anche dai distici di Francesco Paolo Intini, Alfonso Cataldi, Marie Laure Colasson, Gino Rago e altri ancora. Non ci è più possibile aderire a qualcosa con spontaneità ed ingenuità, oserei dire anche con passione e passionalità… siamo diventati tutti più fragili e così evitiamo con cura ogni contatto, ogni incontro, ogni colloquio, siamo diventati tutti sospettosi, e questo si contagia anche alle opere d’arte che non possono non contenere al loro interno qualcosa che non respinga, qualcosa che non susciti inquietudine, spersonalizzazione, raffreddamento dei nostri umori, ibernazione, costipazione.
E questo è l’Evento dei giorni nostri, appunto.
oops… quella di Leonardo, che rimarrà per “sempre”, la madre bella, di tutte.
caro Lucio Mayoor Tosi,
L’evento è ciò che eccede le condizioni di possibilità date, quel che interrompe ogni teleologia della ragione e non è prefigurabile in un orizzonte (fenomenologico o ermeneutico). È l’eccedenza e l’alterità di una singolarità nel cuore di ogni nostra esperienza trascendentale, che è perciò sempre alterata e intaccata.
La tua Gioconda segna la fine dell’età dell’evento, che caratterizza il nostro mondo, la mondità del nostro mondo.
Perché un evento sia veramente tale, deve essere assolutamente singolare, altro, imprevedibile, inanticipabile e incondizionato. In questo senso, l’evento è l’accadere dell’impossibile, perché se fosse solo l’accadere di un possibile già pre-ordinato, pre-visto e garantito non sarebbe un evento. l’impossibile non è soltanto un termine negativo, ma è la risorsa stessa del possibile ed è proprio ciò che accade: «quando l’impossibile si fa possibile, l’evento ha luogo (possibilità dell’impossibile). È persino questa, irrecusabile, la forma paradossale dell’evento».1
Oggi un evento incalcolabile e impossibile è già di per sé un Evento, talmente sembra impossibile l’accadere di un evento di tal fatta che abbiamo dimenticato finanche la possibilità che si dia un evento. Ciò a cui assistiamo ogni giorno è esattamente questo: il non accadere dell’evento è di per sé il vero evento dei nostri giorni. Ecco perché la tua Gioconda segna la fine dell’età dell’evento, perché non si dà più alcun evento, senza se e senza ma.
Scrive Derrida:
«il decorso dell’evento, ovvero ciò che nel suo decorso si apre e al contempo resiste all’esperienza, consiste, mi sembra, in una certa inappropriabilità di ciò che accade. […] Ecco il limite, al contempo interno e esterno, su cui sarei tentato di insistere qui: sebbene l’esperienza di un evento, il modo con il quale ci colpisce, richieda un movimento di appropriazione (comprensione, riconoscimento, identificazione, descrizione, interpretazione […]), sebbene questo movimento di appropriazione sia irriducibile e inevitabile, non c’è evento degno di questo nome se non là dove questa appropriazione si estingue sul bordo di una frontiera. Ma si tratta di una frontiera senza fronte né confronto, una frontiera contro la quale l’incomprensione non sbatte di faccia, poiché essa non ha la forma di un fronte solido: piuttosto scappa, rimane evasiva, aperta, indecisa, indeterminabile. Da qui l’inappropriabilità, l’imprevedibilità, la sorpresa assoluta, l’incomprensione, il rischio di equivoco, la novità non anticipabile, la singolarità pura, l’assenza di orizzonte».2
1 J. Derrida, La scommessa, una prefazione, forse una trappola, prefazione a S. Petrosino, Jacques Derrida e la legge del possibile, Milano, Jaca Book, 1997, pp. 11-12
2 Cfr. J. Derrida, Autoimmunità, suicidi reali e simbolici. Un dialogo con Jacques Derrida, in G. Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas et Jacques Derrida , tr. it. di F.Hermanin e G. Bianco, Roma-Bari, Laterza, p. 98
Parole e immagini giungono attraverso le feritoie dell’esclusione. Il poeta che sta nei paraggi della sottile trasmissione (è quasi vento… alito, sguardo), nel vuoto divertito accoglierà senza politica incertezza anche la merda – amor mio! E nemmeno sa di essere per tre minuti l’eletto.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/01/01/28343/comment-page-1/#comment-62264
UN VERO POETA? di Laura Barone
L’ho capito da molto, dovrei fare citazioni,
indifferenziare emozioni.
De Saint Exupery è ormai un melenso inflazionato
ma l’essenziale resta sempre invisibile agli occhi.
Anch’io ieri ho finito di rileggere “Niente e così sia”.
La vita di Oriana era il mio sogno, ne ho visto l’incubo.
Mi servono nomi strani, di eruditi.
Dovrei farmi consigliare da Beckett
di “non sense” se ne intende, ma è morto.
Anche la metafisica è morta, Amen,
non andrò al suo funerale.
Sento il puzzo della boria,
ho bisogno d’aria fresca.
Senza TV, né certezze, preferisco coltivare dubbi.
Il pensiero è contaminato
da gabbie d’oro monoposto.
Ci hanno rinchiusi definitivamente
e il becchime fa pure schifo.
Per chi scrivere non lo so,
se non per me e per chi non s’allinea.
Gli elettroni ruotano intorno al nucleo, con carica negativa, Neutroni e Protoni convivono nel nucleo con carica positiva, voglio sovvertire le regole…sono un elettrone con carica positiva, ma non lo sa neppure la materia.
Grazie dell’apprezzamento.
Materiali di scarto ricuciti insieme…idea interessante. Ma per comunicare cosa visto che é diventato impossibile parlare? Con tutta la mia stima e considerazione per questa rivista e il suo Autore mi chiedo se la nuova ontologia poetica che parte dalla negazione stessa della poesia possa davvero proporre qualcosa che superi il problema della morte dell’arte. In senso heidegerriano la parola poetica si assume la responsabilità di esprimere tutto ciò che si può dire di autentico al posto della metafisica razionalista distrutta dal nichilismo.Eppure si deve tornare al rapporto tra filosofia e poesia…. Ma Wittegenstein ricordava che ” ciò di cui non si può parlare si deve tacere” ovvero tornare al Mistico. Oppure attraverso i giochi linguistici ricreare il mondo….È questa la strada forse? La verità come negazione di verità si traduce nell’invenzione pura..e chi resta se non il soggetto che interpreta la realtà a partire da quei frammenti rimastigli tra le mani?..Come il bambino che giocava un tempo con legnetti e sassi….Ma qui non si prendono frammenti di storie e di versi al fine di creare suggestioni, quando non parole ricercate per fare sfoggio di cultura? E l’effetto é invece lo spaesamento altamente poetico, certo…e questo gioco un po’ mi piace e un po’ mi inquieta.
Lei parla di spaesamento poetico, forse abituata ad una educazione letteraria e poetica di diversa provenienza.Chi non ricorda nei giorni scolastici dedicati alla letteratura il “Laudato si”mi Signore per sora nostra morte corporale”, e confesso che avevano questi versi un certo effetto, anche per me, allora alla ricerca metafisica e alle letture filosofiche più moderne come quelle relative alle opere di Fulton Sheen. Quando un ambiente è saturo di anidride carbonica, bisogna aprire subito le finestre e respirare aria pura, altrimenti, e mi collego alla cultura che lei intravede negli scarti verbali e nel rapporto filosofia- poesia, “risente danno, se viene pianificata e amministrata, ma se è abbandonata a se stessa, tutto ciò che è cultura rischia di perdere non solo la possibilità di esercitare un’influenza, ma la stessa esistenza”(Zygmunt Bauman dal libro La vita Liquida).
Condivido profondamente la necessità di “autenticità”, nella ricerca di una verità oggettiva e di un sè reale. Ernst Jünger sosteneva che:”Cercando di sembrare ciò che non siamo cessiamo di essere quel che siamo”. Viviamo tempi, confusi e frammentati, in cui si procede accompagnati da un senso di smarrimento di se stessi in un ambiente ostile dove sembra diventato ormai impossibile parlare di Poesia. Onestamente non so se sia giusto partire dalla negazione della Poesia per crearne una nuova. Credo comunque che qualcosa ,di quanto fatto fino ad ora, vada salvato. Un elemento necessario per proseguire la ricerca è la creazione di un nuovo equilibrio da cui far scaturire un senso poetico nuovo.
La «patria metafisica delle parole» la trovi nelle discariche abusive
cara Laura Barone,
innanzitutto, Benvenuta all’Ombra delle parole.
Quando un poeta sale su un podio, qualsiasi podio, la Musa fugge a gambe levate. Questo principio lo vorrei scolpito nel marmo.
Chiedo aiuto a Gino Rago e a Mario Gabriele per avere un loro pensiero circa la «poetica degli stracci»… che io considero centrale… ormai per fare poesia ci dobbiamo rivolgere al rigattiere, al robivecchi e, possibilmente, alle discariche abusive che spuntano come funghi dal territorio disastrato di questo paese. Penso che dobbiamo falcidiare tutti i cippi, funerari o meno, tutti i podi, tutte le stele e le colonne di marmo, la poesia la dobbiamo fare con gli stracci sporchi, togliere tutte le superfetazioni, tutte le lucidature, tutti i detersivi…
«Ciò che rimane lo fondano i poeti» scriveva Hölderlin. Appunto, prendiamolo in parola: Ciò che rimane dalle discariche delle parole è poesia…
La poesia la trovi nelle discariche delle parole, nelle parole abbandonate perché non più utili, che non servono più a niente… tutto il resto, quello che si legge oggidì, sono superfetazioni letterarie… la Musa la trovi tra il rancido delle discariche piuttosto che nei salotti del dolore rimosso…
La «patria metafisica delle parole» la trovi nelle discariche abusive, nella terra dei fuochi, negli incendi di parole appiccati dai piromani e dagli imbroglioni di parole, dagli imbonitori di parole…
Ci troviamo in un periodo dove fare poesia è veramente difficile. Azzardare un verso, dopo il tracollo della Tradizione e la fine dello Sperimentalismo, significa andare su un terreno dove il territorio si è lacerato. Chi ripropone, ostinatamente, il replay linguistico del Novecento non sa che produce anemia isocromica, procurando effetti collaterali ad azione asmatica e arteriosclerotica, senza alcun miglioramento clinico della ghiandola pineale.
E’ anche vero che per continuare a fare poesia bisogna riappropriarsi di una identità culturale, anche a costo di ricominciare tutto d’accapo, con pochi attrezzi di mestiere che sono, come dice Giorgio Linguaglossa, gli stracci verbali, per ricucire un tessuto poetico dove i profittatori (poeti adulti e giovani assieme alle case editrici) hanno imposto una politica esageratamente autocratica.
La poesia, quella a cui ora ci si affida, con maggiore insistenza e perseveranza, è l’unica rigenerazione in grado di superare tutte le categorie del moderno e del postmoderno. che sono state adiuvate da discussioni accademiche e a volte anche congressuali, pur di monopolizzare uno stato ipnotico di irreversibilità della poesia.
Viviamo nel Vuoto, nella rarefazione ozonica della langue perché ce l’hanno distrutta. Manca, tranne qualche caso eccezionale, la funzione critica dei valori per l’interpretazione filosofica del destino degli uomini. Spesso ci si lamenta che sulle pagine della Rivista L’Ombra delle parole, filosofia e critica si armonizzino in maniera esuberante.
.A leggere bene, le due cose sono necessarie e indispensabili. Ecco il difficile compito di raccogliere stracci, frammenti, distici, e via dicendo, per ridare ricucitura ad un tessuto lacerato con la sostituzione di un nuovo costruzionismo poetico su materiali di scarto, che se adoperati bene, porta a buon fine l’edificio poetico della Nuova Ontologia Estetica,rimasta per molti un incomprensibile evento sostitutivo della forma poetica.
C’è un malinteso di fondo quando si parla di fine della metafisica, come se la scienza fosse portatrice di un pensiero necessariamente antimetafisico, che si sarebbe poi riverberato nel pensiero filosofico e di cui la poesia dovrebbe tener conto. La scienza fonda le sue teorie su premesse metafisiche: come credete si possa interpretare l’espansione dell’universo? È forse inquadrabile in una prospettiva razionale? Non vi sembra evidente che l’espansione è a tutti gli effetti una creazione di spazio e tempo e, in quanto tale, esula dalla possibilità di essere ricondotta entro il modello geometrodinamico su cui si fonda la relatività generale? Restando in tema di poesia, rilancio la questione formulando la seguente domanda: non vi sembra evidente l’incommensurabilità tra la poesia di Hölderlin e la presunta onnipotenza del sistema di Hegel? Per quanto Hegel sostenesse il contrario, io trovo una profondità di pensiero e un’ampiezza di visione nettamente superiori negli Inni e nelle Elegie di Hölderlin che in tutta la Fenomenologia dello Spirito. Non vi sembra sintomatico che lo stesso Heidegger, a cui vi appellate in continuazione, abbia concluso il suo cammino speculativo con una sorta di resa della filosofia alla poesia? Ne sono la prova i riferimenti, quasi timorosi, a Hölderlin e a Rilke, come celando un imbarazzo infantile ad aprire la porta su un universo enigmatico, a lui pressoché sconosciuto, avendo lavorato troppo di testa sulla materia che aveva fin lì tentato di modellare. Come interpretate l’analisi di Severino, alla luce del Sentiero del Giorno di Parmenide, circa l’”essenza del nichilismo”? Giorgio cita opportunamente (non credo ironicamente) Hölderlin: “Ciò che rimane lo fondano i poeti”, e sibillinamente rilancia: “Appunto, prendiamolo in parola: ciò che rimane dalle discariche delle parole è poesia…La poesia la trovi nelle discariche delle parole, nelle parole abbandonate perché non più utili, che non servono più a niente…” e ci chiede un parere. A me la sua pare una strana ma intrigante consequenzialità. Nell’ottica di quanto ho scritto sopra, si potrebbe intendere: di fronte al vuoto di senso e di valori cerchiamo di tenere alta la volontà di cercare e rifondare una parola anche dagli scarti, purché sia autentica. Se questo è il senso sono d’accordo, in pieno. Non si tratta di rassegnarsi all’insignificanza e al vuoto, ma di combatterlo, ridare pregnanza alle parole, anche a costo di cercarle nelle discariche. Metafisica non significa antifisica, non significa essere contro, ma in favore di un metodo nella ricerca interiore. Solo coltivando l’autentico è possibile sperare di evitare il naufragio. Si tratta solo di intendersi sulle parole, non mistificare, coltivare attivamente il pensiero e condividerlo.
-Cari signori,
vi parlo di un prologo e di un frammento
senza leggere i capitoli su Diana Ross.-
Potrebbe essere, il doberman, questa volta,
a trovare il Santo Graal.
Cari signori,
penso (non “credo”, verbo che ho eliminato dal mio dizionario molti anni fa) che Mario Gabriele ci abbia detto tutto l’essenziale: qui si parla «di un prologo e di un frammento», lì c’è tutto l’essenziale, non c’è bisogno di «leggere i capitoli su Diana Ross». Gabriele trova la sua poesia tra i robivecchi e gli scarti, lui non fa distinzione tra «scarti autentici» e «non autentici», lo «scarto» è realmente «autentico», ecco perché la nuova poesia si affida agli «scarti» e all’«immondezzaio». La poesia di Mario Gabriele nella sua perentorietà (il suo lessico, il tono, lo stile nominale) ci racconta di un mondo che si è letteralmente de-politicizzato, a saper leggere bene gli «scarti» ci troviamo il nostro mondo. La poesia della NOE invera la frase di Hölderlin «Ciò che resta lo fondano i poeti», infatti noi fondiamo dagli «scarti», alimentari, dalla plastica monouso e multiuso, dalle parole del brefotrofio salviniano, dal lessico puzzolente di Trump e Putin, dalle foreste dell’Amazzonia che vanno in fumo con la benedizione di Bolsonaro, la poesia di Gabriele ci parla di «doberman» che trovano finalmente «il Santo Graal». Di che cosa ci dovrebbe parlare, mi chiedo, una poesia oggi nel nostro mondo de-politicizzato e ferocemente capitalistico se non di «doberman» che azzannano? Ecco la mia risposta, caro Claudio Borghi, la NOE si occupa di immondezzai e di rigatterie, penso che questo significhi bene il fare poesia oggi.
Il fatto è che l’homo sapiens della nostra epoca è ancora un «animale che parla» (dizione di Agamben), cioè un animale simbolico e metafisico, non può non parlare, continuerà a parlare con le parole raffreddate e ibernate di oggi dove il vero Evento è che non accade nessun evento, il vero Evento è questo non accadimento. Ne sono convinto. Tra le mie poche certezze ho questa. En attendant Godot?, stiamo fuori dall’attesa di Beckett, non attendiamo più nulla, viviamo senza futuro, questo è il punto, penso. Fare poesia, arte, dopo la fine della metafisica significa essere consapevoli di questa problematica, noi stessi, caro Claudio Borghi, siamo parte di questa problematica, esserne consapevoli ci aiuta a guardare al mondo di oggi con gli occhiali idonei. Penso che una rappresentazione figurativa adeguata di ciò che siamo diventati sia la Gioconda di Lucio Mayoor Tosi, quella signora con la faccia scimmiesca siamo noi.
La questione, per me, è sempre una questione di quello che Aristotele chiamava prote philosophia, “filosofia prima”. Un’importanza centrale assume in questo senso l’analisi del linguaggio, giacché l’uomo è, come vuole la celebre definizione aristotelica, «l’animale che ha il linguaggio», ma questa definizione non può essere presa e accettata acriticamente, dev’essere, anzi, problematizzata, analizzata e indagata al di là dei suoi presupposti metafisici. Questa è la preoccupazione costante e inaggirabile che io pongo al centro di ogni elaborazione, giacché dalla risposta che la civiltà occidentale ogni volta darà alla domanda “Cosa significa avere il linguaggio?”non dipende solo lo status della linguistica e delle scienze ingenerale, o dell’arte e della letteratura, ma quello della definizione stessa di “umano”, e quindi della vita, dell’etica e della politica. Inscindibile da queste questioni è quella del tempo e della storia.
Vivere e agire, e cioè l’etica e la politica, avvengono solo nel tempo e a partire dal tempo, per cui la critica dell’ontologia occidentale significa anche e innanzi tutto una critica dell’idea di tempo e di storia che da questa ontologia deriva e che, allo stesso tempo, a essa dà forma. La proposta di una nuova ontologia significherà allora la proposta di una nuova idea del tempo e della storia, di una nuova esperienza del vivere e dell’agire nel tempo.
Noi lo sappiamo, questa nostra proposta di un ripensamento categorico dei pilastri dell’ontologia, della filosofia, dell’etica e della politica occidentali non può non scontrarsi con inevitabili resistenze, incomprensioni e semplificazioni. il presente noi lo viviamo come crisi, come limite estremo e decisivo di un percorso di alienazione (la “metafisica”), il superamento della crisi non viene cercato né in un ritorno passatista a stadi storico-culturali più «autentici», né in un superamento totale che si liberi completamente dei tratti del presente, ma piuttosto in una piena e cosciente assunzione di questo presente come «proprio», come nostro.
La nuova poesia che definiamo nuova ontologia estetica penso che rappresenti bene lo statuto ontologico dell’uomo di oggi, che Agamben ha chiamato «L’uomo senza contenuto», dalla omonima opera pubblicata dal filosofo italiano nel 1970, nel senso che la NOE è pienamente consapevole di questa problematica che ha radici ontologiche, proprie della ontologia sociale e di quelle che comunemente chiamiamo estetiche ma che estetiche non sono, come quelle del poetico.
Il giudizio estetico come viene teorizzato da Kant (e che sta alla base della nostra nozione di estetica) è una sorta di “teologia negativa”, che determina la bellezza in modo puramente negativo: piacere senza interesse, universalità senza concetto, finalità senza fine, e normalità senza norma. Determinando l’arte a partire da quello che essa non è, il giudizio estetico fa della non-arte il contenuto dell’arte. Ecco, io penso invece che dobbiamo a tornare a pensare al giudizio di gusto a partire da una ontologia positiva, ma per far questo abbiamo bisogno di pensare criticamente, abbiamo bisogno del pensiero filosofico…
Il libro citato di Agamben si chiude così, con un’immagine: “secondo il principio per cui è solo nella casa in fiamme che diventa visibile per la prima volta il problema architettonico fondamentale,così l’arte, giunta al punto estremo del suo destino, fa diventare visibile il proprio progetto originale”
Nel libro Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale
(1977), Agamben scrive:
«Come ogni autentica quête, la quête della critica non consiste nel ritrovare il proprio oggetto, ma nell’assicurare le condizioni della sua inaccessibilità»
Stanze, Prefazione, xiii
E’ un sorprendente risvolto ermeneutico, caro Giorgio, che coglie nell’incipit dei miei primi versi, il senso reale e autentico, celato in più sfaccettature. Il prologo, il frammento, (vado per citazioni), la speranza del doberman (la NOE) possono alla fine effettivamente capovolgere lo status di ibernazione in cui si trova la poesia indebolita da una società capitalistica e tecnologica.
Già con la Scuola di Francoforte si mise in atto una linea di pensiero che intaccava la società di allora attraverso la rivoluzione del pensiero e l’adesione di altre discipline come la psicoanalisi e la sociologia. Si trattò di una componente critica fuori dai processi di industrializzazione e burocratizzazione. Un attacco ai vari Mòloc così come coraggiosamente stiamo portando avanti noi poeti dell Nuova Ontologia Estetica, trattati più come rivoluzionari catastrofici, che come ricostruttori della forma poetica. La nostra poesia deve avere le basi per una logica propositiva del significato, dell’ambiente, della politica, e della economia,senza puntare su un estetismo strumentale del linguaggio privo di sottofondi cresciuti anno dopo anno su cumuli di macerie.Ancora grazie e cordiali saluti. Mario.
Analisi impietosa, suicidaria, per questo quasi inaccettabile, caro Giorgio. Fare poesia utilizzando i resti, gli “scarti”, costruire qualcosa che ancora non c’è e solo in minima parte può prefigurarsi, questo può essere attraente. Ci muoviamo ancora tra scarti di tutto rispetto, che possiamo cercare e da cui scegliere ancora agevolmente, guardarli con riverenza e riconoscenza, finché c’è tempo (senza perdere tempo).
Le testimonianze della nostra incuria incosciente, gli assalti dei dobermann (dici molto bene) che ci hanno derubato dell’ “infanzia” (come ha ben detto Greta Tunberg tra le lacrime) lasciandoci un’economia palesemente ingiusta (lotta di classe vincente dei ricchi e potenti a danno dei più deboli) quella oscenità che si affaccia di continuo durante le nostre giornate, non devono e non possono avere la meglio. Subentra uno scatto (e speriamo più possibile lungo – collettivo all’unisono) di resistenza, di ribellione, fra movimenti alterni di rifiuto – comprensione, persino di sorriso…accettazione, perchè siamo umani dopo tutto, e in parte colpevoli. Ma che non significhi resa, questo no. E’ vero che molta bellezza è nata dai rifiuti, dagli errori fattisi provvidenziali, e potrà nascere ancora da questi nostri attuali e apparenti improponibili resti, ma occorre speranza. Anche per questo si nasce e si diventa ancora capaci di poesia. Se fosse solo per affermare il primato della morte e della brutalità, allora sarebbe quasi inutile. Ma se è per cogliere e diffondere anche il sorriso timido della nostra condizione umana, sotto qualsiasi veste, tempo e latitudine, allora sì.
cara Paola Renzetti,
gli ultimi imperatori romani che hanno tentato di far pagare le tasse ai latifondisti, ai ricchissimi, Giuliano l’apostata e Maggioriano sono morti assassinati dai ricchissimi coalizzatisi contro di loro. La rivoluzione francese è scoppiata perché i nobili si rifiutavano di varare una riforma fiscale che li avrebbe obbligati a pagare una piccola parte delle tasse che continuava a pagare il terzo stato. Idem la rivoluzione russa del 1917. Adesso Trump ha avvisato l’Unione Europea, che intendeva far pagare le tasse a Google, facebook, Apple e ad altri giganti del mondo informatico, che avrebbe risposto con la guerra dei dazi contro l’Europa. Risultato: l’Europa si è rimangiato il suo proposito. Adesso abbiamo in Italia una destra sfrenata contro i timidissimi tentativi del governo di tassare l’uso della plastica… il risultato è che il governo ha fatto marcia indietro. Il problema della storia è sempre quello: chi deve pagare le tasse? I poveri o i ricchi?
Per tornare alle cose nostre, penso che il video di Gianni Godi e Antonio Amendola sia molto ben fatto, riesce bene a testimoniare la condizione di allarme, di disorientamento e di estraneazione, di spavento che circonda le parole in apparenza asettiche e asessuate di Mario Gabriele. Non era compito facile, ma Godi e Antonio Amendola ci sono riusciti molto bene, hanno creato qualcosa di elevato valore.
A UNA SCIMMIA DEL QUARTO REICH(*)
La massa dei desideri in volo
Al ballo dei prigioni.
Melograni in prima linea.
Pipistrelli appesi ai rami.
Nessun Capa ha perso la spina.
Mina implosa su due piedi.
Sbocciano i D-day
Chi ricorderà le olive nella macina?
L’olio permuta il sangue
Una scimmia Monna Lisa
Diverrà Poe tra un primo ed un secondo,
forse il fronte delle Ardenne tra i casi irrisolti.
Giugno precede Aprile.
Molotov brucia Maggio sul traguardo.
Una mossa di tango all’orizzonte
L’eleganza delle setole strette al cuore.
…
A tempo che si libera dalle salme
corrisponde Xylella nei polsi degli ulivi.
Bottinatrice alla fonderia
stampi colati dal miele.
…
Il limite della massa dettò la sua legge
Uno ad uno i bracci di Roma.
Fu Quasar al nostro tempo.
Perse il centro nella rotazione
l’energia in un trend a zero kelvin.
Ma non esiste una mano che tira
L’equazione funziona senza Io.
L’orologio del taschino ha un extrasistole
Le Poste invece bloccano il ventricolo sinistro.
Gli scontrini si assottigliano
fino alla scomparsa delle mura atriali.
Scompaiono le terme di Caracalla
Affiora, inaspettato, l’oro delle pagliuzze
Una misura dell’esperire, finalmente!
Nel frastuono di oche la creatio ex nihilo.
Nasce il numero con il kilogrammo dentro
Cola di Rienzo a difesa di un colombo su un piede.
Ad uno sportello qualcuno ha dubbi
Sulla natura della gravità.
A massa che si aggiunge corrisponde il dimagrire.
Il senso perde colpi al touch screen.
Il Governo dell’Iperuranio è di troppi gusti
gli insapori si mescolano al brodo di vitello.
Provengono dall’inverno prossimo questi lamenti di maiale.
Un pizzico di Adriatico tra i detersivi.
Ripido il labbro nel separarsi dalla bocca
Una fuga verso Marte o tra lenzuola di velcro.
All’esattezza della bilancia corrisponde
massima incertezza sull’ uguaglianza dei piatti.
…
il piccolo Mengele del Si e No.
Versi che bruciarono il cestino.
Sguardo di Madre accartocciato.
Punto che comprime Antonello
l’Annunciata inespressa dal secchio
Sciabordio del nulla che divora il verbo.
Traccia indelebile nel buon pastore.
…
Il nome genera una dinastia di scimpanzè
Nuovi nati in cornice d’Appennino
Medici, Papi, reggitori di stato,
Il velo deturpato dal sorriso.
Girava tra giapponesi e cinesi.
Doveva tradimenti al Valentino,
l’ astuzia a Sisifo,
lo profondità degli occhi a Duchamp.
Il vaiolo è stato potente l’altro anno
Il viso impastato dal maltempo.
Si è visto Reni orinare sotto Leonardo
E Raffaello schizzare il muro di notte.
Qualcosa partì dai nostri anni, il test di Chernobyl
Un sussulto di banca, un mutuo non rispettato
Anche Pound ci mise del suo
A pennellare le labbra, a ritrarre una trama di secolo.
Ma queste cose si leggono nel seno.
Nascita di luce da ferro rovente
Andante di gradazioni sullo sfondo
In ascisse la frequenza e il massimo spostato su Berlino.
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(*) Il titolo riprende “la scimmia del quarto Reich\ballava la polka sopra il muro\e mentre si arrampicava\le abbiamo visto tutto il culo” (F. De Andrè, M. Pagani. La domenica delle salme. Album: Le Nuvole Ed. Ricordi\Fonit Cetra)
(*) oltre che a La Gioconda di L. M. Tosi.
Tantissimi auguri a tutti\e
(Francesco Paolo Intini)